Ven. Geshe Thubten Sherab: Le otto strofe della Trasformazione del Pensiero

Ven. Ghesce Thupten Sherab: Dal preciso momento in cui cominciate a pensare agli altri, proprio da quel momento cominciate a creare le cause per la vostra felicità, fino all’illuminazione.

Ven. Ghesce Thupten Sherab: Le otto strofe della Trasformazione del Pensiero

Questa mattina abbiamo parlato particolarmente dei vari punti su come sviluppare la Bodhicitta e gli eventuali metodi. Abbiamo parlato di cinque punti per sviluppare la Bodhicitta. Il primo era, appunto, quello di equalizzare se stessi con gli altri, ovvero generare l’equanimità riconoscendo noi stessi uguali agli altri esseri viventi, in modo uguale, equanime. Poi abbiamo parlato del secondo punto e questo secondo punto è in relazione al riconoscere gli svantaggi del coltivare l’egoismo, di mantenere l’egoismo dentro di noi.

Se analizziamo correttamente la nostra vita, ci possiamo rendere conto che molte volte noi soffriamo, e causiamo anche sofferenza agli altri, proprio a causa dei conflitti che noi stessi abbiamo dentro di noi.

Se guardiamo e analizziamo da dove viene questo conflitto, magari a un’indagine superficiale può sembrare che i vari conflitti dipendano dal fatto che abbiamo delle opinioni diverse, delle visioni diverse rispetto alle cose. Però, se analizziamo meglio, se investighiamo meglio e andiamo più in profondità, ci renderemo conto che la causa principale non sono le diverse idee, le diverse opinioni. È soltanto una scusa della nostra attitudine autogratificante e del nostro egoismo, dire che dipende dalle idee diverse che abbiamo… Ma, in realtà, è perché il nostro ego, il nostro egoismo, l’attitudine autogratificante non è gratificata, non è soddisfatta, è disturbata o è infelice in relazione a determinate cose che non riesce ad ottenere. Per questo, tutto quanto diventa causa di conflitto. Quindi, se noi analizziamo bene possiamo renderci conto che in realtà è proprio il nostro egoismo ad essere la causa di tutti quanti i conflitti, a essere la causa di tutti quanti i problemi.

La nostra attitudine autogratificante, questo egoismo pensa sempre e solo al proprio benessere, alla propria felicità, ai propri interessi e non ha la minima considerazione per gli altri, non il minimo interesse di prendersi cura degli altri o di pensare agli altri esseri viventi.

E questa attitudine autogratificante, questo egoismo, vuole sempre essere al centro dell’attenzione, 24 ore su 24, senza sosta, sempre sempre sempre. È proprio per questa ragione che, se anche qualcuno ci ama, qualcuno cerca di aiutarci, vuole farci del bene, si preoccupa di fare in modo che noi possiamo avere ciò di cui abbiamo più bisogno, alle volte siamo così concentrati su noi stessi e sul nostro egoismo che non siamo in grado di apprezzare quello che riceviamo dagli altri.

Anzi, ci sentiamo comunque danneggiati e pensiamo che “vabbè, sì, mi sta aiutando, però non sta facendo abbastanza, non è abbastanza quello che sta facendo per aiutarmi”… E quindi anche questo diventa causa di problemi. Tutto questo perché? Perché abbiamo questa considerazione univoca verso noi stessi come l’essere più importante, ed è questa forma di egoismo che ci impedisce di vedere, di avere un interesse per gli altri.

Ancora un esempio: nella nostra vita, quando non stiamo bene, possiamo pensare che mio fratello, qualche amico – sebbene abbiano magari i loro problemi, abbiano la loro famiglia e le loro cose da fare e, nonostante questo, riescano a trovare del tempo per venire da noi, per cercare di aiutarci in qualche modo. Se noi siamo completamente sopraffatti da questo sentimento egoista, da questa attitudine autogratificante, sembra quasi che loro non facciano abbastanza. Perché?

Perché vorremmo che queste persone stessero di più con noi, che ci dessero più attenzioni, che ci dessero più cura e così via. E si arriva al punto non solo di non apprezzare quello che si riceve, ma anche a dire addirittura: ah no, vuol dire non ti interessa come sto, vuol dire non mi ami abbastanza, che non mi vuoi abbastanza bene, non sei altruista.

Quindi, questa attitudine autogratificante, questo egoismo, anziché darci la possibilità di apprezzare quello che si riceve, ci rende ancora più infelici, perché ci impedisce di vedere veramente come gli altri, in realtà, ci stiano aiutando, dandoci il loro tempo, sacrificando anche i loro interessi.

Questa cosa dovremmo cercare di vederla non soltanto quando stiamo male, come in questo esempio, ma dobbiamo cercare di notarla nella nostra vita quotidiana, nelle nostre attività, nei nostri momenti della vita, quando effettivamente ci sentiamo insoddisfatti di quello che gli altri fanno per noi; quindi cercate di applicarla con i vostri esempi, gli esempi della vostra vita quotidiana.

Dall’altro lato, invece, se voi non avete egoismo, anche se qualcuno vi visita per un brevissimo tempo o viene soltanto una volta, non avendo egoismo riuscirete a riconoscere che hanno dedicato del tempo per venirvi a trovare e generate questo sentimento di apprezzamento per quel che ricevete da queste persone, e in questo modo sentirete una profonda gioia nel cuore e felicità, e anche se sono venuti soltanto una volta. Questo fa sì che non sarete insoddisfatti e, non avendo insoddisfazione, allora questo farà sì che non si creino dei sentimenti negativi nei confronti gli altri e non ci siano conflitti; questa diventa proprio la base per aumentare l’armonia.

Quindi, se non c’è egoismo nella mente, se non c’è questa attitudine autogratificante, anche se ci criticano o indicano i nostri errori o ci brontolano e così via, o sono in disaccordo con noi, non c’è assolutamente alcun problema, semplicemente vediamo e riconosciamo che questo è un loro modo di vedere le cose e che non ci disturba minimamente. La nostra mente rimane comunque tranquilla pensando che hanno delle opinioni diverse, senza nessun problema. Non ci si sente danneggiati e, in questo modo, non sentendoci danneggiati o disturbati da questo atteggiamento, allora non ci sarà sofferenza nella nostra mente, non soffriremo e, in questo modo, non soffrendo, non sentendoci disturbati dagli altri, non si genereranno sentimenti negativi nei confronti di quella persona e saremo in grado di lasciare andare, lasciare che loro abbiamo la loro visione, le loro opinioni, le loro idee senza esserne influenzati, senza esserne influenzati in un modo negativo. Mentre invece, se abbiamo questa mente egoista, questa attitudine autogratificante, ci sentiamo irritati, disturbati da quello che fanno gli altri e quindi la mente soffre e cominciamo a generare dei sentimenti negativi verso quella persona. Cominciamo a sentire questa irritazione; questa irritazione poi diventa avversione; poi l’avversione diventa odio e quindi si scatenano poi tutta una serie di azioni negative che non portano ad alcun beneficio, né a noi stessi né agli altri.

Quindi, quando abbiamo questa attitudine autogratificante, questo egoismo molto forte, se anche qualcuno ci dice delle cose carine, ci fa delle lodi e apprezzamenti, quando siamo completamente concentrati su noi stessi e siamo così egoisti, la mente viene ugualmente disturbata perché si pensa: “ah, sta dicendo queste cose carine per qualche scopo”, e non siamo in grado di apprezzarle, non ce le dicono abbastanza bene e quindi c’è questa mente che è sempre insoddisfatta. Finché si mantiene questa attitudine autogratificante non si riuscirà mai ad avere soddisfazione perché la mente egoista vuole sempre di più, sempre di più, sempre di più… però, è sempre, sempre insoddisfatta, ed è difficile, appunto, trovare la soddisfazione con una mente così sopraffatta dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante.

Se non si ha egoismo, se non si ha questa attitudine autogratificante, quando qualcuno ci critica o se qualcuno dice cose cattive nei nostri confronti, possiamo ascoltare, sentire quello che ci viene detto, ma poi siamo anche in grado di lasciar andare, di non sentire nessun sentimento negativo nei confronti di quella persona, semplicemente restiamo completamente non disturbati da quello che sentiamo. Al contrario, se abbiamo la mente sopraffatta dall’egoismo, da questa attitudine autogratificante, questo non ci permette di lasciare andare, non si è in grado di lasciare andare. Anzi, quando noi sentiamo qualcuno che ci critica o ci dice delle cose negative, ci sentiamo veramente colpiti e ci teniamo stretta questa cosa, la teniamo stretta, ce la ricordiamo per un’ora, due ore, una giornata, giorni, mesi, delle volte addirittura degli anni, non siamo in grado di lasciarla andare e così continuiamo a soffrire per quella cosa che ci è stata detta una volta, continuiamo a soffrire per tutto il periodo che la tratteniamo dentro di noi senza lasciarla andare.

Quindi, possiamo dire che di base tutti quanti i problemi, le difficoltà, i conflitti sono tutti causati dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante, sempre e sempre. Non c’è nessun altro colpevole per tutti quanti i nostri problemi: è l’egoismo. Se invece non si ha l’egoismo, è completamente l’opposto: possiamo vivere insieme, senza conflitti, possiamo vivere in pace e possiamo vivere in pace e tranquillità anche con persone che hanno visioni e opinioni diverse. Invece, se c’è l’egoismo, anche se abbiamo le stesse idee politiche, le stesse idee religiose, se seguiamo anche gli stessi maestri, allo stesso modo, dal momento che c’è un qualche egoismo, una qualche attitudine autogratificante, questo diventa la causa per i conflitti, per avere delle divisioni e, appunto, dei problemi. Non c’è la possibilità di vivere in pace e in armonia proprio a causa dell’egoismo!
Quindi, avendo compreso tutti quanti i danni che sono causati dall’egoismo, con questo tipo di comprensione, con questa realizzazione metteremo tutto il nostro impegno per cercare di diminuirlo, fino ad eliminarlo completamente.

Poi, il terzo punto è quello di pensare ai vantaggi dell’attitudine, del pensiero di essere di beneficio per gli altri, così come l’agire effettivamente per beneficiare gli altri. Questo è detto anche nei testi dei grandi santi del passato come Nagarjuna e Shantideva, i quali dicono che tutte le felicità, dalla più piccola felicità fino all’illuminazione, vengono dal pensiero di voler aiutare gli altri.

Inoltre, anche dal punto di vista del karma, possiamo vedere che tutte quante le rinascite fortunate, le rinascite superiori, nel samsara, nell’esistenza ciclica, si possono ottenere proprio sulla base della pratica di aiutare gli altri in molti modi diversi, vengono proprio da questa attitudine di far sì che gli altri non soffrano, che non ricevano del danno, né fisico né mentale.

Quindi, il cercare di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente è basato sulla compassione, su questo desiderio che gli altri non soffrano. In questo modo, si cerca di evitare di danneggiare gli altri, insieme al desiderio di aiutare, perché si pratica appunto la moralità. Il fatto di aver ottenuto questa rinascita umana è il risultato di aver praticato la moralità nei confronti degli altri esseri viventi, ovvero di aver generato l’intenzione di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente, bensì con il desiderio che siano liberi dalla sofferenza. E, ancora, si è praticata la generosità. Uno dei punti dei risultati di aver questa rinascita umana è perché si è praticata la generosità nelle vite passate e quindi abbiamo dato, abbiamo offerto delle cose, abbiamo praticato la carità proprio per alleviare la sofferenza degli altri esseri. Anche questa è basata sul sentimento di compassione, su questa attitudine di prendersi cura degli altri e non essere sopraffatti dal proprio egoismo. E, ancora, abbiamo la salute, abbiamo la possibilità di vivere in ambienti favorevoli, di poter praticare, siamo circondati da persone che sono gentili, che sono amorevoli, e questo è il risultato di aver praticato la pazienza nelle vite passate avendo avuto il pensiero di aiutare gli altri, proprio con questa attitudine di non voler danneggiare gli altri né con la parola, né col corpo, né con la mente. Praticamente tutte queste gioie, tutte queste bellezze, tutte queste cose favorevoli che noi stiamo sperimentando adesso, sono proprio il risultato della compassione, dell’attitudine che si prende cura degli altri, dell’intenzione di essere di beneficio per gli altri.
Quindi Chandrakirti, il grande maestro Chandrakirti https://www.sangye.it/altro/?p=10587– che era uno dei grandi maestri saggi pandita di Nalanda ed era uno studente, un discepolo di Nagarjuna https://www.sangye.it/altro/?p=10906 – che ha composto il testo Madhyamakavatara https://www.sangye.it/altro/?p=3259, il supplemento dedicato alla via di mezzo, qua, in questo testo, dice che gli Arhat o Distruttori del nemico vengono dal Buddha, ovvero gli Arhat sono diventati tali seguendo gli insegnamenti del Buddha e hanno ottenuto lo stato di Arhat. Il Buddha viene dai Bodhisattva, ovvero prima di essere un Buddha era un Bodhisattva, ha praticato il sentiero del Bodhisattva. E il Bodhisattva da dove viene? Il Bodhisattva viene da bodhicitta. Bodhicitta che è la mente altruistica di ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti quanti gli esseri senzienti; quindi bodhicitta viene dalla compassione, compassione che poi viene unificata alla saggezza che realizza la natura ultima dei fenomeni. Questo mostra che tutti quanti i vari livelli di felicità spirituale, di felicità interiore, di gioia e gratitudine che aumentano, tutti questi derivano, appunto, dalla compassione, dalla bodhicitta e dalla saggezza che realizza la vacuità. Quindi anche tutte quante le felicità, le felicità ultime sono il risultato di una tale compassione, della bodhicitta e questo parte proprio dal prendersi cura degli altri, dall’abbandonare questa attitudine autogratificante e prendersi cura degli altri esseri viventi, dal pensare alla felicità degli altri. Così, anche lo stato di Arhat alla fine deriva dai Buddha, i quali derivano dai Bodhisattva; e tutti quanti i diversi livelli di felicità spirituali derivano proprio dal prendersi cura degli altri esseri senzienti.

Quindi, avendo contemplato e riconosciuto tutti questi vantaggi che derivano dal prendersi cura degli altri esseri viventi, dal volere la felicità degli altri esseri viventi, possiamo cercare di coltivare questo forte desiderio, questa forte determinazione e risoluzione di lavorare per ottenere questo, per realizzarlo dentro di noi, finché diventi un qualcosa di spontaneo dentro di noi.
Una delle cose che dice spesso Lama Zopa Rinpoce, è che il primo momento in cui si comincia a pensare agli altri, al loro benessere e alla loro felicità, in quel momento comincia a splendere la felicità e la gioia nel cuore.
Dal preciso momento in cui cominciate a pensare agli altri, proprio da quel momento cominciate a creare le cause per la vostra felicità, fino all’illuminazione. E così, avrete la felicità in tutta la vostra vita, avrete la felicità, la gioia, la pace, la tranquillità, la serenità e avrete una mente soddisfatta e sempre in pace; da quel preciso istante comincia questo tipo di felicità che diventa continuativa fino all’illuminazione, di vita in vita.

Adesso siamo arrivati al quarto punto: quello di scambiare se stessi con gli altri

Che cosa vuol dire questo? Che dopo aver contemplato i due punti precedenti, ovvero aver meditato sugli svantaggi dell’egoismo, dell’attitudine autogratificante, dopo aver contemplato e meditato, invece, sui vantaggi e i benefici che derivano dal prendersi cura degli altri, naturalmente sorge questo quarto punto, che è quello di scambiare se stessi con gli altri. Che cosa vuol dire? Bisogna cambiare la nostra attitudine mentale: anziché prendersi cura di se stessi, prendersi cura degli altri, ovvero cambiare la nostra attitudine mentale. Anziché avere noi stessi al centro dell’attenzione, avere gli altri al centro dell’attenzione. Questo è scambiare se stessi con gli altri.

E come dice Shantideva https://www.sangye.it/altro/?cat=15 nel Bodhisattvacharyavatara, la “Guida allo stile di vita del Bodhisattva”, se uno non cambia questa attitudine mentale non c’è l’illuminazione, non ci sarà neanche la felicità nel samsara, non ci sarà la possibilità di avere gioia. Inoltre, non saremo in grado di ottenere l’illuminazione senza far sorgere questa attitudine di prendersi cura degli altri piuttosto che di noi stessi.

Al momento noi abbiamo l’attitudine che NOI siamo più importanti degli altri, e gli altri decisamente sono meno importanti di noi. E, appunto, sulla base di questo pensiero che noi siamo più importanti degli altri, ci dimentichiamo e non ci prendiamo cura degli altri esseri e pensiamo solo a noi.

Quindi, è importante cercare di cambiare questa attitudine mentale, riconoscere che, effettivamente, se noi cambiamo la nostra attitudine mentale e ci prendiamo cura degli altri, questo produce il considerare gli altri più importanti di noi. Inoltre, pensare agli altri, diventerà una causa per la nostra felicità, a livello immediato, e anche felicità per gli altri. Questo ridurrà l’infelicità e l’insoddisfazione per noi, mentre se invece continuiamo a prenderci cura soltanto di noi stessi, questo diventerà causa di infelicità per noi stessi e per gli altri. Quindi, riconoscendo questo, dobbiamo cercare di impegnarci, di sforzarci al massimo per cambiare questa attitudine e pensare al benessere degli altri, cioè cambiare l’attitudine mentale.

Per cambiare la nostra attitudine mentale, una delle tecniche o uno dei metodi da utilizzare per fare questo è la famosa pratica del tong len, ovvero del prendere e del dare.

Normalmente, non siamo molto preoccupati se gli altri soffrono, non ci tocca particolarmente se gli altri soffrono; oppure possiamo vedere che gli altri soffrono e ci dispiace un poco, ma cerchiamo assolutamente di evitare di soffrire noi stessi, cerchiamo di evitare qualsiasi tipo di sofferenza per noi stessi. Invece, con la pratica del tong len, non solo cerchiamo di sviluppare il coraggio di essere in grado di accettare i problemi e le sofferenze che noi stessi sperimentiamo nel corso della nostra vita, ma ci addestriamo anche a cambiare questa attitudine e quindi ad assumere su di noi anche le sofferenze degli altri, i problemi degli altri; quindi è un modo per togliere la sofferenza agli altri esseri viventi. Poi, ancora, cerchiamo sempre di ottenere la nostra felicità e quando abbiamo del benessere, degli agi, delle situazioni favorevoli, cerchiamo sempre di tenerli per noi stessi e siamo contenti di quello che stiamo sperimentando, della gioia, del benessere e facciamo fatica a condividerlo con gli altri. Invece qua, con la pratica del tong len, quello che si fa nel dare – per l’appunto questa pratica si chiama del prendere e dare – è proprio quello di condividere con gli altri il nostro benessere, le nostre virtù, la nostra felicità, tutte quante le cose positive che abbiamo, pensare di darle agli altri. Così, coltivando questa attitudine mentale di prendere la sofferenza e di dare tutto quanto il nostro benessere, tutte le virtù agli altri, in questo modo coltiviamo l’amorevole gentilezza e compassione dentro di noi, fino ad arrivare poi al massimo risultato che ci porterà all’illuminazione, alla compassione ultima, che è appunto quella dell’illuminazione. La pratica del tong len, o la pratica del prendere e dare è una pratica molto molto potente, ed è una pratica per coltivare, per sviluppare l’amorevole gentilezza e la compassione. Non solo: è una pratica molto potente perché ci aiuta a trasformare le difficoltà e i problemi che noi abbiamo nella nostra esistenza, nella nostra vita. Quelle cose che chiamiamo difficoltà, che noi incontriamo quotidianamente, possiamo trasformarle in qualche cosa di positivo, ovvero utilizziamo tutte queste difficoltà, tutti questi problemi nel sentiero per l’illuminazione, ovvero diventano un aiuto per praticare il sentiero verso l’illuminazione, cioè per ottenere l’illuminazione. Finché siamo nel samsara, la sofferenza è qualcosa di inevitabile, per cui se noi cerchiamo di lottare per evitare qualcosa che è inevitabile, soffriremo ancora di più.

Non c’è la possibilità di non soffrire. Perché non ci riusciamo?

Se qualcosa è inevitabile è impossibile evitarlo. Quindi, anziché cercare di evitare ciò che è inevitabile, impariamo ad abbracciare queste sofferenze, questi problemi, impariamo ad accettarli e abbracciarli, quindi utilizzarli proprio nel progresso del sentiero. Allora queste sofferenze, queste difficoltà, non saranno così insopportabili e diventeranno qualche cosa che ci farà sentire più leggeri dentro. Per l’appunto, il tong len è un metodo per abbracciare la sofferenza, per abbracciare i problemi, e questa sofferenza e questi problemi diminuiranno, sentiremo meno sofferenza nello sperimentare queste varie difficoltà che possiamo incontrare nella nostra esistenza.

La pratica del tong len è una pratica molto potente per guarire i nostri sentimenti negativi o le attitudini mentali negative che abbiamo nei confronti degli altri, le nostre visioni errate nei confronti di altre persone che possiamo considerare estremamente negative e con le quali abbiamo dei problemi di relazione. Se, invece, pratichiamo il tong len pensando ai problemi che ha quella persona, a tutte le difficoltà che ha quella persona e cominciamo a generare il desiderio che sia libera da queste sofferenze e così via, questo diventa veramente un modo per guarire dai sentimenti negativi che abbiamo nei confronti degli altri.

Questa pratica del tong len e una pratica molto molto potente che può aiutare a risolvere i problemi, ad ammorbidire e rendere meno tesa la mente. A questo proposito mi viene in mente una storia: ho un’amica a Santa Fe, nel New Mexico, che aveva dei momenti molto difficili con il marito e stava attraversando il divorzio. Avevano veramente molti problemi perché non andavano per niente d’accordo e c’era di mezzo anche il benessere dei loro figli. In quel periodo a Santa Fe erano arrivati i monaci per costruire un mandala e lei ha chiesto a un monaco, il più anziano del gruppo, se potesse suggerirle una pratica da fare proprio per poter affrontare più serenamente questo periodo. Questo monaco le ha consigliato di fare la pratica del tong len e lei ha cominciato: ha cominciato a praticare il tong len, ha cominciato a vedere i problemi del suo marito, a vederlo da un’altra prospettiva, ha continuato a meditare in questo modo e piano piano la sua mente si è addolcita si è calmata e, anziché vedere soltanto i suoi problemi, ha cominciato a vedere anche i problemi del marito e piano piano la loro comunicazione è migliorata, il modo di comunicare tra di loro è migliorato, fino al punto che adesso hanno una buona comunicazione, anche se non sono insieme. Sono comunque riusciti a costruire una relazione tale che i figli, anche nel crescere, non hanno sofferto di questa separazione, e questo grazie alla pratica del tong len che lei aveva fatto. Quindi lei ha parlato con me dicendo che si sentiva veramente molto grata per questa pratica e soprattutto al monaco che le aveva suggerito di impegnarsi in questa pratica di meditazione.

Naturalmente questa pratica è da fare, in modo particolare, quando abbiamo dei problemi, quando sperimentiamo delle difficoltà, quando sperimentiamo dei dolori, situazioni difficili, situazioni di rapporti con gli atri, problemi di relazioni.

In qualsiasi tipo di difficoltà o di problema che noi sperimentiamo nella nostra esistenza possiamo utilizzare questa pratica.

La prima parte di questa meditazione è proprio quella di pensare che, esattamente come noi, ci sono innumerevoli altre persone che stanno sperimentando esattamente le stesse difficoltà, gli stessi problemi che noi abbiamo, gli stessi dolori, le stesse sofferenze che noi stessi stiamo sperimentiamo.

Addirittura, possiamo pensare che non solo ci sono tantissime altre persone che stanno vivendo le stesse cose che noi stiamo sperimentando, ma anche che possono fare esperienze molto peggiori delle nostre: una malattia, un problema di relazione, una qualsiasi difficoltà.

Possiamo pensare: “esattamente come me, anche innumerevoli altre persone stanno sperimentando le stesse identiche cose o anche peggio“. Quindi, in questo modo, sviluppiamo questo sentimento di riconoscere, appunto, che anche gli altri stanno sperimentando questi dolori, queste sofferenze, queste difficoltà. In quel momento la mente si allenta, ovvero quando si comincia a pensare agli altri, e, su questa base, considerando tutte le persone che stanno sperimentando tutti questi dolori, generiamo infinita compassione pensando: possano essere liberi da tutti questi problemi e io stesso mi assumo la responsabilità di aiutarli.

Per cui, quando inspiriamo, prendiamo, inspiriamo dentro di noi tutti i problemi di tutte queste persone, pensiamo che queste vengono liberate, che tutti i problemi di relazione, malattie e altre cose vengono dentro di noi, nell’aspetto di una nuvola nera, la quale va a colpire quella che è la nostra attitudine autogratificante, il nostro egoismo – che possiamo visualizzare all’altezza del cuore, nel nostro petto, come una palla nera – e nel momento in cui tutti questi problemi, tutte queste difficoltà, tutte queste sofferenze vanno a colpire l’attitudine autogratificante, la disintegrano, la dissolvono, la fanno sciogliere completamente.

In questo modo cominciamo a sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervade completamente. Quindi, sempre con il respiro – in fase di espirazione – pensiamo di dare a tutte queste persone che abbiamo visualizzato, che avevano questi problemi, tutte quante le nostre virtù, tutto il nostro benessere, tutti i nostri possedimenti, tutte le cause di felicità. E la compassione che abbiamo generato dentro di noi la diamo nell’aspetto di luce agli altri esseri viventi che, quando vengono toccati da questa luce, in quel momento sperimentano tutto quello che desiderano, sperimentano l’eliminazione di tutti quanti i problemi, fino allo stato dell’illuminazione. Questo è, appunto, il modo di praticare: prendere la sofferenza degli altri e darla all’attitudine autogratificante – che è la causa di tutti quanti i problemi – la quale viene disintegrata dai problemi stessi. Così possiamo sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che possiamo dare agli altri. Questo è il modo di praticare il prendere e il dare.

Quindi, possiamo fare questa meditazione del prendere e del dare, questa meditazione del tong len non soltanto quando abbiamo delle malattie fisiche, o quando abbiamo dei problemi di relazione, o problemi che sperimentiamo quotidianamente, ma possiamo anche utilizzare questo tipo di meditazione quando abbiamo delle emozioni distruttive come, per esempio, la rabbia, il rancore, l’avversione. Sappiamo che queste sono molto negative e che causano dei danni incredibili dentro di noi, non ci sentiamo felici, siamo veramente scontenti e insoddisfatti. Quando abbiamo la consapevolezza che arrabbiarci è una cosa negativa e distruttiva per noi stessi, proprio per questo, quando succede che ci arrabbiamo ed esplodiamo – ed è una cosa che è successa e non possiamo fare assolutamente niente per tornare indietro, perché ormai è già successa – delle volte avviene che ci arrabbiamo ancora di più perché non siamo riusciti a non arrabbiarci e, quindi, non facciamo altro che aumentare e continuare a incrementare questa sofferenza che è causata dalla rabbia.

Quindi, a questo punto, dobbiamo cercare di vedere, di analizzare anche in questo caso che, esattamente come noi, anche innumerevoli altre persone stanno provando gli stessi tipi di esperienze. Cerchiamo di sentire il dolore che sperimentano gli altri a causa del rancore, a causa della rabbia e cerchiamo di sentirci vicini a questi, cerchiamo di sviluppare il desiderio di aiutarli a essere liberi da questa sofferenza. Quindi, il modo di meditare è proprio quello sentirsi vicini a queste persone che, esattamente come noi, hanno gli stessi tipi di sentimenti di rabbia, rancore o qualsiasi altra emozione distruttiva. Pensiamo che, mentre inspiriamo, prendiamo dentro di noi – proprio come un aspirapolvere che aspira tutto quanto – aspiriamo dalle altre persone tutti i problemi, tutte le sofferenze causate dalle emozioni distruttive (in particolare dalla rabbia) e immaginiamo che queste entrino dentro di noi come una nuvola nera, come un’energia nera che entra dentro di noi e va a colpire l’attitudine autogratificante, l’egoismo che abbiamo visualizzato all’altezza del cuore come una palla, un punto completamente nero. Quindi, quando questa energia nera va a colpire questa attitudine autogratificante, questa si scioglie completamente, si dissolve completamente e, piano piano, sperimentiamo l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervadono completamente. Quindi, con l’espirazione diamo agli altri tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre qualità. In particolare, pensiamo di dare agli altri l’amorevole gentilezza, la calma, la tranquillità, la pace, l’amore, la compassione nell’aspetto di luce. In pratica emaniamo l’energia di guarigione per tutte queste attitudini ed emozioni distruttive. In questo modo, praticando in questo modo, piano piano riusciremo ad eliminare la nostra rabbia e anche essere in grado di aiutare gli altri.

Per avere successo in questa pratica, ovvero affinché sia efficace questa pratica, dobbiamo assolutamente praticarla tutti i giorni. La pratica diventa più forte, diventa più efficace se viene fatta quotidianamente. Se, invece, la facciamo soltanto quando abbiamo dei problemi, soltanto quando ci sono delle situazioni difficili, allora forse non sarà così efficace perché non abbiamo addestrato la nostra mente in questo processo. Invece, facendola quotidianamente, una vota che ci troviamo a dover affrontare un problema, a dover affrontare una situazione difficile, adottare questa pratica sarà di sicuro più efficace se abbiamo familiarità con questa pratica.
Allora, spesso il problema è che non sappiamo esattamente come cominciare.

Da dove cominciamo la pratica?

Il punto da dove cominciare è che possiamo iniziare a fare questa pratica dapprima con le persone con le quali è più facile praticare l’amorevole gentilezza e la compassione. Quindi, possiamo fare questa pratica con le persone che ci sono vicine, i nostri cari, i membri della nostra famiglia, i nostri amici. Pensiamo di alleviare la loro sofferenza e dare loro amore e compassione. Poi, una volta che ci siamo addestrati con le persone che sentiamo più vicine – che possono essere anche i nostri animali domestici o comunque degli esseri che sono vicini a noi –, poi possiamo fare questa pratica con le persone verso le quali non abbiamo particolare compassione, nel senso che non li conosciamo, persone che sono estranee verso cui non abbiamo né sentimenti di attrazione, né sentimenti di avversione, cioè le persone che ci sono indifferenti. Poi, dopo aver addestrato la mente con queste, cerchiamo di addestrare la nostra mente con le persone che consideriamo nostre nemiche, cerchiamo di addestrarci meditando su queste persone pensando ai loro problemi e così via. Dopo esserci addestrati con questi tre tipi di persone, piano piano possiamo allargare questa meditazione verso tutti quanti gli esseri viventi, tutti quanti gli esseri senzienti, così, in questo modo, piano piano riusciremo a pensare a tutti quanti gli esseri viventi dell’universo, dell’esistenza ciclica.

Quindi, per iniziare a meditare sulle varie sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti, si può cominciare a meditare pensando di fare questa pratica del tong len, cominciando a pensare agli esseri che stanno sperimentando le sofferenze più terribili, le sofferenze più atroci, come quelle degli inferni dei narak, e quindi pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono negli inferni. Poi, dopo aver meditato sul prendere le sofferenze degli esseri degli inferni, possiamo pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati, come spiriti famelici, come preta. Poi ancora meditiamo sulle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati come animali. Qui possiamo pensare a tutte le varie forme di sofferenza che sperimentano i vari animali, da quelli che vivono negli oceani a quelli che vivono sottoterra, sulla terra, nel cielo e così via. Poi, dopo, pensiamo a tutte quante le sofferenze che sperimentano gli esseri umani; e poi ancora le sofferenze che sperimentano i sura e gli asura. Così sono compresi tutti i sei reami dell’esistenza ciclica. Si comincia a fare questa pratica del prendere e dare, del tong len, cominciando con il prendere le sofferenze degli esseri senzienti che stanno sperimentando le sofferenze più atroci, più intense nell’esistenza ciclica partendo, appunto, dalle sofferenze che sperimentano gli esseri senzienti negli inferni.

Delle volte, per aiutarci nella nostra pratica, possiamo anche utilizzare delle immagini: per esempio possiamo vedere delle raffigurazioni degli inferni, oppure possiamo anche vedere delle foto, delle immagini che vengono mostrate in televisione o sui giornali, vediamo le immagini di bambini denutriti, vediamo le immagini degli immigrati, vediamo immagini di persone che sono nelle zone di guerra. Quando vediamo tutte queste immagini possiamo veramente generare amore e compassione nei confronti di queste persone che stanno sperimentando questi dolori. Queste diventano come un aiuto, un supporto per la nostra pratica, per generare, per coltivare l’amorevole gentilezza e la compassione perché, a volte, le immagini possono essere più efficaci, più forti per noi, per stimolarci proprio a sviluppare questi sentimenti di amorevole gentilezza nel nostro cuore.

E per far sì che questa pratica sia veramente efficace, è importante, quando la facciamo, essere assolutamente convinti, non aver alcun dubbio che effettivamente stiamo prendendo la sofferenza degli altri su di noi. Più noi siamo convinti, più abbiamo questa totale convinzione, più la pratica sarà veramente efficace. E quando noi facciamo questa pratica, se la vogliamo rendere ancora più profonda o la vogliamo fare ancora più estesa, possiamo pensare (quando prendiamo su di noi la sofferenza degli altri), di non prendere soltanto la sofferenza immediata che stanno sperimentando adesso, ma prendiamo su di noi anche tutte le potenzialità delle sofferenze che potrebbero sperimentare in futuro, tutte le potenzialità delle sofferenze e le cause delle sofferenze future, tutte quante le afflizioni che sono la causa della sofferenza e anche le impronte mentali negative che diventano, che causano sofferenza.

Poi, in termini di dare agli altri – non soltanto alleviamo la sofferenza immediata che stanno sperimentando – diamo loro esattamente tutto ciò che desiderano in quel momento, ovvero che si sentano bene. Inoltre, in quel momento, pensiamo anche di dare tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre radici di virtù, diamo tutte quante le condizioni affinché possano praticare, affinché possano ottenere il nirvana e affinché possano ottenere, attraverso la pratica, l’illuminazione.

Domanda relativa all’auto flagellarsi, su questa tendenza, presente specialmente nella società occidentale, di sentirsi sempre in colpa, di non essere mai veramente soddisfatti di se stessi.

Questo sentimento di automortificarsi, o di sentirsi in colpa per le cose che succedono, è una cosa che si sente molto nella società occidentale. Probabilmente deriva proprio dal tipo di cultura che noi abbiamo. Un modo per contrapporsi a ciò è andare a meditare, contemplare quello di cui abbiamo parlato ieri, quello di cui abbiamo parlato oggi: pensare che la nostra natura ultima, la nostra natura fondamentale è amorevole gentilezza, è chiarezza. Quindi meditare, contemplare che questa è la nostra vera natura e che, praticamente, questa natura ultima di amorevole gentilezza e di chiarezza, questa natura di Buddha che noi abbiamo, è stata oscurata a livello culturale. Probabilmente, anche se uno non crede, anche se uno non è un praticante di qualche religione, comunque come retaggio culturale questo senso di colpa – che ci viene, forse, dal peccato originale, da tutte queste influenze che abbiamo ricevuto nell’educazione – anche se non si è praticato, in qualche modo ha contribuito, nella nostra cultura, a sviluppare questo sentimento di sentirsi in colpa, di mortificarsi, di non sentirsi abbastanza adeguati.

È quasi una colpa, invece, credere di avere delle qualità. La cosa importante è riconoscere la nostra natura fondamentale, la nostra natura fondamentale che è quella di amorevole gentilezza, riconoscerla, identificarsi con essa e farla manifesta nelle nostre attività e così via. Poi, in questa pratica del prendere su di noi la sofferenza degli altri, dobbiamo pensare che non è effettivamente contro di noi, ma che la indirizziamo contro l’egoismo, che è la causa dei problemi. Questo è veramente importante perché altrimenti possiamo pensare: ma come, sto già soffrendo e me ne prendo ancora? No, perché anche i problemi che stanno sperimentando gli altri esseri viventi sono a causa del loro egoismo; quindi, questa sofferenza la restituiamo all’egoismo.

Sono rimasto veramente molto scioccato, e anche sorpreso, da questo sentimento del senso di colpa che c’è in occidente, perché è una cosa che non riuscivo veramente a capire. Per farvi un esempio: una volta sono stato invitato a cena da un mio amico, però io in quel periodo non cenavo, era un periodo in cui avevo deciso di non cenare. Rientra nei voti monastici, per cui, per certi periodi, si segue questo voto di non cenare, non c’è assolutamente niente di strano. Io ho detto a quel mio amico: “ho veramente molto piacere di vederti, però io in questo periodo non ceno; ho piacere di vederti per cui vengo lo stesso a casa tua all’ora di cena, ma io non cenerò. Prendo qualcosa da bere, bevo qualche cosa insieme a voi mentre voi cenate, così stiamo insieme”. Veramente molto facile così. Dopo, questo mio amico mi ha detto che si è sentito tantissimo in colpa perché loro cenavano e io invece non ho mangiato nulla, ma ho bevuto soltanto. Lui non aveva fatto assolutamente niente di male, per quale motivo si è sentito in colpa?

Ne abbiamo anche ha parlato e quindi ho concluso che si è sentito in colpa per qualche cosa che non ha fatto assolutamente. Non ha fatto niente di male e si sente in colpa! Figuriamoci se uno fa qualcosa di male, anche poco: chissà come si sente in colpa! Per cui, lì ho capito veramente che è un qualcosa di integrato dentro la cultura e che non si può quasi separare, qualcosa che viene proprio dal tipo di educazione, di istruzione che noi riceviamo, che è proprio il nostro retaggio culturale che ci fa pensare in questo modo. Quindi, ho capito effettivamente che qua in Occidente c’è questa idea dell’essere in colpa anche per delle cose che non si sono fatte, per le quali non è successo nulla di male.

Perciò, come abbiamo detto, come enfatizzato in questo fine settimana, dobbiamo veramente avere questa consapevolezza che la nostra natura ultima è quella di amorevole gentilezza e di chiarezza. È chiaro che continuiamo a fare degli errori, non siamo ancora dei Buddha, ma è proprio per questo, proprio perché non siamo ancora dei Buddha che facciamo degli errori. Se fossimo già dei Buddha non faremo degli errori, per cui dobbiamo accettare quello che siamo, riconoscere che la nostra natura fondamentale è quella di amorevole gentilezza e che abbiamo la potenzialità di sviluppare tutte quante le qualità e di diventare dei Buddha.

Però, finché non saremo dei Buddha, continueremo a commettere degli errori.

Quindi, commettere errori è un qualcosa che noi dobbiamo accettare, perché fa parte della nostra natura. Finché non avremmo eliminato tutte quante le impronte mentali negative, continueremo a fare degli errori. Anche i Bodhisattva a livelli molto alti continuano a commettere errori, quindi è importante accettare quello che siamo, accettare la nostra condizione e quindi aspirare ad essere sempre più consapevoli della nostra natura di amorevole gentilezza e chiarezza cercando di svilupparla al massimo. Quindi, piano piano, saremo in grado anche noi di non fare errori, nel momento in cui saremo diventati dei Buddha.

Quindi, è veramente molto importante non prendersi le colpe, darsi addosso, mortificarsi e dire: è colpa mia, sempre IO IO IO. Se vogliamo incolpare qualcuno, dobbiamo incolpare la nostra attitudine autogratificante, incolpare il nostro egoismo. Fra tutte quante le varie emozioni che noi abbiamo, l’egoismo è soltanto una di quelle. Ma abbiamo tantissime altre emozioni che non sono emozioni distruttive, che sono emozioni sane come, appunto, l’amore, la compassione, la gentilezza, la pazienza e così via, e queste sono qualità che noi abbiamo, sono aspetti della nostra mente. Quindi, dobbiamo incolpare ciò che è la causa dei problemi, ovvero quelle che sono le emozioni distruttive, cioè che distruggono la nostra capacità di essere in contatto con gli aspetti positivi di noi stessi. Per cui non dobbiamo incolpare noi stessi per i nostri problemi, ma dobbiamo incolpare l’egoismo. Se dobbiamo incolpare qualcuno, non dobbiamo incolpare nessuno tranne quello che distrugge la nostra serenità.

Bisogna fare attenzione, a questo proposito, che quando si dice di prendersi cura degli altri e di considerare gli altri superiori a noi, o pensare che gli altri sono più importanti di noi, questo non vuol dire che dobbiamo sminuire noi stessi, che dobbiamo buttarci giù e quindi, sì, sminuire noi stessi. Noi dobbiamo avere una grande considerazioni di noi stessi, dobbiamo riconoscere le qualità e tutte quante le potenzialità che abbiamo e, allo stesso tempo, avendo una alta considerazione di noi stessi, pensare che anche gli altri sono importanti, ancora più di noi, perché sono molti di più. Se noi siamo importanti, altrettanto lo sono gli altri che sono ancora più numerosi di noi. Quindi, quando si dice di pensare agli altri come importanti, più importanti di noi, non è perché noi dobbiamo sminuirci, ma è proprio per cercare di considerare l’importanza degli altri in quanto essere tanti.

Domanda. Come fare, senza andare in affanno, visualizzare e inspirare, espirare e visualizzare?

Non è che noi dobbiamo inspirare e prendere tutto, e poi espirare e dare tutto. Il respiro è semplicemente uno strumento, e quando prendiamo ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’inspirazione; inspiriamo, e poi quando espiriamo non diamo tanta importanza a quella parte di espirazione. Inspiriamo e pensiamo che prendiamo su di noi la sofferenza, quindi ci focalizziamo di più sull’aspetto del prendere.

Quando abbiamo effettivamente la convinzione che abbiamo preso tutte quante le sofferenze degli altri, le sentiamo, a quel punto le buttiamo contro l’egoismo, l’attitudine autogratificante. In quel momento, allora, possiamo pensare che si assorbono tutte le negatività nell’attitudine autogratificante e che la distruggono, che la sciolgono. Quando contempliamo su questa amorevole gentilezza, che finalmente può manifestarsi, e la sperimentiamo dentro di noi, a quel punto possiamo cominciare a focalizzarci, quando espiriamo, con il dare. Ma questo non vuol dire che smettiamo di inspirare, ma ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’espirazione, cioè che con l’espirazione diamo.

Quindi il respiro è semplicemente uno strumento che ci aiuta nella visualizzazione, ma non è che dobbiamo fare tutto così in un colpo, altrimenti perdiamo lo scopo della meditazione.
Quindi, si può utilizzare il respiro con il prendere e il dare, ma non è che questa meditazione si deve fare soltanto con il respiro. Se uno vuole farla anche senza usare come strumento il respiro, lo può fare benissimo. Si utilizza il respiro perché è come uno strumento che ci può aiutare ad avere una maggiore sensazione di prendere, perché quando inspiriamo, l’inspirazione ci può dare un maggiore aiuto nel sentire che qualcosa entra dentro ed è un qualcosa per rafforzare la nostra meditazione. È proprio uno strumento di aiuto, di supporto, di sostegno alla nostra meditazione, così come quando noi espiriamo e possiamo pensare che noi stiamo espirando e stiamo dando agli altri l’energia positiva. È abbinata al respiro perché il respiro può essere uno strumento che noi possiamo utilizzare come sostegno nella nostra meditazione, per aiutarci a sentire meglio il prendere e il dare.

Quindi, meditando e sviluppando la consapevolezza della nostra natura di amorevole gentilezza, possiamo vedere che, effettivamente, anche se desideriamo tantissimo aiutare gli altri, vedendo la loro sofferenza e così via, possiamo constatare che, effettivamente, nonostante abbiamo questo grande desiderio di aiutare gli altri, siamo molto limitati nel poter essere di aiuto agli altri in un modo efficace. Siamo molto limitati nell’aiutare gli altri, nelle nostre capacità, appunto, e siamo anche limitati nell’aiutare noi stessi a eliminare le sofferenze per ottenere ciò che desideriamo.

Contemplando questo, analizzando questo, possiamo effettivamente vedere che soltanto una volta che si ottiene lo stato di Buddha, cioè quando avremo la completa illuminazione, che allora potremo essere in grado di poter aiutare tutti quanti gli esseri senzienti in un modo efficace, in accordo alle varie predisposizioni di ogni essere vivente. E saremo anche in grado di aiutare senza alcun errore, utilizzando esattamente tutto ciò di cui hanno effettivamente bisogno per eliminare la sofferenza e le cause della sofferenza. Questa attitudine, questo desiderio di voler aiutare gli altri nel più breve tempo possibile ci stimola a generare, appunto, Bodhicitta che è l’attitudine o la mente altruistica dell’illuminazione, ovvero voler ottenere lo stato di Buddha nel più breve tempo possibile per poter essere di beneficio per tutti quanti gli esseri senzienti.

Praticando in un modo continuativo, l’amorevole gentilezza e così via, si arriverà a un punto in cui si avrà questa mente di amorevole gentilezza e compassione nei confronti degli altri. Questa sorgerà spontaneamente, senza sforzo; a quel punto si sarà ottenuta, si sarà realizzata la mente di Bodhicitta, avremo realizzato la mente di Bodhicitta e in quel momento entreremo nel sentiero del bodhisattva.

Questo insegnamento è stato dato da Ghesce Sherab il 9 dicembre 2018 presso il Centro Cenresig di Bologna https://nalandaedizioni.it/2020/08/14/sviluppare-la-bodhicitta-con-i-cinque-punti/?mc_cid=319e586e88&mc_eid=13bdd293c8

Biografia del Ven. Ghesce Thubten Sherab

Sono nato nel 1967 in un piccolo villaggio di circa duecento abitanti, nella provincia di Manang, che si trova nell’ovest del Nepal. Poiché i miei genitori avevano cinque figli, desideravano che almeno uno o due di loro entrassero in monastero: è un onore e un modo di accumulare merito per la famiglia. I miei genitori furono in disaccordo su chi dovesse entrare in monastero, io o il mio fratello più giovane, e alla fine decisero per quest’ultimo.
Lo portarono al Monastero di Kopan, ma Lama Yeshe lo rifiutò, dicendo che era troppo giovane (nonostante avesse accettato altri della stessa età). Suppongo che in questa vita egli non avesse il karma di essere monaco. Allora i miei genitori portarono me da Lama Yeshe, che mi accettò. Così io ebbi il karma. A quell’epoca non ero contrario a diventare monaco, ma allo stesso tempo non era una mia decisione. Più o meno era come quando andai a scuola. A circa diciotto anni, come un normale teenager, ebbi molti disagi, non sapendo se per me fosse meglio continuare o restituire l’ordinazione. Ma in seguito, poco prima di andare a Sera, decisi fermamente che essere per sempre un monaco era il modo in cui avrei trascorso la mia vita. Forse tutto questo accadde quando diventai, nella mia mente, un monaco completamente ordinato. Stavo camminando, allora, con uno dei miei insegnanti, il compianto Geshe Jampa, da Kathmandu a Kopan. Mi diceva che gli abitanti della provincia di Manang erano estremamente devoti, ma sembravano privi di comprensione del Dharma. Mi disse che sarebbe stato bene se avessi potuto aiutarli a capire di più. Questo discorso ebbe un grande impatto su di me e mi nacque il desiderio di andare a Sera e studiare in profondità.
Inoltre, ebbi l’opportunità di incontrare Geshe eccellenti come Geshe Jampa Gyatso e Geshe Doga, che vennero a insegnare a Kopan, oltre al compianto Geshe Jampa e, naturalmente, Lama Yeshe e Lama Zopa Rinpoche, Lama Lhundrup e Geshe Lama Konchog. Tutti questi maestri mi ispirarono davvero a studiare. Ebbi un gran rispetto per loro; erano un esempio, per me, come Michael Jackson lo era per i teenager di quel periodo.
Studiai nel Monastero di Sera Je per il livello di Geshe, dal 1987 al 2000. Adesso sono felice di aver preso quella decisione e sono grato ai miei maestri per la loro guida. Provo gratitudine per i miei genitori, specialmente per non avermi sostenuto nel difficile periodo in cui volevo restituire l’ordinazione.
Ciò che mi ha influenzato grandemente, in quel periodo e da allora, è stato trascorrere il tempo vicino ai miei maestri e osservare come praticano e come si comportano nella vita quotidiana. Un esempio che la maggior parte dei lettori di Mandala [rivista americana dell’FPMT, ndt] capiranno è stare vicini a Lama Zopa Rinpoche. E’ così ispirante vedere come Rinpoche pratica e impiega il suo tempo. Un’ispirazione simile sono stati i miei maestri di Sera.
Dopo aver completato i miei studi di Geshe, andai al Gyume Tantric College per un anno e in seguito fui inviato negli Stati Uniti ad aiutare l’FPMT International Office, ad insegnare al gruppo di studio, al centro in Taos (New Messico) e anche a Santa Fe. Rimasi negli U.S.A per due anni e mezzo e poi tornai nel Nepal. Ero stato bene negli U.S.A e in parte non ero sicuro di voler tornare nel Nepal. Alla fine decisi di tornare altrimenti, pensai: “ Se non vado adesso, resterò bloccato qui per sempre”.
Il mio ruolo nel Monastero di Kopan è quello di direttore. Ciò comporta più responsabilità rispetto ai direttori precedenti perché il ruolo si è molto ampliato. Complessivamente, sono responsabile dell’educazione, della supervisione e dei principi di tre aree di Kopan: la scuola, la formazione nel dibattito e la formazione nel tantra.
Il ruolo di un Geshe nella società tibetana è insegnare il Dharma e condividere la propria conoscenza nei monasteri, nelle scuole e in mezzo ai laici, ma penso che, sfortunatamente, questo non accade a sufficienza né dalla parte dei Geshe né dalla parte dei laici. I tibetani laici non sono come gli occidentali, che vogliono imparare il Dharma in profondità: sono meramente soddisfatti nel fare le kora (circoambulazioni), intonare preghiere, fare offerte, ecc. Si spera che la generazione più giovane dei tibetani vorrà imparare il Dharma più profondamente.
Da parte dei Geshe, forse dobbiamo dare di più in termine di tempo ai tibetani laici, specialmente dove non c’è molto reddito, tra i poveri, in luoghi come la Mongolia, il Nepal e parte dell’India. Penso anche che non possiamo dare per scontato che la gente dovrebbe rispettarci perché siamo Geshe. Per ricevere rispetto dalla gente a livello internazionale, dobbiamo lavorare sodo con la nostra pratica e le nostre qualità, invece di avere la mera etichetta di ‘Geshe’.
E’ sicuro che dobbiamo pensare in modo più ampio ai modi di beneficiare più persone, che siano buddhiste o no. La mia opinione è che non ha importanza se una persona segue il modo tradizionale di pratica né se è buddhista o no. Possiamo condividere con loro così tanti aspetti positivi del Dharma! Abbiamo un sincero bisogno di rispettare tutto delle tradizioni religiose, non con la bocca, ma con il cuore. Abbiamo Sua Santità il Dalai Lama come esempio nel trattare con rispetto le altre religioni.
Abbiamo anche bisogno di capire la cultura e la psicologia occidentali in modo che, noi Geshe, si possa essere più efficaci e portare più beneficio. Come Geshe, tuttavia, non dovremmo prenderci troppe libertà nel cambiare il modo tradizionale del Dharma nell’affrontare le cose, solo perché non è adatto al modo degli occidentali o perché non piace loro. Non dobbiamo pensare a risultati immediati ma a un beneficio a lungo termine.
Per i principianti nel Dharma, la cosa più importante è cercare di integrare lo studio con la pratica. Potete vedere come chi è preso soltanto dallo studio, che è solo intellettuale, in tal caso diventi molto arido nel cuore. Queste persone conoscono le cose come un computer, sanno tutto, ma niente tocca il loro cuore. Questo tipo di individui diventa molto arrogante e tende a guardare dall’alto in basso le altre persone con minori conoscenze.
Esistono anche casi in cui qualcuno non studia, pensando che tutto ciò che ha bisogno di fare sia la pratica. Ma come si può praticare se non si studia? Senza studiare, inoltre, un insegnante sbagliato può indurre in errore facilmente, approfittarsi degli studenti e sfruttarli. Voglio precisare che questa è la mia opinione personale e non implica critiche verso nessuno.
Per concludere, la mia richiesta agli studenti è di integrare studio e pratica, come hanno sempre consigliato Sua Santità il Dalai Lama e Lama Zopa Rinpoche.

Intervista e trascrizione di Frank Brocks, Monastero di Kopan, 10 feb. 2007, dalla rivista Mandala, aprile/maggio 2007 http://www.cenresig.org/event/8-9-dicembre-ven-geshe-thubten-sherab-2/?event_date=2018-12-09