Alexander A. Berzin: La trasformazione di sé stessi attraverso gli stadi graduali del Lam-rim

Dr. Alexander Berzin: Questi, come sottolineato da Tsongkhapa, sono i tre aspetti principali delle menti-sentiero: rinuncia, bodhichitta, e comprensione della vacuità.

Dr. Alexander Berzin: La trasformazione di sé stessi attraverso gli stadi graduali del Lam-rim

Gli insegnamenti tradizionali tibetani di lam-rim presentano metodi dettagliati per ottenere obiettivi spirituali via via più avanzati: rinascite migliori, la liberazione dalla rinascita, e la piena illuminazione. Qui prenderemo in considerazione l’ampia portata degli insegnamenti di lam-rim, iniziando con una spiegazione del modo in cui i tre livelli di motivazione si accordano con le quattro nobili verità.

Come integrare gli stadi graduali del Lam-rim nella nostra vita

Introduzione alla struttura dei tre livelli graduali di motivazione

Lam-rim” è un’espressione tibetana spesso tradotta come “sentiero graduale verso l’illuminazione”; non si tratta, però, di un sentiero su cui camminare. Qui “sentiero” si riferisce, in realtà, a uno stato mentale che funge da percorso per condurci da qualche parte: in questo caso, fino all’illuminazione. A me piace chiamarlo “mente sentiero”, ed è ciò che dobbiamo sviluppare, in uno specifico ordine graduale, per raggiungere l’illuminazione.
Tradizionalmente il lam-rim è diviso in tre livelli principali, ulteriormente ripartiti in molte suddivisioni. Presenta stati mentali via via più ampi, ognuno dei quali comprende una struttura mentale piuttosto estesa. Ciascun livello è rappresentato da un diverso tipo di persona e ognuna ha, nella vita, una specifica motivazione. Noi cerchiamo di svilupparci, progressivamente, per trasformarci in questi tipi di persone, con le corrispondenti strutture mentali motivanti.
Qui non sto usando la parola “motivazione” in modo semplicistico, perché nel Buddhismo il dibattito sulla motivazione si riferisce a queste strutture mentali motivanti, che consistono di due parti. Una è lo scopo che abbiamo nella vita, e l’altra è ciò che noi occidentali normalmente consideriamo come “motivazione”, la quale include lo sfondo emotivo che ci conduce verso questo obiettivo.
Ciascuno dei tre livelli del lam-rim è costruito su quello sottostante e precedente, e quindi sono cumulativi. Ciò significa che innanzitutto sviluppiamo la motivazione di primo livello, e poi abbiamo il primo e il secondo, insieme. Quando raggiungiamo il secondo, non dimentichiamo il primo livello. Infine, li combiniamo tutti e tre insieme. È davvero cruciale per noi svilupparci attraverso la coltivazione dei tre livelli nel loro ordine specifico. Se ne saltiamo uno, non avremo quello stato mentale previsto.

  • Con una motivazione di livello iniziale, ambiamo a migliorare le nostre future rinascite. L’emozione motivante consiste nel temere – e non volere assolutamente avere – rinascite peggiori.

  • Con un livello intermedio, ambiamo a liberarci dall’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, nella sua totalità. L’emozione motivante sottostante consiste nell’essere completamente annoiati da tutta la sofferenza che ne è implicata, e dall’averne avuto abbastanza. Ciò è spesso tradotto come “rinuncia”, la determinazione a essere liberi da tutto questo. Ciò, naturalmente, implica la volontà di rinunciare effettivamente alla nostra sofferenza.

  • Con un livello avanzato, motivato dall’amore, dalla compassione, e dalla finalità di bodhichitta, il nostro obiettivo è la piena illuminazione. Pensiamo a tutti gli altri esseri e al modo in cui soffrono e hanno problemi, proprio come noi; quindi desideriamo raggiungere l’illuminazione in modo da essere pienamente in grado di aiutarli, affinché superino anche loro la propria sofferenza.

La mia storia personale: come ho studiato il percorso graduale del Lam-rim

Per introdurre questo argomento, racconterò un po’ della mia storia personale e dirò come sono arrivato a studiare il lam-rim.
Mi sono imbattuto in questo argomento per la prima volta nel 1968, mentre stavo studiando tibetano alla scuola di specializzazione dell’Università di Harvard. Come parte del corso, leggemmo alcune pagine del testo di lam-rim nella versione estesa di Tsongkhapa, 
Lam-rim chen-moUna presentazione estesa del sentiero graduale verso l’illuminazione, ma all’epoca non avevo idea di quale fosse l’intera ampiezza del materiale in esso trattato. E questo accadde prima che uno qualsiasi dei testi sul sentiero graduale fosse stato tradotto in inglese, ancora prima che Il prezioso ornamento di liberazione di Gampopa fosse stato tradotto. A quel tempo, era ancora un argomento piuttosto sconosciuto.
L’anno seguente compii ventiquattro anni e con una borsa di studio Fulbright andai in India a fare ricerca per la mia tesi di dottorato; all’inizio avevo in programma di scrivere la tesi su un tema tantrico molto avanzato. Anche se questo era stato il consiglio del mio professore, scoprii presto che era assurdo tentare una cosa simile, e i miei insegnanti tibetani in India mi suggerirono, piuttosto, di studiare il lam-rim. Decisi di farlo e studiai il lam-rim per diciotto mesi, scrivendo la mia tesi sulla sua tradizione orale, dato che non sapevo nemmeno che esistessero molti testi scritti. Mi fu spiegato tutto oralmente da Geshe Ngawang Dhargyey, e così chiamai il mio lavoro “La tradizione orale del lam-rim”.
Quello era un periodo davvero emozionante, in India, prima che vi arrivasse l’ondata degli hippy. Al tempo, Carlos Castaneda stava scrivendo i suoi libri, e con la stessa sensibilità alcuni di noi, da occidentali stabilitisi a vivere in India con i tibetani, sentivano di essere parte di un’avventura simile. Come Castaneda, anche noi stavamo scoprendo alcuni insegnamenti segreti, speciali, magici. Fu veramente un’avventura!
Studiai il lam-rim in un modo molto tradizionale, il che significa che mi veniva presentato di volta in volta un argomento o un punto all’interno del lam-rim, senza che io avessi idea di cosa sarebbe venuto dopo di esso. Dovevo concentrarmi su un singolo punto, ossia su quello che di volta in volta arrivava, e digerirlo prima di ricevere la parte successiva. Mi fu detto che è un argomento da studiare più e più volte e che, ogni volta che si torna all’inizio, si può cominciare a inserirvi quanto appreso negli stadi successivi. Più riusciamo ad assemblare l’intero quadro, più chiaro e semplice sarà lo sviluppo effettivo degli stati mentali in esso discussi.

Integrare gli insegnamenti in una rete e nella nostra vita

Sulla base di questo, iniziai a sviluppare l’idea di spiegare gli insegnamenti in termini di reti, perché l’intero lam-rim è una rete, nel senso che ogni punto si connette con ogni altro punto all’interno dell’insegnamento. La rete che crea è in realtà molto complessa, e, più connessioni scopriamo e operiamo, più profonda diventa la nostra comprensione. Questo tipo di connessione in rete riguarda non soltanto il lam-rim, ma tutto ciò che è racchiuso negli insegnamenti del Buddha: il Dharma.
Il concetto di integrazione è un altro aspetto che ci aiuta a comprendere questo punto. Tutti gli insegnamenti e i punti si integrano insieme, ma siamo noi stessi a doverlo fare. E non si tratta semplicemente di integrare gli insegnamenti l’uno con l’altro: in realtà, dobbiamo integrarli con tutti i diversi aspetti di noi stessi e della nostra vita. E qui la rete trova ancora una volta applicazione, perché tutti i punti del lam-rim devono connettersi con tutti i diversi aspetti della nostra vita. Una volta riusciti in questo, avremo effettivamente integrato il Dharma in noi stessi.

Il Dharma “light”

La necessità di integrare il Dharma nella nostra vita è particolarmente rilevante in relazione ai tre livelli di motivazione. Prima di avere uno qualsiasi dei tre livelli, il nostro approccio iniziale potrebbe essere quello che io chiamo “Dharma light”, e che metto a confronto con il “Dharma vero e proprio”. Essi sono come la Coca-Cola vera e propria e la Coca-Cola Light, perché il Dharma “light” è una versione degli insegnamenti di Dharma che è compresa solo nell’ambito del miglioramento di questa vita. Stiamo semplicemente cercando di rendere leggermente migliore la nostra vita presente, usando il Dharma.  Il Dharma vero e proprio è la pratica del Dharma nel contesto dei tre livelli tradizionali.
Imparare e praticare il Dharma “light” è un po’ come usare il Buddhismo come una forma di terapia, e in effetti gli insegnamenti possono essere molto utili in tal senso. Non c’è assolutamente nulla di sbagliato nel Dharma “light” fintanto che non lo confondiamo con il Dharma vero e proprio, poiché il primo non raggiunge il massimo grado di ciò di cui parla il Dharma. Se siamo onesti con noi stessi, probabilmente molti di noi sono concentrati principalmente sul Dharma “light”. Di certo nel mio caso, i primi tempi, la mia bibita era proprio questa!

La versione Dharma “light” del lam-rim 

Affidarsi a un maestro spirituale

Qual è la versione Dharma “light” del lam-rim? Se prendiamo in considerazione gli insegnamenti, si dice che, in primo luogo, la radice del percorso è affidarsi a un maestro spirituale. All’inizio ebbi la fortuna di avere un maestro spirituale che aveva ricevuto una formazione tradizionale in Tibet prima del 1959 e poi un’ulteriore istruzione in esilio – era Geshe Ngawang Dhargyey. Tuttavia, mi ci sono voluti molti anni prima di capire che cosa significasse la parola “radice”. Ho sempre erroneamente creduto che significasse “l’inizio”, soprattutto perché è da lì che si comincia, all’inizio del lam-rim.
Tuttavia non è l’immagine di una “radice” intesa come la radice di una pianta, perché una pianta non cresce da una radice, bensì da un seme. La radice è ciò da cui una pianta trae nutrimento, e da cui può crescere. Le dà stabilità, radicandola. Allo stesso modo, affidarci a un maestro spirituale in modo appropriato ci radica, così che non andiamo a perderci in strane fantasie sul Dharma. Anche i maestri ci aiutano a farci crescere dritti, così che non ci allontaniamo dagli insegnamenti effettivi, proprio come una radice ancora una pianta in modo che non possa essere spazzata via. È da un maestro spirituale che otteniamo l’ispirazione che ci fornisce l’energia per essere in grado di crescere sul sentiero, e, naturalmente, egli è colui dal quale effettivamente riceviamo insegnamenti e spiegazioni. Certo, possiamo imparare il Buddhismo dai libri, ma quei libri sono scritti da insegnanti, soltanto alcuni dei quali sono buddhisti, e ancor meno sono maestri realizzati.
Quando studiavo a Harvard, il Buddhismo tibetano era considerato un argomento “morto”, come la religione dell’antico Egitto. Quando però andai in India e incontrai grandi lama tibetani, e iniziai a studiare con il mio maestro, mi resi conto che il Dharma è reale, che il Buddhismo è vivo, e che abbiamo meravigliosi esempi viventi degli insegnamenti. Tuttavia, l’ispirazione che ricevetti dal mio maestro era a livello di Dharma “light”, e mi diede il supporto per provare a praticare il Dharma per migliorare questa vita.

Ambito iniziale

Gli insegnamenti di lam-rim sull’ambito iniziale vertono per prima cosa sull’apprezzamento della preziosa vita umana che abbiamo, con il consiglio di osservare noi stessi. Così, mi esaminai e mi resi conto che sono stato molto fortunato ad aver avuto – e avere ancora – così tante opportunità di studiare con grandi insegnanti e maestri. L’attenzione passa poi alla morte e all’impermanenza, per farci capire che le opportunità che abbiamo non durano per sempre. All’epoca potevo certamente comprendere questo punto, e volevo davvero usare le mie capacità. Ero giovane e avevo la forza, l’intelligenza, e così via, con cui crescere. Potevo comprendere questo argomento con facilità.
Poi gli insegnamenti prendono in esame gli stati di rinascita peggiori, quali i reami infernali, che potrebbero seguire nelle vite future. Ora, io affrontai questo argomento come un antropologo che studia il folklore, pensando: “Oh, è interessante che questo sia ciò che credono”. Poi voltai pagina, per passare a qualcosa che fosse più rilevante per me.
Dopo questo punto ci sono gli insegnamenti sul rifugio, e col tempo ho capito che non si tratta di un’esperienza passiva. Nel Buddhismo non c’è la mentalità del “Salvami, salvami!”. Al contrario, dobbiamo dare una direzione sicura alla nostra vita. Sapevo che seguiamo il Buddha, il Dharma, e il Sangha, e anche se avevo una lunga lista delle loro qualità non capivo veramente che cosa tutto ciò significasse. Sapevo che si trattava di qualcosa di più del semplice indossare un cordino rosso al collo, ma non ne comprendevo le implicazioni profonde. In ogni caso, presi rifugio in questa direzione.
Il lam-rim presenta poi gli insegnamenti sul karma, che fondamentalmente riguarda il fatto di evitare comportamenti distruttivi. Anche se era presentato come il fatto di evitarli al fine di scongiurare rinascite peggiori in futuro, questo non costituiva, per me, un punto di forza. In ogni caso, essere una brava persona era semplicemente qualcosa di sensato. Non ferire gli altri, non agire in modo distruttivo, e non agire per rabbia, avidità, e così via – tutto mi andava bene e potevo accettarlo nella sua totalità, perché potevo anche vedere come mi avrebbe reso più felice in questa vita. Questa era una perfetta versione del Dharma “light” al livello iniziale. Naturalmente, al tempo, non mi rendevo conto che quello era Dharma “light”, e pensavo davvero che fosse esattamente ciò su cui vertevano gli insegnamenti.

Ambito intermedio

Gli insegnamenti dell’ambito intermedio iniziano con le descrizioni delle sofferenze degli stati di rinascita migliori, e delle sofferenze generali del samsara. Di nuovo: la sezione sui reami divini sembrava un’altra lezione di antropologia, e invece le descrizioni sulle sofferenze del samsara erano molto più importanti per me, al tempo. Mi fornirono una dettagliata spiegazione di come siamo sempre frustrati e non otteniamo mai veramente ciò che vogliamo. Pensarci era davvero meraviglioso, ed era qualcosa di profondo.
L’ambito intermedio procede poi con un’analisi di tutti i fattori mentali e le emozioni disturbanti, e spiega come queste emozioni determinino i nostri problemi. Ho davvero considerato questa come la parte più interessante della discussione sul lam-rim: spiegava il modo in cui sorgono i vari problemi emotivi e le difficoltà, le loro cause, i fattori mentali coinvolti e il modo in cui, di fatto, sviluppiamo dei problemi. Era fantastico, e di gran lunga migliore di qualsiasi corso di psicologia che avessi mai frequentato. Non avevo veramente capito che, in realtà, stava dicendo che è proprio questo a portarci all’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, ma lo capii a livello di Dharma “light”, considerando che questo era il modo in cui sorgevano vari problemi psicologici nella mia vita. Mi fu di grande aiuto.
Nella presentazione del lam-rim ci sono poi i dodici anelli dell’origine dipendente, un argomento molto complicato. Descrive molto chiaramente come funziona la rinascita, eppure io effettivamente non riuscivo ad assimilarlo, e cercai di capirlo più che altro in relazione a questa vita, perché a quel tempo trovavo difficile prendere sul serio le vite future e la rinascita. Semplicemente non fanno parte della nostra tradizione culturale, e io di certo non sono cresciuto con queste idee. Ma ero di mentalità aperta e non le rifiutai, e in un certo senso diedi ad esse il beneficio del dubbio: se ciò che ne conseguiva aveva senso ed era utile, allora forse la rinascita era possibile ed esisteva realmente. Ma onestamente non lo sapevo.
Dopo questo argomento si passa a quello della rinuncia, e compresi che era qualcosa di più del livello semplicistico corrispondente all’abbandonare tutto e andare a vivere in una caverna. La rinuncia è la determinazione a essere liberi dal samsara e dalla sofferenza. Ero sicuramente disposto a rinunciare alla sofferenza e ai problemi che avevo a quell’età, dato che, come ogni altro giovane, ebbi qualche difficoltà emotiva. Certamente volevo essere libero dalle cause dei miei problemi, ma probabilmente capivo tutto ciò a un livello piuttosto superficiale, pensando per esempio che sarebbe stato meraviglioso non arrabbiarmi più, o non essere più avido. Ciò significava che, quando il mio cibo preferito era sul tavolo, ero disposto a rinunciare al mio desiderio avido di mangiarne il più possibile? Ebbene, questa è un’altra domanda!
Dopo la rinuncia, l’argomento successivo approfondisce i tre addestramenti superiori presentandoli come il modo per liberarsi dal samsara, e implica l’addestramento nella disciplina etica superiore, nella concentrazione superiore, e nella saggezza (o consapevolezza discriminante) superiore. L’ultima parte è la saggezza per distinguere la realtà dalla fantasia, e potevo afferrare tutto questo senza difficoltà.
Ciò descrive fondamentalmente l’ambito intermedio così come lo capivo io, in relazione alla mia volontà – di tipo Dharma “light” – di liberarmi dei miei problemi emotivi. Il Buddhismo spiegava molto bene come sorgevano questi problemi, e forniva buone indicazioni sul modo di superarli.

Ambito avanzato

Con l’ambito avanzato, appresi per la prima volta come ognuno di noi debba avere equanimità verso tutti, e questo si adattava molto bene ai diritti civili e ai movimenti per la liberazione delle donne di quell’epoca. Tutti sono uguali, e l’equanimità mi andava bene. L’idea di estenderla a zanzare e scarafaggi, però, mi sembrava tutta un’altra questione!
In realtà mi piace chiamare l’India la “Terra degli insetti”, e ho sempre scherzato su un annuncio pubblicitario di un viaggio per l’India che diceva: “Se ti piacciono gli insetti, amerai l’India!”. Da grande fan della fantascienza, e specialmente di Star Trek, tendevo a pensare a questi insetti come ad alieni provenienti da un altro mondo: “Se incontrassi degli alieni e avessero sei zampe, e ali, e quant’altro, sarebbe terribile anche solo volerli calpestare!”. In quel modo provai un po’ a fare pace con gli insetti, purché non fossero nella mia camera da letto!
Se venivano nella mia stanza li chiamavo “forme di vita inaccettabili” e dovevano andarsene. Ormai ero diventato abbastanza bravo a rimuoverli, catturandoli in una tazza, sistemandovi sotto un foglio di carta, e gettandoli fuori. Imparai persino dai miei amici tibetani a catturare una mosca a mezz’aria, cosa che loro facevano per divertimento. La catturavano, la scuotevano e la lasciavano andare, e poi scoppiavano a ridere mentre la mosca, stordita, volava in modo molto disorientato. Io non ero a un livello così avanzato; mi limitavo semplicemente a portar fuori la mosca.
Dopo aver introdotto l’equanimità, il lam-rim ci induce a pensare a tutti come se fossero stati nostra madre. Questo potrebbe sembrare qualcosa di strano, ma io avevo un buon rapporto con mia madre, e quindi per me non fu troppo difficile. La trattazione prosegue con le varie fasi e descrizioni dell’amore, della compassione, e del desiderio di essere felici e di non essere infelici. L’amore era il fulcro tematico dell’epoca hippy, e quindi mi andava bene. Anche l’idea di assumermi la responsabilità di aiutare gli altri mi sembrava buona.
Imparai che il modo migliore di assumersi la responsabilità di aiutare gli altri è diventare un Buddha, ma non sapevo bene che cosa significasse. C’era una lista delle qualità che rappresentano “il meglio”, quindi l’idea era di puntare al meglio. Sì, probabilmente diventando un Buddha si potrebbero aiutare le persone di più che partecipando a una marcia per i diritti civili. Con questo non intendiamo screditare le marce considerandole inutili; tuttavia, qui abbiamo una visione molto più ampia del modo in cui possiamo essere di aiuto. A quel tempo, probabilmente io mescolavo un po’ l’immagine di un Buddha con quella di Superman!
Di seguito abbiamo gli insegnamenti sulle sei perfezioni, che ora chiamo “gli atteggiamenti lungimiranti”, presentate come il modo per diventare un Buddha. Tutto ciò aveva molto senso per me; sii generoso, agisci in modo etico, sii paziente, abbi perseveranza: chi potrebbe criticare tutto questo? È perfetto. L’introduzione degli insegnamenti sulla concentrazione era molto dettagliata, così dettagliata da essere davvero sorprendente. Si prosegue poi con gli insegnamenti sulla vacuità, che naturalmente sono molto difficili da comprendere, ma che per me erano affascinanti e rappresentavano qualcosa che volevo esplorare più a fondo. Notai che più profondamente esploravo la vacuità, più potevo liberarmi delle fantasie su come io esisto e su come gli altri esistono.
Amavo i voti del bodhisattva perché mi indicavano chiaramente tutte le cose da evitare e che causano difficoltà nel rapportarsi agli altri. Mi sembravano un’ottima cosa, perché di fatto avevo reali difficoltà nel relazionarmi con gli altri, e quindi erano una guida perfetta per sapere cosa evitare. Compresi come la bodhichitta fosse l’obiettivo di diventare un Buddha per aiutare tutti, ma a quel tempo per me non era nulla di più profondo di questo, e mi sembrava abbastanza semplice. Su questa base, con questo tipo di comprensione che attraversava il livello avanzato del lam-rim, avevo l’intenzione di cercare di aiutare tutti. Amavo tutti perché siamo tutti uguali, e avevo l’intenzione di cercare di diventare la migliore versione di me stesso: un Buddha.
In seguito ricevetti una breve introduzione al tantra, dove si diceva che avremmo potuto fare questo nella vita presente. Sentivo che ciò confermava che non avevo davvero bisogno di pensare tanto alle vite e a varie altre cose future, perché tutto era già presente in questa vita. Questo è un perfetto Dharma “light”, e penso che sia il modo in cui si ritrovano molti di noi, dopo aver inizialmente studiato il lam-rim. Spesso pensiamo che studiare a fondo significhi imparare un elenco di otto cose da una parte e dieci dall’altra e che, una volta studiato questo, abbiamo veramente approfondito la nostra comprensione. È buona cosa apprendere tutti questi dettagli, ma saremmo ancora al livello del Dharma “light”.

Le quattro nobili verità

Rimasi in India per due anni a studiare il Dharma, poi tornai in America solo per consegnare la tesi. Poi tornai in India e vissi lì per altri ventisette anni; ampliai i miei studi e iniziai a mettere tutto insieme nella mia meditazione, su consiglio dei miei maestri. È sempre stato sottolineato che il modo in cui il Buddha insegnò era veramente il modo migliore per comunicare il Dharma. Come lo faceva? Il Buddha insegnò le quattro nobili verità e insegnò nella struttura delle quattro nobili verità. È meglio non essere così arroganti da pensare di poter agire meglio del Buddha, e quindi io cercai di seguire il consiglio e unire il lam-rim alle quattro nobili verità.
Probabilmente le conoscete bene; comunque, in breve, sono verità che sono vere agli occhi degli arya, o “nobili”, i quali hanno una cognizione non concettuale della vacuità. Si tratta di fatti veri; tuttavia, chi non ha visto la realtà in modo non concettuale potrebbe non considerarli veri.
La prima nobile verità è la seguente: c’è sofferenza. Il Buddha ha indicato diversi livelli di problemi che tutti affrontiamo nella vita, e questi sono veramente delle sofferenze. Le persone normali, tuttavia, di solito non considerano alcuni di questi livelli, tra i quali la nostra felicità ordinaria, come un problema. Se andiamo a guardare più in profondità, però, vediamo che queste sono veramente delle forme di sofferenza, perché: dell’ordinaria felicità non ne abbiamo mai a sufficienza, non è mai soddisfacente, e non dura mai a lungo.
In secondo luogo, il Buddha ha indicato che la causa della nostra sofferenza è la nostra inconsapevolezza e confusione circa la realtà, e ha detto che queste ne sono realmente le cause. Normalmente, noi potremmo non trovarci a fare questa connessione. Nella terza nobile verità ha indicato che un vero arresto della nostra sofferenza è possibile, e di solito lo si traduce come “cessazione”. In pratica, la sofferenza può arrestarsi per sempre. Potremmo non ritenere possibile che ci possa essere un vero arresto della sofferenza, ma è proprio vero. Infine, con la quarta nobile verità Buddha ha spiegato la mente sentiero che, se seguita e sviluppata, si libererà veramente dalla sofferenza e dalle sue cause. Sarà effettivamente in grado di provocare un vero arresto di tutto ciò. Queste sono le quattro nobili verità, presentate in modo semplice.

I tre ambiti del Lam-rim “vero e proprio” in relazione alle quattro nobili verità 

Ambito iniziale

Può essere molto utile considerare i tre ambiti del lam-rim “vero e proprio” in relazione alle quattro nobili verità. Qui, la vera sofferenza sarebbe la sofferenza degli stati di rinascita peggiori. Ci sono tre tipi di vera sofferenza. Il primo è la sofferenza della sofferenza, cioè la comune infelicità. Tale infelicità può accompagnare qualunque cognizione sensoriale – come il vedere, l’udire o il provare dolore – o uno stato mentale. Nel contesto dell’ambito iniziale del lam-rim, tuttavia, questa grande e vasta sofferenza della sofferenza è esemplificata dalla sofferenza degli stati inferiori. La causa della sofferenza di tali rinascite consiste nell’agire in modo distruttivo, e il suo vero arresto consisterebbe nel non avere mai più rinascite peggiori, ma soltanto rinascite migliori. Il vero sentiero che porta a questo è il rifugio, ossia dare una direzione sicura alla nostra vita. Inoltre, la mente sentiero consisterebbe nel seguire gli insegnamenti di Dharma e gli esempi veri e propri di chi evita il comportamento distruttivo: Buddha e l’arya Sangha.
Ciò integra l’ambito iniziale con le quattro nobili verità. Studiamo e impariamo che la vera causa delle emozioni disturbanti e del comportamento compulsivo distruttivo è l’inconsapevolezza rispetto alle leggi del karma – causa ed effetto di tipo comportamentale – che ne sono alla base. Comprendendo ciò, esercitiamo autocontrollo quando ci sentiremmo portati ad agire sotto l’influenza della rabbia, dell’avidità o di qualsiasi altra cosa, e non lo mettiamo in atto. Ad esempio, potrei sempre arrabbiarmi con qualcuno, ma chiudo la bocca ed evito di urlare o dire cose sgradevoli perché capisco che, se lo faccio, causerà solo ulteriore infelicità e problemi.
Questa è una comprensione più approfondita dell’ambito iniziale rispetto alla versione Dharma “light”.

Ambito intermedio

Poi abbiamo l’ambito intermedio, che riguarda gli altri due tipi di sofferenza che il Buddha ha indicato. La sofferenza del cambiamento riguarda il tipo ordinario di felicità che abbiamo, la quale, come l’infelicità, accompagna la percezione dei sensi o uno stato mentale. È un problema, perché non dura mai a lungo e non è mai veramente soddisfacente. Si trasforma in infelicità, e non sappiamo mai quando questo accadrà. Se ne ha un semplice esempio quando mangiamo il nostro cibo preferito. Se questa fosse veramente felicità, più ne mangeremmo, più saremmo felici. Ovviamente però, arrivati a un certo punto, più mangiamo e più stiamo male e siamo infelici.
Più importante è però il terzo tipo di vera sofferenza presentato nell’ambito intermedio, quella che chiamiamo “sofferenza che interessa tutto in maniera onnipervasiva”. In italiano questa espressione risulta un po’ ostica, ma indica ogni momento della nostra esistenza: si riferisce a una sofferenza che interessa tutto ciò di cui facciamo esperienza, e che effettivamente dà origine ai primi due tipi di sofferenza.
La sofferenza che interessa tutto in maniera onnipervasiva indica in realtà i fattori aggregati della nostra esperienza, che sono incontrollabilmente ricorrenti: i nostri cinque aggregati in ogni momento della nostra esperienza. In parole povere, si riferisce al nostro corpo e alla nostra mente, e a tutti i vari fattori mentali in costante cambiamento eccetera che compongono ciascun momento della nostra esperienza. La loro continuità procede di istante in istante, non solo in questa vita ma anche durante tutte le altre. Essi provengono dalle nostre emozioni disturbanti, e dal karma accumulato agendo in base alle stesse. Le nostre menti continuano a contenere più emozioni disturbanti e karma, e questi a loro volta perpetuano sempre più istanti dei nostri cosiddetti “aggregati contaminati”.
Questi fattori aggregati – il nostro corpo e la nostra mente – costituiscono la base e il contesto entro cui facciamo esperienza dei primi due tipi di sofferenza: infelicità e felicità ordinaria. Ciò che proviamo in ogni istante va sempre su e giù, oscillando costantemente tra felicità e infelicità. È qualcosa che si ripete, e ovviamente non abbiamo mai la certezza che nel prossimo istante ci sentiremo felici o infelici. Questa è la vera sofferenza al livello intermedio.
Come accennato, la causa di ciò sono le emozioni disturbanti e il karma da loro accumulato e, a un livello più profondo, la vera causa è la nostra inconsapevolezza rispetto al modo in cui noi stessi esistiamo, al modo in cui gli altri esistono, e al modo in cui ogni cosa esiste. Tale inconsapevolezza è spesso tradotta come “ignoranza”, ma questo è un termine che non mi piace perché implica che, in un certo senso, siamo stupidi. Ci sono due interpretazioni di ciò che questa parola significa. Siamo inconsapevoli nel senso che, semplicemente, non conosciamo il modo in cui esistiamo, oppure nel senso che lo comprendiamo in una maniera opposta a quella reale, ma certamente non significa che siamo stupidi. È la vera causa della nostra incontrollabile ricorrenza delle rinascite, del nostro “samsara”. Questo è esattamente ciò che “samsara” significa. Il suo vero arresto sarebbe la liberazione e il vero sentiero verso di essa consisterebbe nei tre addestramenti superiori: nella disciplina etica superiore, nella concentrazione superiore, e nella consapevolezza discriminante superiore.
Questo è l’ambito intermedio, presentato nella struttura delle quattro nobili verità.

Ambito avanzato

Nell’ambito avanzato, la vera sofferenza cui ci si riferisce è l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite – non solo la mia, ma quella di tutti. Tutti e tre i tipi di sofferenza si presentano nell’esperienza di ognuno di noi. Dovremmo includere, qui, anche la mia incapacità di aiutare gli altri a superare tutto questo. Certo, le vere cause della sofferenza di tutti gli altri sono le stesse vere cause della nostra, come spiegato nel livello intermedio. Pensando alla nostra incapacità di aiutare gli altri: a un certo livello, possiamo identificare la sua vera causa nella preoccupazione egocentrica che abbiamo soltanto per noi stessi. Andando a guardare più in profondità, avremmo potuto includere quell’egocentrismo nel livello intermedio, in termini di emozione disturbante.
Devo dire che è piuttosto difficile capire come potremmo avere ancora preoccupazioni egocentriche soltanto per noi stessi, se ci siamo davvero liberati delle nostre emozioni disturbanti. Se ci siamo liberati dell’attaccamento verso noi stessi e dell’ingenuità rispetto agli altri, come potremmo essere ancora egocentrici? Anche se diciamo: “Mi preoccupo solo di me stesso perché non penso di poter davvero aiutare tutti o diventare un Buddha”, potremmo dire che questo è un tipo di ingenuità. Se pensiamo in questo modo, preoccupati solo della nostra liberazione individuale, potremmo obiettare che questa è una forma di ingenuità rispetto alla natura di Buddha.
In ogni caso, possiamo porre la preoccupazione per noi stessi come la vera causa e, a questo punto, dobbiamo includere il fatto che la nostra mente fa apparire le cose in modi impossibili. La nostra mente le fa apparire come se fossero veramente stabilite, veramente esistenti come stabilitesi da sé stesse, dalla propria parte, indipendenti da qualsiasi altra cosa. Potrebbe sembrare gergo tecnico, quindi, in parole semplici: la nostra mente fa apparire le cose come se esistessero per conto proprio, avvolte nella plastica. Per questo motivo, non possiamo vedere l’interconnessione di tutto, in particolare in termini di causa ed effetto. Quindi non possiamo vedere le cause che spiegherebbero perché qualcuno è come è ora, e perché ha i problemi che ha ora. Non possiamo prevedere tutti gli effetti che possono derivare dall’insegnare a quella specifica persona. Tutto questo accade perché, quando la guardiamo, quello che ci appare è proprio la persona davanti ai nostri occhi, e pensiamo che sia così. Pensiamo che esista per conto proprio, indipendentemente da tutte le sue relazioni e da tutte le cause e condizioni. Questa è la causa della nostra incapacità di aiutare tutti.
Il vero arresto di questo sarebbe lo stato onnisciente di un Buddha, perché un Buddha è in grado di vedere l’interconnessione di tutto, e quindi sa quali sono i problemi di ogni persona, quali fattori vi sono entrati, e quale sarebbe il miglior modo per aiutarla. Il vero sentiero che conduce a questo è una comprensione della vacuità, sostenuta dalla forza sia della rinuncia che del bodhichitta. Abbiamo bisogno di entrambe. Naturalmente, per sviluppare bodhichitta dobbiamo sviluppare equanimità, amore, compassione, e i sei atteggiamenti lungimiranti – le cosiddette “sei perfezioni” – che troviamo nel livello avanzato.

Convincerci che l’illuminazione è possibile

Potremmo pensare: “Una mossa piuttosto intelligente! Ora ho unito le quattro nobili verità ai tre ambiti della motivazione”. Eppure, siamo davvero andati oltre il Dharma “light”? Principianti quali siamo, probabilmente no – o per lo meno non a livello emotivo. Abbiamo visto come il Dharma “light” può funzionare in questa vita ma, per essere in grado di integrare nella nostra vita i tre livelli delle strutture mentali motivanti in modo da praticare realmente il Dharma vero e proprio, dobbiamo tornare alla nostra definizione di motivazione.
Abbiamo detto che ci sono due aspetti della motivazione. C’è uno scopo, l’obiettivo che vogliamo raggiungere, e poi insieme a questo c’è l’emozione che ci spinge a raggiungerlo. Per mirare a un obiettivo è assolutamente cruciale, se vogliamo essere sinceri, non soltanto avere una chiara idea di quello che è in realtà l’obiettivo e di ciò che significa, ma anche essere fermamente convinti che sia possibile raggiungerlo. Non dovremmo pensare che Buddha sia stato in grado di realizzarlo, ma noi non possiamo riuscirci. Dobbiamo essere convinti non solo che è stato ottenuto in precedenza, ma che possiamo raggiungerlo anche noi.
Quando siamo veramente convinti che sia possibile raggiungere questo obiettivo, allora possiamo muoverci in tale direzione in modo sincero. Altrimenti è come un gioco o una pia illusione, non molto stabile. Nagarjuna lo ha sottolineato nel suo 
Commentario sulla Bodhichitta (scr. Bodhichitta-vivarana), dove afferma che coloro che sono dotati di intelligenza acuta svilupperebbero in primo luogo la bodhichitta più profonda, la comprensione della vacuità. Successivamente, svilupperebbero la bodhichitta relativa, con la quale mirano all’illuminazione per il beneficio degli altri. Questo perché quando avremo sviluppato una comprensione della vacuità ci convinceremo che la liberazione e l’illuminazione sono possibili. Su questa base, poi, potremo sviluppare la bodhichitta relativa, il desiderio di raggiungere tale liberazione e illuminazione per aiutare gli altri. Questo approccio riguarda coloro che hanno capacità più elevate.
Per chi ha capacità più ordinarie si inverte l’ordine, e in questo caso dobbiamo per prima cosa sviluppare la bodhichitta relativa, il desiderio di raggiungere l’illuminazione per il bene degli altri. Poi, gradualmente svilupperemo la bodhichitta più profonda, ossia la comprensione della vacuità come il modo per generare effettivamente la liberazione o l’illuminazione. Tuttavia, qui c’è la convinzione nel fatto che l’obiettivo sia realizzabile, perché altri sono riusciti in questo, e tale convinzione è di gran lunga più forte del mero presumere che sia possibile. Il 
Commentario sulla Bodhichitta di Nagarjuna, tuttavia, è presentato dal punto di vista di coloro che hanno un’intelligenza più acuta, ed è per questo che inizia con la vacuità, come primo punto.

Tre realtà di cui abbiamo bisogno di convincerci

Per essere effettivamente in grado di praticare il Dharma vero e proprio abbiamo bisogno, in realtà, di avere convinzione in tre punti. Al livello iniziale, dobbiamo convincerci che le rinascite esistono, ossia capire che il nostro continuum mentale non ha inizio né fine. Sulla base di questa convinzione, aspiriamo a rinascite future migliori. Questo continuum mentale continuerà, ne siamo totalmente convinti, e certamente non vogliamo sperimentare le sofferenze degli stati di rinascita peggiori ed essere impossibilitati a compiere ulteriori progressi spirituali per un tempo molto lungo.
Al livello intermedio, innanzitutto dobbiamo essere totalmente convinti che la liberazione sia possibile, e ciò significa capire che può esserci un vero arresto dell’inconsapevolezza, delle emozioni disturbanti, e del karma. Questo corrisponde alla convinzione nella terza nobile verità. Per ottenerla, dobbiamo essere convinti della purezza naturale del nostro continuum mentale, che per sua natura non è macchiato da inconsapevolezza, emozioni disturbanti, e così via.
Al livello avanzato, dobbiamo essere convinti che l’illuminazione sia possibile – in altre parole, che sia possibile liberarci della nostra ingannevole creazione di apparenze. Anche questa è una macchia avventizia. Il fatto di creare apparenze di modi di esistenza impossibili non fa parte della natura della mente. Il continuum mentale è puro anche rispetto a questo.

Ricevere incoraggiamento dalla comprensione della natura di Buddha

Per interiorizzare e integrare veramente i tre ambiti sul piano del Dharma vero e proprio, questo è ciò su cui dobbiamo lavorare. Abbiamo bisogno di una forte convinzione nel fatto che i tre obiettivi del lam-rim siano raggiungibili, e che noi stessi possiamo raggiungerli. Se ci pensate, abbiamo discusso insieme gli insegnamenti sulla natura di Buddha – i fattori compresi in ogni continuum mentale che rendono possibile l’illuminazione. Essi includono le qualità positive della mente, la nostra forza positiva e le nostre comprensioni, e la naturale e immacolata purezza della mente.
Gampopa inizia proprio con questo argomento nel suo testo 
Il prezioso ornamento di liberazione, perché la natura di Buddha è ciò che consente l’intero processo. Egli indica l’importanza di comprenderlo all’inizio per poter veramente sviluppare, a un livello sincero, tutti i successivi sentieri della mente. Comprendere la natura di Buddha ci dà certamente un incoraggiamento, e quindi dobbiamo esserne convinti. Questo è ciò di cui Nagarjuna stava parlando; in particolare, il tramite dell’ispirazione è ovviamente il guru, il nostro maestro spirituale.

In sintesi

Gli insegnamenti del lam-rim ci forniscono una mappa, mostrandoci come arrivare alla piena illuminazione a partire da dove siamo, per gradi. La maggior parte di noi, prima ancora di compiere il primo passo, inizierà a un livello di Dharma “light”, dove si cerca di usare gli insegnamenti buddhisti per migliorare la vita presente.
Non c’è assolutamente nulla di sbagliato in questo, perché è semplicemente naturale per noi voler migliorare la nostra vita. Tuttavia, non dovremmo confondere il Dharma “light” con il Dharma vero e proprio, che si occupa come minimo del benessere delle nostre vite future.
Partendo da questa base di Dharma vero e proprio possiamo lavorare pian piano attraverso i vari gradi, per come sono presentati, fino a quando non diventeremo un Buddha e potremo davvero aiutare gli altri.

La convinzione nel Dharma

Ripasso dei punti principali del lam-rim

Il lam-rim è diviso in tre livelli, ciascuno con diversi stati mentali, e questi agiscono come percorsi che ci permettono di raggiungere l’illuminazione. Tale struttura è stata inizialmente formulata da Atisha, un grande maestro indiano dell’XI secolo che è stato determinante nel portare il Dharma per la seconda volta dall’India in Tibet. Atisha presentò i suoi insegnamenti in un testo chiamato La lampada per il sentiero verso l’illuminazione (scr. Bodhipatha-pradipa).
Possiamo far risalire la tradizione Kadam ad Atisha. Nel corso del tempo divenne frammentata e fu riformata da Tsongkhapa, diventando la tradizione Gelug. Quella Kadam ha influenzato anche le altre tradizioni, perché gli insegnamenti di 
lojong, o addestramento mentale, sono ampiamente insegnati e provengono principalmente dai lignaggi Kadam. Un altro esempio dell’influenza Kadam può essere visto con Gampopa – da cui si sono sviluppate molte tradizioni Kagyu – conosciuto come un grande maestro capace di unire le correnti Kadam e Mahamudra.
Atisha ricavò l’idea di questo schema per il lam-rim da un verso de 
Impegnarsi nella condotta del Bodhisattva di Shantideva (I.4), che recita:

Avendo ottenuto questo corpo dotato di tregue e ricchezze, così difficile da trovare, che può soddisfare i desideri di ogni essere, se in questa vita non concretizzo i suoi benefici, quando giungerà ancora una volta, in futuro, una tale dote perfetta?

L’espressione “ogni essere”, come spiega Atisha, si riferisce ai tre livelli di persona relativi ai tre livelli del sentiero.
Il livello iniziale include i seguenti argomenti: una sana relazione con un maestro spirituale, la nostra preziosa rinascita umana, la morte e l’impermanenza, le sofferenze dei tre reami peggiori, il rifugio o direzione sicura, le qualità del Buddha, del Dharma e del Sangha, una trattazione del karma e dell’evitare i comportamenti distruttivi.
Il livello intermedio presenta le sofferenze dei tre reami di rinascita più elevati e le sofferenze del samsara, o l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite nel suo complesso. Include una presentazione delle emozioni disturbanti, dei fattori mentali all’interno del contesto delle quattro nobili verità, e della vera causa della sofferenza. Abbiamo anche una spiegazione più specifica e dettagliata dei 12 anelli dell’origine dipendente, e di come le nostre emozioni disturbanti effettivamente generino la prima nobile verità, la vera sofferenza. Quindi sono presentati i tre addestramenti superiori – nell’autodisciplina etica, nella concentrazione, e nella consapevolezza discriminante – come il mezzo per uscire dal samsara e raggiungere la liberazione. Inoltre c’è una discussione sui voti monastici e dei laici, inclusa nella prospettiva dell’autodisciplina etica superiore. Tutto ciò rientra nel più generale quadro mentale della rinuncia (la determinazione a essere liberi) e costituisce il livello di motivazione intermedio.
Per quanto riguarda il livello avanzato, abbiamo insegnamenti sui vari metodi per sviluppare una finalità di bodhichitta. Abbiamo la meditazione di causa ed effetto in sette parti, che inizia sulla base dell’equanimità e riconoscendo innanzitutto che tutti sono stati nostre madri. Il secondo metodo consiste nell’eguagliare e scambiare l’atteggiamento verso noi stessi e quello verso gli altri, e include la pratica del “
tonglen” (dare e prendere). Tsongkhapa presentò un metodo di meditazione in 11 parti per combinare questi due modi di sviluppare la finalità di bodhichitta. In questo livello vi è anche la presentazione della presa dei voti del bodhisattva, e una spiegazione degli stessi. Abbiamo la pratica dei sei atteggiamenti lungimiranti, con una presentazione molto ampia del modo di raggiungere una stabilità mentale o concentrazione di vasta portata attraverso il conseguimento dello shamatha, uno stato mentale calmo e posato. L’elaborazione della consapevolezza discriminante di vasta portata è presentata in relazione agli insegnamenti sul modo di sviluppare la vipashyana, uno stato mentale eccezionalmente percettivo. Tutto ciò rientra nel livello avanzato degli insegnamenti.
Possiamo vedere, da questa rapida rassegna, che gli insegnamenti del lam-rim comprendono un’enorme quantità di materiale, e che questo rientrerebbe per intero nella sfera degli insegnamenti sutra – alla luce della distinzione fra sutra e tantra. Un qualche livello di competenza in tutte queste aree è un prerequisito imprescindibile per la pratica del tantra – e questo è un punto su cui tutte le tradizioni tibetane concordano.

I punti trattati nel lam-rim si trovano in tutte le tradizioni tibetane

È impossibile addentrarsi nei dettagli su ogni singolo punto poc’anzi enumerato, e ci sono molti altri testi che presentano questo materiale, diversi per lunghezza e per quantità di citazioni scritturali tratte da fonti indiane, a supporto degli insegnamenti e delle istruzioni. La versione più estesa è stata scritta da Tsongkhapa ed è intitolata Lam-rim chen-mo, o La grande presentazione degli stadi graduali del sentiero; in essa egli fornisce un’incredibile quantità di dettagli precisi riguardanti shamatha e vipashyana. La versione del quinto Dalai Lama offre una grande quantità di linee guida personali sulle meditazioni. Ci sono molte varianti e ogni testo ha le sue speciali caratteristiche individuali.
È importante sapere che l’intero materiale incluso nel lam-rim si trova in tutte le tradizioni del Buddhismo tibetano. L’unica differenza è il modo in cui la presentazione è strutturata. Ad esempio, Gampopa ha due modi di presentare il suo materiale. Nel suo 
Il prezioso ornamento di liberazione lo divide come segue: lo spiega in termini della causa, ovvero la discussione sulla natura di Buddha; continua presentando poi la preziosa vita umana, come la base supportante; affidarsi al maestro spirituale, come la condizione; le istruzioni del guru, come il metodo. Tutto è orientato verso le stesse cose che abbiamo nel lam-rim, con gli obiettivi di una migliore rinascita, della liberazione, e dell’illuminazione. Gampopa struttura poi i metodi nei termini di un superamento dei quattro ostacoli, e questo ricorda la presentazione Sakya dello stesso materiale nella forma del “Separarsi dai quattro modi di afferrarsi”. Nel suo modo di formulare il materiale, Gampopa offre la presentazione di quelli che sono indicati come i “Quattro Dharma di Gampopa”.
Nella tradizione Drigung Kagyu troviamo delle presentazioni che organizzano il materiale in termini di base, percorso, e risultato, e troviamo qualcosa di simile nella tradizione Sakya chiamata “Le tre visioni”. Ci sono: la visione impura, la visione dell’esperienza, e la visione pura. Alcune presentazioni combinano i “Quattro Dharma di Gampopa” con i tre livelli, e altre li combinano con i “Quattro modi di afferrarsi”. Un altro esempio è il testo di Patrul, 
Le parole del mio prezioso maestro, dove egli parla dei preliminari esterni e dei preliminari interni. Il tutto tratta lo stesso materiale, quindi non dovremmo avere nessuna visione settaria, pensando che la versione da noi studiata sia l’unica o la migliore. Alcune citazioni dalle fonti indiane potrebbero essere leggermente diverse, così come alcune istruzioni personali per la meditazione. Fondamentalmente, però, è tutto uguale.

I tre tipi di convinzione nei fatti

Abbiamo visto che è possibile capire il lam-rim all’interno del contesto delle quattro nobili verità, e che è assolutamente essenziale essere persuasi degli obiettivi, se davvero vogliamo essere in grado di procedere nel nostro sviluppo in linea con il Dharma vero e proprio. Possiamo derivare questa certezza da due cose. Una consiste nei tre tipi di ciò che di solito viene tradotto come “fede”. Penso che “convinzione nei fatti” sarebbe una traduzione migliore, perché non stiamo parlando di fede nel miglioramento del mercato azionario nella giornata di domani, o in qualcos’altro che non possiamo sapere. Stiamo parlando della convinzione in qualcosa che è vero, non della semplice fede in qualcosa che è impossibile da comprendere.
Per prima cosa abbiamo un 
tipo di convinzione purificatrice, qualcosa che purifica o calma la mente da ogni atteggiamento disturbante verso di essa. Ad esempio, essa calma la mente dall’indecisione, dal dubbio, e dalla paura. La paura potrebbe riguardare l’illuminazione, quando pensiamo: “Chi mai potrebbe conseguirla?”. Oppure potremmo sviluppare attaccamento, e pensare: “Wow, è incredibile, la voglio per me, per me, per me!”. La convinzione purificatrice calma tutto questo, e si ottiene sulla base del secondo tipo di convinzione, che è la convinzione basata sulla ragione. In altre parole, l’obiettivo del conseguimento della liberazione e dell’illuminazione è ragionevole. È logico, sensato, non è irrazionale o impossibile. Il terzo tipo è la convinzione con un’aspirazione, dove crediamo che tale obiettivo sia possibile e siamo in grado di raggiungerlo, e così aspiriamo a conseguirlo.
Grazie a questi tre tipi di convinzione nei fatti possiamo capire quanto sia essenziale essere convinti che gli obiettivi siano ragionevoli, che sia possibile raggiungerli, e che ciascuno di noi sia in grado di ottenerli. Nell’acquisire tale fiducia, le nostre menti si calmano e non hanno paure, dubbi o esagerazioni, e neppure siamo invidiosi di coloro che hanno raggiunto gli obiettivi, o arroganti dei nostri risultati.

I sedici aspetti delle quattro nobili verità

Un altro aspetto degli insegnamenti che sottolinea l’importanza della convinzione è lo studio dei sedici aspetti delle quattro nobili verità. Abbiamo già parlato di un arya, o “essere nobile”, cioè di qualcuno che ha una cognizione non concettuale della vacuità – in realtà non soltanto della vacuità, bensì è la cognizione non concettuale dei sedici aspetti delle quattro nobili verità. Qui non li elencherò; ce ne sono quattro per ciascuna delle verità, ma è importante studiarli e avere convinzione in essi. Abbiamo bisogno di convinzione nel fatto che il vero arresto è possibile, che la vera causa della sofferenza è l’inconsapevolezza, e che le menti-sentiero si libereranno davvero delle cause della sofferenza, per sempre. I sedici aspetti spiegano tutto questo e ci aiutano ad accumulare in noi la convinzione.

La convinzione nei veri arresti e nelle vere menti-sentiero come base per la direzione sicura (rifugio)

Sto indicando tutti questi dettagli per mostrare l’importanza e il beneficio del tentativo di integrare i diversi aspetti degli insegnamenti di Dharma nella nostra vita. Impegnarci in questo rafforzerà e approfondirà la nostra comprensione di ogni singolo punto contenuto nel Dharma. Se veramente prendiamo rifugio – in altre parole, se realmente diamo alla nostra vita la direzione sicura indicata dai Tre Gioielli (Tre Gemme Preziose): Buddha, Dharma, e Sangha – allora vorremo davvero muoverci in quella direzione.
Qual è la direzione del Gioiello del Dharma? È quella della terza e quarta nobile verità, o il vero arresto e le vere menti-sentiero nel continuum mentale di un arya. Dovremmo conoscere questa definizione. La terza e la quarta nobile verità non esistono da sé, lassù nel cielo: esistono, in realtà, sulla base dei nostri continua mentali. Si tratta dell’arresto, della rimozione permanente della sofferenza e delle sue cause da un continuum mentale – auspicabilmente il nostro. Le menti-sentiero sono la comprensione che condurrà a questo. I Buddha (il Gioiello del Buddha) sono coloro che hanno raggiunto appieno questi veri arresti e queste vere menti-sentiero. L’arya Sangha (il Gioiello del Sangha) li ha raggiunti in parte, ma non appieno.
Con quanta serietà prendiamo rifugio? È solo un “bla bla bla” in cui si taglia una ciocca di capelli e si riceve un nome tibetano? Oppure: in che cosa prendiamo rifugio, nel coniglietto pasquale? Il rifugio è una direzione sicura, quindi dobbiamo prenderlo in qualcosa che crediamo esista. Dobbiamo avere fiducia che esistano cose come i veri arresti e le vere menti sentiero, che esistano coloro che li hanno raggiunti, e che anche noi possiamo farlo. Abbiamo bisogno di fiducia nel fatto che ci siano degli stadi graduali nel modo di raggiungerli e che il Buddha li abbia effettivamente insegnati. Decideremo di andare in quella direzione quando siamo certi che è qualcosa che esiste realmente. Pertanto, quando aggiungeremo il bodhichitta, aspireremo ad arrivare a diventare noi stessi dei Buddha, per essere di beneficio per tutti.
All’inizio, il rifugio si trova nel contesto della liberazione. Quando ripetiamo un verso tibetano di motivazione, prima prendiamo rifugio o traiamo una direzione sicura dal Buddha, dal Dharma, e dal Sangha fino alla liberazione; e poi, con la forza positiva del donare e così via, raggiungiamo l’illuminazione per il beneficio di tutti. La prima parte ha a che fare con l’aspirazione alla liberazione. La seconda parte, bodhichitta, consiste nell’aspirare all’illuminazione. Dobbiamo passare attraverso questi stadi.
Quindi l’intera base per diventare una persona di livello iniziale, intermedio, e avanzato dipende da una convinzione molto fiduciosa nel fatto che sia possibile conseguire tali obiettivi. E questo è il percorso che porterà ad acquisire fiducia in essi. Tutto ciò che si trova all’interno del lam-rim deve essere compreso nel contesto dell’aspirazione alla liberazione o all’illuminazione. Questo è ciò che fa sì che una pratica sia una pratica buddhista nel contesto di una direzione sicura, perché ciò che distingue il Buddhismo dal non-Buddhismo è il rifugio. Se lo lasciamo da parte, il livello iniziale somiglia molto a qualsiasi altra religione. Vogliamo ottenere rinascite migliori, o vogliamo andare in paradiso. Questo non è specificamente buddhista!

La direzione sicura nelle Tre Gemme Preziose contraddistingue il Buddhismo

Ci sono molte pratiche buddhiste che sono condivise con tradizioni non buddhiste. La rinuncia, ossia la determinazione a essere liberi dall’esistenza terrena, è presente in varie tradizioni, e si trovano istruzioni complete per ottenere shamatha e vipashyana in molte delle tradizioni indiane non buddhiste. È possibile magari che non si concentrino sulla vacuità, ma certamente possiedono i metodi per raggiungere tali stati mentali. Ci sono inoltre delle versioni hindu del tantra che lavorano con i chakra, i canali, e le energie, proprio come accade nel Buddhismo.
Che cosa rende buddhista una qualsiasi di queste pratiche? L’amore e la compassione? No, perché questi si trovano in quasi tutte le altre religioni. L’affidamento a un maestro spirituale? No, poiché anche questo si trova in molte altre tradizioni. Il mantenimento della disciplina etica? No. L’ordinazione come monaci o monache? No. Lo svolgimento di rituali o puja? No, troviamo tutto questo in altri sistemi religiosi.
Quindi, che cosa rende buddhista una pratica? Possiamo leggere la risposta in tutti i testi: è la direzione sicura del rifugio. Questa non è un’affermazione banale. Non corrisponde a dire: “Il mio Buddha è migliore del tuo dio”, si tratta di una direzione sicura e della terza e quarta nobile verità, ossia il vero arresto della sofferenza, basato sul liberarsi delle sue cause per sempre, e le vere menti-sentiero che condurranno a esso. In altre parole, la vera liberazione.
Mentre altre religioni indiane potrebbero parlare di liberazione, dal punto di vista buddhista questa non è una completa liberazione, perché i praticanti di tali sistemi hanno ancora alcune emozioni disturbanti e alcuni problemi che la loro comprensione non ha dissipato. La nostra convinzione nel fatto che ciò che Buddha ha insegnato sia vero non può basarsi semplicemente sulla fede nel Buddha: “Questi sono veri perché il Buddha ha detto che sono veri”. La nostra fiducia deve basarsi sulla convinzione razionale che la liberazione indicata dai Buddha sia la vera liberazione. Questa convinzione deve quindi essere basata sulla ragione, in modo tale che la nostra mente sia ripulita da atteggiamenti disturbanti in relazione a questo punto. Non stiamo dicendo che la nostra liberazione sia migliore della loro. Non abbiamo arroganza o attaccamento al riguardo. Non abbiamo dubbi su di essa, e non ci muoviamo su un piano di testardaggine e chiusura mentale; non siamo neppure settari o invidiosi degli altri, né cerchiamo di competere con altri. Abbiamo il terzo tipo di convinzione, che è la convinzione nei fatti con un’aspirazione che tutto questo sia possibile e che lo faremo. Allora ecco che tutto, all’interno del lam-rim, comincia ad avere senso.

Esaminare la nostra motivazione

Dobbiamo esaminare la nostra motivazione per vedere se il nostro è un approccio di Dharma “light”. Attraverso i metodi del Dharma stiamo cercando di migliorare soltanto questa vita, o stiamo pensando a quelle future? Abbiamo un’idea di che cosa significhi realmente l’illuminazione, e se sia possibile ottenerla?
Se il Dharma “light” è la nostra bevanda, non c’è colpa o giudizio a riguardo. Va assolutamente bene. È da qui che la grande maggioranza degli occidentali inizia, e deve iniziare, visto il contesto da cui proveniamo. Se stiamo lavorando con il Dharma “light”, è davvero importante sapere che il Dharma vero e proprio è qualcosa di diverso, e dovremmo rispettarlo. Dovremmo sperare che in futuro saremo in grado di affrontare il Dharma vero e proprio. Se torniamo alla nostra analisi della motivazione, dobbiamo essere certi dei tre obiettivi “Veri e Propri”.
Ora facciamo un passo in avanti. C’è in noi un sentimento emotivo che ci porta a voler raggiungere questi obiettivi. Potremmo credere che siano possibili le rinascite migliori, la liberazione, e l’illuminazione, ma avere una tremenda resistenza a lavorare effettivamente per uno di questi. Quindi, una volta compreso che è possibile raggiungere tutti e tre gli obiettivi, dobbiamo lavorare sulle nostre forze motrici emozionali che ci permetteranno di rimboccarci le maniche e fare qualcosa per conseguirli. Per trasformare il Dharma “light” in Dharma vero e proprio dobbiamo quindi lavorare su due dimensioni. Una è la comprensione, e l’altra è l’aspetto emotivo. Nessuna delle due può essere ignorata. Entrambe sono ugualmente importanti.

Chi siamo e che cosa vogliamo?

La terminologia utilizzata nel lam-rim ha un particolare significato, quando parliamo di “persone”. Che tipo di persona siamo? Una persona cui premono solo la ricchezza, l’amore, e così via, di questa vita? Una persona che veramente pensa nella prospettiva delle vite future, assicurandosi che non peggiorino, in modo da avere l’opportunità di continuare il nostro sviluppo spirituale? Una persona che si adopera per superare tutta la sofferenza e conseguire la liberazione?
Ricordiamoci che la liberazione è la liberazione dall’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, mentre quella del Dharma “light” è solo la liberazione dall’incontrollabile ricorrenza dei problemi in questa vita. Stiamo veramente aspirando all’illuminazione per il beneficio di tutti, di ogni singolo individuo nell’universo? Sono inclusi tutti gli insetti, a pari diritto! È qualcosa di vasto. Questo è ciò che chiamiamo “Mahayana”: un veicolo mentale vasto. Tali obiettivi definiscono il tipo di persona che siamo, ed è un punto importante. Lavorare per questi obiettivi modella la nostra vita sicuramente molto più della nostra nazionalità, occupazione, o sesso. Ciò di cui si occupa il lam-rim è il tipo di persona che siamo.
Dobbiamo quindi porci questo tipo di domande, per vedere che cosa modella la nostra vita. Se non lo facciamo, il nostro studio del Dharma diventa simile a quello di una cosa qualsiasi, e magari diventerà interessante e di qualche utilità, come lo è imparare a riparare un’auto. Potrebbe essere divertente e utile, a volte, ma non modellerà tutta la nostra vita. Ciò che la modella è lavorare per diventare questi tre tipi di persone, in un ordine graduale.

Essere onesti con noi stessi

Mi torna alla mente una frase de L’addestramento mentale in sette punti, un insegnamento di lojong, dove Geshe Chaykawa inserisce, come uno dei modi per misurare il nostro successo nell’addestrare la nostra mente: “Se, tra i due testimoni, io prendo il principale”. Ciò si riferisce al fatto che, tra coloro che possono testimoniare e valutare il nostro livello di motivazione e sviluppo spirituale, ossia gli altri o noi stessi, siamo noi stessi a conoscerlo effettivamente. Noi sappiamo se siamo onesti con noi stessi. Stiamo davvero lavorando per liberare ogni insetto dell’universo oppure no, quando recitiamo con grande facilità: “Possa io raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti”? Chi stiamo prendendo in giro? C’è qualcuno che lo dice sul serio, o pensa a che cosa effettivamente significhi? Siamo noi stessi a essere in grado di valutarci al meglio. Dobbiamo farlo senza colpa o giudizio, da un lato, e senza compiacimento, dall’altro, pensando: “Ok, questo è il punto in cui mi trovo, e basta così. Sono una persona arrabbiata e con un brutto carattere, quindi è il caso che gli altri ci si abituino”. Piuttosto, cerchiamo di coltivare un atteggiamento tale per cui pensiamo: “Questo è il punto in cui mi trovo ora, ma vorrei cercare di progredire”.
Ma cosa succede quando abbiamo domande quali: “Sono pronto per questo tipo di pratica?”. È qualcosa che è appropriato chiedere ai nostri insegnanti, oppure possiamo effettivamente valutarlo da soli? Ovviamente possiamo chiedere il parere dei nostri maestri: nessuno direbbe che non dovremmo consultarli. Ma nel domandarci, “Ho superato il mio egoismo?”, chiediamo a qualcun altro o ci valutiamo da soli?
La questione si fa quindi un po’ più complessa. A volte non siamo del tutto consapevoli di come interagiamo con gli altri e quindi abbiamo bisogno di un commento su di noi, anche se può essere difficile trovare qualcuno che sia obiettivo. Potremmo chiedere: “Mi sto comportando in modo egoista nella nostra relazione?”. E l’altra persona potrebbe avere le sue strategie e modalità emotive. In fin dei conti, noi stessi siamo i giudici migliori per valutare se ci stiamo comportando in modo egoista o meno. Sulla base dei nostri sentimenti o dei commenti degli altri, ci valutiamo. È più facile essere obiettivi su noi stessi che sugli altri, perché conosciamo meglio noi stessi.

Superare la resistenza emotiva al cambiamento

Ma, come già detto, anche se vogliamo cambiare e migliorare noi stessi, incontriamo spesso una resistenza emotiva. Per superarla, abbiamo bisogno di approfondire la nostra analisi della confusione che sta dietro questa resistenza, e cercare di scoprire che cosa la stia causando. Se lasciamo la nostra analisi al livello che è comune a tutte le scuole buddhiste indiane, la confusione è la nostra credenza in un “io” conoscibile in modo autosufficiente. Questa confusione è ciò che crea resistenza, e quindi dobbiamo iniziare a smontare questo “io”. Questo è un “io” che può essere conosciuto tutto da solo, come in: “Non voglio raggiungere l’illuminazione; non voglio aiutare gli altri”. Sembra che ci sia un “io” per conto proprio, che non vuole praticare.
È una mente che non vuole praticare? O è la pigrizia? Che cos’è esattamente? Pensiamo in termini di “io”, come in: “Non voglio praticare”, ma questo “io” è solo attribuito ad una mente che contiene pigrizia, paura, insicurezza, e altri fattori mentali. Se vogliamo riferirci all’intero complesso di una mente e dei fattori mentali, delle emozioni e insicurezze, possiamo indicarlo in termini di “io”. Si ha davvero l’impressione che “io” non voglio praticare.
Ma questo “io” non esiste tutto da solo, può essere conosciuto solo nel contesto di queste altre cose. Per cambiare la situazione e superare la nostra resistenza alla pratica, se pensiamo a noi stessi in termini di un “io” autosufficiente conoscibile, allora in qualche modo dobbiamo impedire a tale “io” di resistere. È come se potessimo gridare a noi stessi: “Dai, smettila di comportarti in quel modo”, o punirci e costringerci a praticare. Questo non funziona. Si basa su un’idea sbagliata di “io”.
Quindi è importante indirizzare i nostri antidoti in modo corretto, e non verso un “io” conoscibile in modo autosufficiente, perché non esiste. Dobbiamo indirizzare gli antidoti verso i vari fattori mentali e le diverse emozioni disturbanti su cui è etichettato l'”io”. Dobbiamo dunque usare i perfetti metodi del Dharma per lavorare sulla nostra paura, pigrizia, insicurezza, e così via, che sono diventate la base per etichettare un “io” che non vuole praticare. Una volta eliminate, troviamo una base per etichettare un “io” che vuole praticare con entusiasmo, e così via. Questo è il modo in cui possiamo applicare l’analisi della vacuità. Non è eccessivamente intellettuale o difficile; è solo questione di capire di che cosa si tratta, e come applicarla in modo pratico.

In sintesi

Chi siamo e che cosa vogliamo? In verità non è una domanda facile, e per affrontarla ci vuole tempo per esaminarci in modo onesto. Sia che finiamo per essere contenti del Dharma “light”, sia che ci impegniamo per i livelli di motivazione iniziale, intermedio o avanzato, per lo meno sapremo dove ci troviamo. In fin dei conti, siamo i migliori testimoni di noi stessi.
Come abbiamo visto, il rifugio o direzione sicura è ciò che distingue il Buddhismo dalle altre tradizioni spirituali. La direzione sicura è in realtà la porta di accesso a tutti gli insegnamenti buddhisti e l’inizio di un viaggio per eliminare le emozioni disturbanti, impegnarci nel miglioramento di noi stessi, e percorrere il sentiero verso lo stato di Buddha.

La mente, priva di inizio e fine

La necessità del Dharma “light” prima del Dharma vero e proprio

Quando lavoriamo sul sentiero del bodhisattva stiamo cercando di superare la nostra preoccupazione egoistica, e di avere interesse solo per gli altri. Tuttavia non supereremo tutte le nostre emozioni disturbanti finché non diventeremo un arhat, un essere liberato. Fino ad allora avremo sicuramente un certo livello di preoccupazione egoistica, senza alcun dubbio. Ma non c’è bisogno di sentirsi in colpa, perché per lo meno stiamo cercando di lavorare su questo aspetto. Stiamo cercando di diminuirlo e di far sì che gli altri esseri siano la nostra preoccupazione principale. Dobbiamo quindi essere realistici riguardo al sentiero del bodhisattva.
Stiamo lavorando per applicare la stessa analisi, [spostando la nostra concentrazione] dal preoccuparci soltanto di questa vita all’occuparci di quelle future, della liberazione, e dell’illuminazione. Non è realistico pensare che non avremo alcuna preoccupazione per le cose di questa vita, quindi quando parliamo di Dharma “light” e di Dharma vero e proprio non ci riferiamo a due approcci contraddittori, che si escludono a vicenda. C’è un continuum tra i due.
Quantomeno per noi occidentali, la preoccupazione per questa vita sembra essere lo stadio numero zero, e su questa base possiamo costruire gli stadi uno, due, e tre del lam-rim. È proprio come lo stadio zero dell’equanimità, sulla base della quale abbiamo poi la meditazione di causa ed effetto in sette parti per il bodhichitta. Perché abbiamo bisogno di questo stadio zero? Ebbene, sono certo che molti di noi conoscono svariate persone che non provano nemmeno a lavorare su sé stesse e a migliorare questa stessa vita. Magari hanno disperatamente bisogno di una terapia e non prendono neppure in considerazione di seguirla, quindi figuriamoci se prendono in considerazione la possibilità di rivolgersi al Dharma “light”! Abbiamo dunque bisogno di questo passo del Dharma “light” e, come con la preoccupazione per noi stessi rispetto ad avere interesse per gli altri, col tempo cerchiamo di ridurre la nostra preoccupazione principale per questa vita soltanto, e di aumentare il nostro interesse per quelle future. Tuttavia ci sarà sempre qualche preoccupazione per questa vita e, come dice Sua Santità il Dalai Lama: “50/50”, ossia, ci concentriamo per il 50% su questa vita, e per il 50% su quelle future e oltre.

Il Dharma vero e proprio: il nostro continuum mentale come sede delle quattro nobili verità

Addentrandoci nel Dharma vero e proprio, ritorniamo ancora alle quattro nobili verità, che sono: le vere sofferenze, le vere cause delle sofferenze, i veri arresti delle sofferenze e delle loro cause, e le vere menti-sentiero che conducono a questi. Qual è la sede delle quattro nobili verità? La loro collocazione è il continuum mentale di un individuo.
La sofferenza deve aver luogo in un continuum mentale. Il terzo tipo di vera sofferenza si riferisce agli aggregati che si ripetono incontrollabilmente, vita dopo vita, che costituiscono il nostro continuum mentale. Formano la base per provare i primi due tipi di sofferenza, ossia l’infelicità e la nostra felicità ordinaria, che sono esperienze nel nostro continuum mentale.
Quando parliamo dei cinque aggregati, stiamo parlando in generale del corpo e della mente, o, più specificamente, dei nostri tipi di coscienza sensoriale e mentale, dell’input sensoriale che percepiamo, e di tutti i fattori mentali – come le emozioni, le sensazioni, gli atteggiamenti, e così via – che costituiscono ogni momento della nostra esperienza. Nascono dalla nostra confusione circa la realtà, sono mescolati a tale confusione in ogni istante, e, a meno che non facciamo qualcosa al riguardo, continueranno a perpetuare la confusione sempre di più.
Le vere cause della sofferenza sono la confusione circa la relazione causa-effetto e circa il modo in cui noi stessi esistiamo, e tutto il resto esiste. La confusione si manifesta ovviamente come parte di un continuum mentale. Quando siamo confusi, o semplicemente inconsapevoli, circa la relazione causa-effetto di tipo comportamentale, agiamo in modo distruttivo. Quando non siamo consapevoli della realtà, agiamo in modo distruttivo o costruttivo, ma entrambe le modalità sono mescolate alla confusione. Anche quando agiamo in modo neutro, per esempio grattandoci la testa, quell’atto è mescolato a essa. Questa confusione o inconsapevolezza produce emozioni disturbanti e noi agiamo in base ad esse in modo compulsivo, con il risultato di generare più sofferenza. Con tale meccanismo vediamo che le vere cause della sofferenza sono contenute negli aggregati, e ciascun istante degli stessi è ciò che costituisce la continuità della nostra esperienza.
Qui abbiamo la relazione di causa ed effetto. Le cause della sofferenza sono le emozioni disturbanti e il nostro agire compulsivamente in base ad esse, e il loro effetto, cioè la sofferenza, arriva in un momento successivo. L’esperienza della sofferenza, ossia l’infelicità o l’ordinaria e insoddisfacente felicità di breve durata, fa parte del nostro aggregato di quel momento. Così, sia la prima che la seconda nobile verità, ossia la vera sofferenza e le loro vere cause, avvengono entrambe in un continuum mentale e costituiscono il lato disturbante delle quattro nobili verità.
Il lato purificatore delle quattro nobili verità è costituito dalle seconde due nobili verità. Sviluppiamo la vera mente-sentiero o, in parole semplici, una comprensione della realtà, e anche questa si verifica in un continuum mentale come parte degli aggregati che compongono ogni momento dell’esperienza. Il risultato non è costituito dai veri arresti in sé stessi, perché il continuum mentale non è mai stato effettivamente contaminato da questi problemi. Il risultato delle vere menti-sentiero è, piuttosto, il conseguimento dei veri arresti – e non i veri arresti in sé stessi. Questa è una piccola differenza di carattere tecnico. Il punto qui è che per il lato liberatore abbiamo anche una sequenza causale tra le vere menti-sentiero e il raggiungimento dell’eliminazione delle prime due nobili verità.
In breve, la collocazione e base delle nobili verità è un continuum mentale individuale che ha sequenze di momenti, i cui contenuti sono legati da relazioni di causa ed effetto. Non è difficile mettere in relazione questo con la nostra esperienza. Ad esempio, se urtiamo il piede contro un tavolo, questo è seguito da un momento in cui proviamo dolore. I contenuti di questi due momenti sono correlati e si verificano nel continuum della nostra esperienza individuale.

I limiti temporali delle relazioni di causa ed effetto

Ora potremmo chiederci: quali sono i limiti delle relazioni di causa ed effetto? Quanta distanza ci può essere, nel tempo, tra una causa e il suo effetto? Ebbene, nelle nostre vite ordinarie possiamo vedere una distanza abbastanza considerevole tra le azioni causali e il loro effetto. Investo denaro in un mercato azionario, per esempio, e anni dopo guadagno o perdo molti soldi. Non è che io guadagni o perda soldi nel momento immediatamente successivo a quello in cui investo. Non è come sbattere il piede e sentire immediatamente il dolore. Quindi, c’è un limite? Questa è, in realtà, una delle leggi del karma: non c’è limite al tempo che intercorre fra una causa comportamentale e il suo effetto. A un certo punto, qualunque cosa compiamo maturerà in un effetto, a meno che non lo purifichiamo.
Ciò ci conduce in modo naturale al tema seguente: il continuum mentale è limitato a questa vita soltanto, oppure c’è di più, sia prima che dopo? Di certo in noi sorgono dei dubbi, perché neanche gli scienziati possono definire chiaramente e stabilire il momento esatto in cui il continuum mentale di questa vita inizia e finisce. L’intera questione dell’aborto e della contraccezione ruota intorno al momento in cui la vita ha effettivamente inizio. Per quanto riguarda la morte, siamo morti quando siamo cerebralmente morti, o quando abbiamo un arresto cardiaco? Gli scienziati non possono concordare su nulla di tutto ciò. E poi, quando saremo morti, ci sarà solo una vita futura, in paradiso o all’inferno? È quella la fine, o si procede oltre? Se consideriamo la maggior parte delle religioni, il paradiso e l’inferno ci sono sicuramente, e di solito siamo parcheggiati nell’uno o nell’altro per sempre, senza fine. Quindi rimane la domanda: quando inizia il continuum mentale? Viene creato a un certo punto, o no?

La vacuità di causa ed effetto

Ciò solleva la questione della vacuità di causa ed effetto. Può un effetto giungere da una totale assenza di cause? Giunge da sé? Come giunge? Nel Buddhismo esiste un esame molto dettagliato della vacuità di causa ed effetto. Ad esempio, se le cose dovessero giungere dal nulla, allora qualsiasi cosa potrebbe accadere in qualsiasi momento. Se non ci fosse alcun senso al livello di ciò che ci accade, neanche la relazione tra urtare il piede contro un tavolo e provare dolore, il primo come causa dell’altro, sarebbe necessariamente valida.
Un altro punto oggetto di analisi è: il risultato esiste già al tempo della causa? In altre parole: se qualcosa emergesse da sé, sarebbe come se tutto fosse predeterminato. Tutte le cose ci sarebbero già, e sarebbe solo una questione di manifestazione delle stesse. Se questo fosse vero, allora non avrebbe alcun senso il fatto che le cose sono impermanenti e cambiano di istante in istante, e sono influenzate da quanto è giunto un momento prima. Tutto esisterebbe già, e sarebbe semplicemente manifesto o non manifesto, come se tutto accadesse in un solo momento. Allora il tempo non esisterebbe. Con la predeterminazione, si intende che tutto ciò che è passato, presente, e futuro accade allo stesso tempo.
Inoltre, possiamo compiere un’analisi dal punto di vista del sorgere dipendente. Se prendessimo in esame un fenomeno e lo esaminassimo in base a ciò che è giunto prima, lo chiameremmo “risultato”. Se lo osservassimo in base a ciò che ne consegue, lo chiameremmo “causa”. L’esistenza di qualcosa come causa o effetto dipende dal continuum. La mia esperienza di oggi è il risultato della mia esperienza di ieri ed è la causa della mia esperienza di domani. Nulla esiste dalla sua parte in modo indipendente come causa o come effetto: al contrario, è solo in relazione a ciò che viene prima o dopo. Di conseguenza, è possibile avere qualcosa come il momento della morte, il risultato cioè di qualcosa di precedente, che non è la causa di qualcosa dopo? L’analisi della vacuità di causa ed effetto evidenzia proprio questo punto.
In breve, per essere persone di livello iniziale che lavorano per assicurarsi di continuare ad avere preziose rinascite umane, con la possibilità di procedere sul sentiero spirituale, dobbiamo essere convinti della rinascita. Per questo, abbiamo bisogno di avere una qualche comprensione del continuum mentale che è senza inizio e senza fine, e del modo in cui funziona in termini di causa ed effetto. In altre parole, per liberarci per sempre delle vere sofferenze e delle loro cause dobbiamo vedere come queste vere cause si siano accumulate da un tempo senza inizio, e non in questa vita soltanto. Per ottenere veri arresti e vere menti-sentiero dobbiamo lavorare con la loro base, ossia i nostri continua mentali; e, poiché il conseguimento della liberazione e dell’illuminazione richiederà un grande sforzo per un lungo periodo di tempo, dobbiamo concepire questo processo nella prospettiva di un numero enorme di vite future.

In sintesi

Se non crediamo nelle rinascite future, non avrà molto senso per noi addentrarci nel Dharma vero e proprio. Il lam-rim presuppone la convinzione nelle vite future, e gli insegnamenti si basano su di essa. Per comprendere tutto ciò, è d’obbligo per noi studiare e contemplare la natura della nostra mente.
Se esaminiamo la relazione di causa ed effetto, e il modo in cui la nostra mente funziona nella normale vita di tutti i giorni, giungeremo alla conclusione che il nostro continuum mentale non soltanto è senza inizio, ma anche senza fine. La convinzione in questo ci costringerà a pensare alle nostre vite future e a ciò che possiamo fare per esse, ora.
Questi argomenti sono molto difficili da capire, ma costituiscono il percorso attraverso il quale possiamo convincerci che i tre obiettivi del lam-rim sono raggiungibili e che noi stessi possiamo ottenerli. Una volta che ne siamo convinti, possiamo lavorare allo sviluppo della forza emotiva che ci spinge a lavorare concretamente per raggiungere questi obiettivi.

Generare in noi stessi l’interesse per le vite future

Nessuna identità permanente di “me” di vita in vita

Basandoci sulla considerazione dei punti precedentemente analizzati, e su moltissimi altri che potrebbero essere discussi, arriviamo gradualmente ad accettare che abbiamo avuto vite passate senza un inizio e che ci saranno anche infinite vite future. Il nostro continuum mentale non ha avuto un inizio e non avrà una fine. Pertanto, per lavorare al conseguimento di uno dei tre obiettivi del lam-rim – migliore rinascita, liberazione dalla rinascita, e illuminazione – dobbiamo agire sul nostro continuum mentale per rimuovere per sempre il lato ingannevole delle quattro nobili verità, e coltivarne il lato purificatore, anche se ciò richiede un’enorme quantità di tempo e un numero enorme di rinascite.
A livello grossolano, le forme di vita, le vite, e le abilità che la nostra attività mentale manifesterà in ciascuna rinascita saranno ovviamente diverse. Ad esempio, da vermi, ovviamente non avremo un’attività e capacità mentale con la stessa forza di quella di un cervello umano. I vari tipi di abitudini associate alle varie forme di vita, come lo scodinzolare quando siamo felici, o qualcos’altro, sono tutti influenzati dal karma. In altre parole, sono condizionati dai tipi di comportamento cui abbiamo aderito e dalle conseguenze karmiche rimaste dopo tali azioni. Pertanto, non esiste un’identità permanente di “me stesso”.
L’identità, in questo caso, si presenta nei termini di un’identificazione con una specifica esistenza che abbiamo. E questo è diverso dall’individualità. Manteniamo sempre la nostra individualità, qualunque sia la forma di vita che assumiamo: io non divento te. Però non esiste una mia identità permanente quale messicano, tedesco, essere umano, pollo, maschio, femmina, o altro. Pertanto, potremmo sperimentare la rinascita in qualsiasi forma di vita; tutto dipende dal modo in cui agiamo. Tuttavia, la nostra attività mentale soggettiva e individuale continuerà.

Apprezzare la nostra preziosa rinascita umana

Ora abbiamo questa preziosa rinascita umana. Non siamo galline. Non stiamo morendo di fame. La maggior parte di noi non è affetto da gravi handicap. Non siamo in una situazione in cui gli insegnamenti buddhisti non sono disponibili, né ci troviamo dove sono proibiti o contro la legge. Nel livello iniziale, abbiamo delle meditazioni sulla preziosa rinascita umana che acquisiscono significato solo se prendiamo in considerazione l’esistenza di un’enorme quantità di altre possibilità di ciò che avremmo potuto essere o avremmo potuto vivere in questa vita. Come diceva uno dei miei insegnanti, Geshe Ngawang Dhargyey: dati tutti i tipi di potenziale karmico di cui disponiamo, è meglio per noi considerarci in una breve vacanza dai regni inferiori, e pensare che il nostro tempo in vacanza sia quasi terminato. Quindi, mentre siamo in questa breve vacanza, non dovremmo passare il tempo limitandoci a scattare delle foto al reame umano. Dobbiamo trarre il massimo vantaggio dal fatto di avere questa rinascita umana incredibilmente preziosa.
Qual è il più grande vantaggio che abbiamo a essere degli umani? La nostra intelligenza. Abbiamo una consapevolezza discriminante che è in grado di distinguere tra ciò che è utile alla pratica e ciò che è meglio evitare. Solo in quanto esseri umani abbiamo questo tipo di consapevolezza discriminante. La morte arriverà da un momento all’altro ma, se non abbiamo la convinzione che dopo la morte ci sarà una vita successiva, quando moriremo sarà la fine. E va bene, sarà tutto finito. Quindi non sarà poi così importante avere consapevolezza della morte.

La consapevolezza della morte e del tipo di rinascita che potrebbe seguire

Dobbiamo prendere molto seriamente il fatto che abbiamo questa incredibile opportunità di una preziosa rinascita umana, e che finirà sicuramente, anche se non abbiamo idea di quando accadrà. Dopo che moriremo, continuerà, e la domanda è: poi cosa succede? Se pensiamo in termini di un continuum mentale senza inizio e senza fine, la quantità di tempo in questa vita è molto, molto breve. Sebbene gli scienziati possano cambiare idea nel giro di pochi anni, anche se pensiamo in relazione alla vita dell’universo, dal momento del big bang fino alla fine dell’universo stesso, questa vita non è nulla. È così breve. Razionalmente, quindi, c’è molto più tempo dopo questa preziosa rinascita umana che durante, e ha più senso quindi avere una preoccupazione maggiore per il lungo periodo di tempo dopo questa vita, piuttosto che prestare attenzione a questa breve esistenza. Ovviamente, ciò che ci rimane di questa vita è parte di ciò che deve ancora venire, e dobbiamo prestare una certa attenzione anche a questo. Ma l’intero scopo del livello iniziale consiste nell’avere in noi l’attenzione e l’interesse principali focalizzati sulle vite future.
Ora stiamo iniziando ad apprezzare il Dharma vero e proprio. Se siamo davvero convinti della rinascita, dobbiamo prendere queste cose sul serio. Se lo facciamo, la preziosità di questa vita umana presente emerge enormemente. È incredibile avere questa opportunità, e le libertà di lavorare in modo effettivo per migliorare la nostra condizione. Se apprezziamo davvero questa preziosa rinascita umana, che cosa vorremo in futuro? Vorremo essere in grado di avere altre preziose rinascite umane.

La direzione sicura come il mezzo per ottenere rinascite migliori

Se andiamo nella direzione sicura del Buddha, del Dharma, e del Sangha, ci muoviamo nella direzione dei veri arresti e dei veri sentieri della mente nel nostro continuum mentale – veri arresti e veri sentieri che non abbiamo ancora raggiunto. Tuttavia, se prendiamo tale direzione, essa ci proteggerà dai peggiori stati di rinascita che temiamo. Ci renderemo conto che, per andare veramente in quella direzione, e raggiungere gli obiettivi del conseguimento di veri arresti e vere menti-sentiero, abbiamo bisogno di preziose rinascite umane, più e più volte. È probabile che non riusciremo a raggiungere i veri arresti e le vere menti-sentiero in questa vita, quindi dobbiamo assicurarci di continuare ad avere preziose vite umane. In questo modo possiamo continuare e procedere sempre più in questa direzione sicura.

Raggiungere lo stato di arya

Nel lam-rim si legge che aspiriamo a una rinascita migliore, come esseri umani o come dèi. Se la preziosa vita umana è così importante, perché si dice questo? È una questione che si lega a un punto molto complesso contenuto in un testo chiamato Ornamento per le chiare realizzazioni (scr. Abhisamayalamkara), di Maitreya. In esso troviamo una lista di venti Sangha, e qui “Sangha” si riferisce all’“arya Sangha”. Ci sono molti livelli mentali con cui possiamo raggiungere un vero arresto mediante le vere menti-sentiero – che chiamiamo anche “sentiero del vedere”. Un sentiero mentale del vedere è una mente che ha cognizione non concettuale dei sedici aspetti delle quattro nobili verità. In altre parole, possiamo raggiungere lo stato di un arya con molti diversi livelli di mente concentrata, e quindi i venti Sangha si riferiscono a venti tipi di arya, distinti in base al livello di mente concentrata che hanno con la loro cognizione non concettuale.
Fra tali livelli di concentrazione ci sono vari 
dhyana, e questi sono dei livelli di stabilità mentale estremamente avanzati. I distinti livelli corrispondono ai diversi livelli dei reami degli dèi. Se sviluppiamo attaccamento per uno di questi stati di stabilità mentale, rinasceremo nel reame divino che vi corrisponde, e avremo il forte istinto di raggiungere nuovamente quel tipo di stabilità mentale. Pertanto, teoricamente, se rinasceremo in uno di questi reami degli dèi, all’interno di quel reame sarà possibile sviluppare un livello di stabilità mentale che ci consentirà, se abbiamo sviluppato altri istinti attraverso una grandissima quantità di altre pratiche, di raggiungere lo stato di un arya. È questo il motivo per cui parliamo di ambire a una rinascita migliore come esseri umani o dèi. Non è soltanto perché gli dèi si divertono e godono di tanti piaceri!
Il punto principale è questo: quando pensiamo a una direzione sicura, miriamo a questo stato di arya e oltre. Ambiamo a veri arresti e vere menti-sentiero e, dato che teoricamente è possibile ottenerli sulla base di una rinascita come dèi, questo tipo di rinascita risulta qui inclusa. Tuttavia, di fatto ambiamo a una preziosa rinascita umana, perché questa è la condizione più favorevole per il conseguimento dello stato arya ed è quella da cui è più facile raggiungerlo. L’intero scopo di una migliore rinascita non coincide affatto con l’obiettivo non buddhista di andare in paradiso o nei cieli. L’obiettivo buddhista consiste nell’essere in grado di continuare ad avere una base di lavoro con cui poter ottenere la liberazione e l’illuminazione.

Il karma: evitare comportamenti distruttivi

Il passo successivo consiste nel pensare: in che modo, esattamente, si ottiene una preziosa rinascita umana nelle vite future? Questo ci conduce a un approfondimento della questione del karma, perché, per assicurarci effettivamente altre preziose rinascite umane, dobbiamo astenerci dall’agire in modo distruttivo e iniziare a comportarci, invece, in modo costruttivo. Magari potremmo essere veramente interessati a ottenere preziose rinascite umane in futuro, ma non voler smettere di agire in modo distruttivo! Quindi ora dobbiamo acquisire una convinzione nel fatto che il comportamento distruttivo conduca all’infelicità, e quello costruttivo maturi invece nella forma della felicità.
Ci siamo mai chiesti perché? Voglio dire: se fossimo veramente convinti che agire in modo distruttivo ci provocasse infelicità, miseria, e sofferenza, non ci comporteremmo in modo distruttivo. Quindi è evidente che non ne siamo convinti. Quando lo saremo, dovremo anche comprendere il meccanismo che permette alla maturazione della felicità e dell’infelicità di compiersi nell’arco di molte vite. Di solito c’è un lungo intervallo temporale tra le nostre azioni distruttive e i loro effetti di maturazione, e questo discorso ci riporta al tema del continuum mentale, che è senza fine.

In sintesi

Non c’è dubbio che durante una preziosa rinascita umana abbiamo libertà e ricchezze. Siamo intelligenti, abbiamo accesso a molte informazioni, e possiamo compiere liberamente le nostre scelte. Tuttavia, non durerà per sempre. Questa vita umana è come una breve vacanza piacevole che può interrompersi in qualsiasi momento.
Quando veramente ci rendiamo conto del fatto che moriremo e che il nostro continuum mentale continuerà, non abbiamo altra scelta che pensare alle nostre vite future. La maggior parte di noi lavora molto duramente soltanto per la futura vecchiaia, quindi perché non dovremmo pensare alle nostre future rinascite?

I diversi reami dell’esistenza e il karma

Comprendere la rinascita in forme di vita diverse da quelle umane o animali

Un argomento spesso tralasciato è quello delle sofferenze dei tre reami inferiori, o dei “tre reami peggiori”, come preferisco chiamarli. L’espressione tibetana, in realtà, è “tre reami cattivi”; il termine “cattivo”, però, mi sembra un po’ pesante, quindi li chiamo “peggiori”. Non c’è nessuna parola che si riferisce a questi reami come “inferiori”.
Ad alcuni piace creare una versione dei reami peggiori – e, anzi, dei sei diversi reami – di tipo Dharma “light”. Possiamo accettare l’esistenza di esseri umani e animali, e alcuni potrebbero accettare che ci siano fantasmi o spiriti. È un po’ più difficile farlo, tuttavia, con altre forme di vita. La versione Dharma “light” dice che i reami indicano, in realtà, degli stati psicologici o mentali degli esseri umani. Un aspetto degli insegnamenti precisa che, dopo la rinascita in uno di questi reami, nella successiva rinascita umana – se questa è ciò che segue – rimarrà un leggero residuo di quel tipo di esperienza. Quindi, in effetti, in un’esperienza umana c’è qualcosa di simile ai sei reami, ma questi non sono i sei reami veri e propri.
Nel Dharma vero e proprio, tutto si basa su un continuum mentale che è senza inizio e senza fine. Se esaminiamo ciò che viviamo in termini di quello che vediamo, suoni, sensazioni fisiche, felicità e infelicità, e così via, possiamo vedere che ci sono molti diversi parametri che influenzano e colorano la nostra esperienza, il nostro interesse e disinteresse, la nostra attenzione e la sua mancanza. Per ognuno di questi parametri parliamo di un intero spettro che spazia dal totale interesse al totale disinteresse, dalla piena attenzione alla sua assenza, dalla massima rabbia alla mancanza della stessa, e così via. Sperimentiamo sempre tutto in uno spettro come questo.
È il caso della vista, ad esempio: c’è un intero spettro di luce e, con il nostro hardware umano, siamo in grado di percepire solo una certa porzione di quello spettro. Non possiamo vedere la luce a infrarossi o ultravioletta, dobbiamo usare un hardware meccanico per percepirla. L’hardware di un gufo, ad esempio, è in grado di percepire cose che noi non riusciamo a vedere – nell’oscurità, per esempio.
Con l’hardware delle sue orecchie, un cane può udire suoni di frequenza più elevata rispetto alla capacità dell’orecchio umano. Il naso di un cane è molto più sensibile agli odori di quello umano. Questi punti sono piuttosto evidenti. Il semplice fatto che l’hardware del corpo umano non possa percepire una determinata porzione di uno spettro di informazioni sensoriali non implica che sia impossibile, per altri, percepirne delle parti che eccedono i nostri limiti. Il mero fatto che non possiamo vedere l’ultravioletto e l’infrarosso non implica che essi non esistano. Semplicemente, è necessario un hardware diverso.

Livelli di dolore e piacere oltre i nostri limiti umani

Il nostro continuum mentale individuale non è limitato dall’avere un particolare tipo di hardware che è connesso con un certo corpo, e la nostra attività mentale è in grado di percepire qualsiasi cosa in qualunque punto dello spettro. Se è così per quello della vista, dei suoni, degli odori, e così via, c’è una qualche ragione per cui non debba essere così per lo spettro del piacere e del dolore, della felicità e dell’infelicità? Se parliamo del piano delle sensazioni fisiche, con il nostro hardware umano, quando il dolore diventa troppo intenso, automaticamente ci spegniamo, per così dire, e perdiamo conoscenza. Questo non significa che non esistano quantità più elevate di dolore – è solo che il nostro hardware non è in grado di percepirle. Ha un meccanismo di sicurezza che prevede lo spegnimento.
Possiamo anche parlare dell’altro lato dello spettro, il piacere. Se lo analizziamo in modo oggettivo vediamo che, in modo simile, anche in questo caso nel nostro hardware abbiamo un meccanismo che distrugge o ferma il piacere quando raggiunge un certo livello. Se pensiamo al piacere sessuale, nel momento in cui arriva a un determinato livello siamo portati a terminarlo con un orgasmo. La stessa cosa vale per il prurito, che non è doloroso ma anzi è un piacere intenso. È così piacevole che dobbiamo eliminarlo, grattandoci.
E non è uno scherzo! Per un certo numero di anni ho sofferto di un prurito cronico: il cuoio capelluto e la fronte mi prudevano intensamente e per gran parte del tempo. I medici non riuscivano a capire cosa lo stesse causando. L’unico modo per me per conviverci era riconoscere che era un piacere, rilassarmi e godermelo. Sebbene ciò richiedesse un’enorme quantità di presenza mentale e concentrazione, quando ero in grado di farlo stavo bene e non ero disturbato dal prurito. Normalmente però, se abbiamo una puntura di zanzara, è già troppo e dobbiamo eliminare quella sensazione. Il corpo cerca automaticamente di disattivarla.
Seguendo questa linea di analisi, perché non può esserci l’hardware di un essere vivente che è in grado di percepire e provare lo spettro del dolore e quello del piacere andando oltre la nostra porzione? Non c’è una ragione logica per cui non debba esistere. La stessa cosa vale per lo spettro del fattore mentale della felicità e dell’infelicità, che non dobbiamo confondere con piacere e dolore. La felicità o l’infelicità possono accompagnare qualsiasi tipo di esperienza fisica o mentale. Possiamo provare il dolore di un forte massaggio con grande felicità perché dà sollievo al muscolo. Anche se fa male, siamo felici: nessun dolore, nessun guadagno! Felicità e infelicità costituiscono un parametro diverso da dolore e piacere, anche se queste due coppie sono simili. Perché? Se siamo veramente infelici, ci deprimiamo. E se siamo veramente depressi, che cosa facciamo? Ci togliamo la vita. Quindi il nostro hardware ha dei limiti nella quantità di infelicità che possiamo sopportare. Dunque, perché non potrebbero esserci una maggiore infelicità e una maggiore felicità, in entrambi i lati dello spettro, oltre la porzione che noi, esseri umani, possiamo tollerare?
Se è vero che i limiti ulteriori degli spettri possono essere percepiti dall’attività mentale, allora, connessi a essi, dovrebbero esserci anche il corpo e l’hardware appropriati e in grado di percepirli. Il nostro continuum mentale ha la capacità di sperimentare qualsiasi parte degli spettri e di generare l’hardware appropriato per essere in grado di percepirli. Come ho detto prima, il semplice fatto che il nostro hardware umano non sia in grado di fare esperienza di dolore o piacere estremi non prova che un altro hardware non possa riuscirci, o non esista. Questi reami e i loro ambienti esistono, nella realtà? Certo, esistono nella realtà tanto quanto il nostro reame umano esiste. Solo, non siamo in grado di percepirli – e con questo?

Prendere in seria considerazione la rinascita in diversi reami

Sto spiegando tutto ciò a partire dalla mia personale comprensione di questo argomento. Non ho sentito nessun altro esporlo in questo modo, ma lo ritengo un ragionamento sensato, e mi aiuta a prendere più seriamente gli altri reami. Lo ritengo ragionevole perché sto prendendo in considerazione il continuum dell’attività mentale e la sua capacità di sperimentare l’intero spettro della vista, del suono, del piacere e del dolore, della felicità e dell’infelicità, e così via. Ne consegue che il nostro continuum mentale dovrebbe avere l’hardware fisico appropriato di un corpo in grado di percepire e far fronte a ulteriori porzioni, più estreme, di tali spettri di esperienza. Con questa comprensione, la meditazione sui sei reami non si limita ad essere un uso dell’ “immaginazione” per visualizzare la sensazione di un dolore estremo. Dobbiamo prendere in seria considerazione la loro esistenza e la possibilità, per noi stessi, di farne esperienza.
Spero che questo sia un modo utile di pensare ai diversi reami. Il fatto di comprendere e accettare la loro esistenza è una conseguenza del prendere veramente rifugio – o direzione sicura. Se siamo davvero convinti che Buddha non si sia ingannato e che tutto ciò che ha detto sia significativo per aiutare gli altri a superare la sofferenza, e non sia stupido o irrilevante, ciò significa che dobbiamo prendere sul serio tutto ciò che troviamo negli insegnamenti. Se non capiamo qualcosa, cerchiamo di comprendere quale mai possa esserne il senso. Quando Buddha parlava di questi diversi reami, non lo faceva soltanto a livello simbolico. Sul piano del livello iniziale del Dharma vero e proprio, dobbiamo davvero prenderli sul serio, perché non vogliamo sperimentare una nostra rinascita in essi. Molto dipende, quindi, dalla nostra comprensione dell’attività mentale individuale che procede per sempre. Non è un boccone facile da ingoiare, lo so.

Creare le cause per una rinascita migliore

Qui iniziamo il nostro approfondimento sul karma – anche se non ci addentreremo nelle sue grandi complessità: lo considereremo, piuttosto, a livello pratico. Userò me stesso come esempio, dato che ho già parlato un poco del modo in cui ho capito questo materiale, e il livello iniziale è difficile! Nel creare questo enorme sito internet che raccoglie materiali di Dharma, parte della mia motivazione è aiutare chi potrebbe leggerlo. Devo ammettere, però, che parte della mia motivazione è anche trarne beneficio in prima persona perché penso che, se ci dedico sufficiente energia, nelle vite future, da bambino, sarò portato istintivamente verso il Dharma – se sono sufficientemente fortunato da rinascere come essere umano. Quindi sto cercando di prepararmi per le mie vite future, facendo qualcosa che aiuti a riportarmi al Dharma sin dalla più tenera età.
Io magari sto accumulando le cause per riconnettermi rapidamente al Dharma quando avrò un’altra preziosa rinascita umana, ma sto effettivamente accumulando le cause per la preziosa rinascita umana in sé stessa? Mi sto prendendo in giro? Sto forse creando una versione del livello iniziale che tende al Dharma “light”? Dobbiamo sempre esaminarci attraverso i tre livelli. Stiamo tagliando fuori qualcosa? Essere una persona di uno qualsiasi dei livelli dev’essere qualcosa che influisce sul nostro intero atteggiamento nei confronti della vita.

Le cause di una rinascita migliore: l’autodisciplina etica

Gli insegnamenti esprimono molto chiaramente quali sono le cause per una preziosa rinascita umana. Quella principale è l’autodisciplina etica, con la quale ci asteniamo dall’agire in modo distruttivo. Essa implica anche impegnarsi in attività costruttive, come meditare, aiutare gli altri, e così via. Qui parleremo in particolare del fatto di non agire in modo distruttivo, dato che abbiamo una lista delle dieci azioni distruttive. Queste sono le più significative, ma ovviamente ce ne sono molte altre:

  • Togliere la vita a qualcuno

  • Prendere ciò che non ci è stato dato

  • Assumere comportamenti sessuali inappropriati

  • Mentire

  • Pronunciare parole che dividono

  • Pronunciare parole di offesa

  • Chiacchierare senza senso

  • Pensare con bramosia

  • Pensare con malevolenza

  • Pensare in un modo distorto con antagonismo.

Quanto seriamente dovremmo evitare queste azioni? Non stiamo dicendo di diventare dei fanatici e di fare così tanto i duri da non compiere mai nulla di distruttivo, e immaginare di dover essere dei santi. Non siamo ancora a quel livello. Tuttavia abbiamo bisogno di sviluppare la capacità di osservare ciò che stiamo facendo, in modo che, quando iniziamo ad agire in modo distruttivo, lo notiamo e possiamo riconoscerne gli svantaggi, ossia il fatto che porterà infelicità e sofferenza a “me”. Non c’è alcuna garanzia sul tipo di impatto che avrà su qualcun altro, ma possiamo assicurare che il suo effetto su di noi, in futuro, sarà l’infelicità. Dato che non vogliamo farne esperienza, ci asteniamo dall’agire in modo distruttivo.
Che cosa ci trattiene dal non astenerci? In pratica, se non siamo convinti – a un livello profondo – che l’infelicità e la sofferenza derivino dall’agire in modo distruttivo, e che l’infelicità, la sofferenza, e il dolore che ora proviamo derivino dall’avere precedentemente agito in modo distruttivo, allora non ci interessa astenerci. Se invece non vogliamo continuare a vivere queste difficoltà, ecco che ci asterremo da ogni altro possibile comportamento distruttivo. Dobbiamo essere convinti della relazione causale tra comportamento distruttivo e infelicità, e tra comportamento costruttivo e felicità. Non è facile, ma questa convinzione è il fattore chiave per diventare a tutti gli effetti delle persone di livello iniziale. Poi naturalmente, anche se 
siamo convinti, c’è la pigrizia, ecc. – ma questa è un’altra storia.

La validità dell’insegnamento sul karma

Il modo – così come spiegato nei testi – per giungere alla convinzione rispetto al karma, e a una sua comprensione inferenziale valida, è affidarsi all’autorità. In altre parole, se seguiamo quanto Buddha ha detto sullo sviluppo della concentrazione e della comprensione della vacuità, ciò eliminerà le nostre emozioni disturbanti. Nella nostra personale esperienza possiamo appurare che, in effetti, questo metodo funziona. Attraverso il nostro vissuto possiamo davvero giungere alla comprensione del fatto che gli insegnamenti pongono fine alle emozioni disturbanti. Se ciò che Buddha ha insegnato su tutto questo è vero, e le ragioni per cui Buddha è stato in grado di diventare un illuminato e dare insegnamenti sono state la sua compassione e il suo desiderio di beneficiare gli altri, non c’è motivo di pensare che potrebbe averci mentito sul karma. Pertanto consideriamo il Buddha una valida fonte di informazioni, e da ciò deduciamo che è una valida fonte di informazioni sul karma.
Non so voi, ma io, anche se riesco a capire la logica di questo punto, in realtà non riesco a convincermene a fondo. Mi piacerebbe capire un po’ meglio, così che questo mi aiuti a convincermi sul piano della spiegazione testuale tradizionale. È chiaro che, soltanto attraverso una regolare inferenza basata sulla logica, non si può provare che l’infelicità derivi dal comportamento distruttivo. Questo è detto in modo molto specifico nei testi. Ma, dal momento che con la nuda percezione, o percezione diretta, non siamo in grado di vedere come funziona il karma, dobbiamo esaminare più in profondità per ottenere maggiori informazioni, per cercare di capire la relazione tra comportamento distruttivo e infelicità. Come possiamo metterli in rapporto tra loro? Sua Santità il Dalai Lama dice sempre che dobbiamo affrontare questo argomento come degli scienziati.

La connessione causale tra comportamento distruttivo e infelicità

Abbiamo a disposizione gli insegnamenti di abhidharma (speciali argomenti di conoscenza), di cui esistono diverse versioni nelle varie scuole del Buddhismo indiano. C’è un testo di Vasubandhu, della scuola Vaibhashika (una tradizione Hinayana). Abbiamo inoltre una versione Mahayana per opera di Asanga, così come una versione Theravada per opera di Anuruddha (anch’essa Hinayana). Quando esaminiamo il comportamento distruttivo, in ciascuna di queste tradizioni testuali, come viene definito?
Adotteremo un approccio non-settario, con la convinzione che ciascuna delle diverse analisi contribuisca a chiarire l’argomento. Non sono contraddittorie. In ognuna troviamo elenchi di fattori mentali che accompagnano sempre i comportamenti distruttivi. Se andiamo a vedere questi fattori mentali, ognuno di noi potrà rendersi conto da sé se si riferiscono a uno stato mentale felice o infelice.

I fattori mentali che accompagnano il comportamento distruttivo

Passerò in rassegna alcune delle caratteristiche principali incluse nell’elenco dei fattori mentali che sono presenti con i comportamenti distruttivi, e queste ci forniranno un’immagine più chiara di ciò di cui stiamo parlando. Non ci stiamo riferendo soltanto alle azioni distruttive in sé stesse, bensì all’effettivo stato mentale che le accompagna. In altre parole, che cosa rende distruttiva un’azione? Essa può essere distruttiva, ma non è semplicemente l’azione che causa l’infelicità: ci sono anche vari fattori mentali a essa connessi.
Alcuni fattori mentali che la accompagnano sono:

  • Mancanza di una scala di valori – mancanza di rispetto per le qualità positive o per le persone che le possiedono. Possiamo capire questo punto, dato che tutti noi abbiamo visto delle persone che non hanno rispetto per la legge, o per qualcosa di positivo, o per chi fa del bene: è chiaro che non danno valore a nulla di tutto ciò.

  • Mancanza di scrupoli – mancanza di freni nell’essere sfacciatamente o apertamente negativi. Significa, fondamentalmente: “Faccio quel che mi pare, non mi interessa”. È uno stato mentale felice o infelice? Se abbiamo questo tipo di atteggiamento, probabilmente non siamo persone molto felici.

  • Ingenuità – non sapere o non accettare che la sofferenza e l’infelicità grossolane derivano dall’agire in modo distruttivo. Pensiamo di poter agire in modo distruttivo a nostro piacimento, senza che ciò abbia alcuna conseguenza.

  • Attaccamento o ostilità, ma non devono essere necessariamente presenti. Sappiamo che quando proviamo intenso attaccamento non siamo in uno stato mentale molto felice, e lo stesso vale quando siamo molto arrabbiati o ostili. “Senza questa cosa io non posso vivere!” e “Ti odio!” non sono stati mentali molto felici.

  • Mancanza di un senso di dignità morale per noi stessi – nessun senso di orgoglio per noi stessi e, anzi, bassa autostima. Troviamo questo aspetto anche nella sociologia. Se diciamo a una persona che non va bene così com’è, e non le permettiamo mai di sviluppare un senso di orgoglio o dignità per sé stessa, questa potrebbe sentirsi in grado di diventare un attentatore suicida, perché non attribuisce alcun valore a sé stessa. Finisce per convincersi di essere una schifezza. La cosa peggiore che possiamo fare a un popolo oppresso è togliergli il senso di dignità. Non è difficile immaginare che quando non abbiamo alcun senso di orgoglio pensiamo di essere senza valore, e questo non è affatto uno stato mentale felice.

  • Disinteresse per il modo in cui le nostre azioni si riflettono sugli altri – potrebbe essere tipico della mentalità asiatica il fatto di pensare che, se agiamo male, ciò si riflette sulla nostra famiglia, sulla nostra casta, sul nostro sesso, sul nostro gruppo sociale, e così via. Non ci importa nulla di tutto ciò, e questo atteggiamento accompagna il nostro agire in modo distruttivo.

  • Irrequietezza – un ulteriore fattore, aggiunto da Anuruddha; l’opposto di essere soddisfatti e in pace con noi stessi. Il nostro stato mentale è instabile e a disagio. Quando siamo coinvolti in comportamenti distruttivi, non siamo a nostro agio.

Se impariamo questi diversi tipi di fattori mentali che potrebbero accompagnare il comportamento distruttivo, vedremo con maggiore chiarezza la relazione tra il comportamento distruttivo, generalmente caratterizzato da questi fattori, e l’infelicità. Anche se con la logica non riesco ancora a dedurre che ne risulta l’infelicità, la sua associazione con il comportamento distruttivo ha molto più senso. Poi torneremo a ciò che è scritto nel testo, più convinti del fatto che Buddha sia una valida fonte di informazioni su tale relazione.

I fattori mentali che accompagnano il comportamento costruttivo

Ora possiamo esaminare i fattori mentali che potrebbero accompagnare un tipo costruttivo di comportamento, per vedere la sua relazione con la felicità. L’elenco diventa più lungo di quello precedente, quando combiniamo le informazioni delle tre diverse fonti di abhidharma:

  • Credere nei fatti – una convinzione nel fatto che la felicità giunge dall’astenerci dal comportamento distruttivo, e l’infelicità deriva dal comportamento distruttivo e da uno stato mentale testardo e ostinato, che non crede a nulla, neppure quando ci vengono presentati dei fatti. Se siamo posti dinanzi a qualcosa che è vero, ci crediamo.

  • Interessarci delle conseguenze del nostro comportamento su noi stessi e sugli altri

  • Senso di agio – stare bene con noi stessi, così da poterci astenere dal ferire gli altri, per esempio. Una buona sensazione di autocontrollo è uno stato mentale più felice di uno completamente fuori controllo. Come quando siamo davvero sazi, e c’è una fetta di torta in più: quando non abbiamo controllo, la mangiamo. Poi ci sentiamo un po’ a disagio e siamo insoddisfatti di noi stessi: “Ora mi sono rimpinzato di cibo, non mi sento molto bene”. Ma se potessimo trattenerci dal mangiare quel pezzo di torta in più, ci sentiremmo bene con noi stessi: “Sì! Sono stato in grado di controllarmi, senza strafogarmi come un maiale!”.

  • Serenità – uno stato mentale libero da volubilità e torpore. Quando ci asteniamo dall’agire in modo distruttivo e dall’urlare contro qualcuno, la nostra mente non è in uno stato in cui vaga ovunque. E non è preda del torpore, a causa del quale non sapremmo che cosa stiamo facendo. La mente è chiara e serena, e sappiamo che cosa stiamo facendo.

  • Scala di valori e senso di rispetto – guardare con ammirazione chi ha qualità positive e ammirare le qualità positive, in generale.

  • Scrupoli – ci preoccupiamo di ciò che facciamo, e quindi eviteremo di agire in modo negativo.

  • Distacco – non proviamo attaccamento verso la sensazione di dover esprimere la nostra opinione indesiderata e dire qualcosa di stupido e privo di significato, urlare, o fare qualcosa di distruttivo.

  • Assenza di ostilità

  • Non violenza

  • Forza e coraggio – essere forti e perseveranti nell’agire in modo costruttivo, il che significa: per quanto possa essere difficile rinunciare a quell’ultimo pezzo di torta, non lo mangeremo!

Tutti questi fattori ci danno un assaggio di uno stato d’animo felice, no?

Anuruddha presenta anche altri fattori mentali:

  • Equilibrio mentale – la maturità e stabilità emotiva che ci rende liberi dall’attaccamento e dall’avversione.

  • Presenza mentale – il “collante” mentale che ci impedisce di perdere un certo stato mentale.

  • Calma

  • Vivacità – l’opposto dell’essere mentalmente annebbiati o assonnati.

  • Flessibilità – l’opposto della testardaggine e dell’arroganza; rimuove la rigidità. Un esempio di ciò che rimuove sarebbe il seguente: “Non importa se, così facendo, ferisco i tuoi sentimenti, ma devo proprio dirti: ‘Che brutto vestito stai indossando!’”. In questo consiste l’essere testardi e arroganti. L’opposto è essere flessibili.

  • Funzionalità – funzionalità e prontezza nell’essere in grado di applicarci in qualcosa di utile. È l’opposto dell’avere blocchi mentali o emotivi. Siamo pronti a fare tutto ciò che deve essere fatto, come: “Sono pronto a mettere la mia mano nel gabinetto anche se è sporco, per tirare fuori la mosca che sta annegando lì dentro. Non ho alcun blocco mentale a riguardo”. Questo è ciò di cui stiamo parlando. Quando non abbiamo blocchi mentali o emotivi, godiamo di uno stato mentale molto più felice. Se ne abbiamo, siamo spaventati e insicuri, e questo non è uno stato mentale felice. Se abbiamo funzionalità, penseremo: “Che problema mi crea il gabinetto sporco? Dopo posso lavarmi la mano. La vita di questa mosca è più importante”.

Un altro esempio di blocco mentale potrebbe essere il seguente: qualcuno è affogato e dobbiamo intervenire con la rianimazione bocca a bocca, ma la persona è del nostro stesso sesso, o pensiamo che sia veramente brutta, o cose simili. Se avessimo un blocco mentale rispetto all’appoggiare la nostra bocca sulla sua, questo ci impedirebbe di aiutarla. Se non lo avessimo, la aiuteremmo subito. Questa è la sensazione di essere funzionali e pronti a operare la rianimazione bocca a bocca con chiunque ne abbia bisogno. Due ultimi fattori sono:

  • Sentirsi abili e competenti – l’opposto della mancanza di fiducia o sicurezza

  • Integrità – siamo onesti, non ipocriti, e non fingiamo di avere qualità che non possediamo, né nascondiamo i nostri punti deboli.

Possiamo capire che, se siamo calmi, sicuri di noi, funzionali, senza blocchi mentali, ci prendiamo cura di quello che facciamo, e abbiamo una scala di valori, avremo sicuramente uno stato mentale più felice. È credendo in questo che avremo sempre più convinzione nella più basilare legge del karma, secondo la quale il comportamento distruttivo conduce all’infelicità e quello costruttivo alla felicità. E questa relazione causale non è tale perché Buddha ha creato tutto, stabilendo anche una siffatta legge. Inoltre, la felicità non è una ricompensa per aver agito in modo costruttivo, e l’infelicità non è una punizione per aver agito in modo distruttivo. Al contrario, noi comprendiamo in un modo molto più ragionevole la connessione fra il tipo di comportamento che abbiamo e la nostra esperienza di felicità e infelicità.
Quando comprenderemo il meccanismo attraverso cui le conseguenze karmiche, le tendenze, e le potenzialità del nostro comportamento possono continuare nelle vite future, ci renderemo conto che il modo in cui ci comportiamo in questa vita influenzerà ciò di cui faremo esperienza in quelle future.

Riassunto del livello iniziale di motivazione

Possiamo quindi renderci conto del fatto che trasformarci effettivamente in una persona di livello iniziale non è poca cosa: non si tratta di un conseguimento da poco. Con esso, siamo pienamente convinti che il nostro continuum mentale continuerà senza fine, di vita in vita. Siamo pienamente convinti che il modo in cui ora ci comportiamo influenzerà le nostre esperienze future. Prendiamo consapevolezza del fatto che abbiamo questa preziosa rinascita umana, in cui il nostro comportamento non è governato interamente dall’istinto, come nel caso di un animale carnivoro portato istintivamente a uccidere, o di un cane in calore che salta addosso a qualsiasi cosa. Abbiamo la capacità umana dell’intelligenza, per essere in grado di discriminare tra ciò che è di beneficio e ciò che è di danno, e la capacità di agire in base a questo. Sappiamo inoltre che questa opportunità non durerà per sempre: andrà perduta quando moriremo.
Dopo la morte continueremo a esistere. Potremmo esistere, sulla base di comportamenti distruttivi, come una forma di vita in cui non abbiamo la capacità di discriminare tra ciò che è di beneficio e ciò che è di danno, e d’istinto ci troveremmo ad agire ripetutamente in modo distruttivo. Ciò creerebbe ulteriore infelicità e sofferenza. Per contro, noi abbiamo una direzione sicura che è indicata dai veri arresti e dai veri sentieri della mente, una direzione che si libera di tutta la sofferenza e delle sue cause. Pertanto, dobbiamo assicurarci di continuare ad avere preziose rinascite umane.
Sebbene aspiriamo a liberarci delle emozioni disturbanti, dell’inconsapevolezza, e così via, le loro tendenze sono ancora presenti nel nostro continuum mentale. Anche se miriamo a raggiungere un vero arresto delle stesse, nel punto in cui ci troviamo non possiamo sbarazzarci completamente di avidità, rabbia, e così via; tuttavia, quantomeno possiamo compiere un primo passo. Quando, per esempio, in noi sorge la rabbia e abbiamo la sensazione di voler urlare contro qualcuno, possiamo compiere questo primo passo operando una distinzione tra ciò che è di beneficio e ciò che non lo è. Così ci rendiamo conto che un simile atteggiamento sarà per noi una causa di infelicità, e, pertanto, ci asteniamo dal metterlo in atto.
Questa è la struttura mentale di base di una persona di livello iniziale. Se vogliamo aggiungervi le varie cause grazie alle quali le condizioni per avere una preziosa rinascita umana sono al completo, allora come affermano vari testi, dobbiamo essere generosi, pazienti, perseveranti, e così via. Inoltre, una forte connessione con i nostri maestri spirituali e con il Dharma creerà delle tendenze grazie alle quali tale connessione potrà maturare e accadere di nuovo, quando saremo sufficientemente fortunati da avere una preziosa rinascita umana.
In più, abbiamo la preghiera. Si tratta di una dedica della forza positiva, che vogliamo dirigere verso l’obiettivo dell’ottenimento di una preziosa rinascita umana. Ci sono molte preghiere simili; ad esempio: “Possa io essere protetto e custodito da preziosi guru durante tutte le mie vite”. È qui che si inseriscono.
Se in questa vita raggiungeremo effettivamente la condizione di persone di livello iniziale, avremo compiuto un enorme progresso spirituale sul sentiero buddhista. Non dovremmo pensare che sia una cosa banale e facile, perché stiamo parlando di una sincera e sentita comprensione e convinzione. È un grande conseguimento e, come abbiamo visto prima, siamo noi stessi i principali testimoni in grado di giudicare e valutare se siamo sinceramente così, o se ci stiamo solo prendendo in giro.

In sintesi

È facile liquidare l’idea dei diversi reami come una sorta di fantasia ma, se vogliamo fare progressi sul sentiero buddhista, è importante per noi prenderli sul serio. Possiamo usare un ragionamento di facile comprensione per capire che ci sono degli esseri, là fuori, in grado di vedere più lontano di noi e udire meglio di noi, e che non c’è ragione per cui non debbano esserci degli individui, là fuori, in grado di provare più piacere di noi e più dolore di quello che noi siamo in grado di percepire.
Quando avremo compreso questo, e saremo anche convinti della validità del karma, saremo portati in modo naturale a evitare azioni distruttive. Non solo, ma saremo felici di impegnarci in azioni costruttive che ci creano felicità e migliori rinascite future.

Ripasso, e chi è un arhat?

Seguire gli stadi del lam-rim in ordine progressivo

Stiamo discutendo del lam-rim, uno schema per organizzare gli insegnamenti di base dei sutra. Presenta tre livelli di motivazione, i quali agiscono come menti-sentiero che condurranno a una rinascita migliore, alla liberazione dall’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, e all’illuminazione. L’illuminazione è la capacità di aiutare tutti a conseguire il superamento della loro incontrollabile ricorrenza delle rinascite. Questi tre livelli sono progressivi, ma non come i pioli di una scala, bensì come i tre piani di un edificio. Ognuno poggia sul sostegno dei piani sottostanti.
Il lam-rim è costruito sul presupposto della rinascita, che si riferisce al continuum mentale individuale, il quale non ha né inizio né fine. In molti, in occidente, seguiamo una versione del lam-rim di tipo Dharma “light”, con cui cerchiamo di migliorare questa vita. Sebbene il Dharma “light” in sé non ci condurrà all’illuminazione, è un passo iniziale importante. Un giorno saremo pronti a svilupparci attraverso i tre livelli e adoperarci per l’illuminazione. Questo non significa che limitarci a seguire il Dharma “light” sia inutile: è sicuramente di beneficio. Però sarà molto più potente, nei termini di un metodo buddhista effettivo, se lo seguiremo adottandolo come un trampolino di lancio verso gli stadi più elevati.
Abbiamo visto, inoltre, che il lam-rim è qualcosa su cui abbiamo bisogno di tornare più e più volte. Man mano che impariamo qualcosa in più degli insegnamenti di Dharma, dobbiamo tornare indietro e collegare ogni punto a tutti i vari altri punti del lam-rim, perché insieme formano una rete e si rafforzano a vicenda. In questo modo acquisiremo maggiore profondità nella comprensione e nel nostro sviluppo. Inoltre, se includiamo le emozioni motivanti di amore e compassione, traendole dal livello avanzato, in ciascuno degli stadi graduali, come integrazione dell’emozione motivazionale specificata negli insegnamenti di quel dato livello, tutta la nostra pratica rientrerà allora nella sfera della pratica Mahayana.
Comunque, questo non lo definirei “grande compassione”. La compassione, in generale, è il desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza e dalle sue cause. Qui basta questo. Abbiamo grande compassione quando desideriamo che tutti siano liberi dal tipo più profondo di sofferenza, la sofferenza che interessa tutto in maniera onnipervasiva, che deriva dall’avere aggregati ricorrenti. È “grande” nel senso che si estende in modo eguale verso ogni essere limitato, con la stessa intensità di quella di una madre amorevole verso il suo unico figlio. Includere la grande compassione qui, nel nostro sviluppo del lam-rim, potrebbe risultare un po’ eccessivo.

Sviluppare la motivazione del livello iniziale

Abbiamo già visto come diventare persone di livello iniziale. Non si tratta semplicemente di studiare i contenuti degli insegnamenti, e neanche di memorizzare e imparare tutte le liste in essi incluse. Di fatto, significa trasformarci completamente in persone di questo tipo; possiamo capire bene questo processo vedendo il modo in cui è descritto in Impegnarsi nella condotta del bodhisattva, di Shantideva, dove egli sottolinea con una certa incisività che, una volta sviluppata la finalità della bodhichitta, poi, giorno e notte, anche se siamo intossicati, la nostra forza positiva cresce sempre di più.
Ciò non si riferisce al primo momento in cui iniziamo a sviluppare bodhichitta, ma al punto in cui abbiamo quella che viene chiamata “bodhichitta spontanea”, ossia quando non dobbiamo adoperarci per generare questo stato mentale, ma anzi esso sopraggiunge automaticamente. Ovviamente all’inizio abbiamo bisogno di attraversare gli stadi necessari alla creazione di bodhichitta, con la meditazione di causa ed effetto in sette parti, o con l’eguagliare e scambiare sé stessi con gli altri, e questo ci richiede molto lavoro. Con la bodhichitta spontanea ciò non è necessario, perché essa è presente tutto il tempo e non abbiamo bisogno di attraversare nessuno stadio per costruirla.
In modo simile, per estensione, possiamo dire che siamo davvero diventati persone di livello iniziale, che aspirano a rinascite migliori, quando tale finalità è spontanea. Non dobbiamo attraversare tutti i passaggi nelle meditazioni sulla preziosa rinascita, la morte, l’impermanenza, i reami inferiori, la direzione sicura, e il karma; semplicemente, abbiamo sempre in noi questa finalità in modo spontaneo, anche quando non è qualcosa di conscio.
Avere queste motivazioni pienamente integrate in noi non è un conseguimento da poco. Non esclude il prenderci cura delle nostre cose che riguardano la vita presente, ma questo non sarà il punto principale. Per raggiungere il livello iniziale dobbiamo essere totalmente convinti della rinascita, senza avere alcun dubbio. Ci sono rinascite future, e sono influenzate dal karma, quindi sarebbe meglio darci da fare! Chiaramente, dobbiamo essere sicuri di poter fare qualcosa a riguardo.
Ciò non significa che non possiamo proseguire sul sentiero prima di aver raggiunto la piena completezza di tale livello iniziale. Raggiungeremo un certo livello nel nostro sviluppo di questo ambito iniziale, e avremo ancora altro da accumulare attraverso la meditazione, e così via, ma poi potremo proseguire oltre, anche prima di avere ottenuto una totale convinzione nella rinascita. Potremmo non esserne convinti al 100%, ma la nostra indecisione vacillante tenderà a orientarsi di più in quella direzione. Le diamo il beneficio del dubbio, e andiamo avanti.
Se siamo a un punto in cui quel livello non è totalmente integrato e ci stiamo muovendo verso il passo successivo, significa che abbiamo ancora molto lavoro da fare nel livello iniziale. Ecco perché dobbiamo tornare indietro, attraverso i vari stadi, più e più volte.

Abbandonare l’attaccamento ad avere sempre una preziosa rinascita umana

Il livello intermedio è ancora più profondo e difficile di quello iniziale. Qui aspiriamo a superare l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, nella sua totalità. Se siamo sinceramente persone di livello iniziale, è facile e naturale provare attaccamento per le preziose rinascite umane, perché è quello per cui sempre preghiamo: “Possa io continuare ad avere una preziosa rinascita umana; possa io continuare a essere in compagnia dei miei guru e compagni di Dharma, e godere di tutte le circostanze meravigliose”, e così via. È piuttosto difficile superare tale attaccamento e capire che cosa significa avere rinuncia, la determinazione a essere liberi.
Spesso quando pensiamo di avere una buona salute, un corpo giovane e bello, e così via, nella nostra prossima vita, il nostro desiderio di una tale rinascita si mischia con l’attaccamento. Ma il livello intermedio significa che non vogliamo più niente di tutto ciò? Ebbene, a quel livello vogliamo diventare degli esseri liberati, degli arhat. Ma che cosa potrà mai voler dire? Significa che non vedremo mai più i nostri amici? È difficile avere anche solo un’idea di come effettivamente sarebbe la condizione di esseri liberati.
Pertanto, è difficile andare oltre il desiderio di continuare ad avere rinascite migliori, preziose rinascite umane in cui abbiamo amici, ricchezza, circostanze favorevoli, e così via. Soprattutto quando invecchiamo, il fascino di essere di nuovo giovani, e di innamorarci ancora una volta, e questi tipi di piacere emergono. Saremmo in grado di vedere meglio, udire meglio, avere più energia, essere più attraenti, e così il desiderio di una preziosa rinascita umana può mescolarsi con il desiderio di essere di nuovo giovani. Questo passaggio intermedio è veramente difficile. La bodhichitta lo è ancora di più: possiamo immaginarci di volere sinceramente liberare ogni insetto?

Come ci si sente a essere un arhat?

È bello avere un’idea chiara di ciò in cui ci trasformiamo se diventiamo degli arhat. Ci sono molte diverse asserzioni che spiegano che cos’è un arhat ma, siccome stiamo seguendo un sentiero Mahayana, non accettiamo nessuna delle affermazioni Hinayana secondo cui, dopo essere diventati arhat ed essere morti, il nostro continuum mentale finisce. Questo non è il nostro concetto di arhat.

Due tipi di arhat, distinti in base al momento in cui sviluppano bodhichitta

Esistono due tipi di arhat, o esseri liberati. Ci sono degli arhat che aspiravano a diventare arhat, e dopo la liberazione hanno sviluppato bodhichitta e continuano sul sentiero dei bodhisattva. E poi ci sono gli “bodhisattva arhat di lignaggio definito”: questo significa che hanno sviluppato bodhichitta e aspiravano a diventare dei Buddha molto prima di diventare arhat; hanno raggiunto la condizione di arhat lungo il sentiero verso lo stato di Buddha. Possiamo chiamare il primo tipo di arhat “arhat di tipo Hinayana”. Dopo la morte, il loro continuum mentale continua in un reame puro. Gli bodhisattva arhat di lignaggio definito, d’altra parte, possono continuare in un reame puro o manifestarsi nei nostri ordinari piani di esistenza. A differenza dei nostri reami samsarici “impuri”, quelli puri sono luoghi privi di sofferenza. Tuttavia non sono simili a un paradiso, come spiegato in altre religioni. Sono luoghi dove le circostanze sono più favorevoli per ulteriori studi di Dharma e pratica di meditazione.
Entrambi i tipi di esseri liberati hanno superato l’esistenza samsarica e l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite, ma ciò non implica che possano necessariamente controllare le loro rinascite. Questa però non è la migliore scelta terminologica, dato che “controllo” si riferisce alla parola “potere”. In pratica, non rinasceranno mai più sotto il potere di emozioni disturbanti e karma.

Gli arhat nei reami puri

Una volta diventati degli esseri liberati in un reame puro, non si avranno più quelli che sono chiamati gli “aggregati dell’ottenitore”, ossia gli aggregati che si sono ottenuti mediante il potere di emozioni disturbanti e karma, attraverso il meccanismo dei 12 anelli dell’origine dipendente. Lì gli arhat hanno ancora un corpo e una mente, che però non sono ottenuti per via delle emozioni karmiche disturbanti.
Il corpo di un arhat è costituito da elementi sottili. Qui gli elementi, dal punto di vista buddhista, sono: terra, acqua, fuoco, e vento; in termini occidentali sono: solido, liquido, gassoso, ed energia. In un reame puro, questi elementi sottili sono visibili agli occhi di altri arhat, ma non agli esseri umani ordinari. Un altro nome per questo corpo di elementi sottili è “corpo mentale”, ma non è soltanto come un sogno o qualcosa del genere. È più simile ai tipi di corpi che gli esseri nei “reami della forma” eterei possiedono. Non hanno malattia, vecchiaia o morte, e la vita può andare avanti per sempre, lì. Possono rimanere in uno stato chiamato “l’estremo del compiacimento”, dove continuano a meditare sulla vacuità o su altri argomenti tratti dalle quattro nobili verità, oppure possono sviluppare bodhichitta e continuare a studiare e praticare il Mahayana in un reame puro. Oppure possono manifestarsi nei nostri reami ordinari.
Se seguiamo il lam-rim, gli stadi graduali del sentiero Mahayana, non vogliamo semplicemente divertirci in una terra pura. Ovviamente nel tantra ci sono pratiche per il trasferimento della coscienza in una terra pura, e lì come bodhisattva non avremmo distrazioni. Non si tratterebbe di passare il tempo a divertirci: anzi, trascorreremmo ventiquattro ore al giorno praticando e studiando. Possiamo farlo come arhat o come arhat bodhisattva, oppure possiamo manifestarci nel mondo per cercare di aiutare gli altri. Forse è una questione di indole personale o temperamento.

Il corpo degli arhat nel nostro mondo ordinario

Quando gli elementi sottili del corpo di un arhat si manifestano nel mondo ordinario, ciò che avviene è una connessione con gli elementi grossolani del seme e dell’ovulo dei genitori, qualcosa di simile a ciò che accade quando un Buddha si manifesta nel mondo. Non è una sorta di “anima” o corpo materiale sottile, che arriva ed entra negli elementi grossolani, né è una cosa separata che utilizza, detiene o possiede questo corpo più grossolano.
Si applica qui lo stesso tipo di analisi della vacuità usata sul piano della relazione del sé o “io” con gli aggregati. L’“io” è designato sulla base degli elementi grossolani del corpo e della mente e, analogamente, gli elementi sottili del corpo di un arhat, o di un Buddha, possono essere designati sulla base degli elementi grossolani del seme e dell’ovulo dei genitori. Ciò che viene designato non è identico alla base di designazione. Quindi gli elementi grossolani del corpo, la base per la designazione, sono soggetti a nascita, malattia, vecchiaia, e morte, ma gli elementi sottili del corpo di un arhat o di un Buddha
 non lo sono. Sono liberati da tutto ciò.
In un certo senso, quando diventiamo esseri liberati non ce ne andiamo via e non lasciamo i nostri guru o amici. Questo perché non aspiriamo ad andare a divertirci e a godere della “pace del nirvana”, come viene chiamata. Potremo ancora essere connessi con i nostri guru e amici, ma senza alcun attaccamento. Questo ci dà un’idea di ciò di cui stiamo parlando.

Aggregati contaminati e incontaminati

Secondo la definizione Prasangika Gelug, gli aggregati contaminati sono quelli che generano un’apparenza di esistenza veramente stabilita, mentre gli aggregati incontaminati sono quelli che non generano tale apparenza. Quando un arhat è in totale assorbimento sulla vacuità e la sua mente non sta producendo un’apparenza di esistenza veramente stabilita, in quel momento gli aggregati dell’arhat sono incontaminati. Nei periodi di ottenimento successivo, invece, quando egli non è in totale assorbimento sulla vacuità, la sua mente produce un’apparenza di esistenza veramente stabilita. In quel momento, gli aggregati dell’arhat sono contaminati.
Quindi, in generale, gli aggregati di un arhat sono talvolta contaminati e talvolta incontaminati. Un Buddha invece ha solo aggregati incontaminati, perché è sempre in totale assorbimento sulla vacuità. C’è pertanto una differenza tra gli elementi sottili del corpo di un Buddha e quelli di un arhat. Tuttavia, quando sono in questo mondo, entrambi sono designati sulla base degli elementi grossolani del corpo dei genitori, il seme e l’ovulo.
Noi aspiriamo a diventare esseri liberati e, siccome qui abbiamo molte informazioni a riguardo, va bene anche solo se cerchiamo di capire che senso possa avere tutto questo. Come esseri liberati, vogliamo continuare sul sentiero del bodhisattva per essere di aiuto e di beneficio agli altri. Quindi continuiamo a manifestarci nel mondo. Non si tratta di avere una lista di possibili genitori, e il potere di scegliere dove rinascere. Piuttosto, a causa di molti fattori che sorgono in modo dipendente, avverrà una connessione tra i nostri elementi sottili di arhat e quelli grossolani del seme e dell’ovulo di una coppia umana.

Gli arhat non provano sofferenza

Gli elementi grossolani sono ovviamente soggetti a tutte le leggi dell’impermanenza, e così via, e quindi svilupperanno difetti o malattie. Si esauriranno e finiranno per avere la capacità di essere una base per la nostra mente di esseri liberati. Sebbene gli elementi grossolani siano soggetti alle leggi della fisica, non sono soggetti a quelle del karma. Ciò che accade loro non è sotto il potere di emozioni disturbanti e karma. Il punto importante è che il nostro corpo sottile non sarà soggetto a malattia, vecchiaia, e morte.
Inoltre, come arhat, non vivremo nulla di ciò che accade con gli elementi più grossolani, nei termini dei tre tipi di sofferenza. Non ci sarà la sofferenza dell’infelicità, quella dell’ordinaria felicità, o la sofferenza onnipervasiva. Vivremo tutto con felicità o equanimità, nessuna delle quali sarà mescolata con l’afferrarci alla vera esistenza e con l’attaccamento. Come arhat, potremmo essere in assorbimento in alcuni dei piani di stabilità mentale più elevati, dove non c’è altro che equanimità. Come Buddha, tuttavia, avremmo soltanto felicità, non mescolata con alcuna emozione disturbante. Nel tantra è descritta come una beata consapevolezza.
Abbiamo dedicato un po’ di tempo a esaminare questo punto, ora, ma se dovessimo abbandonare il samsara, poi che cosa succederebbe? Se non abbiamo idea di ciò che accadrà dopo, o di ciò cui aspiriamo, sarà molto difficile dire: “Caspita, voglio liberarmi della rinascita samsarica!”.

Il corpo sottile di un arhat non è uguale al corpo di forma di un Buddha

Un ulteriore punto di chiarimento è il seguente: il corpo sottile di un arhat e i corpi sottili di un Buddha, ossia i suoi corpi fisici, non sono la stessa cosa. Non dovremmo confonderli tra loro. I corpi sottili di un Buddha sono chiamati “Nirmanakaya” e “Sambhogakaya”, e sono molto più sottili del cosiddetto “corpo mentale” sottile di un arhat. Il modo in cui tutti questi sono designati sugli elementi grossolani di una madre e di un padre è, però, lo stesso.

Compassione e preghiere, non karma

Ciò che ci accade nell’esistenza samsarica, prima di diventare degli esseri liberati, è il risultato di una quantità enorme di fattori, inclusi vari fattori karmici nel nostro continuum mentale, e i fattori karmici nei continua mentali di altri esseri. Ad esempio: stiamo guidando la nostra auto; qualcuno corre nella nostra traiettoria, e lo investiamo. Ciò accade come risultato del mio karma e di quello della persona coinvolta – non soltanto, quindi, del mio karma. Tuttavia, ciò che ci accade quando siamo arhat bodhisattva o Buddha, sul piano delle persone che incontriamo e cerchiamo di aiutare, è il risultato della nostra compassione e delle nostre preghiere per essere in grado di aiutare tutti. Sul versante di queste persone, è il risultato del loro karma. Sicuramente però non è il risultato del nostro stesso karma, poiché l’influenza principale è il nostro desiderio di aiutare gli altri. Ecco perché compiamo le pratiche Mahayana in cui visualizziamo un numero infinito di esseri che ci circondano: per provare a stabilire tale connessione con tutti loro.
Quando noi, come arhat bodhisattva o Buddha, interagiremo o incontreremo qualcuno, non avremo emozioni disturbanti verso quella persona. Non ci sarà desiderio, ostilità, o qualcosa del genere. L’altra persona, a causa del suo karma e di altri fattori, potrebbe provare attaccamento e ostilità nei nostri confronti. Mentre all’esterno le dinamiche dell’interazione potrebbero essere molto diverse da come sono all’interno, noi avremo totale compassione ed equanimità verso tutti.

In sintesi

È facile provare attaccamento per l’idea delle preziose rinascite umane, soprattutto quando pensiamo che potremmo essere di nuovo giovani, intelligenti, e belli! Al livello intermedio, in realtà, aspiriamo a qualcosa di più elevato di questo: vogliamo essere liberati dall’incontrollabile ricorrenza delle rinascite. Tuttavia, per la maggior parte di noi è quasi impossibile immaginare come questo stato possa effettivamente essere. Quando arriviamo a una corretta comprensione di che cosa significhi, è allora che diventa qualcosa cui noi stessi possiamo aspirare.

La purezza del continuum mentale e il livello avanzato

L’inconsapevolezza, le emozioni disturbanti e le conseguenze karmiche sono senza inizio

Abbiamo già stabilito che ognuno di noi ha un continuum mentale individuale, senza inizio e senza fine, e che continueremo a prendere rinascita. Da un tempo senza inizio, il nostro continuum mentale è inoltre mescolato con inconsapevolezza o, in parole semplici, confusione. Essa si riferisce all’inconsapevolezza del processo di causa ed effetto di tipo comportamentale: siamo inconsapevoli del fatto che l’infelicità deriva dal comportamento distruttivo, e la felicità da quello costruttivo. Indica anche la nostra fondamentale inconsapevolezza della realtà: siamo inconsapevoli del modo in cui noi stessi esistiamo, e tutti gli altri – e tutto il resto – esistono. Sulla base della nostra inconsapevolezza sviluppiamo emozioni e atteggiamenti disturbanti, e poi agiamo in modi compulsivi, distruttivi o costruttivi, mescolati alla confusione. Ciò lascia nel nostro continuum mentale delle conseguenze karmiche, incluse le tendenze karmiche e la forza karmica positiva e negativa. Così, il nostro continuum mentale e quello di tutti gli altri sono mescolati con inconsapevolezza, emozioni disturbanti, e conseguenze karmiche, da un tempo senza inizio.

Come le conseguenze karmiche vengono trasportate sul continuum mentale

Le tendenze e le potenzialità karmiche non sono né una forma di fenomeno fisico né un modo di essere consapevoli di qualcosa. Sono semplicemente designate sul nostro continuum mentale. Per esempio: se oggi beviamo caffè, e lo abbiamo bevuto ieri, e l’altro ieri, e tre giorni fa, per organizzare questi eventi diciamo che c’è una tendenza a bere caffè. Questa non è qualcosa di fisico e non è un modo di essere consapevoli di qualcosa. È solo una designazione di qualcosa su una sequenza di eventi simili tra loro.

Anche la nostra inconsapevolezza, le nostre emozioni, e i nostri atteggiamenti disturbanti hanno delle tendenze, che ne spiegano la continuità. Dopotutto, proprio come non beviamo caffè ogni singolo minuto della nostra giornata, allo stesso modo non siamo neanche arrabbiati ogni singolo minuto. Ma c’è una continuità, ed essa è spiegata in termini di tendenze. È attraverso le tendenze designate sul nostro continuum mentale che la nostra inconsapevolezza, le emozioni disturbanti, e le conseguenze karmiche sono trasportate sul nostro continuum mentale – e continueranno a essere trasportate su di esso, a meno che non facciamo qualcosa per fermare tutto questo.

Afferrarci all’esistenza veramente stabilita

La nostra inconsapevolezza della realtà, che soggiace alle nostre emozioni disturbanti, così come al nostro comportamento karmico compulsivo, si basa sul fatto che la mente crea un’apparenza delle cose come esistenti in un modo che è impossibile. Di fatto, la nostra mente lo fa in ogni istante. Mediante l’afferrarci all’esistenza veramente stabilita, percepiamo queste apparenze ingannevoli e crediamo che corrispondano alla realtà. Per via dell’inconsapevolezza, non sappiamo che invece non è vero.

L’afferrarci all’esistenza veramente stabilita, l’inconsapevolezza, le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti, e le tendenze e le potenzialità karmiche che vi dipendono, costituiscono le oscurazioni emotive. Esse impediscono la liberazione. Le abitudini di questo nostro afferrarci [all’esistenza veramente stabilita] danno origine non soltanto allo stesso afferrarci, ma anche all’apparenza ingannevole dell’esistenza veramente stabilita, un modo di esistere che è impossibile. Lo fanno continuamente, e quindi sono “abitudini costanti”. Costituiscono le oscurazioni cognitive che impediscono l’illuminazione onnisciente. Prima della liberazione, queste abitudini danno origine sia alla creazione dell’apparenza ingannevole, sia all’afferrarci, nel duplice senso di percepire queste apparenze e credere a esse. Dopo la liberazione, ma prima dell’illuminazione, continuano a dare origine alla creazione dell’apparenza, e all’afferrarci ma soltanto nel senso di percepire queste apparenze. Non danno più origine alla credenza che esse corrispondano alla realtà.
La cognizione non concettuale della vacuità, del fatto che non c’è un modo di esistere che corrisponda a ciò che ci appare, ci libera di ognuna di queste oscurazioni, a seconda della forza motivante che sta alla base di questa comprensione: la rinuncia, oppure sia la rinuncia che bodhichitta.

Il significato dell’esistenza veramente stabilita

Ci sono molti livelli di sottigliezza nei modi di esistere impossibili che la nostra mente fa apparire. Al livello più profondo e sottile, vi è un’apparenza di ciò che chiamiamo “esistenza veramente stabilita”. Nei diversi sistemi di principi buddhisti indiani, l’esistenza veramente stabilita è definita in vari modi, ma esamineremo principalmente la definizione Prasangika, come è intesa dalla tradizione Gelug.
Il termine “modi di esistere” si riferisce a ciò che stabilisce l’esistenza di qualcosa; in realtà, non si tratta del modo in cui qualcosa esiste – anche se la differenza è molto sottile. La parola “stabilire” si riferisce a ciò che prova o spiega il fatto che qualcosa esista. Un punto molto semplicistico per dimostrare che una cosa esiste, fin dai primi sistemi di principi, consiste nel fatto che quel qualcosa svolga una funzione. Poiché fa qualcosa, l’esecuzione di quel qualcosa prova o dimostra che quella cosa esiste. Questo si trova nei sistemi di principi più bassi.
Quando il sistema Prasangika parla dell’esistenza veramente stabilita, intende, con essa, che ci sia qualcosa dalla parte dell’oggetto che stabilisca la sua esistenza. E l’oggetto farebbe questo o per proprio potere, da solo, o in combinazione con altri fattori, di etichettatura mentale concettuale.
Quando comprendiamo la vacuità, vediamo che c’è un’assenza di un referente effettivo per questi modi impossibili di esistere: non vi è nulla del genere. Per capire questo punto usiamo un esempio. Potremmo dire: “Ho un corpo forte” perché la nostra mente fa apparire che ci sia qualcosa, dalla parte del corpo, che lo rende forte, senza dipendere da nient’altro. Tutte le cause per poter affermare: “Sono forte e sano”, come la buona salute, una buona dieta, l’esercizio fisico, e così via, non ci appaiono. Il corpo forte non sembra giungere da queste, bensì sembra essere un corpo forte che è reale dalla sua parte, quando ci guardiamo allo specchio.
Se il fatto di essere un corpo forte fosse stabilito dalla parte del corpo, esso dovrebbe essere forte in qualsiasi situazione, anche in confronto ad altre cose. Rispetto al corpo di un bambino, un corpo adulto è forte, ma in relazione al corpo di un gorilla maschio adulto non è forte: è debole. La forza sorge in base a molti fattori. Non dipende solo dalla dieta e dall’esercizio fisico, ma anche dall’essere tale in rapporto alle altre cose con cui la stiamo confrontando. E non solo, ma dipende anche dalla parola e dal concetto di “forte”.
In qualche modo guardiamo alle cose che facciamo ogni giorno e, su questa base, abbiamo la parola e concetto di “forte”. In epoca preistorica, “forte” era solo un suono privo di significato per le persone che hanno dato origine al linguaggio, e poi è arrivato a designare un concetto, una categoria, così come tutti gli elementi che le persone fanno rientrare in tale categoria. Che cosa stabilisce che un corpo è forte? L’unica cosa che lo stabilisce come tale è semplicemente ciò che chiamiamo “designazione” e “etichettatura mentale”, nient’altro. Tutto quello che possiamo dire è che l’essere forti è semplicemente ciò cui la parola “forte” si riferisce quando è designata su qualcosa, che è la sua base, e quando quel qualcosa è mentalmente etichettato con una categoria: il concetto di “forte”. Non c’è nulla, dalla parte della base, che stabilisca che qualcuno è forte. Non c’è niente che si possa trovare.
Potremmo chiederci: “Ma non ci sono delle caratteristiche peculiari dell’essere forti?” Qualcuno potrebbe essere in grado di sollevare 100 kg, e non è forse una caratteristica distintiva di “forte”, dalla parte dell’oggetto? No, perché la caratteristica peculiare del sollevamento di oggetti pesanti è stata anch’essa inventata dalle persone, e da una mente che ha ideato il concetto di “forte”. Hanno creato una definizione, l’hanno inserita in un dizionario, ed ecco che abbiamo “forte”, ma è sempre costruita totalmente a livello mentale. Tuttavia, la nostra mente fa apparire solo il corpo e la sua forza. “Ho appena fatto cento flessioni, sono così forte!”. È come se la forza del nostro corpo esistesse per conto proprio come forte.
Sulla base di questa apparenza, e credendo che si riferisca a qualcosa di reale, esageriamo poi la qualità del nostro corpo e generiamo attaccamento, orgoglio, e arroganza. Prendiamo in considerazione qualcun altro che consideriamo più forte, e diventiamo invidiosi. Oppure: possiamo fare solo cinquanta flessioni, anziché cento, e proviamo rabbia e frustrazione. In tal modo abbiamo in noi tutte le emozioni disturbanti, basate sul credere a questa apparenza di qualcosa che, di fatto, è impossibile.
Questo non significa che convenzionalmente il forte non esista. Convenzionalmente, in termini di parole e concetti, noi siamo forti. Non è un problema; non stiamo dicendo che non esiste nulla, nella maniera più assoluta. A livello convenzionale il nostro corpo possiede una sua forza e, in base alla parola e al concetto, potremmo dire che è forte rispetto a un bambino, e così via. Nulla però, dalla parte della forza del nostro corpo, stabilisce che siamo forti. Nulla esiste dalla parte della base per l’etichettatura e la designazione mentale, né a livello convenzionale né a livello ultimo.
Questa è una spiegazione sintetica, ma dobbiamo rifletterci. Se ci fosse qualcosa dalla parte dell’oggetto – la nostra forza, che ci ha resi forti da sola, per proprio potere – dovremmo essere forti sempre, indipendentemente dalla malattia, dalla vecchiaia, o da qualsiasi altra cosa. Quando usiamo la logica, però, ci rendiamo conto che ciò è ridicolo.

La vacuità

Quando ci concentriamo sulla vacuità, ci stiamo concentrando su “nulla del genere”. È la totale assenza di un oggetto di riferimento effettivo di questa apparenza di esistenza veramente stabilita. Il modo di apparire non corrisponde a nulla di reale. Tanto per cominciare, non era mai lì. Un altro termine per [indicare l’oggetto di riferimento] è “supporto di sostegno”. Non esiste un supporto che sostenga tale apparenza di qualcosa di impossibile. Quando c’è l’ombra di qualcuno alla finestra, c’è il supporto di una persona reale dietro di essa, che proietta l’ombra. Qui anche se c’è un’apparenza di esistenza veramente stabilita – come l’ombra – dietro non c’è nulla, dalla sua parte, a sostenerla.
Quando siamo concentrati sulla vacuità e in totale assorbimento su di essa – il che significa che abbiamo perfetta concentrazione – in quel momento la mente non crea un’apparenza di esistenza veramente stabilita, e non ci crede. Stiamo parlando di qualcosa che accade in modo non concettuale. Se fosse concettuale, sarebbe mescolato con la categoria, il concetto di vacuità. Questo è un punto molto complesso.

Le oscurazioni emotive e cognitive non sono parti della natura essenziale della mente

Le oscurazioni emotive, come accennato, si riferiscono a inconsapevolezza ed emozioni e atteggiamenti disturbanti, nonché alle loro tendenze, cui si aggiungono le tendenze e le potenzialità karmiche. Esse causano la rinascita samsarica, come descritto nei dodici anelli dell’origine dipendente. Giungono dall’afferrarci all’esistenza veramente stabilita e impediscono la liberazione. Le oscurazioni cognitive si riferiscono alla creazione di apparenza di esistenza veramente stabilita, e ciò deriva dalle costanti abitudini di questo afferrarci. Quando la nostra mente crea apparenze di esistenza veramente stabilita, fa apparire le cose in modo totalmente indipendente, e non in correlazione l’una con l’altra. Quando percepiamo queste apparenze, non siamo in grado di vedere l’interconnessione di tutto, in particolare in termini di causa ed effetto di tipo comportamentale. Impediscono la nostra onniscienza e quindi non sappiamo come aiutare al meglio tutti. Non possiamo vedere tutte le cause – che sono senza inizio – dei loro problemi, o quali sarebbero i risultati – che sono senza fine – di ciò che insegniamo.
Il nostro continuum mentale è stato “macchiato” da queste oscurazioni emotive e cognitive, che sono senza inizio. Ecco perché non siamo né liberati dal samsara né illuminati. Le macchie di queste oscurazioni emotive e cognitive, però, possono essere rimosse? Sono parte della natura essenziale della mente, o sono quelle che chiameremmo “macchie passeggere”? Se fossero una caratteristica peculiare della natura della mente, sarebbero presenti in ogni singolo istante. Tuttavia non lo sono. Ci sono circostanze – come quando siamo in totale assorbimento sulla vacuità – in cui non sono presenti. Ciò dimostra che non fanno parte della natura della mente.

Le oscurazioni emotive e cognitive possono essere rimosse per sempre

La domanda successiva è: se queste sono macchie passeggere e non fanno parte della natura essenziale della mente, possono essere rimosse per sempre? “Per sempre” implicherebbe un vero arresto delle stesse, ossia la terza nobile verità. Poiché le varie tendenze dell’inconsapevolezza, delle emozioni disturbanti, e del karma, così come l’abitudine costante di afferrarci alla vera esistenza, possono essere in ogni caso designate sulla mente che è in totale assorbimento non concettuale sulla vacuità, dopo il nostro emergere da questo stato si ha un ritorno dell’afferrarci, e così via. Come possiamo liberarcene in modo che non si ripresentino mai più?

Tendenze e abitudini sono designate su una sequenza di eventi simili. Possiamo dire che c’è una tendenza in corso ora nel nostro continuum mentale solo se potrebbe esserci un futuro reiterarsi di ciò che si sta ripetendo. Se non può esserci un suo futuro reiterarsi, tutto quello che possiamo dire è che c’era una tendenza, o abitudine, precedente o passata – ma che non esiste al momento presente. Per esempio: ho l’abitudine di scrivere con la mano destra, e questa è un’abitudine che è in corso ora, perché in futuro potrò ancora scrivere con la mano destra. Se però perdo la mano destra in un incidente, avrò ancora tale abitudine al momento presente? No. In precedenza avevo l’abitudine di scrivere con la mano destra, ma non posso più farlo perché non ce l’ho. È solo un’abitudine passata, non attuale. Se potessimo impedire qualsiasi futuro reiterarsi della creazione di apparenze di esistenza veramente stabilita, e impedire sia la percezione delle stesse che la credenza in esse, l’abitudine finirebbe per sempre. Non ritornerebbe.

L’assorbimento non concettuale sulla vacuità elimina l’afferrarci all’esistenza veramente stabilita

Quanto più possiamo rimanere in assorbimento sulla vacuità in modo non concettuale, senza alcuna apparenza di esistenza veramente stabilita e senza afferrarcisi, tanto più deboli diventano le tendenze e le abitudini. L’inconsapevolezza si basa sul credere che le apparenze corrispondano a qualcosa di reale, ma, con una concentrazione in assorbimento sulla vacuità, viviamo sempre più momenti in cui ci concentriamo sul non esistere, nella realtà, di qualcosa che corrisponda a tali apparenze. Quindi, più stiamo in assorbimento sulla vacuità, più facilmente smetteremo, un giorno, di credere che le apparenze ingannevoli da noi percepite al di fuori del nostro totale assorbimento corrispondano a qualcosa di reale. In altre parole, l’abitudine di afferrarci all’esistenza veramente stabilita diventerà sempre più debole, fino a quando cesserà di dare origine alla nostra credenza.
A quel punto avremo rimosso le oscurazioni emotive e conseguito la liberazione. Questo perché avremo rimosso per sempre l’inconsapevolezza e le sue tendenze, per via delle quali non ci rendevamo conto che tali apparenze non corrispondevano alla realtà. È questa inconsapevolezza ciò che inizialmente causa le nostre emozioni disturbanti e le azioni karmiche compulsive che comportano determinate conseguenze karmiche, e sono proprio le emozioni disturbanti ciò che attiva le conseguenze karmiche per determinare future rinascite samsariche. Quando non c’è più inconsapevolezza, non c’è nulla che attivi le conseguenze karmiche, e nulla più che ne ponga di nuove, e quindi l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite termina per sempre.
Se potessimo rimanere concentrati sulla vacuità per sempre, come faremmo se fossimo dei Buddha, non ci sarebbe più nessuna creazione di apparenza di esistenza veramente stabilita. La nostra mente non produrrebbe questa assurdità e saremmo onniscienti, perché saremmo in grado di percepire l’interconnessione di tutto. È in questo modo che stabiliamo l’esistenza della liberazione e dell’illuminazione, e la possibilità di conseguirle.

La rinuncia spontanea come la forza retrostante alla comprensione della vacuità per conseguire la liberazione

La mente che comprende la vacuità ha bisogno di avere una certa forza in sé. Potremmo comprendere la vacuità come un mero esercizio intellettuale da svolgere in classe, all’università, ma ciò non avrebbe molta forza. Di fatto, questo tipo di comprensione potrebbe portarci ad avere molta arroganza. Se tale comprensione ha dietro di sé la forza di una rinuncia spontanea – la rinuncia che sorge automaticamente, senza che debba essere costruita – allora ha sufficiente energia per potersi liberare delle tendenze dell’inconsapevolezza e delle emozioni disturbanti, così come dell’inconsapevolezza e delle emozioni disturbanti in sé stesse.
Perché? Perché ciò cui stiamo rinunciando è in realtà il risultato delle emozioni e delle tendenze disturbanti. Rinunciamo alla rinascita samsarica. Questo è ciò da cui siamo determinati a essere liberi, e le cui cause siamo disposti ad abbandonare. Stiamo rinunciando alla sofferenza onnipervasiva di questi aggregati. Chiunque può rinunciare al dolore, perché nessuno vuole avere più dolore. Non è un grande conseguimento. Anche gli animali ce l’hanno. Inoltre, in altre religioni si rinuncia alla felicità mondana per andare in una sorta di paradiso, quindi questo non è qualcosa di specificamente buddhista. Quello cui stiamo rinunciando è il terzo tipo di sofferenza, che è la base del samsara. Questo è un punto molto importante.

Rinunciare al samsara: la determinazione a essere liberi

Che cosa caratterizza il samsara? È un saliscendi. A volte ci sentiamo bene e siamo felici, e a volte ci sentiamo male e siamo infelici. Non abbiamo modo di prevedere come ci sentiremo tra un istante. Anche quando ci sentiamo bene, dobbiamo essere separati da questo stato, oppure non siamo abbastanza soddisfatti, come quando pensiamo: “Non mi sento sufficientemente bene”. Questa è la situazione samsarica cui stiamo rinunciando. Non stiamo rinunciando a esistere, o alla vita. Ovviamente possono apparire dei blocchi mentali, quando pensiamo che, se non abbiamo gli “emozionanti” alti e bassi, la nostra vita sarà vuota e noiosa. Se però analizziamo in profondità, vedremo che quando raggiungeremo la liberazione avremo ancora degli aggregati che costituiscono ciascun momento della nostra esperienza, e avremo ancora delle sensazioni, ma non saranno disturbanti. Avremo felicità ed equanimità non disturbanti. Avremo amore, compassione, pazienza, generosità, affetto, e così via, senza alcuna emozione disturbante.
In breve, queste sono le cose con cui lavoriamo per diventare davvero delle persone di livello intermedio. Siamo sicuri che il nostro continuum mentale continui all’infinito e non sia macchiato nella sua natura dalle oscurazioni emotive, che quindi possono essere fatte cessare per sempre. Abbiamo anche una corretta identificazione di ciò cui stiamo rinunciando. Quando tutto questo è chiaro, siamo sulla strada che conduce a essere effettivamente delle persone di livello intermedio.

Bodhichitta spontanea come la forza retrostante alla comprensione della vacuità per conseguire l’illuminazione

Al livello avanzato, quando abbiamo la forza di una finalità della bodhichitta spontanea quale forza della mente che comprende la vacuità, essa è in grado di rimanere concentrata sulla vacuità per sempre, e anche di eliminare le oscurazioni cognitive.

Perché? Abbiamo questo continuum mentale privo di inizio e fine, non macchiato dalle due oscurazioni. E lo possiedono anche tutti gli altri. Questa è la prima cosa che dobbiamo realizzare e, sulla base di ciò, abbiamo equanimità verso tutti. Per esempio, quando vediamo un continuum mentale che, a causa del suo karma, è ora connesso al corpo di un insetto, ciò non significa che questo continuum mentale sia stabilito dalla sua parte come il continuum mentale di un insetto, sebbene la nostra mente lo faccia apparire come tale. Non esiste qualcosa come il continuum mentale di un insetto, di un maschio o di una femmina, o di un essere umano, o di un messicano, o di qualsiasi altra cosa. Il punto è che anche i nostri continua mentali sono privi del fatto di esistere in modi impossibili, per conto proprio, con grandi muri intorno a sé, in modo indipendente. Tutti i nostri continua mentali hanno interagito l’uno con l’altro, e si sono vicendevolmente influenzati sul piano di ciò di cui facciamo esperienza, da un tempo senza inizio.
Quando prendiamo in considerazione il tempo, che è senza inizio, ci rendiamo conto che in precedenza non solo ci siamo aiutati vicendevolmente, ma siamo stati tutti le madri e i padri, e così via, gli uni degli altri. Inoltre, tutti noi vogliamo essere felici e nessuno vuole essere infelice. Questo è il principio fondamentale per ogni continuum mentale, e sulla base di questo siamo tutti uguali. Siamo tutti interconnessi gli uni con gli altri, e tutti noi abbiamo quella che chiamiamo la “natura di Buddha”, la fondamentale purezza del continuum mentale che consente a tutti noi di diventare illuminati. In effetti, siamo convinti che tutti noi possiamo ottenere la liberazione e l’illuminazione. Quando comprendiamo la vacuità del continuum mentale, capiamo che possiamo influenzare e aiutare gli altri. Questa relazione causale è possibile tra continua mentali, senza esagerare o negare quello che è possibile, sulla base dell’effettiva comprensione del processo di causa ed effetto.
Capendo che tutte le persone, in egual modo, possono raggiungere la liberazione e l’illuminazione, abbiamo grande compassione rivolta a tutti, nessuno escluso. Possiamo vedere l’interconnessione di tutto: magari non molto chiaramente, ma almeno ne comprendiamo il principio. Ora iniziamo a vedere come la forza di questa finalità della bodhichitta è così vasta da poter agire come causa per raggiungere effettivamente la mente onnisciente di un Buddha su quel livello di vastità.
La finalità della bodhicitta si basa su questa compassione e sull’assumersi la responsabilità di condurre tutti all’illuminazione. Lo chiamiamo “impegno eccezionale”. Ci rendiamo conto che solo se diventeremo noi stessi dei Buddha saremo in grado di aiutare appieno gli altri; quindi dobbiamo liberarci di entrambe le oscurazioni – emotive e cognitive. A questo punto, ci concentriamo sulla nostra illuminazione individuale, che non è ancora avvenuta, riferendoci alla terza e quarta nobile verità. Queste sono i veri arresti delle due oscurazioni e le vere menti-sentiero che non si sono ancora verificati nel nostro continuum mentale, ma che possono accadere.

Concentrarsi sulla nostra illuminazione individuale non ancora avvenuta

Quando parliamo del “futuro” in un contesto occidentale, sembra che sia qualcosa che accade da qualche parte, là fuori: come se potessimo viaggiare verso il futuro, se solo ci muovessimo superando la velocità della luce. Questa non è la prospettiva buddhista. Nel Buddhismo parliamo di eventi che non stanno più avendo luogo, che stanno avvenendo ora, e che non stanno ancora accadendo. Solo se qualcosa è possibile, possiamo parlarne come di qualcosa che non è ancora accaduto. La nostra illuminazione non sta avvenendo ora, ma può accadere sulla base della purezza del continuum mentale e delle cause dell’illuminazione, che sono accumulate come delle reti di forza positiva e profonda consapevolezza designate su tale continuum – le cosiddette “raccolte di merito e saggezza”. L’illuminazione non ancora avvenuta è designata sulle sue cause e sulla base della purezza della mente.
Aspiriamo quindi, con bodhichitta, ad avere una mente con una portata incredibilmente enorme e vasta. Questo è il Mahayana, il veicolo della mente di tipo vasto. Non stiamo parlando di un’automobile, qui, ma di una prospettiva che ci porterà all’illuminazione. È enorme, perché il nostro pensiero si rivolge alla totalità degli esseri, e all’interconnessione che vi è tra tutti loro; si volge, inoltre, alla totale purezza del nostro continuum mentale individuale e di quello di tutti gli altri. Questo ci dà la forza affinché la comprensione della vacuità sia anche in grado di recidere le abitudini dell’afferrarci all’esistenza veramente stabilita. In altre parole, allora saremo in grado di rimanere per sempre in totale assorbimento sulla vacuità.

La rinuncia non inficia il godimento della vita ordinaria

Questo è ciò che abbiamo ai livelli intermedio e avanzato. Vogliamo trasformarci in persone che abbiano in sé ognuno di essi in modo spontaneo, sempre presenti. Come persone di livello intermedio, dovremmo considerare qualsiasi cosa ci troviamo ad affrontare nella nostra esistenza samsarica come una forma di sofferenza. Questo implica che non ci divertiamo più e che siamo profondamente cupi tutto il tempo? No, nient’affatto! Semplicemente, non siamo tratti in inganno da ciò che vediamo. Anche se soltanto a un livello superficiale, ci rendiamo conto che tutto è sorto dipendendo da cause e condizioni, cambierà, e non durerà. In pratica, ci godiamo qualsiasi cosa accada, senza esagerare nulla. Sì, abbiamo bisogno di mangiare, e quindi possiamo gustare i nostri pasti, ma senza pensare: “Oh, questo è incredibile, meraviglioso, voglio mangiarne ancora, e ancora, e ancora!”. Manteniamo la calma, e ci godiamo le cose così come sono.

Avere un atteggiamento realistico verso i corpi delle persone da cui ci sentiamo attratti

Nelle nostre interazioni con le persone, ci saranno quelle con cui siamo arrabbiati, quelle di cui non ci importa granché, e naturalmente quelle da cui ci sentiamo molto attratti. Anche se non possiamo utilizzare la comprensione della vacuità, possiamo applicare più antidoti, temporanei e provvisori, come ad esempio la visualizzazione. Possiamo immaginare di avere una visione a raggi X e di guardare lo scheletro di qualcuno da cui ci sentiamo molto attratti, oppure – metodo ancor più efficace – possiamo fare come suggerisce Shantideva: possiamo togliere lo strato della pelle a quella persona. Ne immaginiamo muscoli, intestino, stomaco, polmoni, e così via, e ci rendiamo conto che, per quanto possiamo pensarla attraente o repellente, quella persona è sotto l’influenza delle emozioni disturbanti e dei segni dell’età, e soffrirà di mal di schiena, e di questo, e di quest’altro. Ciò aiuta ad attenuare attrazione o repulsione e rabbia, perché molto di tutto questo si basa sulle apparenze più superficiali. È davvero utile provare a compiere questa visualizzazione in tal modo, sempre.
Rinunciamo, in quanto non vogliamo avere questo tipo di attrazione o repulsione, perché ci causa problemi, infelicità e sofferenza. Siamo determinati a liberarcene, e questo significa che, per farlo, dobbiamo applicarvi alcuni opponenti. Non si tratta di avere questo bel desiderio e non fare nulla a riguardo, pensando: “Forse le mie emozioni disturbanti se ne andranno, se prego con sufficiente intensità”.
Quando visualizziamo le interiora di qualcuno, quello che stiamo vedendo è veramente lì. Non è una fantasia. Tuttavia, anche il loro aspetto superficiale è presente. Non stiamo negando l’aspetto esteriore. Un giorno arriveremo a un punto in cui non saremo così tanto influenzati dal desiderio, e così via. E quindi potremo semplicemente goderci la bellezza di una persona, di un fiore, o di un pasto, senza esserne disturbati, perché ne comprenderemo il livello più profondo. Di conseguenza inizieremo, di fatto, a vedere la bellezza in molte più cose rispetto a prima.
In breve, riassumendo, l’obiettivo del livello intermedio consiste nel rinunciare alle emozioni disturbanti e all’intera condizione samsarica che queste hanno causato. La versione Dharma “light” consiste nel pensare a questa vita. Nel Dharma vero e proprio rivolgiamo il pensiero al modo in cui, se non ci liberiamo delle emozioni disturbanti, queste si perpetuano per sempre con l’incontrollabile ricorrenza delle rinascite. E noi, senza alcun dubbio, non la vogliamo!

Pensare sempre agli altri

Quando diventiamo persone di livello avanzato, ci concentriamo non solo sul superamento delle nostre emozioni disturbanti verso tutti e tutto, ma anche sull’estensione della nostra compassione a tutti gli altri, rendendoci conto che siamo tutti nella stessa situazione. Siamo tutti sotto l’influenza del karma e delle emozioni disturbanti, e proviamo tutti la sofferenza degli alti e bassi del samsara. È terribile che tutti, proprio come noi, si trovino in questa pessima condizione, no?!
Concentrandoci sulla loro esistenza come nostre madri (condizione che non sta più avendo luogo), come insetti (situazione che sta accadendo ora), e come Buddha (condizione non ancora realizzatasi), ci rapportiamo a loro su tutti e tre i livelli, sulla base della prospettiva della purezza della mente, o natura di Buddha. Non è un’impresa facile. Non stiamo parlando soltanto di coloro che al momento hanno una forma umana. Immaginiamoci se fossimo in grado di relazionarci con tutti in questo modo, e anzi, di farlo con tutti simultaneamente!

In sintesi

Il nostro continuum mentale è privo di inizio e fine, e avremo sicuramente delle rinascite. Non ci concentriamo soltanto su ciò che sta avvenendo ora, ma pensiamo anche a ciò che non è ancora accaduto. Se non facciamo nulla a riguardo, la nostra situazione samsarica – che ha luogo ora – continuerà all’infinito. Anche se da un tempo senza inizio il nostro continuum mentale è mescolato con oscurazioni emotive, possiamo rimuoverle per sempre. C’è una liberazione che non si è ancora realizzata, e che possiamo designare sul nostro continuum mentale. Lo stesso vale per le oscurazioni cognitive, che non macchiano la nostra natura. Possiamo guardare avanti, all’illuminazione non ancora avvenuta, sulla base del nostro continuum mentale. Ci rendiamo anche conto che un numero infinito di altri continua mentali è nella stessa situazione in cui ci troviamo noi, e vediamo l’interconnessione di tutti noi.
Tenendo a mente tutto ciò, allontaniamo il focus della nostra attenzione da questa vita, e pensiamo al futuro. Quindi allontaniamo il nostro focus dal futuro confinato entro il samsara, e guardiamo avanti, allo stato di liberazione. Dopodiché, allontaniamo il nostro focus anche dalla liberazione, e rivolgiamo la nostra piena attenzione alla nostra illuminazione non ancora avvenuta. Ognuno di questi stadi ha una sua rinuncia, mediante la quale ci allontaniamo da qualcosa. Qui, nella fase avanzata, abbiamo anche bodhichitta. Tutto ciò è possibile perché comprendiamo la vacuità del nostro continuum mentale.
Questi, come sottolineato da Tsongkhapa, sono i tre aspetti principali delle menti-sentiero. Abbiamo: rinuncia, bodhichitta, e comprensione della vacuità. Se seguiamo i vari passaggi, nel lam-rim, aspirando con sincerità a diventare gradualmente delle persone dei tre livelli, anche se non è un compito facile, senza dubbio possiamo fare progressi sul sentiero che ci permette di diventare un Buddha e di beneficiare tutti gli esseri limitati.

Trascrizione di un seminario, Morelia, Messico, ottobre 2008; traduzione italiana a cura di Chiara Mascarello. https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/il-sentiero-per-l-illuminazione/il-sentiero-graduale/la-trasformazione-di-se-stessi-attraverso-gli-stadi-graduali-del-lam-rim