Ghesce Ngawang Dhargye: La Morte ed il Percorso

Ghesce Ngawang Dhargye: La Morte ed il Percorso

La tradizione della meditazione sulla morte insegnata qui ha origine da Buddha Shakyamuni ed è stata praticata da famosi meditatori come Shantideva, i primi ghesce Kadampa, Gampopa il discepolo di Milarepa, lo yogi incomparabile Lama Je Tzong Khapa, i Dalai Lama e molti altri rinomati maestri. Infine è stata trasmessa da Pabongka Rinpoce, uno dei maggiori maestri vissuti all’inizio di questo secolo [il 20°]. Pabongka la trasmise a Kyabje Trijang DorjeChang, il Tutore Junior di Sua Santità il Dalai Lama. È stato da questo guru perfetto, Kyabje Trijang Dorje Chang, che l’ho udita.

Mi sono formato sotto la guida di una ventina di guru, ognuno dei quali era senza dubbio un Buddha pienamente illuminato; tuttavia, dal punto di vista della mia personale disposizione karmica, il più gentile tra tutti loro è stato Kyabje Trijang Dorje Chang. L’eccellenza di questo maestro non può esseredescritta. Il suo modo di insegnare e i sottili mezzi abili da lui adottati per generare una vera esperienza del Dharma nel discepolo sono così profondi che è pressoché impossibile, anche per il più ottuso degli ascoltatori, non restarne influenzato.

È proprio molto triste che questo essere pienamente realizzato assuma ora la forma di un anziano che può insegnare solo raramente5. Il solo stare seduti in sua presenza conferisce controllo sulla propria mente. Oltre ad aver cura dei suoi discepoli a livello spirituale, egli non trascurava il livello fisico. Molte volte, nel corso del mio addestramento, sono stato senza cibo giorno dopo giorno, con i vestiti divenuti cenci sbrindellati, ed era Kyabje TrijangDorje Chang che mi salvava.

Accade che molte persone studiano e parlano del Dharma, ma non lo praticano mai realmente. Il loro Dharma consiste solo nelle parole. Questo perchénon hanno trascorso abbastanza tempo meditando sulla morte.

Gli svantaggi di non meditare sulla morte

Gli svantaggi dovuti al non meditare sulla morte sono innumerevoli, ma possono essere riassunti nei seguenti sei punti:

    1. Se non si medita sulla morte non si sarà consapevoli della propria pratica di Dharma. Tutto il tempo andrà perso a perseguire scopi mondani.Uno dei primi ghesce Kadampa disse:Se non si medita sulla morte al mattino quando ci si sveglia, l’intera mattinata sarà sprecata, se non si medita sulla morte a mezzogiorno l’intero pomeriggio sarà sprecato e se non si medita sulla morte alla sera l’intera notte sarà sprecata.” In questo modo la maggior parte delle persone sprecano tutta la loro vita.

    2. Benché si possano compiere delle pratiche di Dharma, la pratica principale sarà la procrastinazione. Molti tibetani dicono ai loro guru di voler andare presto in ritiro ma, non avendo meditato a sufficienza sulla morte, rinviano anno dopo anno e muoiono prima di riuscire a farlo.

    3. La propria pratica diventerà impura. Sarà mescolata alle ambizioni mondane, come gli ‘otto dharma mondani’. Molti praticanti si prefiggono più di diventare eruditi o celebrità, piuttosto che di ottenere realizzazioni spirituali. Una volta chiesero a Jowo-je (Atisha): “Se qualcuno desidera solo la felicità di questa vita, cosa guadagnerà?” Jowo-je rispose “Solo ciò che ha desiderato!”; il discepolo chiede: “Cosa otterrà nelle vite future?” e la risposta fu: “La rinascita nei reami degli inferni, degli spiriti famelici o degli animali. Si dice che, per poter praticare perfettamente, questa vita dev’essere abbandonata. Cosa significa? Non che si devono abbandonare l’attuale stile di vita, la casa, i possedimenti o la posizione, ma che si devono abbandonare gli otto dharma mondani: desiderare di sperimentare ricchezza, fama, lodi o felicità e di evitare la povertà, la cattiva fama, le critiche e i disagi.

Distinguere un vero praticante spirituale da un non praticante è semplice. Un praticante è qualcuno che ha abbandonato gli otto dharma mondani, mentre un non praticante è qualcuno che subisce il loro controllo. Ghesce Potowa una volta chiese a Lama Dromtömpa:Qual è il confine tra il Dharma eil non Dharma?” Lama Drom risposeCiò che contraddice le credenze delle persone samsariche è Dharma, ciò che non lo fa non è Dharma.”

4. La pratica sarà priva di vigore. Sebbene intraprendiate una pratica, al primo ostacolo l’abbandonerete.

Fuori della grotta del Ghesce Kadampa Karag Gomchung cresceva un piccolo cespuglio spinoso. Ogni volta che entrava o usciva le sue spine gli graffiavano le carni ma quel cespuglio rimase lì fino alla sua morte perché questo grande meditatore praticava con tale intensità che non volle mai sprecare i pochi momenti necessari per tagliarlo. Ghesce Karag Gomchung ha realizzato i frutti del meditare sulla morte.

5. Si continuerà a creare karma negativo. Senza la continua consapevolezza della morte persisterà l’attaccamento a questa vita. Amici e parentisaranno considerati come maggiormente degni di amore degli sconosciuti e degli esseri che vi arrecano disagio. Lo squilibrio emozionale fa sorgere una serie infinita di distorsioni mentali, che a loro volta risultano nella generazione di infiniti karma negativi. In questo modo si perde la felicità di questa vita nonché quella di tutte le vite future.

6. Si morirà in uno stato di rimpianto. È certo che la morte arriverà. Senza vivere nella consapevolezza di essa, arriverà di sorpresa. In quel momento cruciale realizzerete che tutte le attitudini orientate in senso materialistico che avete coltivato per tutta la vita non hanno alcun valore e che, similmente, la ricchezza, la famiglia e il potere sono inutili. Al momento della morte non ha valore null’altro che la realizzazione spirituale ma, avendo trascurato la pratica della consapevolezza della morte, avete trascurato la pratica del Dharma e ora rimanete a mani vuote, il rincrescimento riempie la vostra mente. Shantideva, nella sua Guida allo Stile di Vita del Bodhisattva scrive:

Una volta afferrato dagli agenti della morte, che valore hanno gli amici, che valore hanno i parenti? In quel momento la sola protezione è la forza della bontà, ma di questo non mi sono mai occupato.

Ghesce Kadampa Kamaba una volta rimarcò che dovremmo aver paura della morte ora, mentre c’è ancora tempo per agire, ed essere impavidi almomento della morte. Gli esseri mondani si comportano all’opposto. Quando sono forti e in salute non hanno mai un pensiero per la morte, ma quando la morte arriva si battono il petto terrorizzati. La maggior parte dei praticanti non inizia mai a praticare realmente, ma procrastina giorno dopo giorno. Poi, mentre giacciono nel letto di morte, pregano per solo pochi giorni ancora di vita, ma è troppo tardi: ora sono nelle fauci del Signore della Morte e il tempoper praticare è solo un ricordo – come un pezzo di carne che tenevamo in mano ma non abbiamo mangiamo, che ci è sfuggito, ed ora è nella pancia diun cane e non può essere ripreso. Sebbene il rammarico sia insensato, il rammarico sorge.

I vantaggi di meditare sulla morte

Anche i vantaggi di meditare sulla morte sono innumerevoli, ma di nuovo possiamo sintetizzarli sotto sei punti.

  1. La vita si arricchisce di uno scopo. Nel Sutra del Trapasso del Buddha (Mahaparinirvana Sutra) è detto:Tra tutte le impronte, quella dell’elefante è la più grande; tra tutte le meditazioni di consapevolezza, quella sulla morte è suprema”. Se si pratica correttamente la meditazione sulla morte, la mente desidererà cercare una comprensione più profonda della vita. Si può vedere questo nelle biografie dei santi. Buddha stesso fu distolto dall’attrazione per l’esistenza mondana dopo aver visto prima un uomo malato, poi un vecchio e infine un cadavere. Lo yogi Milarepa fu ispirato a rinunciare alla magia nera e a cercare un sentiero più significativo dall’assistere alla reazione del suo maestro di magia alla morte di un protettore.

  2. La consapevolezza della morte è un antidoto estremamente potente alle afflizioni. L’antidoto più forte alle afflizioni è la realizzazione della vacuità, ma la consapevolezza della morte la segue da vicino. Se ci si ricorda della morte ogni volta che l’attaccamento o l’avversione sorgono nella mente, quell’afflizione è immediatamente distrutta, così come il colpo di un martello di ferro frantuma una pietra. Gli yogi e i mahasiddha dell’antica India mangiavano il loro cibo in ciotole ricavate da calotte craniche umane e suonavano delle trombe fatte con femori umani. Similmente, i monaci ponevano teschi umani sulla porta delle loro toilet. Questo non aveva lo scopo di spaventare le persone ma di mantenere la consapevolezza dellamorte. Anche oggigiorno, nei pressi dell’entrata principale della maggior parte dei templi, c’è appeso un dipinto del Signore della Morte che tiene l’intera esistenza condizionata nella bocca; non come decorazione ma per ispirare il pensiero della morte nei visitatori. Nella pratica tantrica visualizziamo i cimiteri pieni di cadaveri e così via attorno al mandala mistico.

  3. La meditazione sulla morte è importante all’inizio della pratica perché ispira a praticare e a praticare bene.

  4. La meditazione sulla morte è importante nel mezzo della pratica perché ispira a esercitarsi intensamente e con purezza.

  5. La meditazione sulla morte è importante alla fine della pratica perché causa il perfezionamento e completamento della pratica. Alcune persone, appena avuti i primi approcci col Dharma, sviluppano molto facilmente un senso di rinuncia ed entrano in ritiro, ma dopo alcuni mesi il loroentusiasmo è svanito e bramano di tornare a casa. Tuttavia si sento costretti a restare e completare il ritiro come previsto perché temono di cadere nel ridicolo se interrompono la loro pratica. Essi finiscono per maledire la loro rinuncia, considerando che sia stata per loro nient’altro che una fonte di fastidi.

  6. La morte avverrà felicemente e senza rincrescimenti. Mantenendo la consapevolezza della morte durante la vita si sarà spontaneamente incliniverso la virtù e la pratica del Dharma. La morte non arriverà come una sorpresa e non porterà né paura né rincrescimento. È detto che i miglioripraticanti muoiono in uno stato di beatitudine, i praticanti mediocri muoiono felicemente ed anche un praticante scarso non avrà né rincrescimento né spavento al momento della morte. Dovremmo mirare, tra questi, ad essere per lo meno come il praticante inferiore. Milarepa dichiarò: “Terrorizzato dalla morte, sono fuggito sulle montagne, dove ho realizzato la natura ultima della mente. Ora non sono più spaventato.” Sepratichiamo intensamente come fece Milarepa, non c’è motivo per cui non dovremmo ottenere un uguale livello di realizzazione. Abbiamo lo stesso tipo di corpo e di capacità mentale che ebbe lui, e i vari metodi che ha applicato sono giunti a noi in un puro flusso ininterrotto tramite i vari guru del lignaggio. In un certo senso la nostra opportunità di diventare illuminati è persino maggiore della sua, poiché abbiamo a disposizione molte trasmissioni orali di cui Milarepa non disponeva.

Dunque questi sono gli svantaggi del non meditare sulla morte e i vantaggi di meditare.

Come meditare sulla morte

Come si dovrebbe meditare sulla morte? I modi principali sono due.

  1. Il primo modo consiste nella meditazione sulla morte in nove parti (le tre radici, le nove ragioni e le tre determinazioni).

Questo metodo è insegnato nei Sutra e si trova sia nel Gioiello Ornamento della Liberazione di Gampopa che nella Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero di Lama Tzong Khapa.

  1. Il secondo è una tecnica in cui si visualizza se stessi mentre si attraversa il processo della morte. Questo è un metodo tantrico e si trova in ogni sistema di Tantra dello Yoga Supremo nella fase della meditazione del mandala conosciuta come prendere i tre kaya come sentiero.

  1. La meditazione sulla morte in nove parti

Le tre radici su cui meditare sono:

    1. l’inevitabilità della morte

    2. l’incertezza del momento della morte

    3. al momento della morte nulla, a parte la propria realizzazione spirituale, ha valore.

Le nove ragioni e le tre determinazioni sono equamente divise tra queste tre radici nel modo seguente:

  1. L’inevitabilità della morte

Anche se la morte ha in progetto di colpirci, la maggior parte delle persone vive fingendo che non esiste. Non è difficile provare logicamente che ognisingola persona morirà. Prendendo se stessi come esempio, certamente si morirà, poiché la morte è inevitabile. Come sappiamo che è inevitabile?Meditando su queste tre ragioni:

  1. Sinora la morte è arrivata per tutti gli umani. Senza menzionare gli esseri ordinari, anche i grandi esseri realizzati, come gli arhat, i bodhisattva ei buddha, sono morti. Dunque perché dovremmo aspettarci di sopravvivere? Buddha Shakyamuni stesso è morto, dimostrando così l’impermanenza ai suoi discepoli. Chi conoscete che sia anche solo centenario? In base a questi fatti è difficile credere che solo noi saremmo immortali.

  2. Giorno dopo giorno la vita decresce, non c’è possibilità di accrescerla. La lunghezza della vita umana può essere paragonata a un laghetto, a cui è stato interrotto l’afflusso d’acqua: momento per momento la sua acqua diminuisce; oppure è simile a un monaco che possiede solo 1000 rupie e nient’altro come entrata: se spende dieci rupie al giorno alla fine sarà al verde. Shantideva scrisse: “Senza fermarsi, giorno e notte, la vita scorrevia e non diventa mai più lunga. Perché la morte non dovrebbe venire da me?” La lunghezza della nostra vita è andata decrescendo dal momento del concepimento. Quando 100 pecore sono portate al macello per essere uccise in serata, l’uccisione di ciascuna rende più vicina la morte dell’ultima pecora. È lo stesso per la durata della nostra vita: mentre i minuti si consumano le ore passano, come le ore si consumano trascorrono i giorni, come i giorni si consumano trascorrono i mesi e una volta consumati i mesi gli anni passano. Con il consumarsi dei nostri anni la morte si avvicina rapidamente.

  3. Nel corso della vita troviamo poco tempo per praticare il Dharma. La nostra vita può probabilmente essere ripartita come segue: venti anni trascorrono dormendo, venti anni lavorando, dieci anni giocando, cinque anni mangiando e così via. Forse impieghiamo quattro o cinque anni nella pratica. Queste sono le parti che compongono il fenomeno composto che è la vita di una persona media. Come ha indicato Buddha, ogni cosa che è composta è destinata a disintegrarsi; ciò che è un insieme di parti esiste in dipendenza da quelle parti, che prima o poi si devono disintegrare.

Se si medita intensamente su questa prima radice e le sue tre ragioni si può, in capo a sette giorni, realizzare l’inevitabilità della morte. Da questa realizzazione sorgerà la prima delle tre determinazioni: la determinazione di praticare il Dharma.

  1. L’incertezza del momento della morte

Questa seconda radice è più difficile da realizzare pienamente. Molte persone vivono con la comprensione che alla fine devono morire, ma poche credono veramente che potrebbero essere morte tra un minuto. Per generare questa consapevolezza, meditate sulle tre ragioni seguenti:

  1. La lunghezza della vita degli umani su questo pianeta non è fissa. Migliaia di anni fa la lunghezza della vita era misurata in secoli; ora è inferiore ai cento anni; in seguito durerà solo una decade. La vita umana è instabile in particolare in questa fase degenerata dell’eone. Si può pensare che si ha molto tempo da vivere perché si è ancora giovani, ma guardate le persone più anziane che portano i loro figli morti al cimitero. Si può pensare che si vivrà a lungo perché si ha abbastanza ricchezza per comprare buon cibo e medicine, ma guardate i mendicanti vecchi e i milionari chemuoiono giovani. Si può pensare di vivere a lungo perché si è in buona salute, ma anche questo non è un pensiero fondato, infatti molte persone muoiono pur essendo sane mentre altre malate continuano a vivere, anno dopo anno.

  2. Molte forze contrastano la vita e poche la sostengono. Gli spiriti malvagi che possono porre fine a una vita umana sono più di 80.000; le malattie aleggiano intorno a noi come nebbia. Questi spiriti e malattie ci aspettano come un gatto fuori della tana di un topo. Per di più, i quattro elementi che costituiscono la base fisica del nostro essereterra, acqua, fuoco e ariasono simili a quattro serpenti in un solo contenitore, il più forte cerca continuamente di sopraffare il più debole. Quando questi elementi sono in armonia, godiamo di buona salute, ma quando diventano squilibrati lanostra vita è in pericolo. Oltretutto, quello che usiamo per sostenere la vita può facilmente diventare una causa di morte: le case crollano, uccidendo gli abitanti; il cibo può diventare un veleno; le medicine usate impropriamente possono causare la morte, i vari mezzi di trasporto, pensati per aiutare l’esistenza umana, spesso arrecano la morte. Nella sua Preziosa Ghirlanda, Nagarjuna scrisse:O re, la vita è come unalampada al burro in una tempesta di vento”. Sia che la lampada sia piena, a metà o quasi vuota ha poca importanza, essa può estinguersi in qualsiasi momento. Similmente, l’età non è un’indicazione di quanto si sia vicini alla morte.

  1. Il corpo umano è estremamente fragile. Possiamo dire: “Certo, ci sono molte cose che ostacolano alla vita, ma io sono abbastanza forte per resistere a tutte”, ma si tratta solo di voler credere quello che si desidera. Il corpo umano è distrutto così facilmente come una goccia di rugiada è scossa va dalla punta di un filo d’erba. Come disse Nagarjuna nella sua Lettera a un Amico:Se l’intero mondo sarà distrutto alla fine di questo eone, cosa dire dei corpi degli umani?” Kunga Rinpoce una volta disse: “Se pensate che prima finirete le vostre attività mondane e poi praticherete il Dharma, tenete in mente che la morte di oggi può venire prima della pratica di domani”.

Meditando con diligenza su questa seconda radice e sulle sue tre ragioni, sorgerà la seconda delle tre determinazioni: praticare il Dharma immediatamente.

  1. Al momento della morte nulla, tranne la propria realizzazione spirituale, ha valore.

Per ottenere convinzione su questa terza radice, meditate le seguenti tre ragioni:

  1. Ricchezza, possedimenti, fama o potere sociale non hanno valore. Al momento della vostra morte potete avere centinaia di lingotti d’oro in casa, ma neppure uno sarà di beneficio. Un mendicante deve lasciare perfino il suo bastone. Un re può avere milioni di sudditi e un migliaio di regine ma nessuno sarà in grado di accompagnarlo nella vita successiva. Come disse Buddha:Anche se si può avere abbastanza cibo e abiti per la durata di cento anni, quando si muore si prosegue soli, nudi e senza cibo”.

  2. La famiglia, gli amici e i parenti non hanno valore. Si nasce soli e si deve morire soli. Quando si sta morendo, tutti i propri cari possono stringersi intorno al vostro corpo cercando di impedire alla morte di portarvi via, ma sarà inutile; neppure uno solo vi accompagnerà. Il mahasiddha Maitripadisse:Amico mio, morire è come passare da solo attraverso una valle pericolosa piena di predoni. Nessuno, tra le tue regine, figlie, figli o sudditi, verrà con te. Perciò preparati bene”. Nella sua Guida allo Stile di Vita di un Bodhisattva, Shantideva scrisse: “Lasciando tutto, devo partire da solo. Ahimè, non conoscendo questo ho commesso tutti i tipi di negatività per il fine della famiglia e degli amici, ma chi tra loro mi aiuterà di fronte al Signore della Morte?”

  3. Neppure il proprio corpo avrà valore. Pur avendo avuto il vostro corpo dal momento in cui avete lasciato l’utero di vostra madre, lo avete vestito e protetto dalla sofferenza del caldo e del freddo e nutrito per risparmiargli i morsi della fame, alla morte dovrete abbandonarlo. Il flusso dellacoscienza se ne va solo.

Meditando intensamente su questa terza radice e sulle sue tre ragioni, sorgerà la terza delle tre determinazioni: praticare il Dharma puramente, senzamescolarlo con tendenze materialistiche.

Shantideva scrisse: “Al momento della morte solo la bontà ha valore, ma di questo non mi sono mai occupato!”. Se sapete che vi state muovendo in un paese in cui la sola valuta valida è l’oro, sarebbe saggio convertire tutta la vecchia valuta mentre se ne ha ancora l’opportunità. Al momento della morte la sola valuta valida è la realizzazione spirituale, quindi dovreste praticare il Dharma intensamente per ottenere quella valuta mentre ancora avete la possibilità.

Come si conduce esattamente questa meditazione in nove parti?

Sedete nella posizione corretta, iniziando con lo scorrere mentalmente i sei svantaggi del non ricordare la morte e i sei vantaggi del ricordarla. Dopo avertrascorso cinque-dieci minuti su questo, date uno sguardo ad ognuna delle tre radici con le rispettive ragioni e determinazioni. Poi tornate con la mente indietro alla prima ragione della prima radice e rimaneteci per venti-trenta minuti, entrando nella stabilizzazione meditativa su questo punto. Il primogiorno la stabilizzazione meditativa avrà come oggetto la prima delle nove ragioni, il secondo giorno la seconda e così via, procedendo gradualmenteattraverso l’intera meditazione.

Per concludere ogni sessione, scorrete i punti rimanenti, soffermandovi per breve tempo sulle tre determinazioni e al termine recitate una breve preghiera di dedica come la seguente:

Per il potere di questa pratica,

possa velocemente ottenere la buddhità perfetta, e così possa ogni essere senziente

arrivare a realizzare la felicità della saggezza eterna.

  1. Visualizzare se stessi mentre si attraversa il processo della morte.

I metodi per praticare questa tecnica possono essere sia essoterici che esoterici.

Il metodo essoterico

Visualizzatevi sdraiati sul vostro letto, morenti. I vostri genitori e amici vi circondano, lamentandosi. La luce del vostro volto è svanita e le narici hanno perso vigore. Le labbra seccano e della bava fangosa inizia a formarsi sui vostri denti. Tutta la grazia è svanita dalle vostre forme e il corpo apparepiuttosto brutto. Il calore del corpo scema, il respiro diventa pesante e l’epirazione è più lunga dell’inspirazione. Si ricorda tutto il karma negativo creato durante la vita e si è colmi di rincrescimento. Si cerca aiuto da tutte le parti ma non c’è nulla da trovare. Pensate questo in modo tanto più convincente possibile e osservate come vi sentite. Sorgono l’attaccamento o la paura? Meditando in questo modo si può scoprire quali afflizioni vi disturberanno alla morte e lavorare per abbandonarle anche da oggi stesso.

Il metodo esoterico

La tecnica di meditazione esoterica sul processo della morte è molto più complessa. Per compierla completa di tutti i dettagli è necessaria l’iniziazione tantrica. Questo metodo è svolto in tutti i sistemi di Tantra dello Yoga Supremo nella fase conosciuta come prendere i tre kaya come sentiero. Solo una parte limitata dell’insegnamento può essere impartita apertamente; la spiegazione relativa al mandala, alle cinque famiglie di buddha e alla chiara lucedevono essere omesse.

Questa meditazione riguarda la dissoluzione delle venticinque sostanze grossolane, un soggetto importante nella pratica tantrica. Quali sono leventicinque sostanze grossolane?

  1. cinque costituenti psicofisici (skandha): forma, sensazione, discriminazione, fattori compositivi e coscienza.

  2. Le cinque saggezze di base: la saggezza simile allo specchio, la saggezza dell’uguaglianza, la saggezza dell’investigazione individuale, lasaggezza che compie le attività e la saggezza della natura dei fenomeni. Queste saggezze sono chiamate ‘imperfette’ o ‘di base’ perché sono menzionate in riferimento a qualcuno che non ha ottenuto la buddhità.

  1. I quattro elementi: terra, acqua, fuoco e vento.

  2. Le sei sorgenti: le facoltà sensoriali dell’occhio, dell’orecchio, del naso, del corpo e della mente

  3. : I cinque oggetti: colori e configurazioni, suoni, odori, sapori e oggetti tangibili.

Quando la morte arriva naturalmente giunge come un processo di disintegrazione graduale. La prima fase di questo processo è la disintegrazione simultanea di

(i) il costituente psicofisico della forma,

(ii) la saggezza imperfetta simile allo specchio,

(iii) l’elemento terra,

(iv) la facoltà visiva e

(v) colori e configurazioni.

Un segno esterno si manifesta come risultato della disintegrazione di ognuno di questi cinque ,rispettivamente come segue:

(i) il corpo avvizzisce e perde vitalità. (ii) gli occhi diventano oscurati,

  1. non si riesce più a muovere gli arti,

  2. (iv) cessa il battito delle palpebre e (v) la luminosità del corpo svanisce. Questi segni sono esterni e pertanto possono essere notati dagli altri. Con la disintegrazione di questi cinque fattori la persona morente sperimenta un segno interno, che può essere visto solo da quella persona: una visione simile a un miraggio che riempie tutto lo spazio.

Nella seconda fase ha luogo la disintegrazione di: (i) il costituente psicofisico della sensazione (ii) la saggezza imperfetta dell’eguaglianza, (iii) l’elemento acqua, (iv) la facoltà dell’udito (v) i suoni. Di nuovo c’è un segno esterno che accompagna la disintegrazione di ognuno dei cinque. I segni esterni sono: (i) si perde la discriminazione rispetto al fatto che le sensazioni fisiche siano piacevoli, spiacevoli o indifferenti, (ii) non si è più consci delle sensazioni che accompagnano la coscienza mentale, (iii) le labbra si seccano, la traspirazione si ferma e il sangue e lo sperma coagulano,

  1. i suoni interni ed esterni non possono più essere uditi e (v).anche il sottile ronzio nelle orecchie cessa. La persona morente sperimenta il segnointerno che è la visione simile a fumo che riempie tutto lo spazio. La terza fase è la disintegrazione di (i) il costituente psicofisico della discriminazione o riconoscimento, (ii) la saggezza imperfetta della discriminazione o investigazione individuale, (iii) l’elemento fuoco, (iv) la facoltà dell’olfatto e (v) gli odori. I segni esterni sono : (i) non si riconosce più il proposito di qualunque cosa detta da coloro che ci circondano, (ii) svanisce la memoria anche dei nomi dei genitori, dei familiari, degli amici ecc. (iii) il calore del corpo scema e i poteri della digestione e dell’assimilazione delcibo cessano, (iv) l’espirazione è più forte mentre l’inspirazione si indebolisce e (v) il potere di riconoscere gli odori svanisce. La persona morentesperimenta come segno interno la visione come di faville di fuoco che riempiono lo spazio.

La quarta fase è la disintegrazione di: (i) il costituente psicofisico dei fattori compositivi, (ii) la saggezza imperfetta del compimento delle azioni, (iii) l’elemento vento, (iv) la facoltà del gusto, (v) i sapori e (vi) la facoltà sensoriale tattile e gli oggetti tangibili. I segni esterni sono: (i) tutte le capacità fisichevengono meno, (ii) si dimenticano tutti gli scopi per le attività, (iii) i venti maggiori e minori si dissolvono nel ciakra del cuore e l’inspirazione e l’espirazione cessano, (iv) la lingua diventa spessa e corta e la radice diventa bluastra, (v) tutti i poteri del gusto svaniscono e (vi) non si possono sperimentare la morbidezza o la ruvidità. Il segno interno è una visione di una luce simile a quella dell’ultimo tremolio di una candela.

A questo punto del processo, un medico dichiarerebbe che la persona è morta. Tuttavia, dato che la coscienza si trova ancora nel corpo, la persona è ancora viva.

Nella quinta fase, con la perdita dell’energia vento che lo sostiene, un residuo dello sperma originale, che proviene dal padre al momento del concepimento e da allora è stato depositato nel ciakra del capo, fluisce giù dal canale centrale e arriva al cuore. A causa del suo passaggio attraverso i nodi dei ciakra è sperimentata una visione di biancore niveo.

Nella sesta fase, con la perdita dell’energia vento che lo sostiene, un residuo dell’ovulo originale, che proviene dalla madre al momento del concepimento e da allora è stato depositato nel ciakra dell’ombelico, fluisce verso l’alto nel canale centrale e giunge anch’esso al cuore. A causa del suopassaggio attraverso i nodi dei ciakra è sperimentata una visione di rossore simile alla luce del tramonto.

Nella settima fase, i residui dello sperma e dell’ovulo si incontrano e si sperimenta una visione di oscurità, come quando il cielo è completamente copertoda spesse nubi. Qui la persona ordinaria cade nell’incoscienza, mentre per un yogi tantrico questa è una condizione eccellente per la meditazionespeciale.

Nell’ottava fase, alla fine il cuore ha un leggero tremito e la coscienza esce dal corpo. Avviene un’esperienza di chiara luce, come il sorgere dell’alba in un buio mattino privo di luna. Questa è la chiara luce della morte, la cui apparenza indica che il processo della morte è completo. Per la maggioranza degli esseri queste esperienze sono totalmente incontrollate e terrificanti, ma grazie alla preparazione fatta nel corso della vita, i praticanti tantrici hanno padronanza su di esse e le usano a loro vantaggio. Molti lama hanno ottenuto l’illuminazione proprio in questo momento della morte.

Nel tantra i soggetti principali sono il vento e la coscienza. Entrambi hanno aspetti grossolani e sottili. Il vento grossolano forma il corpo di questa vita; la coscienza grossolana fornisce la consapevolezza sensoriale. Al momento della morte entrambe queste qualità grossolane si dissolvono nei loro aspetti sottili, che perdurano fino all’illuminazione.

Il palazzo reale della mente è il cuore. Qui la mente risiede nella goccia che non si dissolve tra i residui dell’ovulo e dello sperma della madre e del padre.Questa è la goccia che non si dissolve grossolana; si dice che non si dissolve perché permane fino alla morte. La goccia che non si dissolve sottile è lacombinazione del vento e della coscienza sottili; si dice che non si dissolve perché permane fino all’illuminazione. La meditazione sul processo dellamorte include la meditazione su entrambe queste gocce.

L’importanza di meditare sulla morte

La meditazione sull’impermanenza è di suprema importanza. È stato il primo insegnamento del Buddha quando ha insegnato le quattro nobili verità nel Parco dei Daini, a Sarnath, ed è stato il suo insegnamento finale, poiché morì per imprimere l’idea dell’impermanenza nelle menti dei suoi discepoli.

Buddha una volta disse:Ogni cosa nei tre mondi è impermanente come le nuvole d’autunno. La nascita e la morte degli esseri sono come scene di undramma. La vita umana è come il balenare di un lampo nel cielo o come l’acqua di un torrente di montagna.”

Se meditate correttamente sulla morte in accordo con uno dei due metodi – la meditazione sulla morte in nove parti o la tecnica di visualizzare se stessi nel corso del processo della morte – non c’è dubbio che ne trarrete beneficio.

Se un cane si slancia per mordervi, non serve provare meramente paura, occorre usare la paura che si sente per evitare di essere morso. Similmente, non ha senso temere meramente la morte, usate la paura della morte per sviluppare la saggezza che è al di là delle zanne della morte.

Dovreste cercare di praticare il Dharma, praticarlo proprio ora e praticarlo puramente. Il Dharma è la mappa che mostra il modo per realizzare i modi di esistenza convenzionale e ultimo; è il cibo che nutre i pellegrini, la guida che accompagna attraverso i rischiosi passaggi della strada verso l’illuminazione.

Trasferimento della coscienza

La pratica ha molti livelli, quello basilare consiste nel mantenere un buon cuore, un cuore di amore e compassione. Anche se non si riesce a trovare la forza o il tempo di impegnarsi nelle pratiche di meditazione superiori o negli studi filosofici, dovreste per lo meno cercare di mantenere un’attitudinesimpatetica verso i propri simili, un’attitudine che evita sempre di danneggiare e cerca solo di aiutare gli altri. Se riuscite a fare questo le negatività lentamente vi abbandoneranno. Poi, al momento della morte, sarete in grado di prendere rifugio nei Tre Gioielli e di essere fiduciosi di ottenere una buona rinascita. Questo è il metodo del trasferimento della coscienza (po-wa) per i praticanti di minime capacità.

I praticanti più ambiziosi cercano di sviluppare la rinuncia, i tre addestramenti superiori – moralità, concentrazione e saggezza – e l’attitudine illuminata di bodhicitta, il desiderio di ottenere lo stato di buddha per beneficare tutti gli esseri senzienti. Quando tali praticanti hanno acquisito un certo grado di realizzazione di queste qualità entrano nell’oceano del tantra per realizzare le loro aspirazioni spirituali più velocemente; solo attraverso la pratica del tantra è possibile ottenere la buddhità pienamente completa in un breve periodo, come due o tre anni. Comunque, anche se è possibile ottenere l’illuminazione così velocemente, non tutti i praticanti possono farlo. Pertanto, le varie tecniche di trasferimento della coscienza per i praticanti dimotivazione superiore sono state insegnate.

Trasferimento della coscienza alla lettera significa ‘migrazione’. Questo perché l’ultimo pensiero che si ha quando si muore è la forza che determina la successiva rinascita. Molte persone hanno condotto vite virtuose ma, per il fatto di aver avuto un pensiero negativo mentre morivano, sono caduti in un reame inferiore, mentre altri hanno condotto vite malvagie ma, per il fatto di avere avuto un pensiero positivo mentre morivano, hanno conseguito unarinascita superiore. Lo yoga del trasferimento della coscienza trae profitto da questo fenomeno.

Le tecniche esclusive mahayana del trasferimento della coscienza possono essere divise in due categorie: quelle insegnate nei sutra e quelle insegnate nei tantra.

Trasferimento della coscienza nei sutra: i cinque poteri

Il metodo del sutra è chiamato applicazione dei cinque poteri, poiché quando quando si sa che la morte si sta avvicinando si applicano i poteri dell’intenzione, del seme bianco, della familiarità, della distruzione e della preghiera.

  1. Il potere dell’intenzione. Generate la ferma intenzione di non permettere che la vostra mente sia separata, durante la morte, lo stato intermedio o la rinascita, dall’aspirazione ad ottenere la buddhità pienamente completa per il beneficio di tutti gli esseri.

  2. Il potere del seme bianco. Cercate di sbarazzare la vostra mente da tutte le forme di attaccamento fisico, dando via tutte le vostre ricchezze,proprietà e beni.

  3. Il potere della distruzione. Cercate di distruggere le macchie di tutti i karma negativi che avete accumulato durante la vita applicando i quattro poteriopponenti: pentimento, ferma decisione di non creare di nuovo tali karma negativi, prendere rifugio nei Tre Gioielli e generare bodhicitta; purificatela radice della macchie meditando sulla vacuità, Vajrasattva e così via. Se avete ricevuto un’iniziazione tantrica chiedete al vostro lama di iniziarvi di nuovo o, se questo non è possibile, svolgete il rituale dell’auto iniziazione.

  4. Il potere della familiarità. Generate bodhicitta quanto più intensamente possibile.

  5. Il potere della preghiera. Il termine preghiera si riferisce all’aspirazione del vero praticante mahayana che tutte le oscurazioni, il karma negativo e le sofferenze degli altri possano maturare su se stesso e di non essere mai separato dall’attitudine mahayana di voler ottenere l’illuminazione completa per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Un giorno Ghesce Potowa era seduto sul suo trono tenendo una conferenza, quando improvvisamente disse “Possa io sempre essere un protettore per coloro che sono privi di aiuto e una guida per coloro nella confusione”. Poi morì.

Quando era vicino a morire, Ghesce Chekawa disse ai suoi discepoli che aveva praticato a lungo per rinascere negli inferni più bassi, per essere in grado di beneficare lì gli esseri senzienti, ma che recentemente aveva avuto un sogno che indicava che sarebbe rinato in una terra pura. Egli chiese ai suoi discepoli di fare molte offerte ai buddha e bodhisattva affinché questo potesse essere evitato e la sua preghiera fosse esaudita.

Questa applicazione dei cinque poteri al momento della morte garantisce una rinascita con condizioni adatte a continuare la pratica del Dharma.

Trasferimento della coscienza nel Tantra

Se avete ricevuto un’iniziazione tantrica dovreste cercare di praticare il metodo tantrico di trasferimento della coscienza. Ci sono molte varianti a questometodo in dipendenza dal sistema tantrico in cui si è stati iniziati e da dove si vuole rinascere. Una delle più popolari è quella che si trova nel tantra di Vajrayogini. Si dice che l’iniziazione nella pratica di Vajrayogini sia un biglietto per la terra delle dakini.

Il trasferimento della coscienza come insegnato nei tantra è chiamato ‘metodo potente’ perché anche una persona estremamente afflitta che ha compiutole azioni più negative durante la vita può rinascere in una terra pura con questo mezzo. La sua pratica durante la vita per prepararsi alla morte èchiamata la ‘pratica potente’ perché meramente pronunciando la sillaba PHAT! la coscienza è fatta uscire dal corpo e pronunciando la sillaba HIC! èriportata indietro. Il segno dell’aver completato questa pratica è la comparsa di una pustola sulla cima del capo che si rompe e trasuda poche gocce disangue e pus.

Tuttavia non è permesso insegnare i metodi tantrici ai non iniziati. Buddha Vajradhara stesso disse: “Non si dovrebbe versare il latte di un leone delle nevi in una tazza di terracotta”. Non solo il latte diventa acido, ma anche la tazza si rovina. Alcune persone accusano i maestri tantrici di essere troppo rigidi nel mantenere il segreto, ma si tratta di un’accusa stupida, fatta da coloro che ovviamente non comprendono il tantra. Insegnare il tantra a un essere spiritualmente immaturo è come legare un bambino a un elefante selvaggio. Pertanto, grandi praticanti come il Quinto Dalai Lama hanno insistito sull’importanza di acquisire un’esperienza dei fondamenti comuni sia al sutra che al tantra prima di specializzarsi nella pratica tantrica.

Domanda: Cosa si può fare a beneficio di una persona morente?

Gen Rinpoce: E’ utile recitare mantra nell’orecchio della persona. I mantra di Buddha Shakyamuni, OM MUNI MUNI MAHA MUNAYE SOHA; di Avalokiteshvara, OM MANI PADME HUM; di Arya Tara, OM TARE TUTTARE TURE SOHA; di Manjushri, OM AH RA PA TSA NA DHIH, sono facili da dire e anche molto efficaci nel lasciare forti impronte karmiche nel continuum mentale della persona morente. Questi mantra sono estremamente potentie, senza dubbio, saranno di immenso beneficio per una persona morente. È utile anche porre un’immagine di un buddha o di un bodhisattva dove la persona può osservarla. In particolare, se la persona è un praticante religioso, si dovrebbe recitare il mantra del suo maestro spirituale e mostrare a lui/lei una fotografia di quel maestro.

La cosa più importante è di aiutare la persona morente a generare e mantenere un’attitudine virtuosa. Non fate nulla che possa creare agitazione o collera nella persona. Morire con un’attitudine positiva garantisce pressoché con certezza una buona rinascita.

Dopo la morte i possedimenti della persona dovrebbero essere dati come offerte agli oggetti virtuosi come i Tre Gioielli o usati nei rituali dell’offerta tantrica (tsok). Si dovrebbe richiedere al maestro spirituale della persona di fare preghiere speciali, poiché la relazione guru-discepolo è particolarmente importante e qualunque cosa un guru fa per un discepolo deceduto, o un discepolo per un guru deceduto, ha effetti straordinari. Anche i genitori e gliamici dovrebbero offrire preghiere, dato che anch’essi possono influenzare grandemente la rinascita della persona. Ci sono molti esempi di persone che sono morte con stati mentali negativi ed erano diretti a una rinascita infernale ma che, grazie alle preghiere e alle offerte dei loro cari, hanno preso una rinascita superiore.

Nel suo Compendio di Metafisica (Abhidharmasamuccaya), Arya Asanga spiega a fondo come occuparsi di una persona morta o morente.

Domanda: Quanto sopra può essere fatto sia per i buddhisti che per i non buddhisti?

Gen Rinpoce: I buddha e i bodhisattva sono protettori universali e non discriminano, dunque perché dovremmo farlo noi? Tuttavia, se la persona è un buddhista, a causa del legame tra di voi ogni cosa che farete avrà un impatto maggiore.

Domanda: In occidente spesso non diciamo a una persona morente che lui o lei sta, in effetti, morendo. Lei pensa che questo sia saggio o insensato?

Gen Rinpoce: Dipende dalla persona. Ai praticanti è meglio dirlo, in modo che possano mettere tutti i loro sforzi nella pratica. Essi non saranno spaventati dal conoscere che stanno morendo e potranno essere in grado di praticare il trasferimento della coscienza. Rispetto alle persone che nonsono praticanti, forse non c’è motivo di dirglielo. Essi non devono essere terrorizzati.

Domanda: Quanto a lungo rimane la coscienza nel corpo, una volta che una persona è apparentemente morta? Per quanto tempo il cadavere dovrebbe essere lasciato senza essere toccato?

Gen Rinpoce: Se la persona morente è un grande yogi, la coscienza può rimanere nel corpo per giorni o anche mesi. Per esempio, uno dei precedenti Panchen Lama rimase nel suo corpo, in meditazione, quasi per un anno dopo la morte apparente. Egli morì nel Kham, il Tibet orientale, ma il suo corpo fu portato nel Tibet centrale, un viaggio di molti mesi, prima che la sua coscienza lo lasciasse. Anche la coscienza di un non praticante può rimanere fino a tre giorni. Pertanto, un cadavere non dovrebbe mai essere mosso finché non appaiono i segni che la coscienza è uscita. Il segno più evidente è l’uscitadi una goccia di sangue dalle narici o di fluido dall’organo sessuale. Un segno meno certo è quello di un cattivo odore che emana dal cadavere. Se il corpo è cremato prima di questo periodo equivale a un assassinio. In effetti è preferibile che il corpo non sia nemmeno toccato prima che la coscienza esca. Se lo è, la coscienza probabilmente uscirà dal punto in cui il corpo è stato toccato per primo. Dato che è più favorevole che la coscienza esca dalle parti superiori piuttosto che da quelle inferiori, si dovrebbe toccare per prima la cima del capo.

Domanda: Perché la sepoltura era così rara in Tibet?

Gen Rinpoce: Era considerato preferibile offrire il corpo agli uccelli come atto di carità finale della persona. Solo quando un corpo era considerato inadatto a questo veniva sepolto. Era consueto che i grandi praticanti facessero dei riti speciali tantrici di chöd prima di morire, offrendo i loro corpi agli uccelli, quelli che non potevano fare il rito da soli avevano un praticante di chöd che lo faceva per loro. In questo modo il numero di uccelli invitati arrivavano al banchetto. Se il cadavere era piccolo e poteva cibare solo dieci uccelli, solo dieci uccelli arrivavano; se era abbastanza grande per cibarne venti, ne arrivavano venti. È detto che gli uccelli invitati in questo modo sono manifestazioni di dakini e seguono un codice etico nel divorare il cadavere. Era consuetudine che il cervello fosse rimosso dal cadavere e mescolato con farina di ceci. Quando gli uccelli avevano finito di mangiare il resto del cadavere, veniva data loro questa mistura da mangiare. Solo dopo questo essi volavano via, soddisfatti.

Domanda: Qual è la fonte dell’enorme quantità di letteratura tibetana che descrive la morte e lo stato dopo la morte?

Gen Rinpoce: Questi testi furono scritti da yogi esperti che avevano ottenuto la chiaroveggenza o percezioni extrasensoriali e non sono paragonabili ai libri scritti ai giorni nostri. Oggigiorno appena qualcuno impara a scrivere inizia a comporre libri. Gli yogi di un tempo scrivevano solo in base alla loro esperienza. Inoltre, Buddha stesso insegnò molto sullo stato intermedio, sia nei sutra che nei tantra.

Colophon: Questo insegnamento è stato dato a Dharamsala nel 1976, tradotto in inglese da Michael Hellbach e Glenn H. Mullin. È stato pubblicato per laprima volta nel 1977 nel lungo testo fuori commercio From Tushita. Una versione leggermente revisionata è inclusa in Living in the Face of Death. Questa versione è stata revisionata da Nicholas Ribush. La traduzione in italiano è di G. Aurora Maggio per l’ILTK, Pomaia, luglio 2010.