Il sutra del diamante: note

Il sutra del diamante: Colophon del testo Lhasa Zhol.70:

Compilato con il nuovo linguaggio standard, revisionando la traduzione dell’abate indiano Silendra Bodhi e Yesce DE.

Colophon della traduzione inglese:

Questa traduzione del Vajra Cutter Sutra è basata sul testo tibetano Lhasa Zhol, confrontato con varie altre edizioni tibetane e con versioni sanscrite, tenendo conto di varie eccellenti traduzioni inglesi precedenti. E’ stata completata il 22 marzo 2002, presso il Chandrakirti Tibetan Buddhist Meditation Centre, presso Nelson (Nuova Zelanda) dal gelong Thubten Tsultrim (il monaco americano George Churinoff).

Colophon della traduzione italiana

Per esaudire velocemente il desiderio dell’insondabile e indicibile Lama Zopa Rinpoche, di recitare questo sutra ogni mese all’Istituto Lama Tzong Khapa, questa traduzione italiana provvisoria del Vajra Cutter Sutra, tradotto dal tibetano in inglese dal ven.George Churinoff, è stata l’ostinata impresa dell’upasika Adalia Samten Telara. Ringrazio la monaca Joan Niecell e Jampa Gendun per avermi aiutato nella revisione dei significati, e Roberta Scandellari per aver controllato con me la traduzione e risolto alcune mie incertezze sull’inglese. Pomaia, il 28 luglio 2004

1 Nelle diverse edizioni originarie, le parole del titolo del sutra variano leggermente nell’ordine.

[Questa è l’edizione italiana provvisoria del Vajra Cutter Sutra, tradotto in inglese dal testo tibetano del Lhasa Zhol Kangyur dal ven. George Churinoff. In questa stesura sono stati omessi i segni diacritici. Le parole tra parentesi tonde ( ), compaiono nell’ edizione inglese, quelle tra parentesi quadre [ ] sono state inserite da me, spesso in inglese o in italiano, a volte basandomi su altre due pubblicazioni: The Vajra Cutter Sutra, tradotto in cinese dal sanscrito da Kumarajiva e dal cinese in inglese da Charles Luk (edizione sconosciuta ricevuta dal Masters Program Office dell’Istituto Lama Tzong Khapa) e La perfection de sagesse du diamant coupeur, tradotta dall’originale tibetano del volume 17 del Kangyur nyngmapa da George Driessens (La Perfection de sagesse, EditionsSeuil, anno?). N.d.T]

2 Tradotto spesso come Diamond Sutra o Diamond Cutter Sutra. Tuttavia, sia nel sutra sia nei commentari indiani consultati (quelli di Asanga, Vasubandhu e Kamalasila), la parola ‘vajra’ usata nel titolo non è spiegata con il significato di ‘diamante’. In realtà, nel suo insegnamento, il Buddha non ha neppure usato la parola ‘vajra’ (perlomeno nelle edizioni in sanscrito e in tibetano), denominando semplicemente il sutra con prajnaparamita: “Subhuti, il nome di questo insegnamento di Dharma è ‘la perfezione della saggezza’. Dovrebbe essere ricordato in questo modo”.

Nell’introduzione alla propria traduzione ed edizione, lo studioso buddhista Edward Conze ha scritto (p.7): “È d’uso, seguendo Max Mueller, tradurre vajracchedika sutra come ‘sutra del diamante’. Non vi è motivo di abbandonare questa abitudine ormai diffusa; tuttavia, a rigor di termini, è più che inverosimile che i buddhisti [mahayana] capiscano vajra come la sostanza materiale che chiamiamo ‘diamante’”.

Il commentario [ovvero la versione in tibetano] di Kamalasila (p.204a) considera ‘vajra’ nel senso di implemento adamantino: “Così, è il ‘tagliante vajra’ [vajra cutter, in ingl.] in due sensi. Poiché recide le oscurazioni afflittive e le oscurazioni sottili all’onniscienza, che sono difficili da distruggere quanto il vajra, indica la necessità di abbandonare le due oscurazioni. Inoltre, il tagliare è ‘simile al vajra’ poiché è simile alla sua forma: il vajra è bulboso alle estremità e più fine al centro; in modo analogo, la perfezione della saggezza è insegnata come estesa all’inizio e alla fine: il terreno dell’attività di aspirazione e il terreno di buddha. La parte fine nel mezzo indica i terreni puri dell’intenzione superiore. Perciò è come la forma di una vajra, che indica come suo oggetto di riferimento i tre terreni ”.

[The vajra cutter sutra’ potrebbe essere tradotto come ‘Il sutra tagliante come il vajra’. Ho adottato invece il titolo Il sutra del diamante perché, nella letteratura buddhista occidentale, questo sutra è citato e commentato prevalentemente come Sutra del Diamante, e mi sembra importante non creare confusione e favorire il riconoscimento immediato da parte di chi ha letto altre versioni.

P.Cornu, nel Dictionnaire Encyclopedique du Bouddhisme, Seuil 2001 (pag.557), traduce il sanscrito vajracchedika con ‘tranchante comme le diamant’ riferito alla prajnaparamita, e riporta che vajra in sanscrito significa diamante (diamant) o folgore (foudre) (pag.647). Il dizionario di sanscrito di Sir M. Monier Williams (pag. 913, Oxford University Press 1982) presenta vari significati di vajra, il primo: ‘il duro e potente’, poi ‘fulmine, strumenti del dio Indra, diamante’ (e spiega che vajra era un epiteto del diamante, a causa della sua durezza), e infine ‘implemento buddhista’. Di conseguenza, ho fatto una scelta di traduzione, approvata dall’eccellente studioso e Maestro Ghesce Ciampa Ghiatso, a vantaggio della comprensione del significato. Ho adottato, inoltre, ‘perfezione della saggezza’ per prajnaparamita (in ing. wisdom gone beyond) come è d’uso nei testi del Masters Program all’Istituto Lama Tzong Khapa, invece della traduzione letterale dall’inglese ‘saggezza andata al di là’ o della francese ‘conoscenza trascendente’ o ‘saggezza trascendente’.

Dati i numerosi problemi di esattezza di significato, che ovviamente sorgono ancora, a tradurre dal sutra originale tibetano nel linguaggio filosofico buddhista inglese e da qui in quello italiano, e data la possibilità di errori dal sanscrito in tibetano – su cui a volte ci mette in guardia lo stesso sua santità il Dalai Lama – confido in un futuro commentario chiarificante di Ghesce Ciampa Ghiatso per poter definire una futura stesura definitiva, riveduta e corretta. Nel frattempo è benvenuto ogni suggerimento e chiarimento N.d.T]

3 Il nome di uno dei principali benefattori laici, che in pali appare spesso come Anathapindika

4 Il commentario di Kamalashila (pp. 6b-7) spiega che ‘l’attività del cibo’ comprende molti aspetti dell’azione, tutti compiuti per beneficiare gli esseri senzienti in vari modi.

5 Il commentario di Kamalashila (p. 7b) spiega questo gesto mettendolo in relazione alle speciali virtù ascetiche prescritte dal Buddha (in sansc. duta-gungah; in tibetano sbyangs pa”i yon tan) che includono il cibarsi una sola volta al giorno.

6 Letteralmente ‘Colui che è andato nella beatitudine’ (Sans. Sugata; tib. bde bar gsheg pa), un comune epiteto del Buddha.

()[Là dove G.Churinoff usa sempre discrimination, nel testo in francese citato (vedi nota 1) viene adottato differentemente, nei vari contesti: nozione, idea, percezione… Nel testo inglese di Charles Luk viene di solito usato notion, che può essere tradotto con nozione, idea,concetto. In inglese discrimination – come in italiano discriminazione – ha diversi significati a diversi livelli (secondo il linguaggio comune, filosofico o psicologico), ma non quelli citati sopra. Nel linguaggio filosofico buddhista, come spiega Jampa Gendun, la parola discrimination può essere usata sia nel senso di discernimento, apprensione,sia nel senso di percezione, riconoscimento, differenziazione, distinzione, accertamento, cognizione. Sotteso sia a discrimination che a notion vi è l’attività del terzo aggregato (in ingl. discrimination), che include ciò che in psicologia è chiamato ‘il processo della percezione’, cioè’ un apprendimento sensoriale dei segni specifici di un oggetto che implica la designazione di un’espressione’ e quindi di un concetto, o nozione, preesistente nella mente (vedi J.Hopkins, Meditation on Emptiness, ed. 1983, p. 241). Poiché ‘discriminazione’ mi sembra un termine molto fuorviante ho sempre usato nozione per il sostantivo e concepire per il verbo. N.d.T]

7 ‘A causa dei marchi perfetti’ (sansc. laksana-sampada; tib. mtsan phun sum tsogs pas) può essere tradotto dal sanscrito come ‘a causa del possedere i marchi’; la parola ‘sampad’, infatti, significa ‘conseguimento’, ‘possesso’ ecc.. Da qui la scelta di Conze ‘possesso dei suoi marchi’. Tuttavia ‘sampad’ significa anche ‘perfezione’, ‘eccellenza’ ecc. (Apte, p.1.644) e questo è i significato adottato nel commentario in tibetano di Kamalashila (p.220b): ‘Poiché collocati al loro posto, chiari e completi, sono anche perfetti…’ (Tib. de dag kyang yul na gnas pa dang, gsal ba dang, rdzogs pas phun sum tsogs pa’o’).

8 Leggi ‘di ji snyam du sems, mtsam phun sum tsogs pa’ come ‘ ji tsam du mtsan phun sum tsogs pa’ , in accordo alle edizioni Tog Palace, Lanchou e alla piccola edizione.

9 Conze e altri interpretano ‘’laksana-alaksanatas tathagato drastavyas’ come ‘il Tathagata deve essere considerato per non-marchi come marchi’ (L’edizione Sacred Books of the East, a pag.115, recita:’laksanalaksanatvatah’). Le traduzioni tibetane, tuttavia, riportano: ‘de bzhin gshegs pa la mtsan dang mtsan ma med par blta’o’ (leggendo ‘mtsan dang mtsan med’ del nostro testo, mentre altri testi leggono ‘mtsan dang mtsan ma med”), che intende il composito ‘laksana-alaksana’ come ‘marchi e non-marchi’ invece di ‘non-marchi come marchi’.

La traduzione tibetana concorda con il commentario di Kamalashila (pag.221a): “…’Tanto vi sono marchi perfetti’ significa: ‘in ultimo, tanto vi è adesione ai marchi perfetti, tanto vi è un’errata adesione’. ‘Tanto vi sono non-marchi perfettideve essere inteso come spiegazione opposta. Qui indica come si deve praticare: con la stabilità meditativa nello yoga. Qui viene indicato come proteggere la mente: abbandonando i due estremi. ‘Così’[significa che] si dovrebbe vedere il Tahagata per i marchi, come il Buddha magicamente creato [il nirmanakaya]. Ciò dissolve l’estremo della sottovalutazione, dal momento che non si sottovaluta il nirmanakaya del Bhagavan dal punto di vista convenzionale. Non-marchi è l’osservazione a livello ultimo, poiché i marchi sono affatto stabiliti. Ciò dissolve l’estremo della sopravvalutazione”

10 Il commentario di Kamalashila spiega (a pag.220a): “Poiché la dottrina del Bhagavan ha fama di ‘rimanere per cinque insiemi di cinquecento’ viene affrontata in particolare ‘la fine’ a causa della presenza, in quel tempo, delle cinque degenerazioni”.

11 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace riportano ‘bshad pa ‘di la’, che mi è difficile comprendere, mentre le altre due edizioni hanno ‘bshad pa dag la’ al momento della spiegazione’, che concorda con Kamalashila (pag.221b) e il sanscrito.

12 Kamalashila (pag.221b): “… ‘come in questo’ significa ‘nel significato profondo ed esteso’…”

13 Le quattro edizioni tibetane riportano che il Bhagavan dice a Subhuti di non affermare quanto viene citato, mentre in sanscrito, come lo interpreta Conze, può essere letto che il Bhagavan dice ‘Non parlare così, Subhuti’ e poi ‘Sì, nel tempo futuro ci saranno…’. Ciò sembra maggiormente in accordo con il termine successivo ‘per di più’ che appare nelle edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace.

() [un solo pensiero di fede]

14 Abbiamo tradotto così perché le edizioni Tog Palace e Lanchou concordano sia con il sanscrito, sia con il commentario di Kamalashila (p.223a). L’edizione Lhasa Zhol recita: ‘… né si impegneranno nel concepire come nozione o non-nozione’; il testo piccolo riporta: ‘…né si impegneranno nella non-nozione’.

15 Il testo piccolo recita ‘da loro’[by them] ; gli altri tre riportano:’per loro’ [of them] Conze traduce il sanscrito ‘tesam’ con ‘in loro’[with them] e quindi ‘ciò significherebbe in loro un afferrarsi al sé’

16 L’intera frase non compare nel sanscrito. Tuttavia è presente in una delle tre versioni delle edizioni tibetane. L’edizione Lhasa Zhol riporta: ‘anche se considerano i fenomeni come non esistenti…’. l’edizione Tog Palace recita: ‘… anche se si impegnano nel concepire i fenomeni come non esistenti…’; il Lanchou e il testo piccolo recitano: ‘…anche se si impegnano nel concepire i fenomeni come privi di un sé…’ Il commentario di Kamalashila non ne fa menzione, lasciando supporre che forse non compare nella versione da lui usata.

17 Poiché la frase successiva inizia presentando di nuovo il Bhagavan come oratore, non è chiaro se il Bhagavan abbia pronunciato questa frase proprio in quel contesto. Il commentario di Kamalashila (p.224b) cita l’Arya Ratna Karandaka Sutra (‘Phags pa dkon mchog za ma tog gi mdo): ‘venerabile Subhuti, se da coloro che considerano la dissertazione sul Dharma come una barca anche il dharmata deve essere abbandonato, che bisogno c’è qui di menzionare i non-dharma? Né che l’abbandonare ogni dharma implica anche i non dharma.’

18 Il Lanchou e il piccolo testo recitano entrambi: ‘… realizzato dal Tathagata come insuperabile…’ e ‘ è stato insegnato questo dharma…’

19 Il commentario di Kamalashila (p.225b) cita un testo che chiama Compendio di Buddha(in tib. Sangs rgyas yang dag par sdud pa), Buddha-samgiti: “Ananda, ciò che è la non-produzione, la non-disintegrazione, il non dimorare e la non-alterazione dei fenomeni, ciò è ‘la verità degli arya’. Ananda, poiché il Tathagata ha considerato questo, ha detto ‘Gli uditori arya (sravaka) si distinguono per il non-composto’. Ciò significa che, sorgano o non sorgano, i Tathagata, poiché esistono in questo modo permanente e immodificabile, (essi sono) non composti. Poiché lo realizzano, gli esseri arya si distinguono da questo, dato che gli arya si distinguono per [il fatto di] realizzare l’unicità dei fenomeni (chos kyi de kho na). Perché un’altra entità unica è inadatta”.

20 Leggi ‘dus ma byas’ invece di ‘dus ma bgyis’. Forse l’intenzione del curatore del testo di Lhasa Zhol era quella di rendere ‘non-composto’ più onorifico, dal momento che riguarda ciò che distingue gli esseri arya.

21 Alla lettera: ‘il gran migliaio delle tre migliaia di sistemi di mondi’ (sans.: trisahasramahasahasram lokadhatu; tib.: stong gsum gyi stong chen po’i ‘jig rten gyi khams), ben noto nella letteratura buddhista. In questo contesto, il mondo di base cui si riferisce è costituito dai quattro continenti, il sole e la luna, il Sumeru (re delle montagne), gli dei del reame del desiderio e il primo dei reami della forma di Brahma.

I ‘sistemi di mondi delle tre migliaia’ si riferisce alle tre categorie di tali mondi – mille sistemi basilari di mondi (con i quattro continenti, ecc.) chiamati ‘il piccolo migliaio’, mille di questi (ovvero in totale un milione di tali sistemi di mondi) chiamato ‘il migliaio mediano’ e mille di questi ultimi (o in totale un miliardo di sistemi di mondi) chiamato ‘il grande migliaio’. L’ultima delle tre categorie, il ‘gran migliaio di tre migliaia di sistema di mondi’ include [quindi] un miliardo di sistemi di mondi.

22 Nessuna delle quattro edizioni tibetane né il commentario di Kamalashila nominano il ricevente, mentre l’edizione sanscrita di Conze specifica che i riceventi sono gli arhat tathagata buddha perfettamente realizzati

23 Il commentario di Kamalashila (p.227 a) spiega ‘avendo preso’[having taken] come ‘imparato a memoria’ (bzung nas ni zhes bya ba kha ton du byas ba’o). Il commentario tibetano spiega (p. 93-4): “Prendere è portare le parole nella mente – ma può essere riferito anche ad avere il testo in mano e declamare”.

[ ‘Having taken’, in inglese, sembra qui nel senso lato di ‘portare o ricevere le parole alla mente’, ovvero recepirle, e poi ascoltando e riascoltando, memorizzarle, dato che in sequenza appaiono spiegare e insegnare agli altri. La versione di Luk adotta ricevere e tenere a mente,quella francese, trattenere, ricordare e altre variazioni. Nella tradizione orale, indiana e tibetana, in genere gli insegnamenti dei Maestri spirituali e i testi sacri venivano imparati a memoria anche senza comprenderne il significato, poi si cominciavano a capire ripetendo, ascoltando e riascoltando le spiegazioni del Maestro o confrontandosi con gli altri discepoli. La formula ripetitiva del discorso era adottata dall’oratore per permettere all’ascoltatore di assimilare il significato, ovvero recepire e memorizzare durante l’ascolto. Le leggere variazioni successive del discorso portavano l’ascoltatore ad approfondire senza dimenticare il messaggio principale, che spesso veniva ripetuto alla fine. Integrando con la meditazione, mille ‘uditori’ (shravaka) del Buddha sono arrivati allo stato di arhat, il che ha permesso loro di ricordare esattamente i discorsi o sutra del Buddha in quaranta anni di insegnamento. I sutra del Buddha sono stati tutti preservati dalla tradizione orale e scritti secoli dopo il suo parinirvana.]

() [Nella versione inglese di Charles Luk, accanto a called compare sempre tra parentesi merely , che indubbiamente chiarisce il significato delle varie asserzioni di questo tipo nel senso di ‘è soltanto un’imputazione nominale, un’etichetta, una designazione, ecc.’, cioè è soltanto (o meramente) denominato. N.d.T]

24 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace presentano entrambe il singolare. L’edizione Lanchou e la piccola presentano il plurale.

25 Conze traduce il sanscrito (sezione 9a) ‘sa eva tasya-atma-graho bhaver sattva-graho jiva-graho pudgala-graho bhaved’ come ‘…then that would be in him a seizing of self, a seizing of a being, seizing of a soul, seizing of a person’ (allora ciò sarebbe in lui un afferrarsi del sé, afferrarsi di un essere, afferrarsi di un anima, afferrarsi di una persona). Il commentario tibetano, tuttavia, spiega il genitivo tibetano ‘di quello’ (de’i’ o ‘de yi’) come segue (p.95): “Dicendo ‘ciò stesso sarebbe un afferrarsi di quello come a un sé’ (de nyid de yi bdag tu ‘dzin par’ gyur ro) mostra (l’afferrare) la persona e il risultato come afferrarsi al sé e afferrarsi al vero. Il primo è afferrarsi a un sé della persona e il secondo è afferrarsi a un sé dei fenomeni.” Si potrebbe sostenere che sia meglio tradurre la frase ‘de nyid de’i bdag tu ‘dzin par ‘gyur lags so’ come ‘ciò stesso sarebbe un afferrarsi al sé di quello’ piuttosto che ‘ciò stesso sarebbe un afferrarsi a quello come a un sé’. Ma secondo la scuola Prasangika Madyamaka, l’azione mentale detta ‘afferrar[si a] un sé’[self-grasping] o ‘ afferrarsi come a un sé’ [grasping as a self] (bdag tu ‘dzin pa) ha come oggetto referente il sé convenzionale (di una persona o altro fenomeno) e lo considera come un sé veramente esistente. Il ‘sé’ dell’ ‘afferrarsi al sé’ non è ciò che sta per essere afferrato.[Questa nota non mi risulta chiara. N.d.T]

( ) [ L’edizione francese usa ‘è chiamato’ ‘ è denominato’, invece di ‘si dice’ (one says)]

26 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace, così come l’edizione sanscrita usata da Conze, omettono la frase seguente riportata dalle altre due edizioni tibetane: “Bhagavan, se colui che torna una sola volta pensasse ‘Ho ottenuto il risultato di colui che torna una sola volta’ ciò stesso sarebbe un afferrarsi a quello come a un sé, afferrarsi come a un essere senziente, afferrarsi come a un essere vivente, afferrarsi come a una persona.”

27 Ancora, la frase seguente è omessa: ‘Bhagavan, se colui che non ritorna pensasse: ‘Ho ottenuto il risultato di colui che non ritorna’, ciò stesso sarebbe un afferrarsi a quello come a un sé, afferrarsi come a un essere senzionte, afferrarsi come a un essere vivente, afferrarsi come a una persona’.

28 Conze traduce come ‘il più eminente tra coloro che dimorano nella pace’ (sansc. arana-viharinam agryo; in tib.:nyon mongs pa med par gnas pa rnamas kyi mchog). Nella traduzione del The Middle Lenght Discourses of th Buddha (Majjhima Nikaya, p.1,345, nota 1,2639 è menzionato che Subhuti era ritenuto il più eminente in due categorie ‘tra coloro che vivono senza conflitti e tra coloro che sono degni di offerte’.

Anche se la parola sanscrita ‘arana’ può significare ‘non combattimento’ (Apte, p.213) e quindi ‘senza conflitto’ o ‘pace’ , la traduzione tibetana di ‘nyon mongs pa med pa’ come ‘senza afflizioni’ può riflettere l’intenzione di questo epiteto, nel senso che si riteneva che Subhuti fosse stato molto collerico da giovane e avesse superato questo comportamento erroneo in particolare per conseguire le più alte realizzazioni. [Altre interpretazioni sostengono che ‘nyon mongs pa med pa’ designa un particolare livello di realizzazione detta ‘senza conflitti’.N.d.T]

29 Terreni dispiegati [arranged fields] (sansc.: ksetra-vyuhan, tib. :zhing bkod pa rnams) tradotto da Conze come ‘armonie dei terreni di Buddha’ e da Shopen come ‘meravigliose disposizioni’[arrangements] nella mia sfera di attività’ si riferisce all’attività del bodhisattva che crea le cause del suo futuro terreno di buddha.[Sembrerebbe piuttosto ‘terreni da dispiegare’ Non è chiaro se si tratti di ‘terreni’ emanati in senso prodigioso o in senso simbolico di manifestazione nelle attività proprie potenti qualità altruistiche. N.d.T]

30 Invece della parola ‘corpo’( sans. kaya; tib. lus), l’edizione sanscrita di Conze presenta ‘esistenza personale’(sansc. atmabhava) sia a questo punto sia nel paragrafo successivo. Tuttavia, all’inizio di questo paragrafo, è stata usata la parola sanscrita ‘kaya’ (…se, per esempio, il corpo di un essere diventasse così, diventasse in questo modo, grande come il Sumeru…)

31 L’edizione sanscrita di Conze presenta: ‘arocayami te Subhuti prativedayami te’, che Conze traduce con ‘questo è ciò che io ti annunzio, Subhuti; questo è ciò che io porto alla tua conoscenza’, con entrambe le frasi in prima persona. Tuttavia, le quattro edizioni tibetane usate per questa traduzione riportano: ‘rab ‘byor, khyod mos par bya, khyod kyis khong du chud par bya’o’, dove la seconda frase traduce come ‘dovresti comprendere’. La prima frase potrebbe essere tradotta come ‘ti annunzierò’ se supponiamo che la parola tibetana ‘mos’ (‘apprezzare’ o ‘credere’) sia in realtà ‘smos’ (‘menzione’ o ‘annunzio’), dato che un equivalente sanscrito di ‘smos’ è ‘arocayati’ (vedi Lokesh Chandra, p.1,882).
A complicare ulteriormente il tutto, il commentario di Kamalashila (p.233a) presenta ‘ mos par bya zhes bya ni ‘dod pa ste, mos pa bskyed par bya’o khong du chud par bya ni rtogs par bya ba ste shes rab bskyed do zhes bya ba’i tha tsig go / ‘di la snga ma’i ‘bras bu’o / yang na phi ma ni snga ma’i bshed pa’o / bshed ces bya ba ni sgra’o / wang dag par bstan zhes bya ba ni ‘dod pa ste mos par bskyed pa’i don to’.

32 L’edizione Lhasa Zhol differisce dalle altre tre edizioni tibetane e dall’edizione sanscrita di Conze presentando “…i sistemi del mondo uguali ai granelli di sabbia del fiume Gange’. Poiché ciò sembra ignorare l’elaborato esempio precedente, qui è stata usata la versione degli altri testi, supponendo un errore di scrittura.

33 ‘Vero santuario’ (tib.: mchod rten du gyur; sans.: caityabhuta)

() [Ho tradotto takes up con accettare, là dove i testi citati a nota 1 usano receive (ricevere,accogliere, accettare) e accepter (accettare, accogliere).]

34 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace, così come il commentario di Kamalashila (p. 233b) concordano con questo elenco. L’edizioni Lanchou e la piccola edizione recitano: “ chiunque accetti questo insegnamento di Dharma, lo scriva, lo ricordi [holds], lo legga, lo comprenda e lo tenga a mente adeguatamente…”

35 La formulazione delle edizioni Lhas Zhol e Tog Palace differisce dall’edizione Lanchou e piccola. La prima è come tradotta in precedenza (sa phyogs de na ston pa yang bzhugs te, bla ma’i gnas gzhan dag kyang gnas so); l’ultima potrebbe essere tradotta come: “ In quel luogo della terra dimorano sia il Maestro sia altri guru simili (sa phyogs de na ston pa’m, bla ma lta bu gang yang rung bar gnas so)

36 Il frammento di Gilgit inizia da questo punto.

37 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace recitano entrambe ‘trentadue marchi del Tathagata’, laddove le edizioni Lanchou, la piccola e le sanscrite riportano ‘trentadue marchi di un grande essere’

38 L’ edizione Lanchou e la piccola recitano: ‘Se qualcuno, recependo anche una piccola stanza di quattro versi di questo insegnamento di Dharma lo insegnasse correttamente ad altri…” Il testo del frammento di Gilgit per questo paragrafo concorda con le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace. La traduzione di Conze mescola elementi di altri testi “Il Nobile: e ancora, Subhuti, supponi che un uomo o una donna rinuncino tutti i giorni a tutto ciò che hanno e tutto ciò che sono, per tante volte quanto il numero dei granelli di sabbi del fiume Gange, e che rinunciassero a tutto ciò che hanno e tutto ciò che sono per tante ere cosmiche quanti sono i granelli del fiume Gange – ma se qualcuno, dopo aver recepito una sola stanza di questo insegnamento sul Dharma, lo spiegasse e lo chiarisse ad altri…”

39 La formulazione dell’ edizione Lanchou e la piccole sono differenti: “L’insegnamento sul Dharma pur tanto [however much] insegnato dal Tathagata…” Il commentario di Kamalashila concorda con questa versione( p.236b) e interpreta ‘pur tanto’ come “spiegare ai bodhisattva con i tanti innumerevoli modi degni di essere spiegati”

40 Sebbene le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace recitino ‘apprezzare’ (tib. mos pa), le altre due edizioni tibetane, il commentario di Kamalashila (p.237b) e il frammento sanscrito Gilgit presentano ‘stupefacente’ (tib. ngo mtshar, sansc. ascaryam) e l’edizione sanscrita di Conze sceglie ‘difficile’ (sansc. duskaram)

41 Sebbene Schopen faccia notare che il frammento di Gilgit presenta: ‘re malvagio’ (sanscr. kalirajah), tutte le edizioni tibetane e quella sanscrita di Conze riportano ‘kalinga’.

42 Sansc. rsi

43 Dieci di milioni (sansc. koti; tib. bye ba) e cento miliardi (sansc. niyuta; tib. khrag khrig) sono usati di solito per indicare una grande cifra.

44 Sebbene assente nell’edizione Lhasa Zhol e nell’edizione sanscrita di Conze, l’edizione Tog Palace, Lanchou e la piccola presentano a questo punto un’ulteriore frase: ‘Si dovrebbe comprendere come inimmaginabile anche la sua maturazione’

45 Tib. mchod rten; sansc. caitya (caityabhuta). Il termine sanscrito ‘stupa’ viene tradotto con la stessa parola tibetana ‘mchod rten’, ma il testo sanscrito dice ‘caitya’. In precedenza la frase ‘mchod rten du gyur’ era stata tradotta ‘santuario regale’. Qui la frase tibetana ‘mchod rten lta bur gyur ro’ è tradotta ‘diventerà come un santuario’.

46 ‘Tormentato’ (tib. mnar ba; sansc. paribhuta ). Il sanscrito ‘paribhuta’ è tradotto da Conze come ‘umiliato’ e da Schopen come ‘schernito’. Tuttavia Apte (p.982) definisce ‘paribhuta’ come: 1.Dominato, conquistato. 2. Disprezzato, ingiuriato. Il tibetano ‘mnar ba’ si riferisce anche alla tortura o a dolore tormentoso in generale. Il commentario tibetano di Cone Gragspa (pp.119-20) elenca: “varie malattie e contrasti, litigi, errori che emergono e schiavitù, percosse e così via.” Schopen annota (nota 11, p.137) ‘quel karma non meritevole potrebbe essere eliminato tramite il risultato di essere maltrattato da altri per aver adottato una pratica o una posizione particolare’, ma la versione abituale sembra essere che il karma non meritevole viene purificato sopportando molti tipi di sofferenze.

47 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace presentano ‘oltre’, che concorda con il sanscrito. L’edizione Lanchou e la piccola edizione presentano ‘prima’.

48 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace presentano ‘mi pod’; l’edizione piccola e la Lanchou presentano ‘nye bar mi ‘gro’. Entrambe le frasi possono essere la traduzione del sanscrito ‘nopaiti’, avvicinarsi.

49 In tib. yang dag pa de zhin nyid; in sansc. bhuta-tathataya

50 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace, e anche il frammento Gilgit traducono in questo modo. L’edizione Lanchou e la piccola, come una delle molte edizioni sanscrite consultate da Conze (quella di Pargiter) aggiungono ‘o insegnato’

51 L’edizione Lanchou e la piccola riportano ‘un essere dotato di corpo umano’

52 ‘In modo simile’ qui significa ‘non dovrebbe essere chiamato bodhisattva’

53 Le edizioni Lhasa Zhol e Tog Palace e il frammento Gilgit riportano due volte ‘bodhisattva’. L’edizione Lanchou e la piccola hanno ‘bodhisattva’ seguito da ‘mahasattva’.

54 ‘differenti pensieri’ (sans.nanabhavan; tib. bsam pa tha dad pa) è tradotto da Conze come ‘molteplici’ e da Schopen come ‘vari’, ma la traduzione tibetana intende ‘bhavam’ come ‘pensieri’ o ‘inclinazioni’ (tib. bsam pa)

55 Gli altri tre testi tibetani riportano ‘spiegazione’ (tib. bshad pa). In Textual Note about Folio 9b (p.117, nota 6), Shopen sembra ricostruire il sanscrito di ‘spiegazione’ [bhasyama (nam)] e cita varie edizioni che presentano un equivalente sanscrito di ‘spiegazione’. Conze omette il verbo.

56 [ For it, in inglese. Sembra per esso, il dharma realizzato dal Tathagata] I testi Lhasa Zhol e Tog Palace presentano semplicemente it [esso, essa, ciò, ecc] mentre l’edizione piccola e la Lanchou hanno.for it [per esso/a, per ciò]e there [là, lì, ivi ecc.] (tib. de la). L’edizione di Conze e il frammento Gilgit presentano il sanscrito ‘tatra’ (‘for it’ o ‘there’).

57 L’edizione piccola e la Lanchou danno un ordine inverso, cioè ‘non è osservato e non esiste’.

58 L’edizione piccola e la Lanchou presentano ‘inequivalenza ed equivalenza qui non esistono’, ma l’edizione sanscrita di Conze e il frammento Gilgit hanno soltanto ‘per esso, l’inequivalenza non ha alcuna esistenza’ (sans. na tatra kimcid visamas)

59 L’edizione Lanchou e la piccola presentano ‘si sono impegnati nel sentiero errato’ (tib. log pa’i lam du zhugs pa ste), ma le ediuzioni Lhasa Zhol e Tog Palace recitano ‘si sono erroneamente impegnati abbandonando’ (tib. log par spong bas zhugs pa ste), che concorda con il sanscrito dell’edizione di Conze e con il frammento Gilgit ‘mithya-prahana-prasrta)

60 La parola sanscrita ‘dharmata’ (tib. chods nyid) si riferisce alla natura dei dharma ovvero alla natura ultima dei fenomeni. Qui si riferisce alla natura ultima dei fenomeni, non alla natura convenzionale o alla dottrina [che in it. si scrive Dharma, con la D maiuscola] (come tradotto da Conze e da Schopen)

61 Il commentario tibetano di Cone Graspa (p.141) recita: ‘La ragione di non vedere (nella prima stanza) è che è necessario considerare il dharmakaya dei buddha, il corpo di natura, come corpo della natura ultima (dharmata) – e il corpo delle guide, dei buddha, il dharmata, la natura ultima, non è un oggetto che può essere conosciuto da una consapevolezza imprigionata dall’afferrarsi al vero, poiché il dharmakaya non è adatto a essere conosciuto da quella consapevolezza’. Vedi anche la discussione nel commentario di Kamalashila (pp259a-b)

62 In sansc. Kasyacid dharmasya vinasah prajnapta ucchedo va (veti);in tib. chos la la zhig rnam par bshig gam, chad par btags pa.

63 Il testo Lhasa Zhol presenta ‘privo di un sé e non prodotto’ come l’edizione sanscrita di Conze (niratmakesv anutpattikesu). Il frammento di Gilgit ha ‘privo di un sé’ (niratmakesu) ma omette ‘non prodotto’

64 ‘Subhuti, acquisire, non afferrare erroneamente’ (tib. rab ‘byor, yongs su gzung mod kyi, log par mi gzung ste; sans. parigrahitavyah subhute nograhitavyah). Il sanscrito legge ‘dovrebbe essere acquisito,Subhuti, non dovrebbe essere afferrato’

65 Il piccolo testo e il Lanchou riportano ‘conoscere’ (tib. shes)

66 Anche se il testo piccolo e il Lanchou usano la parola ‘scritto’ (tib. bris), i testi Lhasa Zhol e Tog Palace riportano ‘accettato’ (tib. blang) che concorda con l’edizione sanscrita di Conze e il frammento Gilgit (sans. udgrhya). Inoltre, il commentario di Kamalashila (p. 265b) spiega ‘accettare’ (tib. blang) con ‘leggere recitando’[o leggere un brano imparato a memoria?] (tib. blangs nas zhes bya ba ni kha ton du bklags pa’o).

67 ‘Anziani’ (sans. sthavira; tib. gnas brtan)

68 Gli altri tre testi tibetani hanno ‘quei bhikshu, quei bodhisattva…’

69 Upasakas e upasika sono gli uomini e le donne che hanno preso i voti a vita di un praticante laico. I monaci novizi e le monace novizie possonbo essere inclusi nelle categorie dei bhikshu e delle bhikshuni, i monaci e le monache completamente ordinati.

70 Il colophon compare nel catalogo dell’edizione Lhasa Zhol della raccolta di traduzioni tibetane delle Parole di Buddha (bka’ ‘gyur). L’indice dell’ACIP dice che l’edizione Lhasa Zhol fu composta nel 1934 dietro richiesta del Tredicesimo Dalai Lama. Il testo vero e proprio che compare nell’edizione Lhasa Zhol, tuttavia, era stato tradotto molto tempo prima.

Il colophon recita, in maiuscolo: ‘Dalla pagina 215 di fronte (fino alla pagina retro 235) ‘Trecento Perfezione della Saggezza’ o ‘Sutra tagliante vajra’ (ing. Vajra Cutter Sutra). Una sezione (bam bo). Compilato con il nuovo linguaggio standard, revisionando la traduzione dell’abate indiano Silendra Bodhi e Yeshe sDe.

(TRATTO DAL SITO: www.iltk.it – dell’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia – Pisa (Italia)
che devotamente ringraziamo per la loro compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri

che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)