Ghesce Ciampa Ghiatzo: I quattro sigilli del Buddhismo

Ghesce Ciampa Ghiatzo: Praticando in un modo continuativo, l’amorevole gentilezza e così via, si arriverà ad un punto in cui si avrà questa mente di amorevole gentilezza e compassione nei confronti degli altri. Questa sorgerà spontaneamente, senza sforzo. A quel punto si sarà ottenuta, si sarà realizzata la mente di Bodhicitta, avremo realizzato la mente di Bodhicitta e in quel momento entreremo nel sentiero del bodhisattva.

Ghesce Ciampa Ghiatso: I quattro sigilli del Buddhismo

Ora parlerò dei quattro sigilli.

Il primo è l’impermanenza: tutti i fenomeni creati composti sono impermanenti, quindi occorre familiarizzarsi o meditare sull’impermanenza. Buddha indicò quattro tipi di impermanenza. Il suo primo insegnamento fu l’impermanenza, e anche il suo ultimo insegnamento, la conclusione, fu l’impermanenza in quanto lasciò il corpo e, quindi, mostrò l’impermanenza. All’inizio parlò delle quattro nobili verità: la prima è la realtà della sofferenza. La prima caratteristica della sofferenza è di essere impermanente.

La considerazione dell’impermanenza è qualcosa che ci sollecita alla pratica del Dharma, a un metodo interiore.

Se non c’è la considerazione o il riconoscimento dell’impermanenza delle cose, allora non ci sarà l’interesse, lo stimolo per una ricerca interiore. Nell’esposizione del Sentiero Graduale verso l’Illuminazione, vengono illustrati esattamente questi punti che riguardano i benefici della consapevolezza dell’impermanenza e gli svantaggi del non esserne consapevoli. Siamo nati e moriamo, nessuno può affermare di essere nato e di non morire. Dopo un incontro di un gruppo di persone alla fine c’è sempre una separazione; dopo ogni accumulazione di ricchezze alla fine c’è la consumazione o l’esaurimento; dopo ogni salita, dopo ogni elevazione, c’è una caduta.

Ora è primavera, gli alberi hanno le foglie, il verde è molto bello, la cima degli alberi è fiorita ed è molto bella, ma d’inverno tutte le foglie e le fioriture cadono, qualche albero rimane completamente spoglio, pare seccato e questa trasformazione è evidente. Anche nella vita politica succede che qualche personaggio politico è elevato per un certo periodo, poi cade. Questo mostra l’impermanenza. Le foglie cadono dall’albero e si accumulano tutte insieme a terra, poi arriva il vento e le spazza via in tutte le direzioni, le disperde in ogni direzione. Così succede anche nei rapporti umani: abbiamo una famiglia, ci incontriamo, stiamo insieme… ma alla fine c’è una separazione; pur non essendoci questo desiderio, a causa di certe condizioni avviene una separazione. Una moglie e un marito potrebbero non volersi mai separare, pensare “Staremo sempre insieme”, ma a causa dell’impermanenza uno dei due morirà prima dell’altro, quindi inevitabilmente ci sarà la separazione.

Questa è la natura dell’impermanenza.

La durata della relazione in una famiglia, in una coppia (e così via) è indefinita, incerta, la cosa definita è che ci sarà la separazione. Questa è una meditazione da fare, una cosa a cui pensare. Sono considerazioni che possono essere di grande aiuto soprattutto quando ci possono essere dei rapporti di relazione problematici o disarmonie all’interno di una famiglia, di una coppia, per cui si può arrivare alla separazione, al divorzio. In questo caso, di solito, c’è sempre grande sofferenza, grande preoccupazione, grande tristezza. Consideriamo che comunque, inevitabilmente, ci sarà una separazione, il fatto che sia arrivata prima del previsto è semplicemente una manifestazione della natura di impermanenza delle cose. Ora, pensiamo che, in ogni caso, ci dovremmo separare anche dal nostro stesso corpo di cui ci prendiamo tanta cura. Sia di giorno che di notte ci curiamo del nostro corpo, ma dovremo separarci da esso: il corpo e la mente si dovranno separare. Un giorno ci sarà la morte e allora questo corpo sarà chiamato cadavere. La gente proverà ripugnanza, lo vedrà e penserà che è qualcosa di disgustoso. Eppure, prima ci sarà stato qualcuno che avrà provato attrazione per il nostro corpo, ci avrà detto “Ti amo, ti voglio”. Poi, quando la mente sarà uscita dal corpo e il corpo sarà diventato un cadavere, quel corpo che pareva puro quando c’era la mente verrà considerato impuro.

Il corpo è una creazione mentale, quindi considerarlo puro o impuro è lo stesso perché deriva dalle stesse cause, non sono cambiate le cause di quel corpo. Ma è il nostro modo di pensare che ci fa percepire questo corpo in modo differente. Anche il corpo piacevole del presente è impuro, ora che è vivo; ora è coperto da un po’ di pelle ma se togliessimo la pelle potremmo vedere le viscere, cosa c’è all’interno. Questo è un modo di pensare all’impermanenza, consideriamo ripetutamente l’impermanenza: ora ci incontriamo, c’è una relazione, inevitabilmente ci sarà la separazione, ci sarà la morte.

Cerchiamo di meditare su questo aspetto: con questo tipo di addestramento mentale, anche in casi di disarmonia, di separazione, la nostra mente potrà essere più stabile. In certi casi, nonostante ci sia un rapporto armonioso, è inevitabile che ci sia separazione per alcune condizioni. Comunque, è parte della natura dell’impermanenza il fatto che dopo un incontro ci sia la separazione, è qualcosa di naturale, non è indotto da qualcuno. La meditazione sull’impermanenza può aiutarci a risolvere svariati problemi. Potremmo, al momento, aver messo da parte una certa quantità di ricchezze ed essere preoccupati di perderle. Dobbiamo considerare che tutto ciò che viene accumulato prima o poi si consuma, quindi, con questa considerazione, non ci sarà così tanta preoccupazione, ossessione, di esaurire o perdere il nostro denaro. Poi, per un certo periodo potremmo avere un certo potere, una posizione elevata, una carica elevata, ma poi perderemo. Se fossimo consapevoli che è della natura dell’impermanenza essere in una condizione elevata e poi cadere, allora quando ci dovesse succedere di cadere da una posizione elevata non staremmo così male in quanto è la natura di tutti i fenomeni composti, è la natura di tutto ciò che è creato. Pensando così ci sarebbe meno depressione, meno preoccupazione e più accettazione, più felicità.

Le cose ciclicamente cambiano: siamo nati, ora siamo vivi ma moriremo.

Pensiamo a questo, pensiamo alla nostra impermanenza. Dovremo abbandonare la nostra posizione, i nostri amici, i nostri cari, i nostri possedimenti, il nostro corpo; dovremo lasciare tutto e ce ne andremo completamente soli. Questo è definito, inevitabile, sicuro. Certamente moriremo, la morte è certa, è definita, e quando si muore si lascia tutto, quindi cerchiamo di sviluppare la consapevolezza dell’impermanenza, ci può essere di grande aiuto.

Impermanenza si riferisce alla natura di trasformazione, di cambiamento. C’è una mutazione sottile, costante, nel nostro corpo di cui non siamo consapevoli. Come l’acqua in un fiume che ininterrottamente scorre, così il nostro corpo è in mutazione continua e non ce ne rendiamo conto. La durata della nostra vita è in continua decrescita, il tempo che abbiamo a disposizione per vivere è un conto alla rovescia, potremmo avere a disposizione un centinaio di anni tuttavia ogni giorno la nostra vita diminuisce, ogni ora si consuma. Questa è la natura dell’impermanenza: non possiamo impedirla e non possiamo bloccarla. Cerchiamo di fare meditazione, di comprendere l’impermanenza e la morte. I maestri della tradizione Kadampa, seguaci del famoso maestro Atisha, danno una grande importanza alla meditazione sull’impermanenza, dicono: “Se si medita sull’impermanenza allora si è praticanti del dharma, se non c’è la pratica e se non c’è la meditazione sull’impermanenza allora non si pratica e non si è praticanti del Dharma”. È necessario che ci ricordiamo dell’impermanenza, che inevitabilmente moriremo e che al momento della morte non ci sarà nessuno che potrà esserci di aiuto. Sappiamo benissimo che dovremo abbandonare tutti gli amici, tutte le cose. Per tradizione i tibetani alla morte offrivano i cadaveri agli avvoltoi, il corpo veniva fatto a pezzi e con le ossa polverizzate veniva fatto un impasto di ossa col cervello e tutto ciò veniva offerto agli avvoltoi. Poi un praticante spirituale eseguiva il rituale dell’offerta, il chöd. Chöd vuol dire tagliare l’ego, tagliare l’aggrapparsi all’io. Alcuni monaci vanno nei cimiteri a pregare, ci sono diverse tradizioni di rituali dopo la morte: c’è qualcuno che prega, anche noi qua lo facciamo. Tutti gli esseri umani che accettano o praticano una religione fanno qualcosa in relazione alla morte, qualche preghiera o cose del genere. C’è sempre una grande considerazione riguardo al momento della morte. Ci sono dei lama che possono fare delle preghiere, tra cui una pratica che si chiama “Powa”, o trasferenza, o trasferimento della coscienza. Quando fisicamente e clinicamente possiamo apparire morti la coscienza non è ancora uscita dal corpo, allora il lama può fare dei rituali per trasferire la coscienza del morente in una dimensione pura, in una terra pura.

Cerchiamo di comprendere più profondamente l’impermanenza: ci sono livelli grossolani, livelli sottili e livelli sottilissimi dell’impermanenza. Il livello grossolano dell’impermanenza è percepibile anche visivamente, possiamo vedere qualcuno morire, una tazza rompersi, una casa crollare; queste sono esperienze che possiamo fare direttamente, questa è la comprensione dell’impermanenza grossolana.

A livello più sottile i colori mutano, le piante crescono, le cose diventano vecchie, all’inizio della nostra vita eravamo giovani ma, piano piano, diventiamo sempre più vecchi; all’inizio la nostra pelle era molto liscia, soffice, eravamo molto carini, sono trascorsi molti anni e siamo diventati più belli, il nostro corpo è diventato forte, poi col passare del tempo sono comparse delle rughe, i capelli si sono sbiancati, oppure li abbiamo persi. Vediamo queste cose ma, forse, non pensiamo all’impermanenza, non ne siamo consapevoli. Le cose continuano a cambiare, quindi cerchiamo di capire questo cambiamento che è un livello di impermanenza sottile; cerchiamo di comprendere che in un sessantesimo di schiocco di dita le cose cambiano, non rimangono tali, continuano a mutare. Questa è l’impermanenza sottile di tutte le cose. Comprendendo questo otteniamo delle realizzazioni superiori.

Si distinguono cinque stadi del sentiero interiore:

  • accumulazione,

  • preparazione,

  • visione,

  • meditazione,

  • non più apprendimento.

Quando c’è l’esperienza o la realizzazione diretta dell’impermanenza sottilissima, vediamo il sentiero della visione, il terzo sentiero. A questo punto si riceve il nome di Arya: nobile, essere superiore, santo, realizzato, saggio. Anche per noi è possibile ottenere tali realizzazioni se ci impegniamo. Ho accennato a quattro diversi tipi di insegnamento del Buddha sull’impermanenza: essendo nati, moriamo; si muore perché siamo nati.

Nascere e morire non è una nostra scelta poiché siamo sotto l’influenza delle afflizioni mentali, dei difetti mentali. Moriamo perché nasciamo nell’esistenza ciclica, nel samsara, perché abbiamo creato delle azioni, delle impronte karmiche, che si chiamano formazioni karmiche o karma propellente. Abbiamo creato la causa attivante, il divenire, che ci spinge a rinascere nell’esistenza ciclica, quindi rinasciamo dalla spinta del karma, delle azioni. Il Buddhismo dice che le buone azioni, o azioni positive, sono karma virtuoso che dà risultati positivi, come una rinascita umana. Le cattive azioni, le azioni negative, non virtuose portano a rinascite, per esempio, come animali. Quindi, le azioni positive spingono a rinascere in stati positivi verso rinascite superiori e ad avere esperienze di piacere e di benessere.

Karma vuol dire azione ed è una azione mentale; l’azione mentale è l’intenzione, la tendenza che spinge la nostra mente. L’intenzione, o la tendenza, spinge la nostra mente, perciò quando tende in una direzione positiva allora siamo positivi, anche fisicamente e verbalmente, se invece siamo spinti da tendenze negative, anche il nostro corpo, la nostra voce, la nostra parola, si muovono in una direzione distruttiva. Il risultato delle azioni negative è di sofferenza, il risultato delle azioni positive sono esperienze di felicità e di benessere. È come una regola, anche se non è stata stabilita da nessuno.

D’inverno fa freddo, d’estate fa caldo e nessuno ha stabilito il passare delle stagioni, non c’è nessuno che abbia fatto questo progetto; le stagioni sono calde e fredde, è una cosa che accade naturalmente, così come il fuoco che per natura è caldo e svolge la funzione di bruciare, per sua natura. L’acqua per sua natura è liquida, quindi ciascuno dei quattro elementi ha una sua specifica natura, una sua funzione. Questi sono accadimenti naturali, così come deriva benessere da azioni positive e cattivi risultati da azioni negative. Come risultato di azioni negative ci può essere un’esperienza immediata di sofferenza, qualcosa che possiamo percepire direttamente con la nostra vista. Per esempio: un sicario ammazza qualcuno, viene preso dalla polizia, viene arrestato e messo in prigione. In accordo alle leggi della Cina un assassino viene giustiziato, quindi ci sono dei risultati immediati che possiamo vedere. Se facessimo del mercato nero, affari sporchi, saremmo pieni di preoccupazione di essere scoperti, sorpresi dalla polizia, quindi ci sarebbe sempre un po’ di tensione, di preoccupazione, nella nostra mente. Invece se si svolgono i propri affari in osservanza delle leggi di una nazione, allora non ci dovrebbe essere preoccupazione. Vediamo che c’è una relazione esterna di causa ed effetto evidente.

Vi sto parlando di karma in quanto nasciamo e moriamo senza scelta, non possiamo decidere di rimanere perché siamo dominati dal potere delle azioni. Rispetto al karma, alle azioni, ci sono esposizioni dettagliate, specifiche. La caratteristica generale dell’azione del karma è di essere definito; poi il karma si espande, cresce, non si spreca, non va perso: se è stato creato un certo tipo di karma, non scompare; invece, se non viene creato un certo karma, non porterà dei frutti. In questa esposizione generale della legge del karma, il fatto che il karma sia definito, che sia certo, vuol dire che le azioni virtuose creano risultati positivi. L’evitare fisicamente di uccidere, di rubare o di avere una sessualità scorretta, verbalmente evitare di mentire, calunniare, ingiuriare e fare conversazioni inutili, nonché fare azioni virtuose, positive, crea i risultati di felicità, non crea sofferenza. Invece l’uccidere, il rubare, avere una sessualità scorretta, il mentire, il calunniare, l’ingiuriare, fare discorsi inutili, portano infelicità, non possono rendere felici. Un tipo di seme dolce darà una pianta con i frutti di tipo dolce, non amari, non acidi. Se invece i semi piantati sono di tipo amaro, i frutti saranno amari, non saranno di tipo dolce. I semi che piantiamo sono molto piccoli, la pianta che cresce è molto più grande del seme, ha molti rami, molte foglie, molti frutti che poi si riproducono e ogni anno diventa sempre più grande. Ogni azione positiva o negativa che creiamo ha lo stesso tipo di espansione, di ingrandimento. Supponiamo di uccidere una formica oggi e non purificare, non neutralizzare, questa azione: domani l’energia di questa azione sarà raddoppiata, sarà come se avessimo ucciso due formiche, si moltiplica giorno dopo giorno. Le azioni virtuose e non virtuose, fisiche o verbali, lasciano dei semi nel nostro continuum mentale, come se mettessimo del denaro in banca che aumenta in quanto poi aumentano gli interessi. I semi nel continuum mentale si moltiplicano, a causa delle prime due caratteristiche del karma: certezza ed espansione. Se piantassimo dei chicchi di riso in un campo, a meno che non ci siano degli animali che li divorano, o non marciscano, daranno dei frutti. Così il karma purificato, le azioni neutralizzate, non danno frutti, non danno risultati. Nel caso che una azione non sia creata, il suo risultato non ci sarà. Se non c’è una semina di riso, non ci può essere un raccolto di riso, questo è qualcosa di facilmente comprensibile. Se svolgiamo un lavoro qualsiasi alla fine c’è un guadagno, se invece non ci diamo da fare e rimaniamo oziosi a dormire, a chiacchierare, e andare in giro, non ci sarà un guadagno. Tutti noi che vogliamo guadagnare del denaro, dobbiamo lavorare, così volendo essere felici e rilassati, volendo avere una mente felice, occorre che ci impegniamo nella meditazione, che cerchiamo di eliminare i difetti mentali, che cerchiamo di lavare la nostra mente con gli antidoti. Per quanto riguarda il karma ci sono in specifico moltissime caratteristiche; le azioni positive o negative in generale vengono suddivise in dieci:

  • tre in relazione al corpo

  • quattro in relazione alla parola

  • tre della mente

Le azioni negative del corpo sono:

  • uccidere

  • rubare

  • avere un comportamento sessuale scorretto

Le azioni negative della parola sono:

  • mentire

  • creare discordia o calunniare

  • ingiuriare o ferire verbalmente

  • fare chiacchiere inutili

Le azioni negative della mente sono:

  • bramosia mentale, desiderare qualcosa di altri

  • malevolenza

  • visioni erronee

L’abbandonare queste dieci azioni negative viene indicato come “dieci azioni virtuose”. C’è una diversificazione karmica in relazione alla pesantezza, alla gravità dell’azione. Per esempio: uccidere uno stesso animale può essere fatto in un modo pesante, intermedio, o minore. Perché un’azione possa avere un risultato completo, perché possa essere un sentiero karmico completo vero e proprio, occorre che sia sviluppata in tutte le sue caratteristiche. Supponiamo che io voglia uccidere un certo tipo chiamato Tashi: lo riconosco e cerco un’arma, un modo per ucciderlo, però mi sbaglio e uccido un altro. In tal caso si dice che è stato creato karma negativo, però il sentiero karmico effettivo non è completo in quanto c’è stato un errore nell’individuazione o nel riconoscimento della persona che si voleva uccidere.

Potremmo cercare di ucciderlo infilzandolo con una spada e se dopo averlo colpito, prima che lui sia morto, ci pentiamo, ci dispiace di averlo fatto, ma comunque egli muore non c’è il sentiero karmico completo. Possiamo trovare la spiegazione di questi punti nell’esposizione del sentiero graduale verso l’illuminazione, il Lam Rim. Tutte le azioni negative che creiamo sono radicate nei tre veleni psichici principali. Ci può essere un assassinio, si può uccidere per odio, per attaccamento, per mangiare le carni di un animale, oppure per la sua pelle, per il suo pelo, per le zanne dell’elefante, in tal caso la motivazione è attaccamento, desiderio. Tante volte può essere per ignoranza, pensando che uccidere un animale non sia affatto una negatività, anzi che possa essere un divertimento, come un gioco, il gioco della caccia. Questa ignoranza non sa che uccidere un animale crea del karma negativo, mentre, in realtà, è un’effettiva azione negativa perché comporta il danneggiare un altro essere vivente. Se qualcuno ci facesse del male penseremmo che è cattivo perché ci sta facendo del male, invece quando noi lo facciamo ad altri non pensiamo così. C’è qualcosa che non conosciamo, che ignoriamo, oppure siamo disonesti. Karma si riferisce anche all’azione di corpo e parola. Per neutralizzare l’energia negativa creata verbalmente utilizziamo la parola per recitare preghiere, mantra, nomi sacri, parole sacre; l’energia negativa creata fisicamente viene purificata con azioni fisiche, con pratiche come la prostrazione, la circumambulazione di templi, di stupa.

Qualcuno potrebbe pensare: “A cosa serve recitare i mantra? C’è qualche potere nella nostra parola, le nostre parole hanno un certo potere?” Penso di sì. Quando siamo molto lusinghieri con qualcuno gli diciamo che è bello, carino, simpatico, allora quella persona si sente bene, è come energizzato, si sente più felice, più pieno. Se invece diciamo che è pessimo e brutto queste piccolissime parole gli fanno molto male, è come se gli avessimo conficcato una spada nel petto, sente un gran dolore lì. Questo avviene per il potere delle parole. Le preghiere, i mantra, hanno ancora più potere, quindi, impegnandoci in azioni positive con corpo, parola e mente, è possibile purificarci da tutti i karma negativi creati con corpo, parola e mente.

È necessario, indispensabile, che ci purifichiamo. Si parla di quattro tipi di maturazione del karma o quattro risultati. Si parla del risultato della maturazione, o fruizione, il risultato principale. Questo risultato si riferisce ad un tipo di rinascita, superiore o inferiore, che deriva da un’azione positiva o negativa. Poi c’è il risultato simile alla causa che può maturarsi, manifestarsi nell’esperienza simile alla causa, oppure nell’azione, nella tendenza, nell’abitudine simile alla causa o all’azione creata. Per essersi familiarizzati con l’uccidere, possiamo avere la tendenza, l’abitudine, ad uccidere; qualcuno invece può essere portato naturalmente a non voler uccidere, oppure a non voler mangiare la carne; uno potrebbe essere portato naturalmente ad essere vegetariano: questo fa parte delle tendenze psicologiche del nostro comportamento. A causa dell’avere ucciso potremmo avere un corpo umano ma sempre ammalato, in pericolo di vita: questo è il risultato di azioni passate, nelle vite passate, di uccidere altri esseri. Per essersi abituati in passato a rubare, probabilmente c’è una tendenza in questa vita a prendere ciò che non ci viene dato con la forza, con l’estorsione, con il ricatto. Per un progetto di costruzione di una grande casa due ditte di costruzione possono entrare in competizione per prendere questo lavoro e ci può essere una qualche tangente per potersi aggiudicare il lavoro: questo è prendere con la forza, è karma negativo. Con la forza vuol dire anche minacciare di uccidere se non ci viene dato qualcosa. Nella società umana tutte queste cose accadono, quindi sperimentiamo questi risultati per il fatto che in passato abbiamo creato certe azioni. Per aver rubato nelle vite passate uno può imbarcarsi in un commercio e poi questo può andargli male, può diventare un coltivatore e non avere dei raccolti. Anche la sessualità scorretta ha delle conseguenze negative di due tipi: essendo abituati all’adulterio potremmo avere la tendenza a stare con l’uomo o la donna di un altro o di un’altra. Un altro risultato può essere quello di non avere un compagno, o una moglie, o un marito, fedele e che non abbia fiducia in noi, che non ci creda: queste sono conseguenze dell’aver praticato in vite passate la sessualità scorretta.

Il risultato matura sull’ambiente, con circostanze negative e sgradevoli, mancanza di armonia, conflitti, sporcizia nel luogo; si potrebbe essere obbligati o potrebbe essere necessario abitare in un luogo che non ci piace, e questo è un risultato di azioni negative. Stare in un bel posto in armonia, con della gente con cui si ha un buon rapporto, sono risultati ambientali di azioni positive. È difficile dare una esposizione completa e chiara della legge di causa ed effetto in quanto è molto complessa. Potremmo essere sinceri ma non essere creduti: questo dipende dal fatto che in passato abbiamo mentito, ingannato. Perciò, il fatto di essere onesti e sinceri avrà delle conseguenze, dei risultati futuri. In certi casi si possono anche avere dei risultati immediati, comunque la maggior parte delle volte la conseguenza delle nostre azioni verrà sperimentata in futuro. Difficilmente viene a maturare completamente il risultato di una azione compiuta nella stessa vita, tuttavia si hanno delle conseguenze da questa azione, ma il risultato completo di solito lo si ha nelle vite successive a quella in cui è stata creata l’azione.

Le forze karmiche che ci spingono nel ciclo delle rinascite sono due:

  • le propulsioni karmiche, o formazioni karmiche, il secondo dei dodici anelli che determinano l’esistenza;

  • l’azione attivante, il divenire: il decimo di questi dodici anelli

Queste due azioni ci spingono alla rinascita.

Si dice che il secondo anello sia il karma propellente: le azioni positive spingono o gettano in buone rinascite; quelle negative gettano o spingono verso risultati negativi. Dobbiamo purificare le azioni negative che abbiamo creato cercando di applicare gli antidoti, i quattro poteri opponenti, così è possibile che ci purifichiamo da tutte le nostre negatività e possiamo diventare sempre più limpidi, più puliti.

I quattro poteri opponenti sono:

  1. Il potere della base della relazione, in quanto il karma negativo può essere creato in relazione ad esseri illuminati oppure ad esseri ordinari e di solito creiamo azioni negative in relazione ad altri esseri viventi. Anche per la purificazione occorre relazionarsi a questi esseri che vengono danneggiati. Quando creiamo karma negativo in relazione ad esseri santi, ad esseri realizzati, per esempio il Buddha, allora ci affidiamo al Buddha, prendiamo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, nei Tre Gioielli. Poiché abbiamo creato azioni negative nei confronti di altri esseri, allora cerchiamo di generare compassione, amore, buon cuore e bodhicitta.
    Possiamo dire che il potere opponente della relazione, o della base, sono: Rifugio e Bodhicitta.

  2. Pentirsi, dispiacersi per il karma negativo, per l’azione negativa creata.

  3. Impegnarsi a cercare di non compiere di nuovo questa azione negativa.

  4. La meditazione, pratiche positive, azioni positive di beneficio a vari esseri, come costruire templi o collaborare alla costruzione di ospedali, statue di esseri realizzati, sculture, oppure pratiche di recitazione di mantra, di sutra, recitazioni di nomi di esseri santi.

Queste pratiche sono il vero e proprio potere opponente, quindi possiamo far avvenire la purificazione delle nostre azioni affidandoci a Buddha, Dharma e Sangha, prendendo rifugio, generando bodhicitta nei confronti degli esseri, dispiacendoci e pentendoci delle azioni negative, impegnandoci a non compierle di nuovo e recitare dei mantra, o fare pratiche virtuose per controbilanciare quell’energia negativa. Tali pratiche e la recitazione di nomi o di mantra possono essere utili per purificare, neutralizzare, l’energia negativa.

Ogni giorno, la sera, cerchiamo di dedicare qualche minuto, una decina di minuti, al rilassamento della nostra mente, cerchiamo mentalmente di prendere rifugio in Buddha, Dharma e Sangha o in altri esseri realizzati, quindi cerchiamo di sviluppare compassione, amore nei riguardi degli altri esseri e cerchiamo di renderci conto delle azioni negative che possiamo aver creato. Determinandoci ad evitarle, pentendocene, pensiamo: “Cercherò di non fare più questi errori”.

Possiamo recitare dei mantra, dei nomi, per esempio il mantra del nome di Buddha Shakyamuni “TAYATA OM MUNE MUNE MAHA MUNAYE SVAHA” o il mantra del nome di Tara “OM TARE TUTTARE TURE SVAHA” oppure il mantra del Buddha della compassione ”OM MANI PADME HUM” oppure il mantra di Manjushri “OM ARAPATSANA DHIH” o altri mantra. Possiamo recitare il Sutra del Cuore, oppure possiamo meditare sull’amore, sulla compassione, sulla vacuità. Dopo di ciò pensiamo di aver purificato con questa meditazione l’energia negativa creata quel giorno e dedichiamo l’energia positiva che abbiamo creato al raggiungimento dell’illuminazione. Cerchiamo di dare un senso, un significato, ad ogni nostra giornata, in quanto siamo nati umani, con un corpo umano ed è una condizione privilegiata, estremamente utile.

Dobbiamo utilizzare la nostra energia umana con grande cautela, cercando di renderla molto utile. Questo ci può proteggere, ci impedisce di cadere nelle cattive rinascite e ciascuno di noi dovrebbe farlo. Il fatto che in passato abbiamo creato azioni positive, o dieci tipi di azioni positive o virtuose, ci ha permesso di ottenere questa preziosa rinascita umana, perciò cerchiamo di creare le condizioni affinché la vita successiva possa essere ancora più felice e le cose siano ancora più favorevoli. Per questa ragione ora cerchiamo di praticare le dieci azioni virtuose e, se ci è difficile adeguarci a tutte le dieci azioni virtuose, cerchiamo di metterne in pratica alcune, una, due, tre, quattro o più, così l’energia positiva cresce. Per noi è molto facile creare le azioni negative, invece per quelle positive c’è molta più difficoltà perché siamo fortemente abituati alle azioni negative. Per esempio, osserviamo l’attaccamento: non appena vediamo una forma bella subito si crea attaccamento oppure se sentiamo una musica piacevole, una bella musica, subito si genera attaccamento. Sentiamo un buon profumo e immediatamente ci aggrappiamo a questo, gustiamo qualcosa che ha un buon sapore e creiamo attaccamento per esso; se tocchiamo il corpo liscio di un’altra persona proviamo molto attaccamento. Proviamo attaccamento per i cinque oggetti del desiderio: della vista, dell’udito, del gusto, del tatto, dell’olfatto; non appena contattiamo questi oggetti, automaticamente proviamo attaccamento per essi, senza bisogno di impegno, di sforzo. Questo vuol dire familiarità.

Ora, cerchiamo di sviluppare compassione e amore. Domare la nostra mente è molto più duro del domare un elefante impazzito. Comunque, è possibile domare un elefante pazzo, mentre domare la nostra mente è più difficile, tuttavia è possibile.

Per familiarità, rispetto al nostro corpo, diciamo: “Il mio corpo”. In realtà non è mio, è creato da cause e condizioni, l’unione dei liquidi seminali del padre e della madre, quindi proviene da altri corpi. Eppure sulla base della familiarità pensiamo “È il mio corpo”, non pensiamo che faccia parte del corpo della madre e del padre. Siamo abituati a questo modo di pensare, per abitudine chiamiamo questo corpo, che è un derivato di sostanze altrui, “Il mio corpo”. Questa considerazione è automatica, molto semplice per noi, perciò con un lavoro di familiarizzazione possiamo anche coltivare, sviluppare nella nostra mente amore, compassione e Bodhicitta, che possono diventare atteggiamenti naturali dentro la nostra mente, possono essere spontanei. Ora abbiamo difficoltà, ma con l’addestramento può essere possibile.

Osservando le cause, il karma che ci spinge nell’esistenza ciclica, che ci condiziona, vediamo che alla radice c’è l’ignoranza, quindi capiamo che dobbiamo eliminarla, abbandonarla e, constatando che ci sono i difetti mentali da eliminare, cerchiamo di eliminarli insieme all’ignoranza. Pensando onestamente possiamo riconoscere che la causa di tutti i nostri problemi sono i difetti mentali. Di solito indichiamo sempre qualcuno esterno come responsabile dei nostri problemi, ma è un errore. Il principale creatore di problemi è qui dentro, il nemico principale è dentro, ci fa del male di continuo e non ce ne rendiamo conto, non lo riconosciamo come nemico il principale. Dobbiamo cercare di individuarlo, di riconoscerlo come il vero nemico. Quindi il vero nemico, che sono i difetti mentali, va distrutto, va combattuto con l’arma della compassione, dell’amore e della saggezza.

La nostra attitudine autogratificante, questo egoismo pensa sempre e solo al proprio benessere, alla propria felicità, ai propri interessi e non ha la minima considerazione per gli altri, non il minimo interesse di prendersi cura degli altri o di pensare agli altri esseri viventi.

E questa attitudine autogratificante, questo egoismo, vuole sempre essere al centro dell’attenzione, 24 ore su 24, senza sosta, sempre sempre sempre. È proprio per questa ragione che, se anche qualcuno ci ama, qualcuno cerca di aiutarci, vuole farci del bene, si preoccupa di fare in modo che noi possiamo avere ciò di cui abbiamo più bisogno, alle volte siamo così concentrati su noi stessi e sul nostro egoismo che non siamo in grado di apprezzare quello che riceviamo dagli altri.

Anzi, ci sentiamo comunque danneggiati e pensiamo che “vabbè, sì, mi sta aiutando, però non sta facendo abbastanza, non è abbastanza quello che sta facendo per aiutarmi”… E quindi anche questo diventa causa di problemi. Tutto questo perché? Perché abbiamo questa considerazione univoca verso noi stessi come l’essere più importante, ed è questa forma di egoismo che ci impedisce di vedere, di avere un interesse per gli altri.

Ancora un esempio: nella nostra vita, quando non stiamo bene, possiamo pensare che mio fratello, qualche amico – sebbene abbiano magari i loro problemi, abbiano la loro famiglia e le loro cose da fare e, nonostante questo, riescano a trovare del tempo per venire da noi, per cercare di aiutarci in qualche modo. Se noi siamo completamente sopraffatti da questo sentimento egoista, da questa attitudine autogratificante, sembra quasi che loro non facciano abbastanza. Perché?

Perché vorremmo che queste persone stessero di più con noi, che ci dessero più attenzioni, che ci dessero più cura e così via. E si arriva al punto non solo di non apprezzare quello che si riceve, ma anche a dire addirittura: ah no, vuol dire non ti interessa come sto, vuol dire non mi ami abbastanza, che non mi vuoi abbastanza bene, non sei altruista.

Quindi, questa attitudine autogratificante, questo egoismo, anziché darci la possibilità di apprezzare quello che si riceve, ci rende ancora più infelici, perché ci impedisce di vedere veramente come gli altri, in realtà, ci stiano aiutando, dandoci il loro tempo, sacrificando anche i loro interessi.

Questa cosa dovremmo cercare di vederla non soltanto quando stiamo male, come in questo esempio, ma dobbiamo cercare di notarla nella nostra vita quotidiana, nelle nostre attività, nei nostri momenti della vita, quando effettivamente ci sentiamo insoddisfatti di quello che gli altri fanno per noi; quindi cercate di applicarla con i vostri esempi, gli esempi della vostra vita quotidiana.

Dall’altro lato, invece, se voi non avete egoismo, anche se qualcuno vi visita per un brevissimo tempo o viene soltanto una volta, non avendo egoismo riuscirete a riconoscere che hanno dedicato del tempo per venirvi a trovare e generate questo sentimento di apprezzamento per quel che ricevete da queste persone, e in questo modo sentirete una profonda gioia nel cuore e felicità, e anche se sono venuti soltanto una volta. Questo fa sì che non sarete insoddisfatti e, non avendo insoddisfazione, allora questo farà sì che non si creino dei sentimenti negativi nei confronti gli altri e non ci siano conflitti; questa diventa proprio la base per aumentare l’armonia.

Quindi, se non c’è egoismo nella mente, se non c’è questa attitudine autogratificante, anche se ci criticano o indicano i nostri errori o ci brontolano e così via, o sono in disaccordo con noi, non c’è assolutamente alcun problema, semplicemente vediamo e riconosciamo che questo è un loro modo di vedere le cose e che non ci disturba minimamente. La nostra mente rimane comunque tranquilla pensando che hanno delle opinioni diverse, senza nessun problema. Non ci si sente danneggiati e, in questo modo, non sentendoci danneggiati o disturbati da questo atteggiamento, allora non ci sarà sofferenza nella nostra mente, non soffriremo e, in questo modo, non soffrendo, non sentendoci disturbati dagli altri, non si genereranno sentimenti negativi nei confronti di quella persona e saremo in grado di lasciare andare, lasciare che loro abbiamo la loro visione, le loro opinioni, le loro idee senza esserne influenzati, senza esserne influenzati in un modo negativo. Mentre invece, se abbiamo questa mente egoista, questa attitudine autogratificante, ci sentiamo irritati, disturbati da quello che fanno gli altri e quindi la mente soffre e cominciamo a generare dei sentimenti negativi verso quella persona. Cominciamo a sentire questa irritazione; questa irritazione poi diventa avversione; poi l’avversione diventa odio e quindi si scatenano poi tutta una serie di azioni negative che non portano ad alcun beneficio, né a noi stessi né agli altri.

Quindi, quando abbiamo questa attitudine autogratificante, questo egoismo molto forte, se anche qualcuno ci dice delle cose carine, ci fa delle lodi e apprezzamenti, quando siamo completamente concentrati su noi stessi e siamo così egoisti, la mente viene ugualmente disturbata perché si pensa: “ah, sta dicendo queste cose carine per qualche scopo”, e non siamo in grado di apprezzarle, non ce le dicono abbastanza bene e quindi c’è questa mente che è sempre insoddisfatta. Finché si mantiene questa attitudine autogratificante non si riuscirà mai ad avere soddisfazione perché la mente egoista vuole sempre di più, sempre di più, sempre di più… però, è sempre, sempre insoddisfatta, ed è difficile, appunto, trovare la soddisfazione con una mente così sopraffatta dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante.

Se non si ha egoismo, se non si ha questa attitudine autogratificante, quando qualcuno ci critica o se qualcuno dice cose cattive nei nostri confronti, possiamo ascoltare, sentire quello che ci viene detto, ma poi siamo anche in grado di lasciar andare, di non sentire nessun sentimento negativo nei confronti di quella persona, semplicemente restiamo completamente non disturbati da quello che sentiamo. Al contrario, se abbiamo la mente sopraffatta dall’egoismo, da questa attitudine autogratificante, questo non ci permette di lasciare andare, non si è in grado di lasciare andare. Anzi, quando noi sentiamo qualcuno che ci critica o ci dice delle cose negative, ci sentiamo veramente colpiti e ci teniamo stretta questa cosa, la teniamo stretta, ce la ricordiamo per un’ora, due ore, una giornata, giorni, mesi, delle volte addirittura degli anni, non siamo in grado di lasciarla andare e così continuiamo a soffrire per quella cosa che ci è stata detta una volta, continuiamo a soffrire per tutto il periodo che la tratteniamo dentro di noi senza lasciarla andare.

Quindi, possiamo dire che di base tutti quanti i problemi, le difficoltà, i conflitti sono tutti causati dall’egoismo, dall’attitudine autogratificante, sempre e sempre. Non c’è nessun altro colpevole per tutti quanti i nostri problemi: è l’egoismo. Se invece non si ha l’egoismo, è completamente l’opposto: possiamo vivere insieme, senza conflitti, possiamo vivere in pace e possiamo vivere in pace e tranquillità anche con persone che hanno visioni e opinioni diverse. Invece, se c’è l’egoismo, anche se abbiamo le stesse idee politiche, le stesse idee religiose, se seguiamo anche gli stessi maestri, allo stesso modo, dal momento che c’è un qualche egoismo, una qualche attitudine autogratificante, questo diventa la causa per i conflitti, per avere delle divisioni e, appunto, dei problemi. Non c’è la possibilità di vivere in pace e in armonia proprio a causa dell’egoismo!
Quindi, avendo compreso tutti quanti i danni che sono causati dall’egoismo, con questo tipo di comprensione, con questa realizzazione metteremo tutto il nostro impegno per cercare di diminuirlo, fino ad eliminarlo completamente.

Poi, il terzo punto è quello di pensare ai vantaggi dell’attitudine, del pensiero di essere di beneficio per gli altri, così come l’agire effettivamente per beneficiare gli altri. Questo è detto anche nei testi dei grandi santi del passato come Nagarjuna e Shantideva, i quali dicono che tutte le felicità, dalla più piccola felicità fino all’illuminazione, vengono dal pensiero di voler aiutare gli altri.

Inoltre, anche dal punto di vista del karma, possiamo vedere che tutte quante le rinascite fortunate, le rinascite superiori, nel samsara, nell’esistenza ciclica, si possono ottenere proprio sulla base della pratica di aiutare gli altri in molti modi diversi, vengono proprio da questa attitudine di far sì che gli altri non soffrano, che non ricevano del danno, né fisico né mentale.

Quindi, il cercare di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente è basato sulla compassione, su questo desiderio che gli altri non soffrano. In questo modo, si cerca di evitare di danneggiare gli altri, insieme al desiderio di aiutare, perché si pratica appunto la moralità. Il fatto di aver ottenuto questa rinascita umana è il risultato di aver praticato la moralità nei confronti degli altri esseri viventi, ovvero di aver generato l’intenzione di non danneggiare né con il corpo, né con la parola, né con la mente, bensì con il desiderio che siano liberi dalla sofferenza. E, ancora, si è praticata la generosità. Uno dei punti dei risultati di aver questa rinascita umana è perché si è praticata la generosità nelle vite passate e quindi abbiamo dato, abbiamo offerto delle cose, abbiamo praticato la carità proprio per alleviare la sofferenza degli altri esseri. Anche questa è basata sul sentimento di compassione, su questa attitudine di prendersi cura degli altri e non essere sopraffatti dal proprio egoismo. E, ancora, abbiamo la salute, abbiamo la possibilità di vivere in ambienti favorevoli, di poter praticare, siamo circondati da persone che sono gentili, che sono amorevoli, e questo è il risultato di aver praticato la pazienza nelle vite passate avendo avuto il pensiero di aiutare gli altri, proprio con questa attitudine di non voler danneggiare gli altri né con la parola, né col corpo, né con la mente. Praticamente tutte queste gioie, tutte queste bellezze, tutte queste cose favorevoli che noi stiamo sperimentando adesso, sono proprio il risultato della compassione, dell’attitudine che si prende cura degli altri, dell’intenzione di essere di beneficio per gli altri.
Quindi Chandrakirti, il grande maestro Chandrakirti – che era uno dei grandi maestri saggi pandita di Nalanda ed era uno studente, un discepolo di Nagarjuna – che ha composto il testo Madhyamakavatara, il supplemento dedicato alla via di mezzo, qua, in questo testo, dice che gli Arhat o Distruttori del nemico vengono dal Buddha, ovvero gli Arhat sono diventati tali seguendo gli insegnamenti del Buddha e hanno ottenuto lo stato di Arhat. Il Buddha viene dai Bodhisattva, ovvero prima di essere un Buddha era un Bodhisattva, ha praticato il sentiero del Bodhisattva. E il Bodhisattva da dove viene? Il Bodhisattva viene da bodhicitta. Bodhicitta che è la mente altruistica di ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti quanti gli esseri senzienti; quindi bodhicitta viene dalla compassione, compassione che poi viene unificata alla saggezza che realizza la natura ultima dei fenomeni. Questo mostra che tutti quanti i vari livelli di felicità spirituale, di felicità interiore, di gioia e gratitudine che aumentano, tutti questi derivano, appunto, dalla compassione, dalla bodhicitta e dalla saggezza che realizza la vacuità. Quindi anche tutte quante le felicità, le felicità ultime sono il risultato di una tale compassione, della bodhicitta e questo parte proprio dal prendersi cura degli altri, dall’abbandonare questa attitudine autogratificante e prendersi cura degli altri esseri viventi, dal pensare alla felicità degli altri. Così, anche lo stato di Arhat alla fine deriva dai Buddha, i quali derivano dai Bodhisattva; e tutti quanti i diversi livelli di felicità spirituali derivano proprio dal prendersi cura degli altri esseri senzienti.

Quindi, avendo contemplato e riconosciuto tutti questi vantaggi che derivano dal prendersi cura degli altri esseri viventi, dal volere la felicità degli altri esseri viventi, possiamo cercare di coltivare questo forte desiderio, questa forte determinazione e risoluzione di lavorare per ottenere questo, per realizzarlo dentro di noi, finché diventi un qualcosa di spontaneo dentro di noi.
Una delle cose che dice spesso Lama Zopa Rinpoce, è che il primo momento in cui si comincia a pensare agli altri, al loro benessere e alla loro felicità, in quel momento comincia a splendere la felicità e la gioia nel cuore.
Dal preciso momento in cui cominciate a pensare agli altri, proprio da quel momento cominciate a creare le cause per la vostra felicità, fino all’illuminazione. E così, avrete la felicità in tutta la vostra vita, avrete la felicità, la gioia, la pace, la tranquillità, la serenità e avrete una mente soddisfatta e sempre in pace; da quel preciso istante comincia questo tipo di felicità che diventa continuativa fino all’illuminazione, di vita in vita.

Adesso siamo arrivati al quarto punto: quello di scambiare se stessi con gli altri

Che cosa vuol dire questo? Che dopo aver contemplato i due punti precedenti, ovvero aver meditato sugli svantaggi dell’egoismo, dell’attitudine autogratificante, dopo aver contemplato e meditato, invece, sui vantaggi e i benefici che derivano dal prendersi cura degli altri, naturalmente sorge questo quarto punto, che è quello di scambiare se stessi con gli altri. Che cosa vuol dire? Bisogna cambiare la nostra attitudine mentale: anziché prendersi cura di se stessi, prendersi cura degli altri, ovvero cambiare la nostra attitudine mentale. Anziché avere noi stessi al centro dell’attenzione, avere gli altri al centro dell’attenzione. Questo è scambiare se stessi con gli altri.

E come dice Shantideva nel Bodhisattvacharyavatara, la “Guida allo stile di vita del Bodhisattva”, se uno non cambia questa attitudine mentale non c’è l’illuminazione, non ci sarà neanche la felicità nel samsara, non ci sarà la possibilità di avere gioia. Inoltre, non saremo in grado di ottenere l’illuminazione senza far sorgere questa attitudine di prendersi cura degli altri piuttosto che di noi stessi.

Al momento noi abbiamo l’attitudine che NOI siamo più importanti degli altri, e gli altri decisamente sono meno importanti di noi. E, appunto, sulla base di questo pensiero che noi siamo più importanti degli altri, ci dimentichiamo e non ci prendiamo cura degli altri esseri e pensiamo solo a noi.

Quindi, è importante cercare di cambiare questa attitudine mentale, riconoscere che, effettivamente, se noi cambiamo la nostra attitudine mentale e ci prendiamo cura degli altri, questo produce il considerare gli altri più importanti di noi. Inoltre, pensare agli altri, diventerà una causa per la nostra felicità, a livello immediato, e anche felicità per gli altri. Questo ridurrà l’infelicità e l’insoddisfazione per noi, mentre se invece continuiamo a prenderci cura soltanto di noi stessi, questo diventerà causa di infelicità per noi stessi e per gli altri. Quindi, riconoscendo questo, dobbiamo cercare di impegnarci, di sforzarci al massimo per cambiare questa attitudine e pensare al benessere degli altri, cioè cambiare l’attitudine mentale.

Per cambiare la nostra attitudine mentale, una delle tecniche o uno dei metodi da utilizzare per fare questo è la famosa pratica del tong len, ovvero del prendere e del dare.

Normalmente, non siamo molto preoccupati se gli altri soffrono, non ci tocca particolarmente se gli altri soffrono; oppure possiamo vedere che gli altri soffrono e ci dispiace un poco, ma cerchiamo assolutamente di evitare di soffrire noi stessi, cerchiamo di evitare qualsiasi tipo di sofferenza per noi stessi. Invece, con la pratica del tong len, non solo cerchiamo di sviluppare il coraggio di essere in grado di accettare i problemi e le sofferenze che noi stessi sperimentiamo nel corso della nostra vita, ma ci addestriamo anche a cambiare questa attitudine e quindi ad assumere su di noi anche le sofferenze degli altri, i problemi degli altri; quindi è un modo per togliere la sofferenza agli altri esseri viventi. Poi, ancora, cerchiamo sempre di ottenere la nostra felicità e quando abbiamo del benessere, degli agi, delle situazioni favorevoli, cerchiamo sempre di tenerli per noi stessi e siamo contenti di quello che stiamo sperimentando, della gioia, del benessere e facciamo fatica a condividerlo con gli altri. Invece qua, con la pratica del tong len, quello che si fa nel dare – per l’appunto questa pratica si chiama del prendere e dare – è proprio quello di condividere con gli altri il nostro benessere, le nostre virtù, la nostra felicità, tutte quante le cose positive che abbiamo, pensare di darle agli altri. Così, coltivando questa attitudine mentale di prendere la sofferenza e di dare tutto quanto il nostro benessere, tutte le virtù agli altri, in questo modo coltiviamo l’amorevole gentilezza e compassione dentro di noi, fino ad arrivare poi al massimo risultato che ci porterà all’illuminazione, alla compassione ultima, che è appunto quella dell’illuminazione. La pratica del tong len, o la pratica del prendere e dare è una pratica molto molto potente, ed è una pratica per coltivare, per sviluppare l’amorevole gentilezza e la compassione. Non solo: è una pratica molto potente perché ci aiuta a trasformare le difficoltà e i problemi che noi abbiamo nella nostra esistenza, nella nostra vita. Quelle cose che chiamiamo difficoltà, che noi incontriamo quotidianamente, possiamo trasformarle in qualche cosa di positivo, ovvero utilizziamo tutte queste difficoltà, tutti questi problemi nel sentiero per l’illuminazione, ovvero diventano un aiuto per praticare il sentiero verso l’illuminazione, cioè per ottenere l’illuminazione. Finché siamo nel samsara, la sofferenza è qualcosa di inevitabile, per cui se noi cerchiamo di lottare per evitare qualcosa che è inevitabile, soffriremo ancora di più.

Non c’è la possibilità di non soffrire. Perché non ci riusciamo?

Se qualcosa è inevitabile è impossibile evitarlo. Quindi, anziché cercare di evitare ciò che è inevitabile, impariamo ad abbracciare queste sofferenze, questi problemi, impariamo ad accettarli e abbracciarli, quindi utilizzarli proprio nel progresso del sentiero. Allora queste sofferenze, queste difficoltà, non saranno così insopportabili e diventeranno qualche cosa che ci farà sentire più leggeri dentro. Per l’appunto, il tong len è un metodo per abbracciare la sofferenza, per abbracciare i problemi, e questa sofferenza e questi problemi diminuiranno, sentiremo meno sofferenza nello sperimentare queste varie difficoltà che possiamo incontrare nella nostra esistenza.

La pratica del tong len è una pratica molto potente per guarire i nostri sentimenti negativi o le attitudini mentali negative che abbiamo nei confronti degli altri, le nostre visioni errate nei confronti di altre persone che possiamo considerare estremamente negative e con le quali abbiamo dei problemi di relazione. Se, invece, pratichiamo il tong len pensando ai problemi che ha quella persona, a tutte le difficoltà che ha quella persona e cominciamo a generare il desiderio che sia libera da queste sofferenze e così via, questo diventa veramente un modo per guarire dai sentimenti negativi che abbiamo nei confronti degli altri.

Questa pratica del tong len e una pratica molto molto potente che può aiutare a risolvere i problemi, ad ammorbidire e rendere meno tesa la mente. A questo proposito mi viene in mente una storia: ho un’amica a Santa Fe, nel New Mexico, che aveva dei momenti molto difficili con il marito e stava attraversando il divorzio. Avevano veramente molti problemi perché non andavano per niente d’accordo e c’era di mezzo anche il benessere dei loro figli. In quel periodo a Santa Fe erano arrivati i monaci per costruire un mandala e lei ha chiesto a un monaco, il più anziano del gruppo, se potesse suggerirle una pratica da fare proprio per poter affrontare più serenamente questo periodo. Questo monaco le ha consigliato di fare la pratica del tong len e lei ha cominciato: ha cominciato a praticare il tong len, ha cominciato a vedere i problemi del suo marito, a vederlo da un’altra prospettiva, ha continuato a meditare in questo modo e piano piano la sua mente si è addolcita si è calmata e, anziché vedere soltanto i suoi problemi, ha cominciato a vedere anche i problemi del marito e piano piano la loro comunicazione è migliorata, il modo di comunicare tra di loro è migliorato, fino al punto che adesso hanno una buona comunicazione, anche se non sono insieme. Sono comunque riusciti a costruire una relazione tale che i figli, anche nel crescere, non hanno sofferto di questa separazione, e questo grazie alla pratica del tong len che lei aveva fatto. Quindi lei ha parlato con me dicendo che si sentiva veramente molto grata per questa pratica e soprattutto al monaco che le aveva suggerito di impegnarsi in questa pratica di meditazione.

Naturalmente questa pratica è da fare, in modo particolare, quando abbiamo dei problemi, quando sperimentiamo delle difficoltà, quando sperimentiamo dei dolori, situazioni difficili, situazioni di rapporti con gli atri, problemi di relazioni.

In qualsiasi tipo di difficoltà o di problema che noi sperimentiamo nella nostra esistenza possiamo utilizzare questa pratica.

La prima parte di questa meditazione è proprio quella di pensare che, esattamente come noi, ci sono innumerevoli altre persone che stanno sperimentando esattamente le stesse difficoltà, gli stessi problemi che noi abbiamo, gli stessi dolori, le stesse sofferenze che noi stessi stiamo sperimentiamo.

Addirittura, possiamo pensare che non solo ci sono tantissime altre persone che stanno vivendo le stesse cose che noi stiamo sperimentando, ma anche che possono fare esperienze molto peggiori delle nostre: una malattia, un problema di relazione, una qualsiasi difficoltà.

Possiamo pensare: “esattamente come me, anche innumerevoli altre persone stanno sperimentando le stesse identiche cose o anche peggio“. Quindi, in questo modo, sviluppiamo questo sentimento di riconoscere, appunto, che anche gli altri stanno sperimentando questi dolori, queste sofferenze, queste difficoltà. In quel momento la mente si allenta, ovvero quando si comincia a pensare agli altri, e, su questa base, considerando tutte le persone che stanno sperimentando tutti questi dolori, generiamo infinita compassione pensando: possano essere liberi da tutti questi problemi e io stesso mi assumo la responsabilità di aiutarli.

Per cui, quando inspiriamo, prendiamo, inspiriamo dentro di noi tutti i problemi di tutte queste persone, pensiamo che queste vengono liberate, che tutti i problemi di relazione, malattie e altre cose vengono dentro di noi, nell’aspetto di una nuvola nera, la quale va a colpire quella che è la nostra attitudine autogratificante, il nostro egoismo – che possiamo visualizzare all’altezza del cuore, nel nostro petto, come una palla nera – e nel momento in cui tutti questi problemi, tutte queste difficoltà, tutte queste sofferenze vanno a colpire l’attitudine autogratificante, la disintegrano, la dissolvono, la fanno sciogliere completamente.

In questo modo cominciamo a sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervade completamente. Quindi, sempre con il respiro – in fase di espirazione – pensiamo di dare a tutte queste persone che abbiamo visualizzato, che avevano questi problemi, tutte quante le nostre virtù, tutto il nostro benessere, tutti i nostri possedimenti, tutte le cause di felicità. E la compassione che abbiamo generato dentro di noi la diamo nell’aspetto di luce agli altri esseri viventi che, quando vengono toccati da questa luce, in quel momento sperimentano tutto quello che desiderano, sperimentano l’eliminazione di tutti quanti i problemi, fino allo stato dell’illuminazione. Questo è, appunto, il modo di praticare: prendere la sofferenza degli altri e darla all’attitudine autogratificante – che è la causa di tutti quanti i problemi – la quale viene disintegrata dai problemi stessi. Così possiamo sperimentare l’amorevole gentilezza, la compassione che possiamo dare agli altri. Questo è il modo di praticare il prendere e il dare.

Quindi, possiamo fare questa meditazione del prendere e del dare, questa meditazione del tong len non soltanto quando abbiamo delle malattie fisiche, o quando abbiamo dei problemi di relazione, o problemi che sperimentiamo quotidianamente, ma possiamo anche utilizzare questo tipo di meditazione quando abbiamo delle emozioni distruttive come, per esempio, la rabbia, il rancore, l’avversione. Sappiamo che queste sono molto negative e che causano dei danni incredibili dentro di noi, non ci sentiamo felici, siamo veramente scontenti e insoddisfatti. Quando abbiamo la consapevolezza che arrabbiarci è una cosa negativa e distruttiva per noi stessi, proprio per questo, quando succede che ci arrabbiamo ed esplodiamo – ed è una cosa che è successa e non possiamo fare assolutamente niente per tornare indietro, perché ormai è già successa – delle volte avviene che ci arrabbiamo ancora di più perché non siamo riusciti a non arrabbiarci e, quindi, non facciamo altro che aumentare e continuare a incrementare questa sofferenza che è causata dalla rabbia.

Quindi, a questo punto, dobbiamo cercare di vedere, di analizzare anche in questo caso che, esattamente come noi, anche innumerevoli altre persone stanno provando gli stessi tipi di esperienze. Cerchiamo di sentire il dolore che sperimentano gli altri a causa del rancore, a causa della rabbia e cerchiamo di sentirci vicini a questi, cerchiamo di sviluppare il desiderio di aiutarli a essere liberi da questa sofferenza. Quindi, il modo di meditare è proprio quello sentirsi vicini a queste persone che, esattamente come noi, hanno gli stessi tipi di sentimenti di rabbia, rancore o qualsiasi altra emozione distruttiva. Pensiamo che, mentre inspiriamo, prendiamo dentro di noi – proprio come un aspirapolvere che aspira tutto quanto – aspiriamo dalle altre persone tutti i problemi, tutte le sofferenze causate dalle emozioni distruttive (in particolare dalla rabbia) e immaginiamo che queste entrino dentro di noi come una nuvola nera, come un’energia nera che entra dentro di noi e va a colpire l’attitudine autogratificante, l’egoismo che abbiamo visualizzato all’altezza del cuore come una palla, un punto completamente nero. Quindi, quando questa energia nera va a colpire questa attitudine autogratificante, questa si scioglie completamente, si dissolve completamente e, piano piano, sperimentiamo l’amorevole gentilezza, la compassione che ci pervadono completamente. Quindi, con l’espirazione diamo agli altri tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre qualità. In particolare, pensiamo di dare agli altri l’amorevole gentilezza, la calma, la tranquillità, la pace, l’amore, la compassione nell’aspetto di luce. In pratica emaniamo l’energia di guarigione per tutte queste attitudini ed emozioni distruttive. In questo modo, praticando in questo modo, piano piano riusciremo ad eliminare la nostra rabbia e anche essere in grado di aiutare gli altri.

Per avere successo in questa pratica, ovvero affinché sia efficace questa pratica, dobbiamo assolutamente praticarla tutti i giorni. La pratica diventa più forte, diventa più efficace se viene fatta quotidianamente. Se, invece, la facciamo soltanto quando abbiamo dei problemi, soltanto quando ci sono delle situazioni difficili, allora forse non sarà così efficace perché non abbiamo addestrato la nostra mente in questo processo. Invece, facendola quotidianamente, una vota che ci troviamo a dover affrontare un problema, a dover affrontare una situazione difficile, adottare questa pratica sarà di sicuro più efficace se abbiamo familiarità con questa pratica.
Allora, spesso il problema è che non sappiamo esattamente come cominciare.

Da dove cominciamo la pratica?

Il punto da dove cominciare è che possiamo iniziare a fare questa pratica dapprima con le persone con le quali è più facile praticare l’amorevole gentilezza e la compassione. Quindi, possiamo fare questa pratica con le persone che ci sono vicine, i nostri cari, i membri della nostra famiglia, i nostri amici. Pensiamo di alleviare la loro sofferenza e dare loro amore e compassione. Poi, una volta che ci siamo addestrati con le persone che sentiamo più vicine – che possono essere anche i nostri animali domestici o comunque degli esseri che sono vicini a noi –, poi possiamo fare questa pratica con le persone verso le quali non abbiamo particolare compassione, nel senso che non li conosciamo, persone che sono estranee verso cui non abbiamo né sentimenti di attrazione, né sentimenti di avversione, cioè le persone che ci sono indifferenti. Poi, dopo aver addestrato la mente con queste, cerchiamo di addestrare la nostra mente con le persone che consideriamo nostre nemiche, cerchiamo di addestrarci meditando su queste persone pensando ai loro problemi e così via. Dopo esserci addestrati con questi tre tipi di persone, piano piano possiamo allargare questa meditazione verso tutti quanti gli esseri viventi, tutti quanti gli esseri senzienti, così, in questo modo, piano piano riusciremo a pensare a tutti quanti gli esseri viventi dell’universo, dell’esistenza ciclica.

Quindi, per iniziare a meditare sulle varie sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti, si può cominciare a meditare pensando di fare questa pratica del tong len, cominciando a pensare agli esseri che stanno sperimentando le sofferenze più terribili, le sofferenze più atroci – come quelle degli inferni dei narak – e quindi pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono negli inferni. Poi, dopo aver meditato sul prendere le sofferenze degli esseri degli inferni, possiamo pensare alle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati, come spiriti famelici, come preta. Poi ancora meditiamo sulle sofferenze di tutti quanti gli esseri senzienti che sono rinati come animali. Qui possiamo pensare a tutte le varie forme di sofferenza che sperimentano i vari animali, da quelli che vivono negli oceani a quelli che vivono sottoterra, sulla terra, nel cielo e così via. Poi, dopo, pensiamo a tutte quante le sofferenze che sperimentano gli esseri umani; e poi ancora le sofferenze che sperimentano i sura e gli asura. Così sono compresi tutti i sei reami dell’esistenza ciclica. Si comincia a fare questa pratica del prendere e dare, del tong len, cominciando con il prendere le sofferenze degli esseri senzienti che stanno sperimentando le sofferenze più atroci, più intense nell’esistenza ciclica partendo, appunto, dalle sofferenze che sperimentano gli esseri senzienti negli inferni.

Delle volte, per aiutarci nella nostra pratica, possiamo anche utilizzare delle immagini: per esempio possiamo vedere delle raffigurazioni degli inferni, oppure possiamo anche vedere delle foto, delle immagini che vengono mostrate in televisione o sui giornali, vediamo le immagini di bambini denutriti, vediamo le immagini degli immigrati, vediamo immagini di persone che sono nelle zone di guerra. Quando vediamo tutte queste immagini possiamo veramente generare amore e compassione nei confronti di queste persone che stanno sperimentando questi dolori. Queste diventano come un aiuto, un supporto per la nostra pratica, per generare, per coltivare l’amorevole gentilezza e la compassione perché, a volte, le immagini possono essere più efficaci, più forti per noi, per stimolarci proprio a sviluppare questi sentimenti di amorevole gentilezza nel nostro cuore.

E per far sì che questa pratica sia veramente efficace, è importante, quando la facciamo, essere assolutamente convinti, non aver alcun dubbio che effettivamente stiamo prendendo la sofferenza degli altri su di noi. Più noi siamo convinti, più abbiamo questa totale convinzione, più la pratica sarà veramente efficace. E quando noi facciamo questa pratica, se la vogliamo rendere ancora più profonda o la vogliamo fare ancora più estesa, possiamo pensare (quando prendiamo su di noi la sofferenza degli altri), di non prendere soltanto la sofferenza immediata che stanno sperimentando adesso, ma prendiamo su di noi anche tutte le potenzialità delle sofferenze che potrebbero sperimentare in futuro, tutte le potenzialità delle sofferenze e le cause delle sofferenze future, tutte quante le afflizioni che sono la causa della sofferenza e anche le impronte mentali negative che diventano, che causano sofferenza.

Poi, in termini di dare agli altri – non soltanto alleviamo la sofferenza immediata che stanno sperimentando – diamo loro esattamente tutto ciò che desiderano in quel momento, ovvero che si sentano bene. Inoltre, in quel momento, pensiamo anche di dare tutte quante le nostre virtù, tutte quante le nostre radici di virtù, diamo tutte quante le condizioni affinché possano praticare, affinché possano ottenere il nirvana e affinché possano ottenere, attraverso la pratica, l’illuminazione.

Domanda relativa all’auto flagellarsi, su questa tendenza, presente specialmente nella società occidentale, di sentirsi sempre in colpa, di non essere mai veramente soddisfatti di se stessi.

Questo sentimento di automortificarsi, o di sentirsi in colpa per le cose che succedono, è una cosa che si sente molto nella società occidentale. Probabilmente deriva proprio dal tipo di cultura che noi abbiamo. Un modo per contrapporsi a ciò è andare a meditare, contemplare quello di cui abbiamo parlato ieri, quello di cui abbiamo parlato oggi: pensare che la nostra natura ultima, la nostra natura fondamentale è amorevole gentilezza, è chiarezza. Quindi meditare, contemplare che questa è la nostra vera natura e che, praticamente, questa natura ultima di amorevole gentilezza e di chiarezza, questa natura di Buddha che noi abbiamo, è stata oscurata a livello culturale. Probabilmente, anche se uno non crede, anche se uno non è un praticante di qualche religione, comunque come retaggio culturale questo senso di colpa – che ci viene, forse, dal peccato originale, da tutte queste influenze che abbiamo ricevuto nell’educazione – anche se non si è praticato, in qualche modo ha contribuito, nella nostra cultura, a sviluppare questo sentimento di sentirsi in colpa, di mortificarsi, di non sentirsi abbastanza adeguati.

È quasi una colpa, invece, credere di avere delle qualità. La cosa importante è riconoscere la nostra natura fondamentale, la nostra natura fondamentale che è quella di amorevole gentilezza, riconoscerla, identificarsi con essa e farla manifesta nelle nostre attività e così via. Poi, in questa pratica del prendere su di noi la sofferenza degli altri, dobbiamo pensare che non è effettivamente contro di noi, ma che la indirizziamo contro l’egoismo, che è la causa dei problemi. Questo è veramente importante perché altrimenti possiamo pensare: ma come, sto già soffrendo e me ne prendo ancora? No, perché anche i problemi che stanno sperimentando gli altri esseri viventi sono a causa del loro egoismo; quindi, questa sofferenza la restituiamo all’egoismo.

Sono rimasto veramente molto scioccato, e anche sorpreso, da questo sentimento del senso di colpa che c’è in occidente, perché è una cosa che non riuscivo veramente a capire. Per farvi un esempio: una volta sono stato invitato a cena da un mio amico, però io in quel periodo non cenavo, era un periodo in cui avevo deciso di non cenare. Rientra nei voti monastici, per cui, per certi periodi, si segue questo voto di non cenare, non c’è assolutamente niente di strano. Io ho detto a quel mio amico: “ho veramente molto piacere di vederti, però io in questo periodo non ceno; ho piacere di vederti per cui vengo lo stesso a casa tua all’ora di cena, ma io non cenerò. Prendo qualcosa da bere, bevo qualche cosa insieme a voi mentre voi cenate, così stiamo insieme”. Veramente molto facile così. Dopo, questo mio amico mi ha detto che si è sentito tantissimo in colpa perché loro cenavano e io invece non ho mangiato nulla, ma ho bevuto soltanto. Lui non aveva fatto assolutamente niente di male, per quale motivo si è sentito in colpa?

Ne abbiamo anche ha parlato e quindi ho concluso che si è sentito in colpa per qualche cosa che non ha fatto assolutamente. Non ha fatto niente di male e si sente in colpa! Figuriamoci se uno fa qualcosa di male, anche poco: chissà come si sente in colpa! Per cui, lì ho capito veramente che è un qualcosa di integrato dentro la cultura e che non si può quasi separare, qualcosa che viene proprio dal tipo di educazione, di istruzione che noi riceviamo, che è proprio il nostro retaggio culturale che ci fa pensare in questo modo. Quindi, ho capito effettivamente che qua in Occidente c’è questa idea dell’essere in colpa anche per delle cose che non si sono fatte, per le quali non è successo nulla di male.

Perciò, come abbiamo detto, come enfatizzato in questo fine settimana, dobbiamo veramente avere questa consapevolezza che la nostra natura ultima è quella di amorevole gentilezza e di chiarezza. È chiaro che continuiamo a fare degli errori, non siamo ancora dei Buddha, ma è proprio per questo, proprio perché non siamo ancora dei Buddha che facciamo degli errori. Se fossimo già dei Buddha non faremo degli errori, per cui dobbiamo accettare quello che siamo, riconoscere che la nostra natura fondamentale è quella di amorevole gentilezza e che abbiamo la potenzialità di sviluppare tutte quante le qualità e di diventare dei Buddha.

Però, finché non saremo dei Buddha, continueremo a commettere degli errori.

Quindi, commettere errori è un qualcosa che noi dobbiamo accettare, perché fa parte della nostra natura. Finché non avremmo eliminato tutte quante le impronte mentali negative, continueremo a fare degli errori. Anche i Bodhisattva a livelli molto alti continuano a commettere errori, quindi è importante accettare quello che siamo, accettare la nostra condizione e quindi aspirare ad essere sempre più consapevoli della nostra natura di amorevole gentilezza e chiarezza cercando di svilupparla al massimo. Quindi, piano piano, saremo in grado anche noi di non fare errori, nel momento in cui saremo diventati dei Buddha.

Quindi, è veramente molto importante non prendersi le colpe, darsi addosso, mortificarsi e dire: è colpa mia, sempre IO IO IO. Se vogliamo incolpare qualcuno, dobbiamo incolpare la nostra attitudine autogratificante, incolpare il nostro egoismo. Fra tutte quante le varie emozioni che noi abbiamo, l’egoismo è soltanto una di quelle. Ma abbiamo tantissime altre emozioni che non sono emozioni distruttive, che sono emozioni sane come, appunto, l’amore, la compassione, la gentilezza, la pazienza e così via, e queste sono qualità che noi abbiamo, sono aspetti della nostra mente. Quindi, dobbiamo incolpare ciò che è la causa dei problemi, ovvero quelle che sono le emozioni distruttive, cioè che distruggono la nostra capacità di essere in contatto con gli aspetti positivi di noi stessi. Per cui non dobbiamo incolpare noi stessi per i nostri problemi, ma dobbiamo incolpare l’egoismo. Se dobbiamo incolpare qualcuno, non dobbiamo incolpare nessuno tranne quello che distrugge la nostra serenità.

Bisogna fare attenzione, a questo proposito, che quando si dice di prendersi cura degli altri e di considerare gli altri superiori a noi, o pensare che gli altri sono più importanti di noi, questo non vuol dire che dobbiamo sminuire noi stessi, che dobbiamo buttarci giù e quindi, sì, sminuire noi stessi. Noi dobbiamo avere una grande considerazioni di noi stessi, dobbiamo riconoscere le qualità e tutte quante le potenzialità che abbiamo e, allo stesso tempo, avendo una alta considerazione di noi stessi, pensare che anche gli altri sono importanti, ancora più di noi, perché sono molti di più. Se noi siamo importanti, altrettanto lo sono gli altri che sono ancora più numerosi di noi. Quindi, quando si dice di pensare agli altri come importanti, più importanti di noi, non è perché noi dobbiamo sminuirci, ma è proprio per cercare di considerare l’importanza degli altri in quanto essere tanti.

Domanda. Come fare, senza andare in affanno, visualizzare e inspirare, espirare e visualizzare?

Non è che noi dobbiamo inspirare e prendere tutto, e poi espirare e dare tutto. Il respiro è semplicemente uno strumento, e quando prendiamo ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’inspirazione; inspiriamo, e poi quando espiriamo non diamo tanta importanza a quella parte di espirazione. Inspiriamo e pensiamo che prendiamo su di noi la sofferenza, quindi ci focalizziamo di più sull’aspetto del prendere.

Quando abbiamo effettivamente la convinzione che abbiamo preso tutte quante le sofferenze degli altri, le sentiamo, a quel punto le buttiamo contro l’egoismo, l’attitudine autogratificante. In quel momento, allora, possiamo pensare che si assorbono tutte le negatività nell’attitudine autogratificante e che la distruggono, che la sciolgono. Quando contempliamo su questa amorevole gentilezza, che finalmente può manifestarsi, e la sperimentiamo dentro di noi, a quel punto possiamo cominciare a focalizzarci, quando espiriamo, con il dare. Ma questo non vuol dire che smettiamo di inspirare, ma ci focalizziamo di più sull’aspetto dell’espirazione, cioè che con l’espirazione diamo.

Quindi il respiro è semplicemente uno strumento che ci aiuta nella visualizzazione, ma non è che dobbiamo fare tutto così in un colpo, altrimenti perdiamo lo scopo della meditazione.
Quindi, si può utilizzare il respiro con il prendere e il dare, ma non è che questa meditazione si deve fare soltanto con il respiro. Se uno vuole farla anche senza usare come strumento il respiro, lo può fare benissimo. Si utilizza il respiro perché è come uno strumento che ci può aiutare ad avere una maggiore sensazione di prendere, perché quando inspiriamo, l’inspirazione ci può dare un maggiore aiuto nel sentire che qualcosa entra dentro ed è un qualcosa per rafforzare la nostra meditazione. È proprio uno strumento di aiuto, di supporto, di sostegno alla nostra meditazione, così come quando noi espiriamo e possiamo pensare che noi stiamo espirando e stiamo dando agli altri l’energia positiva. È abbinata al respiro perché il respiro può essere uno strumento che noi possiamo utilizzare come sostegno nella nostra meditazione, per aiutarci a sentire meglio il prendere e il dare.

Quindi, meditando e sviluppando la consapevolezza della nostra natura di amorevole gentilezza, possiamo vedere che, effettivamente, anche se desideriamo tantissimo aiutare gli altri – vedendo loro sofferenza e così via – possiamo constatare che, effettivamente, nonostante abbiamo questo grande desiderio di aiutare gli altri, siamo molto limitati nel poter essere di aiuto agli altri in un modo efficace. Siamo molto limitati nell’aiutare gli altri, nelle nostre capacità, appunto, e siamo anche limitati nell’aiutare noi stessi a eliminare le sofferenze per ottenere ciò che desideriamo.

Contemplando questo, analizzando questo, possiamo effettivamente vedere che soltanto una volta che si ottiene lo stato di Buddha, cioè quando avremo la completa illuminazione, allora potremo essere in grado di poter aiutare tutti quanti gli esseri senzienti in un modo efficace, in accordo alle varie predisposizioni di ogni essere vivente. E saremo anche in grado di aiutare senza alcun errore, utilizzando esattamente tutto ciò di cui hanno effettivamente bisogno per eliminare la sofferenza e le cause della sofferenza. Questa attitudine, questo desiderio di voler aiutare gli altri nel più breve tempo possibile ci stimola a generare, appunto, Bodhicitta che è l’attitudine o la mente altruistica dell’illuminazione, ovvero voler ottenere lo stato di Buddha nel più breve tempo possibile per poter essere di beneficio per tutti quanti gli esseri senzienti.

Praticando in un modo continuativo, l’amorevole gentilezza e così via, si arriverà ad un punto in cui si avrà questa mente di amorevole gentilezza e compassione nei confronti degli altri. Questa sorgerà spontaneamente, senza sforzo. A quel punto si sarà ottenuta, si sarà realizzata la mente di Bodhicitta, avremo realizzato la mente di Bodhicitta e in quel momento entreremo nel sentiero del bodhisattva.

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