A. Berzin: La disciplina etica: superare l’impulsività del karma

Dr. Alexander Berzin: L’autodisciplina etica è la chiave per superare il karma negativo …

Dr. Alexander Berzin: La disciplina etica: superare l’impulsività del karma

Quando comprendiamo che il karma consiste nell’impulsività che ci spinge ad agire, parlare e pensare in modi incontrollati, realizziamo come il suo ruolo sia una vera fonte delle nostre sofferenze e problemi. L’agire in modo impulsivo ci provoca infelicità, crea difficoltà ricorrenti nella vita e ci impedisce di aiutare gli altri nel modo migliore possibile. Per liberarci dall’impulsività del karma e dai problemi che esso genera, abbiamo bisogno dell’autodisciplina etica per astenerci dal comportamento distruttivo, dall’afferrarci a fantasie su noi stessi e dalla preoccupazione egocentrica.

Il primo livello di autodisciplina etica

Il tema del karma è centrale negli insegnamenti buddhisti e si collega molto strettamente all’autodisciplina etica. Noi utilizziamo l’autodisciplina etica per superare e sbarazzarci del karma; ciò ben rientra nel contesto di quelle che sono conosciute come le “quattro nobili verità”, l’insegnamento fondamentale del Buddha:

  • Noi tutti sperimentiamo grandi sofferenze e problemi nella vita.

  • La nostra sofferenza deriva da cause.

  • C’è una situazione in cui tutta la sofferenza e le sue cause possono essere eliminate per sempre.

  • Questa situazione può essere raggiunta attraverso un percorso di corretta comprensione della realtà, dell’etica e così via.

Questo schema è una struttura che si trova in generale nella filosofia e nella religione indiana. Tuttavia, Buddha disse che gli altri prima di lui non le avevano identificate abbastanza profondamente, così chiamò ciò che aveva realizzato le vere sofferenze, le loro vere cause, il loro vero arresto e il vero sentiero che conduce a tale cessazione. Sebbene altri potrebbero non essere d’accordo, questi punti sono visti come veri dagli arya, gli esseri altamente realizzati che hanno visto la realtà non concettualmente.

È interessante che Buddha abbia usato il termine “arya”. Questo è il nome della popolazione che invase e conquistò l’India circa 500 anni prima del Buddha portando i Veda. Tuttavia, questi arya di cui parlava il Buddha non sono quegli stessi conquistatori. Questi sono coloro che non solo hanno visto cos’è la vera sofferenza e le sue cause, ma le hanno superate; sono i vincitori. Questo è un termine usato in tutta la terminologia buddhista.

Comprensione del significato di “karma”

Il karma è una delle vere cause della vera sofferenza, ma cos’è esattamente il karma? La parola sanscrita deriva dalla radice kr, che significa “fare”. Quando si aggiunge la desinenza –ma ad essa, si ottiene “ciò che agisce” o “ciò che guida le azioni”. Allo stesso modo la parola “Dharma” deriva da dhr, che significa “proteggere”. Con la desinenza –ma, diventa “ciò che ci protegge”, nel senso di “ciò che ci protegge dalla sofferenza”. Dunque karma è ciò che ci spinge ad agire e porta sofferenza e Dharma è ciò che ci proteggerà dalla sofferenza.

Karma, quindi, non si riferisce alle nostre stesse azioni. Tuttavia, poiché karma fu tradotto in tibetano con la parola che significa “azioni” (las) nel linguaggio colloquiale, la maggior parte degli insegnanti tibetani, se parlano in inglese, si riferiranno al karma come “azioni”. Questo è molto disorientante, perché se le vere cause della sofferenza fossero le nostre azioni, allora tutto ciò che dovremmo fare sarebbe smettere di compiere qualsiasi cosa e così saremmo liberi! Questo non ha alcun senso.

Ciò a cui karma si riferisce è in realtà l’impulso, l’impulso che ci spinge ad agire, parlare e pensare in modi che sono mescolati alla confusione: confusione su come esistiamo, su come esistono gli altri e sulla realtà. Poiché siamo confusi su chi siamo e cosa sta succedendo nel mondo, agiamo in modi molto impulsivi. Questi modi possono essere impulsivamente negativi, come urlare sempre ed essere crudeli con gli altri oppure impulsivamente positivi, come essere perfezionisti.

Considera quest’ultimo caso. Potresti essere nevrotico o impulsivo riguardo all’essere perfetto e pensare cose come “Devo essere bravo” o “Tutto deve essere pulito e in ordine”. Un tale pensiero impulsivo produce molta sofferenza, sebbene essere buoni e mantenere la pulizia e l’ordine sia positivo. Quindi, con la discussione sul karma, non stiamo parlando di smettere di agire in modo positivo. Stiamo parlando di eliminare l’impulsività nevrotica che sta dietro alle nostre azioni, poiché questa è la causa della sofferenza. Dietro al nostro perfezionismo c’è confusione su come esistiamo. Pensiamo a noi stessi come a un solido “io, io, io” e crediamo che questo “io” debba essere perfetto e buono. Perché? In modo che mamma o papà “mi” diano una pacca sulla testa e chiamino “me” una brava ragazza o un bravo ragazzo? Come disse uno dei miei insegnanti: “E poi cosa facciamo, scodinzoliamo come un cane?”.

Il karma nel contesto dell’addestramento nel sentiero graduale del lam-rim

Quando ci impegniamo per liberarci del karma, l’impulsività che è una delle vere cause della sofferenza, lavoriamo per stadi secondo la presentazione del lam-rim, gli stadi graduali del sentiero verso l’illuminazione. Il “sentiero graduale”, tuttavia, non è in realtà un sentiero su cui si cammina; si riferisce piuttosto a stati mentali, livelli di comprensione e sviluppo interno che, come un sentiero, ci conducono a obiettivi progressivi passo dopo passo. A ogni passo ampliamo la portata della nostra motivazione, il nostro obiettivo, il nostro traguardo e ogni passo comporta un superamento più profondo del karma attraverso l’autodisciplina etica.

Molto brevemente, ci sono tre livelli di motivazione. La classica presentazione di lam-rim presuppone e crede nella rinascita e quindi ogni livello di motivazione ruota intorno a questo punto. Anche se non accettiamo la rinascita e pensiamo solo in termini di miglioramento di questa vita, possiamo ancora lavorare per superare il karma secondo questo schema graduale. Ma diamo un’occhiata a come il karma è coinvolto in quella che io chiamo la versione del “Dharma vero e proprio”.

  • Con una motivazione iniziale lavoriamo per superare le rinascite peggiori, in modo da continuare ad avere vite future migliori. Nello specifico, vogliamo raggiungere non solo migliori rinascite, ma ottenere anche una preziosa vita umana, così da poter continuare ad avere le migliori circostanze per lavorare per svilupparci ulteriormente verso obiettivi più alti. Poiché il nostro comportamento impulsivo distruttivo porta a rinascite peggiori, miriamo a liberarci da tale impulsività del karma in questa fase iniziale.
  • Con un ambito intermedio, vogliamo superare completamente la rinascita. Potreste aver sentito parlare del termine “samsara” che si riferisce alla rinascita che ricorre in modo incontrollabile, piena di sofferenza e problemi, al di là del tipo di rinascita che assumiamo. L’impulsività del karma, sia distruttivo che costruttivo, è una delle principali forze che guidano le nostre rinascite samsariche. Pertanto, in questa fase intermedia, puntiamo alla liberazione da ciò.
  • Con un ambito avanzato, vogliamo raggiungere uno stato in cui siamo in grado di aiutare, nel miglior modo possibile, tutti gli altri a liberarsi dal samsara. Questo significa che lavoriamo per diventare un Buddha, un essere onnisciente, in modo da comprendere il karma di tutti e quindi sapere come aiutarli nel miglior modo possibile. Pertanto, il karma è coinvolto in tutti e tre i livelli di lam-rim.

La motivazione iniziale: lavorare per superare le rinascite inferiori

Buddha parlò della vera sofferenza o dei veri problemi nella vita. A livello iniziale lavoriamo per superare i problemi e le difficoltà più basilari che affrontiamo, cioè le sofferenze fisiche e mentali, vale a dire infelicità, dolore, cose orribili che ci accadono e così via.

Le peggiori rinascite saranno piene di sofferenze davvero terribili. Non è una prospettiva molto piacevole pensare di nascere come un pesce che nuota nell’oceano e poi all’improvviso arriva un pesce più grosso che ci azzanna tagliandoci in due parti, o di nascere come un piccolo insetto che poi viene mangiato da un insetto più grande o un uccello: non è qualcosa che vorremmo sperimentare. Pensate alla paranoia e alla paura degli animali che devono sempre guardarsi intorno per assicurarsi che nessun animale più grande arrivi e tolga loro il cibo. Pensate alle galline in quelle che Sua Santità il Dalai Lama chiama “prigioni di polli”. Sono rinchiuse senza potersi muovere e sono allevate per essere poi mangiate in un McDonald’s e avere metà dei loro corpi gettati nella spazzatura!

Il Buddhismo descrive situazioni che sono molto peggiori di queste, ma non c’è bisogno di approfondirle al momento. Il punto è che vogliamo davvero evitare tutto ciò e raggiungere invece la felicità. Tutti vogliono essere felici; nessuno vuole essere infelice: questo è un assioma fondamentale nel Buddhismo. Ciò a cui ci riferiamo qui è solo la nostra normale felicità, in cui ci addentreremo quando arriveremo al secondo livello o ambito.

Il concetto buddhista di etica

Qual è la vera causa dell’infelicità e di questa grave sofferenza delle rinascite inferiori? Il karma negativo è la causa principale. È l’impulso ad agire in modi distruttivi, provocati e accompagnati da emozioni disturbanti: è molto importante capire questo. Quando parliamo di comportamento distruttivo o negativo, non stiamo parlando di un sistema etico basato su leggi di origine divina o leggi civili emesse da un governo. In questi sistemi di etica, essere una persona etica significa dover obbedire alle leggi, come un buon cittadino, un buon credente o entrambi. Inoltre, in congiunzione con la legge vengono i giudizi di colpevolezza o innocenza: questo non è affatto il concetto buddhista di etica.

Invece il Buddhismo insegna un sistema etico basato sulla corretta comprensione e discriminazione tra ciò che è utile e ciò che è dannoso. Quando agiamo in modo distruttivo, non è perché siamo disobbedienti o persone cattive; piuttosto, siamo semplicemente confusi sulla realtà. Per esempio, se si mette una mano su una stufa calda, non è perché si disobbedisce a una legge che decreta: “Non mettere le mani su una stufa calda”; ci hai messo la mano perché non sapevi che era calda. Eri confuso; non sapevi che toccandola ti saresti bruciato, non eri consapevole della relazione causale.

Un altro esempio: immagina che io ti dica qualcosa di innocente che ferisce i tuoi sentimenti: non sono cattivo perché l’ho detto, onestamente non sapevo che avrebbe danneggiato i tuoi sentimenti. Non sapevo quale effetto avrebbero avuto le mie parole; ero confuso.

Emozioni disturbanti e comportamento distruttivo

Quando agiamo in modo distruttivo, questo è provocato e accompagnato da alcune emozioni disturbanti.

Cos’è un’emozione disturbante? È un’emozione che, quando sorge, ci fa perdere la nostra pace mentale e l’autocontrollo.

Questa è una definizione molto utile. Di solito possiamo percepire quando ci sentiamo nervosi, non abbiamo la pace mentale e agiamo in modo impulsivo. Questo ci dice che c’è un’emozione disturbante dietro a ciò che percepiamo.

Quali sono le principali emozioni disturbanti? Primo, c’è un raggruppamento di desiderio bramoso, attaccamento e avidità. Con tutte e tre esageriamo le qualità positive di qualcosa e ignoriamo o neghiamo totalmente qualsiasi aspetto negativo. In quanto stati mentali disturbanti, essi ci impediscono di godere di qualsiasi cosa:

  • Desiderio – desideriamo ardentemente di ottenere ciò che non abbiamo
  • Attaccamento – non vogliamo lasciare andare ciò che abbiamo
  • Avidità – non siamo soddisfatti di ciò che abbiamo e vogliamo soltanto di più

Poi c’è la collera, che ha molte sfumature: risentimento, antagonismo, malevolenza, odio, rancore, perfidia, vendetta e così via. Tutti questi esagerano le qualità negative di qualcuno o qualcosa e sono ciechi verso i suoi aspetti positivi. Sulla base di ciò, sviluppiamo repulsione per liberarci o addirittura distruggere ciò che non ci piace.

Un’altra fondamentale emozione disturbante è l’ingenuità, per esempio riguardo l’effetto del nostro comportamento su noi stessi e sugli altri. Un esempio è l’essere un maniaco del lavoro ed esagerare: siamo ingenui riguardo al fatto che danneggerà sia la nostra salute che la nostra famiglia, quindi è autodistruttivo. Oppure siamo sempre in ritardo e non rispettiamo gli appuntamenti con gli altri: è ingenuo pensare che non danneggerà i sentimenti dell’altro e non li farà stare male, quindi di nuovo è distruttivo.

Queste sono le emozioni disturbanti più comuni che ci fanno perdere la pace mentale e l’autocontrollo. Accompagnano l’impulso ad agire in modi distruttivi. Alcuni atteggiamenti disturbanti aggiuntivi ci inducono anche a comportarci in modi impulsivamente negativi:

  • Mancanza di rispetto per le buone qualità e per coloro che le possiedono
  • Mancanza di autocontrollo per trattenerci dall’agire negativamente
  • Mancanza di dignità morale o rispetto di sé – il rispetto di sé è molto importante. Ad esempio, se ci rispettiamo molto non strisceremo dietro a qualcuno implorandolo: “Non lasciarmi mai!”. Abbiamo un senso di dignità personale. Quando agiamo in modo distruttivo, ci manca questo senso.
  • Non preoccuparsi di come le nostre azioni si riflettono sugli altri – ad esempio se, come tedesco, vai in vacanza e agisci in maniera turbolenta, ubriacandoti sempre, urlando e rovinando la tua stanza d’albergo, ciò darà una cattiva reputazione ai turisti tedeschi. Con questo atteggiamento distruttivo, non ti importa di come questo si possa riflettere sui tuoi connazionali.

Questi sono i gruppi di emozioni e atteggiamenti che accompagnano il comportamento impulsivo distruttivo e conducono alla sofferenza dell’infelicità e delle cose terribili che ci accadono. Questo vale non solo in questa vita ma, al livello iniziale di lam-rim, ci rendiamo conto che causeranno ancora più problemi e infelicità nelle rinascite inferiori future e certamente vorremo evitarlo.

Il primo livello di autodisciplina etica secondo la motivazione iniziale del lam-rim

Per evitare le rinascite inferiori, così come le peggiori situazioni in questa vita, abbiamo bisogno di autodisciplina etica per astenerci dalle azioni negative. Sviluppiamo quell’autodisciplina etica eliminando la nostra confusione sulla causa ed effetto comportamentali; comprendiamo che, se ci lasciamo controllare dalle nostre emozioni disturbanti, diventiamo impulsivi e agiamo in modi distruttivi che portano infelicità e problemi per noi stessi e gli altri.
È molto importante capire che stiamo parlando del primo livello di comportamento etico, che è semplicemente quello di esercitare l’autocontrollo. L’autocontrollo, tuttavia, non è basato sul voler essere un buon cittadino obbediente, un buon seguace di una religione o semplicemente un bravo ragazzo o una ragazza. Piuttosto, esercitiamo l’autocontrollo perché comprendiamo che se agiamo in modo impulsivo, completamente fuori controllo, ciò produrrà molti problemi e infelicità. Questo è un punto molto importante da sottolineare nella nostra comprensione del Buddhismo. Se la nostra etica si basa sull’obbedienza, allora sappiamo per esperienza che molte persone si ribellano contro il dover obbedire alle leggi e alle regole, specialmente gli adolescenti. Anche i criminali pensano di poter in qualche modo aggirare le leggi o, come diciamo in inglese, “farla franca”, ovvero di passarla liscia. Qui l’etica si basa semplicemente sulla comprensione, così non si pone il problema della ribellione.
Ovviamente non è così facile capire la relazione tra comportamento distruttivo, infelicità e sofferenza. Potresti non crederci, nel qual caso pensi: “Questa cosa dell’etica è ridicola!” Tuttavia ad un certo livello, quando hai qualche esperienza di vita, vedi che se agisci sempre in modo negativo non sei una persona terribilmente felice. Non piaci agli altri e hanno paura di te; hanno paura di incontrarti perché potresti arrabbiarti con loro. Quindi, dalla nostra esperienza, possiamo capire che a un livello molto basilare e superficiale, pensando soltanto al contesto di questa vita, agire negativamente e distruttivamente porta infelicità.
Questo è un punto interessante perché potremmo agire in modo distruttivo e sentirci molto felici al riguardo. Per esempio, supponiamo che ci sia una zanzara che ti ronza intorno al viso quando stai cercando di dormire; la schiacci e pensi “Oh, sì! L’ho presa!” e ne sei davvero felice. Ma se esamini più profondamente, vedi che sei ancora paranoico e a disagio. Poiché il tuo modo abituale di affrontare qualcosa che ti infastidisce è ucciderlo, sei in attesa della prossima zanzara. Non stai considerando di trovare una soluzione pacifica. Se sei in un luogo con molte zanzare, una soluzione pacifica sarebbe una zanzariera o mettere la schermatura alle finestre.
Questa definizione delle emozioni e degli atteggiamenti disturbanti associati al comportamento distruttivo è molto utile in questo contesto. È esattamente il significato della parola “disturbante”: perdiamo la pace mentale e l’autocontrollo. Non è uno stato mentale felice, vero? “Sono paranoico e ho paura che un’altra zanzara arriverà e sconvolgerà il mio sonno!”. Non hai pace mentale, e non hai l’autocontrollo per essere in grado di rilassarti e andare a dormire, perché sei spaventato. Il modo in cui ti comporti è nevroticamente impulsivo, come se stessi per saltare dal letto e indossare uno di quei caschi che gli inglesi indossavano quando andavano a fare un safari in Africa. È come se tu fossi in un safari, a caccia per vedere se c’è un’altra zanzara nella stanza!
Questo è il primo livello di autodisciplina etica, che mira a superare le rinascite peggiori esercitando un autocontrollo etico in modo tale che quando ci sentiamo di agire in modo negativo, non lo facciamo.

Meditazione finale

Passiamo alcuni momenti ad assimilare ciò che abbiamo imparato, riflettendo sulla nostra esperienza seguendo la cosiddetta “meditazione analitica”. Preferisco chiamarla “meditazione discernente”. “Discernere” significa cercare di vedere nelle nostre vite un certo punto negli insegnamenti. Qui, esaminiamo le nostre vite e cerchiamo di riconoscere che, quando abbiamo agito in modo così distruttivo, era molto impulsivo. C’era molto attaccamento o molta rabbia alla base. E qual è stato il risultato? Eravamo davvero molto infelici. Confermiamo questo punto, discernendolo nella nostra esperienza, diventando così sempre più convinti che questo sia vero. È solo sulla base della convinzione per cui “Questo è un fatto della vita” che inizieremo a cambiare effettivamente il nostro comportamento.

Gli altri due livelli di autodisciplina etica

Al livello iniziale di sviluppo spirituale, esercitiamo l’autodisciplina etica per astenerci dal comportamento distruttivo. Il nostro obiettivo è di evitare che le cose peggiorino non solo in questa vita, ma anche nelle vite future. Ci sforziamo per ottenere rinascite migliori e per i tipi ordinari di felicità che possiamo sperimentare in esse. Siamo spinti a raggiungere questo obiettivo per il nostro timore di sperimentare sempre più sofferenza e infelicità; tuttavia comprendiamo che esiste un modo per evitarlo, vale a dire esercitare autocontrollo e astenersi dall’agire in modo distruttivo. Quando abbiamo voglia di fare, dire o pensare qualcosa di distruttivo, basato su qualche emozione disturbante come l’avidità o la rabbia, notiamo quel sentimento e poi non lo mettiamo in pratica spinti da quest’ultimo. Anche se abbiamo bisogno di rallentare parecchio per cogliere quello spazio tra sentire di fare qualcosa e farlo impulsivamente, all’inizio sarà certamente difficile ma possiamo allenarci per poterlo notare
Pensa a quando sei seduto cercando di lavorare e ti annoi: sorge la voglia di controllare di nuovo la tua bacheca di Facebook, le notizie sul tuo telefono o di mandare un messaggio ad un amico. A questo livello del nostro sviluppo, noteremmo quando sorge un sentimento simile e decidiamo chiaramente: “Se agisco spinto da questo, non farò il mio lavoro e questo creerà problemi. Quindi non importa ciò che ho voglia di fare, non lo farò”.

Il secondo livello: impegnarsi per superare del tutto le rinascite

Il livello intermedio della motivazione del lam-rim consiste nel lavorare per superare del tutto la rinascita che si ripete in modo incontrollabile. Ricorda che questo è il significato di “samsara”, la rinascita che si ripete senza controllo, piena di problemi che in modo incontrollabile si ripresentano, senza possibilità di fermarli. Questi non sono solo i problemi dell’infelicità, ma anche gli altri due aspetti delle vere sofferenze che Buddha ha indicato: la sofferenza del cambiamento e la sofferenza onnipervasiva.

Felicità ordinaria

La sofferenza del cambiamento si riferisce alla nostra normale felicità; sfortunatamente ci sono molti problemi associati a essa. Per cominciare, non dura – è per questo che si chiama “sofferenza del cambiamento” – e non soddisfa mai, perché ne vogliamo sempre di più: se ne abbiamo troppa e troppo a lungo, ci annoiamo o si trasforma in sofferenza. Per esempio, stare fuori al sole: è bello per un po’, ma non staresti fuori al sole e al caldo per sempre. Dopo un po’ è troppo e devi andare all’ombra. Oppure pensa a quando una persona cara accarezza la tua mano. Bene, se dovesse farlo senza interruzioni per tre ore, la tua mano sarebbe molto dolorante! Quindi, ci sono problemi come questi con la felicità ordinaria.
La nostra felicità ordinaria è il risultato dell’agire in modi costruttivi, positivi, tuttavia è ancora mescolata alla confusione, come nell’esempio dell’essere un perfezionista nevrotico che pulisce impulsivamente la casa assicurandosi che tutto sia in ordine. Quando finisce di pulire è contento per un po’, ma poi inizia l’insoddisfazione e pensa: “Non è abbastanza pulita, potrei essermi dimenticato di qualcosa, devo pulirla di nuovo”. Qualsiasi tipo di felicità vissuta da queste persone non dura molto a lungo; a loro sembra che la casa possa sempre essere più pulita.

Il problema onnipervasivo

Il terzo tipo di sofferenza è chiamato il “problema onnipervasivo”. Riferendoci alle rinascite che prendiamo, le quali si ripetono in modo incontrollabile, esso consiste nel fatto che in ogni rinascita abbiamo il tipo di corpo e mente che produce automaticamente problemi e difficoltà. Pensateci: con questo corpo che abbiamo ora non c’è modo di camminare senza calpestare qualcosa e ucciderlo, non c’è modo di poter mangiare qualsiasi cosa senza che un insetto o qualcos’altro sia stato ucciso nella produzione di quel cibo, anche se si è vegetariani. I nostri corpi si ammalano e sia i nostri corpi che le nostre menti si stancano. Dobbiamo riposare; dobbiamo mangiare; dobbiamo guadagnarci da vivere. Non è facile, vero?
Poi nella nostra prossima vita, se saremo abbastanza fortunati, rinasceremo di nuovo come esseri umani e saremo dei bambini. Che brutto! Non puoi esprimerti se non piangendo; non puoi fare nulla per te stesso e devi imparare tutto da capo. È davvero noioso! La cosa orribile è che dobbiamo fare tutto questo infinite volte. Immagina di dover andare di nuovo a scuola! Ti piacerebbe andare a scuola un altro milione di volte, fare compiti e sostenere esami senza fine?
Quindi questo è il problema onnipervasivo che abbiamo come conseguenza della rinascita che si ripete in modo incontrollabile. Anche se rinascessimo in uno stato molto migliore, anche con una preziosa rinascita umana, avremo ancora questi problemi onnipervasivi. Vogliamo ottenere la liberazione da questo e, per farlo, dobbiamo superare tutte le forme di karma impulsivo, non solo il tipo negativo, ma anche quello positivo.

La felicità che deriva dalla liberazione

Consideriamo di nuovo la nostra normale felicità. Tecnicamente, si chiama “felicità contaminata” perché è macchiata o mescolata alla confusione, nel senso che nasce dalla confusione, è accompagnata dalla confusione e, a meno che non cambiamo il nostro atteggiamento nei suoi confronti, genera ancora più confusione. Ciò che vogliamo, invece, è raggiungere il tipo di felicità che non sia mescolata alla confusione. Questo è il tipo di felicità che dura e soddisfa. È un tipo di felicità completamente diverso dal nostro tipo ordinario. È una felicità che deriva dall’essere liberi da tutte le emozioni disturbanti. Non c’è niente di confuso al riguardo.
Considera un piccolo esempio che è un po’ come questa felicità, ma certamente non la stessa cosa: indossi delle scarpe molto strette per tutto il giorno; alla fine della giornata te le togli e provi una sensazione di sollievo. “Ah! Sono libero da questa restrizione e dal dolore ai piedi!”. Questo è un tipo diverso di felicità rispetto alla felicità di mangiare qualcosa che ci piace, non è vero? Parliamo quasi di un senso di sollievo nell’essere liberi da pensieri nevrotici, liberi da preoccupazioni, liberi da insicurezza, da tutte queste cose. Non sarebbe meraviglioso non essere mai emotivamente squilibrati, insicuri o preoccupati? Che sollievo sarebbe!
Questo è un cenno di ciò di cui stiamo parlando quando parliamo di liberazione dalle rinascite che si ripetono in modo incontrollabile – liberazione da tutte le vere sofferenze, che includono la rinascita stessa. Per fare ciò, dobbiamo superare l’impulsività di tutte le forme del karma, non solo dei tipi distruttivi. Dobbiamo superare anche l’impulso ad agire positivamente: non c’è niente di sbagliato nell’essere puliti e nel cercare di fare bene le cose, il problema c’è quando si tratta di una sindrome compulsiva e nevrotica che disturba la nostra tranquillità mentale ed è fuori controllo; questo è ciò di cui dobbiamo sbarazzarci.

Distinguere tra emozioni positive e un atteggiamento disturbante

Quando agiamo in modo positivo, ci sono emozioni positive che si accompagnano a ciò, come:

  • Distacco – non aggrapparsi a nulla. È l’opposto dell’attaccamento.
  • Non voler causare danno.
  • Non essere ingenui – essere sensibili all’effetto del nostro comportamento su noi stessi e sugli altri.

Poi ci sono altri fattori mentali costruttivi che accompagnano anche comportamenti positivi o costruttivi:

  • Rispetto per le buone qualità e per coloro che le possiedono.
  • Autocontrollo per trattenersi dall’agire negativamente.
  • Un senso di auto-dignità morale, in modo da avere rispetto per noi stessi e per i nostri sentimenti.
  • Interesse su come le nostre azioni si riflettono sugli altri.

Nessuno di questi crea problemi; accompagnano il nostro comportamento positivo e costruttivo, non vogliamo liberarcene. Tuttavia ciò che crea problemi qui, il quale accompagna inoltre il nostro comportamento compulsivo positivo, è un atteggiamento disturbante. Per dirla in un linguaggio semplice, questo è l’afferrarsi a un “io” solido. Ad esempio per via della confusione su come esistiamo, immaginiamo di esistere come un’entità solida, concreta, “io”, con un’identità vera e permanente, come qualcuno, per esempio, che deve essere sempre buono, sempre perfetto. “Devo essere buono. Devo essere d’aiuto. Devo essere utile”.
Un esempio comune è quello dei genitori che hanno figli adulti. I genitori vogliono ancora essere necessari e utili, quindi offrono il loro consiglio e aiuto, anche quando i loro figli non lo vogliono. È impulsivo perché hanno questo senso di un “io” solido e pensano: “Io valgo e esisto solo se i miei figli hanno ancora bisogno di me”. Si aggrappano a questo come alla vera identità di questo “io” solido, come un modo per rendere quel “me” sicuro. È come se provassero: “Se aiuto i miei figli, allora esisto”.
L’emozione sottostante la loro offerta di consiglio e aiuto è positiva, lo fanno perché amano i loro figli, vogliono essere gentili e disponibili. Non c’è niente di sbagliato in questo: ciò che crea problemi è il loro atteggiamento nei confronti di sé stessi, di quel “me”: “Sono una persona utile solo se i miei figli hanno ancora bisogno di me”. Questo è ciò che causa l’aspetto nevrotico e impulsivo dell’offerta di aiutare anche quando è totalmente inutile e inappropriata.
Puoi percepire se stai vivendo questo aspetto nevrotico perché, ancora, “emozione disturbante” e “atteggiamento disturbante” includono entrambi la stessa parola, con la stessa definizione: “disturbante”. Sia l’atteggiamento che l’emozione ci fanno perdere la pace mentale e l’autocontrollo. Quando sei un genitore il cui atteggiamento nei tuoi confronti è “Valgo come persona solo se posso fare qualcosa per i miei figli”, cosa indica che ti manca la pace mentale? È una sensazione di insicurezza; sei insicuro, quindi senti che devi sempre spingerti negli affari dei tuoi figli, ad esempio nel modo in cui allevano i loro figli. Non hai pace mentale e ovviamente non hai autocontrollo, nonostante le emozioni positive di amore e interesse che ci sono. Quindi abbiamo bisogno che l’autodisciplina lavori su questo.
Abbiamo bisogno di autodisciplina etica, quindi, per superare l’impulsività del nostro karma positivo costruttivo, che porta solo felicità ordinaria – la felicità di breve durata che presto si trasforma in qualcosa di sgradevole. Quando, per insicurezza e desiderio di sentirci utili, ci sentiamo di offrire il nostro consiglio indesiderato per amore e interesse, ci rendiamo conto che anche se potrebbe farci sentire felici per il momento, presto cambierà in infelicità quando nostra figlia esprimerà il suo risentimento, non contenta di quello che abbiamo detto. Pertanto, esercitiamo l’autodisciplina e non diciamo nulla, anche se è piuttosto difficile tenere la bocca chiusa!

Il secondo livello di autodisciplina etica in accordo con la motivazione intermedia del lam-rim

Sebbene l’uso dell’autocontrollo – il primo livello di autodisciplina etica – possa aiutare a evitare il problema della sofferenza del cambiamento come sopra, c’è ancora il problema onnipervasivo della rinascita che si ripete in modo incontrollabile. Una versione più semplice di questo è che tale sindrome di offrire il nostro consiglio indesiderato si ripete più e più volte e non abbiamo alcun controllo su ciò. Non possiamo fare a meno di interferire con una buona motivazione – amore – ma per insicurezza.
Per superare veramente la sofferenza del cambiamento e il problema onnipervasivo, dobbiamo applicare il secondo livello di autodisciplina etica: applicare l’autodisciplina per liberarsi dall’atteggiamento confuso e disturbante dell’afferrarsi a un “io” solido. Non è che vogliamo smettere di aiutare e non è che vogliamo smettere di amare i nostri figli, ma ciò che vogliamo fermare è questa insicurezza nevrotica e questo afferrarsi a un “io” solido che sta dietro al nostro comportamento impulsivo e ripetitivo.
Facciamo un esempio di ciò su cui dobbiamo lavorare, ad esempio l’amore. La definizione buddhista dell’amore è il desiderio che gli altri siano felici e abbiano le cause della felicità, indipendentemente da ciò che fanno gli altri. Tuttavia, potrebbe essere mescolato a confusione, attaccamento e insicurezza. “Non lasciarmi mai!”, “Perché non mi hai chiamato?”, “Non mi ami più”, “Ho bisogno di te”, “Io, io, io”. Vogliamo sì che l’altra persona sia felice, ma “Non lasciarmi mai”, “Mi devi chiamare tutti i giorni!”. Il problema non è l’amore, bensì l’attaccamento e quel grande “io” dietro a tutto ciò. A questo livello intermedio, usiamo l’autodisciplina etica per superare questo atteggiamento disturbante autodistruttivo di “io, io, io”.

Riflessione sul secondo livello di autodisciplina etica

Prima di passare al terzo livello, perché non ci prendiamo ancora qualche minuto per assimilare tutto? Cerca di distinguere ciò che abbiamo discusso nella tua vita. Come dice il detto buddhista: “Non avere lo specchio del Dharma rivolto verso l’esterno per riflettere i problemi degli altri (come i tuoi genitori), ma giralo verso di te per affrontare te stesso”. Quindi cerca di distinguere nella tua stessa vita, nella tua esperienza personale che, anche quando agisci in modo costruttivo, se lo fai in modo nevrotico e preoccupato, ciò crea comunque problemi. Cerca di riconoscere il grande “io” solido dietro la sindrome, con cui pensiamo: “Devo essere perfetta. Devo essere buono, devo essere d’aiuto. Devo essere necessario e utile”. Riconosci i problemi che ciò comporta.
Cerca di capire che non c’è niente che dobbiamo dimostrare. Non devi dimostrare di essere una brava persona offrendo sempre il tuo aiuto, anche quando non desiderato. Non dobbiamo dimostrare di essere una persona pulita o che siamo perfetti. Stiamo pensando: “Sono pulito, quindi io sono” o “Sono perfetto, quindi io sono”, come “Io penso, quindi io sono”? È solo perché ci sentiamo insicuri riguardo “io, io, io” che sentiamo di dover dimostrare che siamo buoni o utili.
Non dobbiamo dimostrare nulla, pensaci. Che cosa stiamo cercando di dimostrare con l’essere così perfetti, così bravi, così puliti e così produttivi? Questo è l’intero segreto: non c’è nulla di cui sentirsi insicuri e non c’è nulla che tu debba dimostrare. Fallo e basta! Sii utile per gli altri.
Ovviamente non è così facile usare solo l’autodisciplina etica per dire “Smetti di sentirti insicuro”. C’è bisogno di capire che l’insicurezza si basa sulla confusione su come esistiamo e che quella confusione non si basa su nulla che corrisponda alla realtà. Di cosa siamo insicuri? Di un mito! Un mito che se io sono produttivo o utile, quindi esisto. Se non sono produttivo, smetto di esistere? È piuttosto strano, vero? Che cosa devo dimostrare essendo un maniaco fanatico del lavoro? Se vuoi aiutare gli altri, bene, aiuta gli altri ma non essere impulsivo a riguardo. Questo è il problema, ciò che dobbiamo fermare: questo è il secondo livello o ambito intermedio dell’autodisciplina etica. Usiamo l’autodisciplina per capire che non c’è nulla da provare e, con quella comprensione, eliminiamo l’insicurezza che sta dietro al nostro comportamento karmico impulsivo.

Il terzo livello: superare il non conoscere il karma degli altri

Con il livello avanzato di motivazione del lam-rim, lavoriamo per superare il non conoscere il karma degli altri. Vogliamo aiutare gli altri: se abbiamo ottenuto la liberazione siamo liberi dalle rinascite che si ripetono in modo incontrollabile così che non siamo più impulsivi, non agiamo in modo distruttivo e non abbiamo la spinta nevrotica di agire compulsivamente in modo costruttivo anche quando è inappropriato. Ciononostante il problema è che, sebbene abbiamo il forte desiderio di aiutare gli altri, non sappiamo quale sia il modo migliore per farlo. Non conosciamo le ragioni karmiche e il motivo per cui tutti sono come sono ora. Inoltre, non sappiamo quale sarà l’effetto di tutto ciò che gli insegniamo – non solo l’effetto su di loro, ma su tutti gli altri con cui interagiranno. Poiché non abbiamo idea di cosa seguirà da ciò che consigliamo e insegniamo, siamo molto limitati nei modi in cui aiutiamo gli altri.

Lavorare per il bene degli altri

In che modo l’autodisciplina aiuterà in questa situazione? Innanzitutto, dobbiamo lavorare con disciplina per non essere apatici e compiacenti. “Ora che sono libero dalla sofferenza, mi limiterò a sedere qui, a meditare e ad essere sempre beato e felice”. Abbiamo bisogno dell’autodisciplina etica per lavorare ulteriormente per gli altri. Ne hai un assaggio prima di questa fase, quando hai avuto un significativo successo nella meditazione. Sei seduto, la tua mente è libera da divagazione e torpore, ed è molto felice – non in modo disturbante, bensì ti senti davvero bene; sei molto contento di rimanere così. Se sei davvero a un livello avanzato, potresti rimanere in quello stato per un tempo molto lungo e, se sei liberato, potresti rimanere così per sempre.
Cosa ti libera da questo compiacimento e contentezza? Se sei effettivamente libero dalle rinascite che si ripetono in modo incontrollabile, non hai nemmeno questo tipo di corpo normale, e quindi non hai mai fame o altro. Ciò che ti fa emergere è il pensare agli altri: “Come posso semplicemente sedermi qui sentendomi così bene e felice quando tutti gli altri sono infelici?”. Abbiamo bisogno di autodisciplina etica per superare questa preoccupazione solo per il nostro benessere e per pensare e lavorare per gli altri.
È molto significativo che questa fase giunga dopo che abbiamo lavorato per il nostro beneficio: se proviamo ad aiutare gli altri mentre siamo ancora miserabili e nevrotici, creeremo dei problemi. Ci arrabbiamo e infastidiamo quando gli altri non accettano i nostri consigli e non fanno abbastanza progressi velocemente. Oppure ci affezioniamo a loro e diventiamo gelosi se vanno da un altro insegnante. Forse, ancora peggio, diventiamo sessualmente attratti da loro e questo crea enormi problemi nel cercare di aiutare la persona. Abbiamo davvero bisogno di lavorare su noi stessi per prima cosa. Tuttavia, non è che dobbiamo essere completamente liberati prima di cercare di aiutare gli altri: ci vorrà molto tempo. Il punto consiste nel non trascurare il lavoro su noi stessi nel processo di lavoro per aiutare gli altri.
Nel lavoro su noi stessi, dobbiamo sempre concentrarci sul superamento delle nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti e sull’impulsività del karma. Abbiamo ancora bisogno dell’autodisciplina per superare il nostro egocentrismo; ma in questa fase abbiamo anche bisogno di disciplina per lavorare sul superamento dei limiti della nostra mente che ci impediscono di essere onniscienti. Poiché non siamo onniscienti non vediamo il quadro completo; non vediamo come tutto sia interconnesso. Qualunque cosa accade è il risultato di una combinazione di molte, molte cause e condizioni e tutte quelle cause e condizioni hanno ciascuna le proprie cause e condizioni.
Attualmente le nostre menti sono limitate; non possiamo vedere tutto quello che è coinvolto in ciò che sta accadendo con gli altri. Ancora peggio, pensiamo che solo una causa produca un effetto, specialmente quando pensiamo di essere la causa. Per esempio, se qualcuno con cui interagiamo diventa depresso, immaginiamo che sia colpa nostra solo per qualcosa che abbiamo detto o fatto: questo non corrisponde alla realtà. Qualunque cosa accade alle persone è il risultato di molte, molte cause, non semplicemente di quello che abbiamo fatto. Ciò che abbiamo fatto potrebbe aver contribuito – non lo stiamo negando – ma non è che l’intera faccenda derivi da una sola causa. O forse stiamo cercando di aiutare qualcuno e diciamo: “La causa del tuo problema è che non hai ricevuto una buona istruzione”. Riduciamo ciò che accade ad essere il risultato di una sola causa. Oppure diciamo, “Tutti i tuoi problemi derivano dal fatto che i tuoi genitori hanno fatto questo o quello quando eri piccolo”. Semplicemente non vediamo il quadro completo, che è molto più grande di così.

Il nostro pensiero non corrisponde alla realtà

Abbiamo bisogno di una comprensione molto più ampia di quella che abbiamo ora. Il problema è che le nostre menti proiettano categorie, come fossero scatole, e classifichiamo tutto in questi compartimenti. Isoliamo le cose come se esistessero in scatole, indipendentemente da qualsiasi altra cosa e crediamo che ciò corrisponda alla realtà. Non vediamo l’interconnessione e l’interdipendenza di ogni cosa. Classifichiamo “Questa è l’unica causa, questo è male, questo è bene”.
Bè, questo non è il modo in cui esistono le cose: non esistono isolate da tutto il resto. Abbiamo bisogno della disciplina per capire che, sebbene possa sembrare in quel modo, non corrisponde alla realtà. Ecco un semplice esempio: sei a casa tutto il giorno con i bambini. Il tuo partner torna a casa da lavoro e non ti parla: va in camera da letto, chiude la porta e si sdraia. Nella nostra mente mettiamo il nostro compagno nella scatola chiamata “persone che non mi amano”. In effetti, lo gettiamo anche nelle scatole di “persone terribili” e “persone cattive”. Alla base di ciò c’è la nostra preoccupazione per il grande “me”. Si trova nella scatola delle “persone terribili” perché “io” – io, io, io – voglio parlare con lui. Voglio, voglio, voglio! Voglio qualcosa da lui. Poiché lo metto in una scatola, non vediamo l’interconnessione di tutto ciò che ha sperimentato prima di tornare a casa e di come ha agito quando è entrato. Potrebbe aver avuto una giornata difficile a lavoro, qualcosa potrebbe essergli successo durante il ritorno a casa, ecc. ecc.
Quante volte le cose ci appaiono così? Qualcuno ritorna a casa ed è come se venisse dal nulla: nulla gli è accaduto prima di arrivare e tutto inizia dal momento in cui varca la porta. Guardalo al contrario. Se l’altra persona fosse quella che sta a casa con i bambini e tu torni a casa dal lavoro, come ti sembra? Lì il nostro partner è fresco, come se nulla fosse accaduto durante il giorno prima di entrare.
Se ci pensi, ovviamente non è così! Stiamo parlando di come le nostre menti fanno apparire le cose. Sembra che l’interazione con il nostro partner inizi qui, in questo momento in cui varca la porta e nulla è successo prima di allora; tutto appare nelle scatole in cui categorizziamo le cose. Per superare questa abitudine profondamente radicata di mettere le persone, le cose e le situazioni in scatole abbiamo bisogno di disciplina. Dobbiamo renderci conto che questa visione del mondo in compartimenti non corrisponde alla realtà.
Per essere sicuro che sia chiaro, diamo un’occhiata a un altro esempio comune. Mettiamo una persona nella scatola “mio partner” senza considerare il fatto che ha relazioni e amicizie con molte altre persone oltre a noi. Poiché la mettiamo in questa scatola mentale, pensiamo: “è solo mio, dovrebbero essere disponibile per me in qualsiasi momento, perché è l’unica cosa che è: il mio partner. Non c’è nient’altro nella sua vita”. Non pensiamo che abbia obblighi verso i suoi genitori, che abbia altri amici o altre attività. No, è solo in questa scatola. La cosa orribile è che sembra che sia vero e crediamo che corrisponda alla realtà. Ovviamente sulla base di ciò nutriamo attaccamento verso di lui e ci arrabbiamo se deve incontrare qualcun altro.

Il terzo livello di autodisciplina etica in accordo con la motivazione avanzata del lam-rim

Al livello avanzato della motivazione del lam-rim, lavoriamo per raggiungere lo stato onnisciente di un Buddha pienamente illuminato al fine di essere di miglior aiuto per tutti. Per essere di miglior aiuto, dobbiamo comprendere pienamente il karma di ogni persona. Dobbiamo comprendere tutti i suoi comportamenti impulsivi del passato, oltre a tutte le altre variabili che influenzano le cause e le condizioni che lo hanno portato al suo stato attuale; abbiamo bisogno di conoscere le conseguenze di tutto ciò che gli insegniamo. Per vedere la piena interconnessione di causa ed effetto, specialmente le connessioni causali che coinvolgono il karma, dobbiamo smettere di isolare ogni cosa e metterla in scatole mentali di categorie, immaginando che sia veramente il modo in cui esiste.
Quindi abbiamo bisogno di sviluppare non solo l’autodisciplina etica per superare l’essere interessati solo a noi stessi e sviluppare, invece, un sincero interesse per gli altri. Abbiamo anche bisogno dell’autodisciplina per capire che il modo in cui le nostre menti fanno apparire le cose nelle scatole non corrisponde alla realtà. Dobbiamo cercare di vedere il quadro più grande.

Riflessione sul terzo livello di autodisciplina etica

Secondo la struttura del sentiero graduale del lam-rim, ci sono i tre livelli di autodisciplina etica, quindi, in connessione con il karma:

  • La disciplina di astenersi dal comportamento distruttivo impulsivo.
  • La disciplina per superare le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti che stanno dietro al comportamento impulsivo, sia esso negativo o positivo.
  • La disciplina per superare i limiti del modo ingannevole in cui la nostra mente fa apparire le cose – smettere di pensare in piccoli modi che mettono le cose in scatole mentali – e la disciplina del non essere apatici e compiacenti con le nostre situazioni in modo da poter capire il karma degli altri e aiutarli a superarlo.

Usando la meditazione discernente, proviamo a riconoscere come le nostre menti facciano apparire le cose in scatole, isolate da qualsiasi altra cosa. Pensa alle persone in questa stanza o, se stai leggendo questo a casa, pensa alle persone che vedi sull’autobus o sulla metropolitana. Le vedi ed è come se fossero uscite dal nulla. Si sono semplicemente fatte vedere qui e non ci appare quello che gli è successo a casa stamattina, se hanno o meno figli, o se sia stato difficile arrivare qui: niente di tutto questo ci appare. Per questo motivo, non sappiamo davvero che tipo di umore abbiano e non sappiamo quale sarà l’effetto di qualunque cosa gli potremmo dire. Potrebbero essere molto stanche, infastidite o sconvolte da quello che è successo stamattina, o forse non hanno dormito abbastanza. Come lo sappiamo? Quando sembra che la gente sia uscita dal nulla senza un passato, come possiamo sapere come meglio aiutarla?
In qualche maniera non dobbiamo credere a quell’apparenza, e infine far sì che le nostre menti smettano di far apparire le cose in quel modo. Quindi, pure in questa fase, anche se non sappiamo cosa sia successo a qualcuno stamattina, almeno possiamo riconoscere che qualcosa è accaduto alla persona prima di vederla. Se siamo davvero interessati chiederemo, e non intendo interessato come se stessimo facendo un sondaggio scientifico. Stiamo parlando di premura, con amore e compassione: “Ti auguro di essere felice e di non essere infelice”.
Cerca di riconoscere, quindi, come le nostre menti creino queste apparenze ingannevoli. Cerca di vedere quanto siano limitanti quando crediamo che corrispondano alla realtà e come ciò causi problemi.

Il meccanismo del karma

Spiegazioni sul karma

Se vogliamo superare il karma, per liberarci da questa compulsione nel nostro comportamento, abbiamo bisogno di sapere come funziona: sono presenti diverse spiegazioni dettagliate su ciò nella letteratura buddhista. In generale, c’è la spiegazione che si trova nella tradizione pali e quella delle tradizioni sanscrite. Il pali e il sanscrito erano due lingue dell’antica India; la tradizione Theravada segue la versione pali. Quello che sto per spiegare deriva dalla tradizione sanscrita, che a sua volta ha due versioni. Cercherò di presentarne le variazioni, ma senza troppa enfasi sulle differenze perché sono numerosi i punti condivisi.
Ma prima di proseguire, un consiglio utile: quando troviamo nel Buddhismo diverse spiegazioni dei fenomeni, come con il karma, è importante non affrontarle con l’atteggiamento che potremmo aver ereditato dal pensiero biblico: un solo Dio, una sola Verità: “Solo una via è giusta e tutte le altre sono sbagliate”. Piuttosto, ognuna di queste spiegazioni considera il karma da una diversa angolazione che ci aiuta a capirlo mediante le diverse prospettive fornite, tutte utili per permetterci di superare la sofferenza, il vero scopo.

“Sentirsi di fare o dire qualcosa”: il primo passo su come funziona il karma

In sanscrito, abhidharma è il tipo di letteratura che parla del karma. In questa tradizione dell’abhidharma cominceremmo con la parola “sensazione” in termini di spiegare ciò che sperimentiamo. Questa è una parola molto difficile perché nelle nostre lingue occidentali ha molti significati. Qui non sto usando “sensazione” nel senso di sentirsi felice, infelice o di provare qualche emozione o un’intuizione. La uso nel senso di sentirsi di fare, dire o pensare a qualcosa; la parola tibetana per questo significa un desiderio, un desiderio di fare qualcosa.
Nella vita di tutti i giorni, quando ci sentiamo di fare, dire o pensare a qualcosa, perché ci sentiamo di farlo? Può essere dovuto alle circostanze in cui ci troviamo, per esempio il tempo, le persone con cui siamo o l’ora del giorno. È anche influenzato dal fatto che ci sentiamo felici o infelici: “Mi sento infelice, quindi voglio andare a fare qualcos’altro”. Può anche essere a causa delle tendenze passate a agire, parlare o pensare in certi modi. Una certa emozione motivante sarà anche presente: “Ho voglia di urlare con te perché sono arrabbiato”. Forse mi hai appena offeso e io provo rabbia e scontentezza per questo. La mia tendenza è quella di urlare ogni volta che qualcuno mi dice qualcosa di brutto, e quindi ciò sostiene questa sensazione che ho. Poi c’è anche l’afferrarsi a un solido “io”. Io, io, io: “Mi hai detto qualcosa di cattivo” o “Come ti permetti di dirmelo?”. Tutti questi fattori interagiscono insieme quando abbiamo voglia di fare, dire o pensare a qualcosa. Pensare a qualcosa potrebbe essere, per esempio, congetturare: “Che cosa posso dire in modo che ti faccia davvero del male?”. Questo tipo di pensiero.

Karma mentale

Basato su tale sensazione sorge il karma mentale, cioè una compulsione. La compulsione qui è una voglia mentale che ci induce a pensare – pensare di mettere in atto ciò che in precedenza ci andava di fare. Ci conduce all’atto di pensarci, il che potrebbe o meno portarci a realizzare concretamente ciò che pensiamo di dire o fare. Un’emozione motivante, l’intenzione e l’afferrarsi a “me” accompagnano tutti questa compulsione mentale a pensare di fare o dire qualcosa.
Se rallentiamo le cose in meditazione in modo da diventare abbastanza sensibili da distinguere ciò che sta accadendo nella nostra mente, siamo in grado di differenziare le fasi, anche se di solito si verificano molto rapidamente. Ad esempio: ho voglia di urlare contro di te, dal momento che sono arrabbiato; una voglia compulsiva mi porta a pensare di urlare, alla fine della quale deciderò se dire o meno qualcosa. Se decido di urlare, seguiranno i passi successivi.

La spiegazione più semplice del karma fisico e verbale

Poi viene il karma fisico o verbale, e per questo abbiamo due spiegazioni dovute alle due diverse versioni o tradizioni sanscrite. Iniziamo con quella più semplice: secondo questa spiegazione i karma fisici e verbali, come quello mentale, sono anche compulsioni mentali, voglie compulsive che ci trascinano a iniziare un’azione, proseguendola e infine terminandola. La compulsione mentale di pensare di fare o dire qualcosa è nota come “spinta motivante” e la compulsione mentale che ci spinge effettivamente a farlo o dirlo è noto come la “spinta causale”. Osserva che, anche se pensiamo di fare o dire qualcosa, possiamo o non possiamo farlo o dirlo; e se facciamo o diciamo qualcosa, potremmo o non potremmo averlo pensato coscientemente in anticipo. Tutti e quattro i casi sono possibili.
Le emozioni che accompagnano ogni fase di un’azione potrebbero cambiare ed essere piuttosto diverse. Ad esempio, mio figlio sta dormendo e ci sono molte zanzare nella stanza. Se mi trovassi in una zona di malaria, mi preoccuperei che il mio bambino potesse essere punto e prendere la malaria. L’”emozione motivante” che accompagna la compulsione motivante che mi spinge a pensare di uccidere le zanzare potrebbe essere la compassione per mio figlio. Se, dopo aver pensato di ucciderle, decido davvero di farlo, allora molto probabilmente cambierà la mia emozione. L’“emozione causale” che accompagna la compulsione causale che mi spinge a schiacciare le zanzare è ora ostilità e rabbia. Ho bisogno di avere ostilità verso le zanzare, altrimenti non proverei davvero ad ucciderle. Non voglio solo spaventarle, voglio colpirle abbastanza forte da ucciderle: la mia emozione è cambiata.
È molto interessante se davvero rallenti le cose per vedere come il tuo stato emotivo può cambiare. Ad esempio, se vedi uno scarafaggio, originariamente potresti pensare con compassione al tuo bambino, “Non voglio che lo scarafaggio strisci sul viso del mio bambino” e poi, con rabbia, “Voglio davvero uccidere quello scarafaggio, schiacciarlo finché non muore!”. Ma mentre lo calpesti e senti il suo corpo schiacciarsi sotto i tuoi piedi, la tua emozione diventa repulsione. Nel momento in cui viene la voglia di finire l’azione di calpestarlo e sollevi la scarpa, quando vedi il casino che ne è fuoriuscito, la tua emozione è di totale disgusto. Quindi la tua emozione cambia molto durante l’intero processo: tutto ciò influenza la forza della compulsione con cui agisci e influenzerà i risultati che seguono.
Questa è la spiegazione più semplice del karma: che sia mentale, verbale o fisico, tutti i karma sono fattori mentali. Sono tutte compulsioni mentali, sono solo diversi tipi di compulsioni mentali differenziati in base al tipo di azione verso cui ci attirano: un atto fisico, verbale o mentale.
È molto importante non confondere il karma (la compulsione) con l’emozione positiva o negativa che lo accompagna. Non sono la stessa cosa. Non c’è niente che è sia una spinta karmica sia un’emozione. Il karma è come una calamita che ci spinge a pensare di agire, agire, continuare ad agire e poi fermarci. A meno che non facciamo qualcosa per uscire dal suo potere pressante, è fuori controllo.

La spiegazione più complessa del karma fisico e verbale

In base alla seconda spiegazione, il karma mentale – compulsioni mentali pressanti – ci trascina in tutti e tre i tipi di azioni: pensare, dire o fare qualcosa. Il karma fisico e verbale, dall’altra parte, non sono fattori mentali, ma sono forme di fenomeni fisici. Ciascuno, in realtà, comporta due tipi di forma, una forma rivelatrice e una forma non rivelatrice, a seconda che rivelino o meno la motivazione. In entrambi i casi, il karma non è ancora identico all’azione stessa. Per liberarci dal karma fisico o verbale, non è ancora il caso che abbiamo bisogno di smettere di fare o dire qualunque cosa.

La forma rivelatrice

  • Nel caso del karma fisico, la forma rivelatrice è la forma compulsiva che assumono le nostre azioni. In un certo senso, è come la compulsione che modella le azioni fisiche che facciamo e quindi modella la forma che il nostro corpo assume quando compie le azioni. La forma compulsiva rivela la motivazione dietro le azioni, il che significa sia la nostra intenzione che l’emozione che l’accompagna. Per esempio, quando abbiamo voglia di picchiettare qualcuno sulla spalla per attirare la sua attenzione, potremmo colpirli compulsivamente in modo piuttosto intenso o con delicatezza. Il karma fisico è la compulsione di questa forma che la nostra azione assume. Esso rivela l’intenzione – attirare l’attenzione di qualcuno – e l’emozione dietro di essa: fastidio o affetto.

  • Nel caso del karma verbale, la forma rivelatrice è il suono compulsivo che la nostra voce assume quando diciamo qualcosa, sia le parole che scegliamo sia il tono di voce con cui le diciamo. Anche questo rivela la motivazione di fondo, sia l’intenzione che l’emozione. Ad esempio, quando abbiamo voglia di chiamare il nome di qualcuno per attirare la sua attenzione, potremmo gridare compulsivamente il suo nome con un tono aggressivo o dirlo con un tono gentile. Il karma verbale è la compulsione del suono della nostra voce. Esso rivela l’intenzione – attirare la sua attenzione – e l’emozione sottostante: fastidio o affetto.

La forma non rivelatrice

La forma non rivelatrice è più sottile: non è qualcosa di visibile o udibile e non rivela la nostra motivazione di fondo. Ciò che di più vicino abbiamo nel nostro modo di pensare occidentale è una vibrazione sottile. Mentre la forma rivelatrice delle nostre azioni fisiche e verbali cessa quando le azioni finiscono, la forma non rivelatrice si verifica sia mentre stiamo facendo o dicendo qualcosa e continua come parte del nostro continuum mentale dopo che la nostra azione si è conclusa. Cessa solo quando prendiamo la decisione definitiva di non ripetere mai più l’azione che ha portato a questa forma non rivelatrice: ad esempio, prendendo un voto o restituendo un voto.

Quando parliamo di qualcuno che compulsivamente agisce in modo forte o parla compulsivamente con un tono aggressivo – in altre parole, che ha una qualità di compulsione riguardo al modo caratteristico e abituale in cui agisce o parla – questo si riferisce alla forma non rivelatrice del suo karma fisico o verbale. Anche quando non fa o non dice nulla, possiamo comunque dire che è una persona compulsivamente aggressiva.

Nota che essere compulsivo non è lo stesso di essere impulsivo. Essere “impulsivo” significa semplicemente fare qualunque cosa venga in mente, senza averci prima riflettuto. Essere “compulsivo” significa che non hai alcun controllo su ciò che stai facendo o dicendo o su come lo fai o lo dici. Irresistibilmente, segui certi schemi di comportamento più e più volte, come battere le dita sul tavolo o parlare aggressivamente senza dolcezza nella voce.

Impronte sul continuum mentale: potenziali e tendenze

Secondo entrambe le spiegazioni sul karma, dopo che un’azione è terminata – che sia fisica, verbale o mentale – essa lascia alcune conseguenze sul nostro continuum mentale. Queste non sono né forme di fenomeni fisici (non come le forme non rivelatrici) né modi d’essere consapevoli di qualcosa. Sono più astratte e sono designate sul nostro continuum mentale come, per esempio, la nostra età. Queste conseguenze karmiche includono i potenziali karmici e le tendenze karmiche.

Potenziali karmici

I potenziali karmici, che da un certo punto di vista potrebbero anche essere definiti “forze karmiche”, sono sia costruttivi che distruttivi. Molti traduttori chiamano i potenziali costruttivi “merito” e quelli distruttivi “peccati”, ma trovo che questi termini presi in prestito dalle religioni bibliche siano inappropriati e fuorvianti. Preferisco renderli come “potenziali karmici negativi” o “forze karmiche negative” e “potenziali karmici positivi” o “forze karmiche positive”. Qui li chiamo semplicemente “potenziali positivi” e “potenziali negativi”.

È un po’ complicato, perché le azioni distruttive e costruttive – azioni provocate da o che implicano un karma distruttivo o costruttivo – sono anche potenziali negativi o positivi. Quindi ci sono potenziali karmici che sono le nostre azioni stesse e potenziali karmici che continuano designati sul nostro continuum mentale.

Questi potenziali karmici servono come “cause di maturazione”. Proprio come la frutta su un albero cresce gradualmente e, quando è matura, cade dall’albero ed è pronta per essere mangiata, i potenziali karmici si accumulano l’uno con l’altro – si collegano insieme – e quando sufficientemente accumulati, maturano nei loro risultati karmici. I loro risultati sono sempre eticamente neutrali – Buddha non li ha specificati come costruttivi o distruttivi, dal momento che possono accompagnare qualsiasi tipo di azione: costruttiva, distruttiva o neutrale. Per esempio, i potenziali negativi maturano nell’infelicità, mentre i potenziali positivi maturano in felicità. Possiamo essere felici mentre aiutiamo qualcuno, uccidiamo una zanzara o laviamo i piatti. Possiamo anche essere infelici mentre facciamo una qualsiasi di queste azioni.

Tendenze karmiche

Le tendenze karmiche si manifestano solo come conseguenza del nostro comportamento karmico. Se un’azione era neutra, come lavare i piatti, anche la tendenza karmica che ne consegue è neutrale. Se l’azione era costruttiva o distruttiva, allora il potenziale positivo o negativo di essi assume la natura essenziale delle tendenze karmiche. In altre parole, funzionano come tendenze karmiche ma restano costruttive o distruttive. Dal momento che le tendenze karmiche, nel senso più ampio del termine, possono essere positive, negative o neutre, nel loro complesso vengono spesso definite neutrali.

Le tendenze karmiche, letteralmente “semi karmici”, funzionano come cause per ottenere i loro risultati. In altre parole, come un seme per un germoglio, sono ciò da cui deriva il risultato. Il risultato potrebbe essere, ad esempio, la ripetizione di un precedente tipo di azione.

Riflessione su potenziali e tendenze karmiche

Le differenze tra i vari tipi di conseguenze karmiche, comprese le forme non rivelatrici, sono molto sottili ed estremamente complesse. Quando impariamo per la prima volta il karma, non è necessario differenziarle tutte in dettaglio. Più importante è acquisire l’idea generale delle conseguenze karmiche e riconoscere a cosa si riferisce.

Ad esempio, supponiamo di urlare a qualcuno. L’azione di urlare di per sé indica già un potenziale per urlare di nuovo in futuro. Una volta che questo episodio di urla è finito, potremmo dire che il potenziale per urlare ancora una volta persiste nel tuo continuum mentale e potremmo descriverlo come avere la tendenza ad urlare alle persone.

Prendiamo un momento per riflettere su questo, scegliendo un comportamento tipico che abbiamo. Cerchiamo di discernere come segue: c’è un certo schema nel mio comportamento, perché tendo a ripetere gli stessi tipi di azione più e più volte. A causa di questo schema, ho sicuramente il potenziale per ripetere ancora quel comportamento. Questo perché ho la tendenza ad agire in quel modo: il mio comportamento è, infatti, compulsivo perché mi comporto così ripetutamente, senza nessun controllo. Più mi comporto così, più forte cresce il mio potenziale a ripeterlo di nuovo. Inoltre, più forte è il potenziale, più rapidamente lo farò in effetti di nuovo, per esempio urlare a qualcuno.

Descrivendo questo meccanismo da un punto di vista fisiologico, si potrebbe dire che il nostro comportamento ripetitivo forgia un forte sentiero neurale, e per via di tale sentiero, abbiamo un grande potenziale di ripetere quel comportamento.

Descriviamo il nostro comportamento in maggiore dettaglio. Per esempio, perdo la calma molto facilmente e urlo alle persone. C’è una compulsione in questo, che è quasi come una vibrazione su di me che le persone notano se sono molto sensibili. Pensano: “Devo stare attento quando sono con questa persona, perché può perdere la pazienza molto facilmente”. Mi descriveranno come qualcuno con una forte tendenza a perdere la calma e urlare. C’è sempre questo potenziale per cui di fatto urlerò e, quando lo farò, c’è un aspetto compulsivo nella mia voce che è duro e davvero antipatico. Se mi dici qualcosa di irritante, allora indubbiamente mi sentirò di dirti qualcosa di brutto e la compulsione del mio karma mi trascinerà a urlare davvero. Non ho nessun controllo.

Per favore provate questo tipo di riflessione introspettiva. Se riusciamo a identificare le nostre tendenze e potenzialità karmiche, possiamo iniziare a lavorare per liberarcene. Quindi chiediti: quali sono le mie tendenze? Quali sono i modelli che ho e che seguo compulsivamente? Ricordate, questi schemi compulsivi possono essere positivi o negativi, come urlare o essere un perfezionista.

Risultati karmici

Quando le circostanze sono complete, vari potenziali e tendenze karmiche determinano la nostra esperienza di una o più cose: felicità, infelicità, ripetizione del nostro comportamento, esperienza di cose che ci accadono simili a ciò che abbiamo fatto agli altri e così via. Di nuovo, è molto complicato. Ma è molto importante capire che non stiamo dicendo che i potenziali e le tendenze karmiche determinino le cose di cui facciamo esperienza. Determinano la nostra esperienza di esse. Per esempio, se sono investito da un’auto, i miei potenziali e le tendenze karmiche non hanno creato l’auto e non hanno fatto sì che l’autista mi investisse. L’autista che mi investe è il risultato delle sue conseguenze karmiche. Le mie conseguenze karmiche sono solo responsabili della mia esperienza di essere stato investito.

Notate la differenza? Stiamo parlando di ciò che io sperimento. Per esempio, io faccio esperienza del tempo, ma i miei potenziali karmici non creano il tempo. I miei potenziali karmici danno origine al fatto che mi bagno quando esco sotto la pioggia senza ombrello, ma non creano la pioggia. La pioggia, ovviamente, è ciò che mi fa bagnare, ma non è karma. Il fatto che ogni volta che esco quando c’è una minaccia di pioggia, mi dimentico compulsivamente di portare un ombrello – questo è a causa di una tendenza e di un potenziale karmico. A causa di questa tendenza, ho l’esperienza di bagnarmi come conseguenza.

Diversi tipi di risultati karmici

Sperimentiamo molte cose a seconda delle circostanze. Cosa sperimentiamo?

  • Sperimentiamo il sentirci felici o infelici. È molto interessante perché intorno a noi possono accadere ogni sorta di cose belle e tuttavia potremmo sentirci infelici. Potremmo fare la stessa cosa in due momenti diversi, e una volta mentre la facciamo ci sentiamo felici, ma in un altro momento ci sentiamo infelici. Questo accade come risultato dei potenziali karmici.
  • Sperimentiamo determinate situazioni che sono specifiche per noi, come vedere o sentire qualcosa. Ad esempio, perché assistiamo spesso a scene violente di persone che combattono tra loro? Ovviamente, il nostro karma non ha creato questi scontri, eppure sembra sempre che assistiamo ad esse senza avere nessun controllo su questo. La nostra esperienza di vedere queste cose è anche il risultato dei nostri potenziali e tendenze karmiche.
  • In varie situazioni, abbiamo voglia di ripetere le nostre azioni precedenti. Ad esempio ho voglia di urlare contro di te, oppure ho voglia di abbracciarti. Ciò che sentiamo di fare o vorremmo fare deriva dalle conseguenze karmiche di aver agito così precedentemente. Nota che il karma non matura dal karma. Le conseguenze karmiche non maturano nella compulsione che ci spinge a ripetere un’azione; piuttosto maturano nel desiderio o nella voglia di compierla. Sentirsi di fare qualcosa può o non può portare alla compulsione con cui eseguiamo l’azione.
  • In alcune altre situazioni, sperimentiamo cose che ci accadono che sono simili a ciò che abbiamo fatto agli altri precedentemente. Quindi, da quella tendenza a urlare alle persone, sperimentiamo altre persone che ci urlano contro. Se imbrogliamo gli altri, sperimentiamo gli altri che ci imbrogliano.

Questo non è sempre così facile da capire, dato che di solito implica le vite precedenti; tuttavia è molto interessante analizzare determinati schemi all’interno di noi stessi. Considera il parlare che divide, ad esempio, dire cattiverie su qualcuno agli altri, come i suoi amici, per far sì che interrompano la loro relazione con questa persona. Come risultato karmico delle conseguenze di un simile comportamento, sperimentiamo i nostri amici che ci lasciano. Le nostre amicizie o relazioni con i partner non durano, le persone se ne vanno dalla nostra vita. Abbiamo fatto sì che gli altri si separassero e ora sperimentiamo che le nostre relazioni non durano.

Potreste capirlo a livello karmico, ma anche a livello psicologico. Se a te che sei mio amico dico sempre cose spiacevoli su altre persone, specialmente quando ti racconto cose sgradevoli sui tuoi amici, cosa penseresti? Penseresti: “Che cosa dice di me alle mie spalle?”. Naturalmente quell’amicizia finirà.

Se pensiamo più profondamente a queste relazioni causali karmiche, iniziano ad essere sensate. Sperimentiamo cose che ci accadono simili a cose che abbiamo fatto agli altri. Ricordate, stiamo parlando di ciò che sperimentiamo, non di ciò che l’altra persona ci fa. Gli altri hanno le loro cause karmiche che li hanno portati a fare ciò che hanno fatto.

Eppure un altro tipo di risultato delle conseguenze karmiche è il fatto di sperimentare le cose insieme ad altri che le stanno anche sperimentando, come ad esempio essere in certi tipi di ambienti o società e il modo in cui tutti noi siamo trattati lì. Per esempio, essere nato o vissuto in un posto che è molto inquinato o dove c’è pochissimo inquinamento. Oppure potremmo sperimentare di vivere in una società in cui c’è molta corruzione, o in una dove le persone sono oneste. Queste sono cose che sperimentiamo insieme ad altri nello stesso luogo o nella stessa società.

Riflessione su come funziona karma

Questi sono tutti i tipi di cose che sperimentiamo come risultato delle conseguenze karmiche. Sperimentiamo il sentirci felici o infelici, vedendo o ascoltando varie cose, cose che ci accadono e tutto ciò insieme agirà come circostanza per cui sentiamo anche di ripetere i nostri precedenti modelli di comportamento. Se agiamo seguendo quel desiderio, c’è una compulsione che ci spinge ad agire; spesso sentiamo come se non potessimo prendere nessuna decisione. Una volta ho voglia di urlare contro di te, per esempio, poi urlo compulsivamente e ripeto lo schema. Anche se potremmo prendere la decisione di non seguire quella sensazione di urlare, le cose accadono così rapidamente che compulsivamente urliamo. Ripetiamo lo schema e rafforziamo il potenziale per urlare ancora e ancora perché la tendenza è lì, e c’è una certa compulsione rispetto a come parliamo e una certa compulsione rispetto a come agiamo. Ecco come funziona il karma.

Prendete un po’ di tempo per riflettere su tutto questo e interiorizzarlo.

Trascrizione di un seminario, Berlino, Germania, settembre 2012; traduzione italiana a cura di Rita Trento. https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/il-sentiero-per-l-illuminazione/karma-e-rinascita/la-disciplina-etica-superare-l-impulsivita-del-karma/il-meccanismo-del-karma

Superare la compulsione del karma

Il livello iniziale: astenersi dal comportamento distruttivo

Abbiamo visto che il karma e la disciplina sono coinvolti in ciascuno dei tre livelli graduali di motivazione e obiettivo, per come sono presentati nelle fasi graduali del lam-rim. Abbiamo anche visto il modo in cui il karma agisce e il modo in cui funziona per perpetuare varie sofferenze.

  • Il comportamento distruttivo provoca l’esperienza di essere infelici; sperimentiamo cose brutte che ci accadono simili a ciò che abbiamo fatto agli altri e abbiamo voglia di ripetere il nostro comportamento distruttivo.

  • Dal comportamento costruttivo compulsivo, sperimentiamo questa felicità ordinaria che non dura e non soddisfa mai; sperimentiamo cose belle che ci accadono simili alle cose belle che abbiamo compiuto in precedenza ma, ancora una volta, non durano. Abbiamo anche voglia di ripetere il nostro comportamento costruttivo.

  • Da entrambi questi comportamenti, sia costruttivi che distruttivi, sperimentiamo rinascite che si ripetono in modo incontrollabile. Rinasciamo più e più volte perché, quando moriamo, ci afferriamo compulsivamente a un altro corpo. Ci afferriamo a un “io” solido per continuare ad esistere.

Per soddisfare il nostro obiettivo iniziale secondo gli stadi del lam rim, che è quello di smettere di sperimentare la sofferenza dell’infelicità, pratichiamo l’autodisciplina etica per evitare il comportamento distruttivo. Quando sentiamo di agire in modo distruttivo, pensiamo a tutte le cose infelici che seguiranno e semplicemente ci asteniamo dal mettere in atto ciò che abbiamo voglia [di fare]. Ciò richiede una grande disciplina, basata sulla corretta consapevolezza discriminante di ciò che è nocivo e di ciò che è benefico, nello specifico ciò che è dannoso o di beneficio per noi stessi. Per avere questa autodisciplina etica, dobbiamo essere consapevoli dell’infelicità e della sofferenza che ne deriverebbero se agissimo seguendo quel sentimento distruttivo e facessimo ciò che vorremmo fare.

La ritenzione mentale (presenza mentale) è come una colla mentale che ci impedisce di dimenticare che, se agiamo seguendo ogni sentimento negativo che proviamo, ciò ci porterà solo un’enorme quantità di infelicità e sofferenza. Per rimanere consapevoli, abbiamo bisogno di concentrazione affinché la nostra attenzione rimanga in questa comprensione: per questo abbiamo bisogno di un atteggiamento premuroso. Ci preoccupiamo dell’effetto del nostro comportamento su noi stessi e sugli altri, quindi prendiamo sul serio le nostre vite. Ci sta a cuore come agiamo, e quindi stiamo attenti.

Dobbiamo anche prestare attenzione a ciò che abbiamo voglia di fare. Dobbiamo essere cauti quando abbiamo voglia di agire, parlare o pensare in modo distruttivo. Quindi abbiamo bisogno di vigilanza per rimanere attenti e, con la distinzione e il discernimento, rilevare quando abbiamo voglia di fare qualcosa e discriminare che ciò che sentiamo di fare è distruttivo. Non siamo ingenui: capiamo che se lo mettiamo in pratica, ciò porterà dei problemi. Questi sono gli aspetti coinvolti nell’applicazione dell’autodisciplina etica per astenersi dall’agire in modo distruttivo.

La cosa principale di cui abbiamo bisogno con questo tipo di autodisciplina, così come nella meditazione di concentrazione, è la ritenzione mentale, la colla mentale. Dobbiamo mantenere la consapevolezza discriminante e capire che se agiamo in modo distruttivo, ciò ci causerà infelicità. Tutto il resto deriva dal fatto che la nostra colla mentale è ben fissata e ci impedisce di dimenticare. Se la nostra colla mentale è impostata correttamente, siamo automaticamente in allerta per notare quando la colla si allenta. Se ci preoccupiamo di ciò che sperimenteremo come risultato del nostro comportamento, ripristineremo immediatamente la nostra ritenzione mentale, nel caso l’avessimo perduta. Più ci esercitiamo in questo modo, più facilmente ricorderemo ed eserciteremo l’autodisciplina etica dell’autocontrollo. L’autodisciplina etica, quindi, è un fattore mentale: lo stato mentale che ci impedisce di agire in modo distruttivo.

Il livello intermedio: fermare l’attivazione di potenziali e tendenze karmiche

Per raggiungere l’obiettivo della motivazione intermedia del lam-rim, ovvero la liberazione dalla sofferenza del cambiamento (felicità ordinaria) e dalla sofferenza onnipervasiva (la rinascita che si ripete in modo incontrollabile), dobbiamo smettere di attivare i potenziali e le tendenze karmiche che compulsivamente li causano. Come li attiviamo? Dal modo in cui rispondiamo al sentirci felici o infelici.

La prima cosa che accade di solito quando ci sentiamo felici o infelici, è che sorge un fattore mentale solitamente chiamato “brama”. Letteralmente, tuttavia, la parola significa “sete”. Se ci sentiamo infelici, abbiamo sete di essere separati da quella sensazione di infelicità; se proviamo felicità ordinaria, che naturalmente non dura mai, come una persona assetata, non vogliamo essere separati da essa. È come quando hai veramente sete e bevi solo un piccolo sorso d’acqua, non vuoi che qualcuno ti prenda il bicchiere: vuoi più acqua. Ognuna di queste due forme di sete avvia il processo di attivazione. Sentendoci infelici, pensiamo: “Devo liberarmi di questo!”. Oppure sentendoci felici: “Non voglio che questo finisca”.

Il secondo passo che avviene è il seguente: ci afferriamo a un “io” solido che ha bisogno di essere libero dall’infelicità e non separato dalla felicità: “Io, devo essere libero dal sentirmi infelice! Io, non devo mai separarmi dal sentirmi felice! Io, io, io!”. Come se ci fosse un “io” che esiste in modo indipendente il quale, a prescindere da ciò che faccio, dico o penso, deve essere felice, mai infelice. La combinazione di questa sete e di questo afferrarsi attiva le tendenze e i potenziali karmici che condurranno compulsivamente a un’ulteriore rinascita.

Sto semplificando questo processo qui; è molto più complesso di quello che ho spiegato. In realtà, questo processo di attivazione delle conseguenze karmiche si verifica sempre, non solo al momento della morte e conduce alla rinascita che si ripete in modo incontrollabile. Non voler essere infelici e non volere che la nostra felicità finisca continuano sempre, anche inconsciamente.

Per fermare questa sindrome di attivazione di potenziali e tendenze karmiche, dobbiamo realizzare la vacuità. La nostra proiezione su noi stessi di un “io” che esiste come un’entità isolata, non influenzata da nulla di ciò che fa, che deve essere sempre felice e mai infelice, non corrisponde alla realtà. Vacuità significa che non esiste una cosa del genere; nessuno esiste in questo modo. Se riusciamo a capire l’assenza di qualsiasi cosa che corrisponda alla nostra fantasia e se restiamo concentrati su questa realizzazione, non impazziremo per la sete o per l’afferrarsi quando sperimentiamo infelicità o felicità ordinaria. Invece penseremo: “Ora sono felice, ora sono infelice. E allora? Le sensazioni vanno e vengono; questa è la natura della vita. Nessun problema, niente di speciale”.

Ciò che dobbiamo fermare, quindi, è di dare troppa importanza alle nostre sensazioni e a me che le sto vivendo, poiché così facendo si attivano le nostre tendenze e potenzialità karmiche. Ad esempio, supponiamo di sperimentare di essere davvero infelice quando ciò che fa o dice qualcuno non mi piace. Se mi afferro a “io, io, io, sono infelice per quello che sta facendo”, e sono desideroso di liberarmi di quell’infelicità, ciò attiva la mia tendenza e il potenziale karmico per urlare contro quella persona. Quando vengono attivati, danno origine alla mia voglia di urlare e anche la mia tendenza ad arrabbiarsi si attiva. La tendenza alla rabbia, a proposito, non è una tendenza karmica, ma una tendenza di un’emozione disturbante. Anche le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti hanno tendenze, e ciò spiega il fatto che anche quando non sentiamo queste emozioni o manifestiamo questi atteggiamenti, hanno comunque una loro continuità. Tuttavia quando tutte queste tendenze e potenziali sono attivati, quindi, senza autocontrollo e certamente senza pace mentale, io agisco compulsivamente seguendo quel desiderio e ti grido contro.

Ma se posso rendermi conto che “Sono infelice, non mi piace quello che stai facendo, ma non è un motivo per farne un grosso problema”, non mi concentro su di me e su ciò che voglio. Di conseguenza, non attivo questi potenziali karmici e tendenze per gridare. Ovviamente la comprensione deve essere abbastanza profonda e ben radicata per essere in grado di arrivare a questo livello. Lo sto semplificando, ma questo è solo per dare un’idea generale.

Come ci si libera dei potenziali e delle tendenze karmiche

Una causa può soltanto esistere e funzionare come causa in relazione a un risultato che può sorgere da essa. Se non può esserci un risultato di qualcosa, allora questo non può esistere come causa. Più nello specifico, qualcosa può essere solo un potenziale per un risultato se è effettivamente possibile che un risultato sorga da esso. Affinché si verifichi un risultato, è necessario attivare il potenziale. Ma se non c’è più nulla che possa attivare il potenziale e quindi è impossibile che un risultato ne derivi, allora non c’è più un potenziale. Ci può soltanto essere un potenziale per un risultato se può esserci un risultato.

È così che ci si libera dei potenziali e delle tendenze karmiche. Con la più profonda comprensione non concettuale della vacuità – che non c’è un “io” solido e così via – ci iniziamo a liberare sia dalle emozioni disturbanti che accompagnano i comportamenti distruttivi sia dagli atteggiamenti disturbanti che accompagnano persino i comportamenti costruttivi. Questo perché le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti sorgono a causa dell’afferrarsi a un “io” solido. Nel lungo processo di acquisire questa comprensione non concettuale dell’assenza di un “io” solido, tuttavia, le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti iniziano a perdere la loro forza. Grazie a ciò, iniziamo a rallentare il processo di attivazione di vecchie conseguenze karmiche, dal momento che sono attivate dalle emozioni e dagli atteggiamenti disturbanti. Quindi indeboliamo la forza della nostra compulsione.

In altre parole, anche se le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti indeboliti attivano le nostre conseguenze karmiche in modo tale da suscitare la voglia di gridare a qualcuno, abbiamo una maggiore possibilità di non ripetere l’azione – il nostro comportamento sarà meno compulsivo – perché la nostra emozione disturbante della rabbia sarà più debole. Quanto più ci asteniamo dal mettere in atto ciò che sentiamo di fare – quando è distruttivo o nevroticamente costruttivo – tanto meno creiamo ulteriori conseguenze karmiche. Così si accelera il processo di liberazione dai potenziali e dalle tendenze karmiche.

Perché questo processo di purificazione abbia successo, abbiamo bisogno dell’autodisciplina etica per rimanere consapevoli della vacuità. Per dirla in parole molto semplici, ne abbiamo bisogno per stare attenti a “Felice, infelice, e allora? Non esistono cose come un “io” che deve essere felice tutto il tempo e non può mai essere infelice. Io esisto, certo, ma non in questo modo impossibile”.

È molto interessante se pensiamo in termini di ciò che accade quando lo comprendiamo profondamente e inizia a influenzare la nostra esperienza. Per esempio, non abbiamo più il desiderio incontrollabile o il bisogno di essere intrattenuti tutto il tempo – di avere la musica o la televisione sempre accese – altrimenti non siamo felici. Perderemo anche la compulsione di controllare continuamente i nostri telefoni per vedere se abbiamo ricevuto un nuovo messaggio, un post sulla bacheca di Facebook o per controllare le notizie. Poiché non ci afferriamo più a un “io” solido che ha paura di perdere qualcosa o ha paura dell’infelicità, ci liberiamo dalle nostre modalità disturbanti e compulsive.

Il livello avanzato: superare la preoccupazione egoistica

Molto brevemente, per raggiungere l’obiettivo di livello avanzato del lam-rim, per cui conosciamo pienamente il karma degli altri in modo da sapere come meglio aiutarli, abbiamo bisogno della forza di bodhichitta assieme alla nostra comprensione della vacuità. Cos’è il bodhichitta? Sulla base di profondo amore e compassione uguali per tutti gli esseri, ci assumiamo la responsabilità e ci impegniamo sinceramente ad aiutare tutti a raggiungere la liberazione dalla sofferenza e dalle sue cause. Tuttavia ci rendiamo conto che solo se noi diventiamo buddha onniscienti sapremo come meglio guidare ciascuno di loro. Bodhichitta, quindi, è una mente che è indirizzata alle nostre future illuminazioni, che non sono ancora avvenute, ma che possono accadere sulla base dei nostri cosiddetti fattori della “natura di buddha”. Questi fattori si riferiscono alla purezza naturale e alle buone qualità della mente che ognuno possiede e che consentono a tutti di diventare illuminati. La nostra intenzione è quella di ottenere la nostra illuminazione personale e, grazie a questa realizzazione, aiutare tutti nel miglior modo possibile rispetto a ciò che possiamo fare, e il meglio che stiamo effettivamente tentando di fare, al momento.

Quando con bodhichitta applichiamo le nostre menti alla comprensione della vacuità, c’è molta più forza ed energia nella nostra comprensione rispetto a prima. Siamo in grado di vedere meglio l’interconnessione di tutto e questo rompe le abitudini che fanno sì che le nostre menti facciano apparire le cose in scatole, isolate l’una dall’altra. In questo modo, siamo in grado di comprendere tutte le cause karmiche per la situazione attuale di ciascun essere e l’effetto di qualsiasi cosa potremmo insegnare loro per aiutarli a superare problemi e sofferenze. Vediamo il quadro completo dell’interconnessione di ciò che è già accaduto, di ciò che sta accadendo e di ciò che non è ancora successo. Questo ci consente di consigliare e aiutare al meglio gli altri.

Per sviluppare il bodhichitta, abbiamo bisogno dell’autodisciplina etica per superare le nostre preoccupazioni egoistiche e concentrarci pienamente sul beneficio degli altri. Ecco un semplice esempio di come l’interesse per gli altri ci dà più energia: supponiamo di tornare a casa dopo una lunga, dura giornata di lavoro e siamo completamente esausti. Se viviamo da soli, possiamo semplicemente dimenticarci di preparare la cena, sdraiarci e dormire. Ma se abbiamo figli, non importa quanto siamo stanchi, troviamo l’energia per preparare un pasto per loro e prenderci cura dei loro bisogni. Il nostro interesse per gli altri ci dà molta più energia che essere preoccupati solo di noi stessi.

Questo è ciò che è implicato in questo livello avanzato di autodisciplina etica. Abbiamo bisogno dell’autodisciplina per smettere di essere egoisti, per smettere di pensare a noi stessi e per pensare agli altri, e per mirare a raggiungere lo stato più altamente sviluppato possibile, che è quello di un buddha onnisciente.

In sintesi

L’autodisciplina etica è la chiave per superare il karma negativo, quindi tutto il karma (sia positivo che negativo) e poi per superare l’egocentrismo che ci impedisce di comprendere appieno il karma di tutti gli altri, in modo da poter aiutare anche tutti loro a superarlo. Tuttavia l’autodisciplina da sola non sarà sufficiente; la nostra disciplina deve essere accompagnata da ritenzione mentale, vigilanza, attenzione, cura e così via.

La comprensione della vacuità è importante in tutta questa progressione, altrimenti avremo un modo molto dualistico di affrontare l’autodisciplina etica. Immaginiamo che ci sia un “io” poliziotto e un altro “io” cattivo che deve essere disciplinato. Se affrontiamo l’intero argomento dello sviluppo della disciplina etica in quel modo dualistico, avremo molti altri problemi. Il punto è solo applicare l’autodisciplina etica senza pensare: “Devo fare questo” e “io, io, io” e “Oh, terribile me. Sono così cattivo”. Lascia perdere tutto questo, fallo e basta!

Trascrizione di un seminario, Berlino, Germania, settembre 2012; traduzione italiana a cura di Rita Trento. Fonte, che sentitamente si ringrazia https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/il-sentiero-per-l-illuminazione/karma-e-rinascita/la-disciplina-etica-superare-l-impulsivita-del-karma