Come vivere e lavorare in armonia in una società multireligiosa

Alexander Berzin: Come vivere e lavorare in armonia in una società multireligiosa

Elista, Calmucchia, Russia, Aprile 2011 Traduzione italiana a cura di Valentina Tamiazzo.

Vi ringrazio per quest’introduzione e questo invito, [siete] molto gentili. Sono così felice di trovarmi qui in Calmucchia, la terra natale del grande calmucco Ghesce Wangyal, il quale m’inspirò e mi aiutò nel mio cammino verso il Buddhismo tibetano. Nel modo in cui il Buddhismo è fiorito e si è diffuso, ed è praticato nelle varie culture mongole come qui in Calmucchia, e nel suo lavoro per contribuire a stabilirlo negli Stati Uniti, [in tutto questo] Ghesce Wangyal lavorò instancabilmente in un ambiente multireligioso, ed è molto importante per noi continuare questi suoi sforzi.

Mi è stato chiesto di parlare sul tema di vivere e lavorare in armonia in una società multireligiosa, e questo argomento copre molti aspetti diversi. Come ha accennato il nostro distinto ospite, uno di questi è quello che Sua Santità il Dalai Lama sottolinea sempre, cioè i valori umani e l’etica secolare. Malgrado le differenze di credo che possono esistere tra di noi che viviamo in una particolare società, non è necessario che l’etica si basi esclusivamente su una serie specifica di credenze religiose; esiste, piuttosto, un dato insieme di principi etici basati su valori umani fondamentali, condivisi da tutte le religioni e anche dai non credenti. Questi valori si basano sul riconoscimento del fatto che siamo tutti uguali: tutti vogliono essere felici; nessuno desidera essere infelice. In questo senso, siamo tutti uguali. Tutti hanno sentimenti. Tutti vogliono essere apprezzati e accettati. Nessuno desidera essere respinto o perseguitato. Tutti vogliono essere rispettati e stimati dagli altri. Il fondamento di questo approccio generale all’etica secolare è, come Sua Santità il Dalai Lama sottolinea sempre, basato sulla compassione, la quale è definita come il desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza, dai problemi, e dalle loro cause.

Ora, quali sono le fonti dei problemi e dell’infelicità? Ce ne sono molte. Viviamo in un’era in cui vi sono naturalmente problemi economici, problemi di conflitti di vario tipo in tutto il mondo. E siamo tutti interconnessi, per cui ciò che succede in una parte del mondo incide su tutti; non è più possibile vivere in maniera isolata.

Quando consideriamo credi religiosi diversi, è quindi molto importante che le differenze tra questi sistemi di credenze non contribuiscano all’aggiunta di ulteriori problemi. Pertanto la domanda è: come si possono evitare dispute, conflitti, malintesi che possono sorgere a causa dell’esistenza di sistemi di credo diversi? Non è proprio soddisfacente dire: “beh, tutte le religioni sono uguali. Anche tutte le non-religioni, le credenze secolari, sono tutte uguali. Crediamo tutti nel fondamentale lavoro di cercare di rendere questo mondo un posto migliore.” Questo non è sufficiente. Benché possa essere vero che condividiamo tutti lo stesso valore, aspirazione e scopo, esistono comunque differenze; non è giusto, nel rispetto delle varie religioni, sostenere che non ci siano differenze.

Tuttavia, ciò che causa disarmonia dipende molto spesso dalla nostra ignoranza reciproca delle fedi. Questo viene spesso aggravato dalla mancanza, da parte nostra, di qualsiasi conoscenza profonda della nostra stessa tradizione. Per cui, piuttosto che fondarsi sulla conoscenza e la comprensione, il nostro atteggiamento verso le nostre origini e le origini altrui può facilmente degenerare in quella che può essere definita una mentalità “da squadra di calcio.” Mentalità da squadra di calcio significa dire: “questa è la mia squadra ed è la migliore, e noi dobbiamo vincere, e dobbiamo competere, e battere ogni altra squadra.” Si tratta della convinzione secondo cui il mio sistema religioso è il migliore, semplicemente perché è la tradizione mia e della mia famiglia.

Una volta, a Sua Santità il Dalai Lama, venne chiesto: “qual è la religione migliore?” E Sua Santità rispose: “la religione migliore è quella che ti aiuta a diventare una persona più gentile.” Per cui, naturalmente, per ciascuno potrebbe essere una religione piuttosto che un’altra la più utile a renderlo una persona più gentile. Questo credo sia un modo molto, molto utile di avvicinarsi alle diversità religiose. Dobbiamo riconoscere, e renderci conto, che ogni religione cerca di offrire ai propri fedeli la possibilità di diventare più gentili e delle persone migliori. Per riuscire a riconoscerlo, dobbiamo avere della conoscenza; dobbiamo ricevere un’educazione sulla nostra religione e sulle religioni altrui. Ciò può essere fatto in un modo molto scientifico, all’interno dei sistemi educativi, senza che si cerchi di convertire nessuno, e senza alcun tipo di atteggiamento critico; soltanto una conoscenza generale. Questo è molto, molto utile ed importante.

Molto spesso si tengono vari incontri fra diversi capi religiosi. A Sua Santità il Dalai Lama piace molto partecipare a simili incontri interreligiosi. Li trova molto utili. Mi vengono in mente diversi incontri ai quali partecipai io stesso personalmente. Uno fu con il Patriarca Bartolomeo, il Patriarca cristiano ortodosso di Istanbul. Lo incontrai subito dopo che ebbe ottenuto l’incarico, ed egli stava per partire per il Giappone, dove per la prima volta avrebbe incontrato un leader buddhista. Mi disse di essere molto grato per alcuni scritti di Sua Santità il Dalai Lama sul Buddhismo, in quanto precedentemente non sapeva molto del Buddhismo, e questi libri lo aiutarono moltissimo ad essere in grado d’incontrarsi e dialogare in maniera significativa con i capi religiosi buddhisti in Giappone. Troviamo quindi questo tipo di atteggiamento aperto, il quale riconosce che la base per la comprensione e la cooperazione fra religioni è l’educazione, la conoscenza. E’ possibile vedere questo fra i capi di diverse religioni.

Sono stato particolarmente coinvolto nel dialogo fra buddhisti e musulmani. In origine fui attratto da questo tema, a metà degli anni ’90, per il fatto che in Tibet si stavano trasferendo numerosi cinesi musulmani, in particolare nella regione nord-orientale.

Tradizionalmente, nel Tibet centrale, vivevano dei musulmani. Si trattava principalmente di commercianti musulmani provenienti dal Ladakh e dal Kashmir. Questo fu al tempo del quinto Dalai Lama, nel diciassettesimo secolo. Egli promulgò diverse leggi che conferivano ai musulmani tutti i diritti che volevano in termini di costruire la propria moschea, avere i propri cimiteri, ed essere esentati dai vari rituali e procedure buddhiste, o da altre cose che accadevano durante certe festività dell’anno. Per cui, tradizionalmente, non vi fu in Tibet uno scontro fra queste due religioni. In tempi più recenti tuttavia, è nata una grande competizione economica dovuta all’afflusso di immigrati cinesi e, fra questi, molti musulmani si sono trasferiti in Tibet.

Per cui, pensando su larga scala all’Asia Centrale e alla storia delle interazioni fra le società buddhista, musulmana e cristiana, ho sentito che sarebbe stato molto importante cominciare un dialogo ed avere una maggiore comprensione fra questi gruppi, in modo particolare fra buddhisti e musulmani. Questo avrebbe contribuito allo sviluppo dell’intera regione. Una delle cose che mi proposi di fare, fu di scrivere una storia più oggettiva dell’interazione tra le due culture, e questo mi diede l’occasione ideale per viaggiare in alcuni paesi islamici del Medio Oriente e di consultarmi con gli studiosi locali. Poiché il mio obbiettivo era quello di conoscere, vi fu un’incredibile apertura fra gli studiosi musulmani nell’aiutare a dissipare gli equivoci che abbondavano a proposito dei rapporti fra queste due culture. Molti resoconti ritraggono l’interazione semplicemente come: “gli invasori musulmani giunsero in India, e via dicendo, e distrussero tutto ciò che vi era di buddhista.” E sebbene una certa distruzione abbia sicuramente avuto luogo, non si tratta comunque di un’imparziale rappresentazione di quanto realmente accadde e di quella che fu la lunga storia. Tuttavia, fintanto che i buddhisti considerano i musulmani come coloro che distrussero i monasteri in India, o i musulmani pensano ai cristiani come a quelli che condussero le crociate contro di loro, fintanto che questa è la memoria principale delle interazioni, questo non fa che perpetuare ulteriori problemi fra le due culture, ulteriori conflitti.

Quindi, viaggiai in posti come Egitto e Giordania, Turchia, ecc., e incontrai professori e capi teologici dell’Islam. In effetti, mi venne fatto un complimento molto importante dal rettore dell’Università Teologica del Cairo [Al-Azhar University]. Egli mi disse che ero un vero combattente per la verità, il significato reale di mujahedin. Stavo cercando di portare alla luce quello che era successo realmente. Trovai che non soltanto i professori e i capi religiosi che incontrai erano estremamente interessati, ma anche gli studenti. 300 studenti vennero ad una lezione volontaria che tenni all’Università del Cairo sulle basi del Buddhismo. Comunque, se vi interessa leggere ciò che scrissi, potete trovarlo nella sezione russa, tradotto in russo, del mio sito web www.berzinarchives.com.

Una volta Sua Santità il Dalai Lama mi chiese di fare una cosa per lui, ogni tanto mi dà da fare quello che io definirei una missione impossibile. Mi disse: “voglio che trovi e mi porti un capo sufi islamico africano.” Cosa può rispondere uno ad una richiesta come questa, se non “grazie mille?” Sua Santità ha questa incredibile capacità di conoscere le connessioni karmiche delle persone, e ogni qualvolta mi chiede di fare per lui cose come queste, apparentemente impossibili, si rivela estremamente facile compierle, ogni cosa semplicemente accade in modo automatico. Poco dopo, andai in Europa (in quel periodo davo molte lezioni in tutto il mondo), e incontrai un signore tedesco con il quale parlai, ed egli era in effetti un diplomatico in Africa, per cui gli raccontai della richiesta del Dalai Lama. E lui mi disse, “oh. Mi è appena capitato d’incontrare un mio buon amico il quale è il capo religioso sufi della Guinea.” La Guinea è nell’Africa Occidentale, e dimenticai di dire che Sua Santità specificò anche che il capo sarebbe dovuto provenire dall’Africa Occidentale. Il capo si trovava in Europa, e stava per recarsi in India per ricevere alcuni trattamenti medici ayurvedici. E accadde semplicemente che si trovò a Delhi esattamente quando era in programma che io rientrassi a Delhi, e accadde che gli rimanevano alcuni giorni prima di dover lasciare l’India, e sarebbe stato molto felice d’incontrami e di farsi accompagnare da me fino a Dharamsala per incontrare il Dalai Lama. Non fu necessario assolutamente alcuno sforzo per organizzare la cosa.

Per cui incontrai questo capo sufi. Era imponente. Molto grande, come un capo tribale africano, e molto, molto dignitoso. Andò a Dharamsala, ed io lo accompagnai al suo incontro con il Dalai Lama. Indossava delle vesti bianche molto eleganti. E quando i due si videro, fu un incontro così emozionante, così caloroso, come di due vecchi amici che si rivedono, e il capo sufi in effetti iniziò a piangere. Il Dalai Lama saltò in piedi e andò fino al suo atrio, la stanza appena fuori, dove incontra i suoi visitatori, e portò personalmente un fazzoletto al capo sufi perché si asciugasse le lacrime, cosa che non avevo mai visto fare prima dal Dalai Lama. Egli aveva sempre un assistente che faceva e prendeva le cose per lui; non si alzava a prendersi le cose da sé. I due ebbero una discussione molto amichevole sulle basi per la compassione nel Buddhismo e nel Sufismo. Dopo di che, per diversi anni, ebbero ulteriori incontri.

Il Dalai Lama stesso, dunque, si è dimostrato enormemente interessato a questo tipo di dialogo, non soltanto con i musulmani, ma con i capi di altre religioni in tutto il mondo. E mi incoraggiò a far tradurre gran parte del mio sito web nelle lingue islamiche, in modo da rendere disponibile, al mondo islamico, maggiori informazioni sul Buddhismo, sul Tibet, sui suoi stessi scritti e discorsi a proposito dell’armonia religiosa e dell’etica secolare. Un’altra missione impossibile quindi. Ma, incredibilmente, siamo stati già in grado di tradurre grandi porzioni del sito in arabo e in urdu. (L’urdu è la lingua del Pakistan e dei musulmani dell’India del Nord). Inoltre, nelle ultime settimane, di nuovo senza cercarlo, è apparso un gruppo interessato a tradurre il nostro sito in indonesiano. L’Indonesia ha la più grande popolazione musulmana del mondo.

Quindi, come ho detto, la base per l’armonia religiosa è l’educazione, la conoscenza delle reciproche credenze. In questo modo ci si rende conto che non vi è nulla di cui avere paura. E, riconoscendo le reciproche differenze, valorizzare ciò che, in armonia, condividiamo.

Ora la domanda diventa: come possiamo effettivamente vivere e lavorare in una società multireligiosa come questa, qui in Calmucchia? E, in particolare, visto che questa è una facoltà di ingegneria, stavo pensando a quali considerazioni potrebbero essere rilevanti per voi come studenti di questa facoltà. In altre parole, quando state costruendo qualcosa, progettando qualcosa, quali considerazioni si possono fare al fine di accogliere queste differenti credenze e pratiche religiose? E, in una prospettiva più ampia, in che modo si possono costruire una società, un governo, un’amministrazione locale, ecc., se si ha qualche facoltà per contribuire a costruirli?

Il primo pensiero che mi è venuto, è che vi sono certe religioni nelle quali è richiesto di pregare a determinate ore del giorno, come nell’Islam, cinque volte al giorno. Per cui, se si sta dirigendo un cantiere in cui alcuni dei lavoratori potrebbero essere musulmani, oppure se si sta costruendo un edificio pubblico, una scuola o altro, nel quale ci saranno studenti o facoltà musulmani, potrebbe essere molto utile, al fine di creare un’atmosfera armoniosa, predisporre una sala di preghiera; [questo] se va completamente bene, per coloro che vorrebbero pregare durante il giorno, di essere in grado di seguire le loro credenze e usanze. Allo stesso modo, se ci sono usanze di altre religioni che possono essere assecondate nella pianificazione di un edificio, questa è una cosa fantastica da fare. In altre parole, prendete in considerazione quelle che sono le caratteristiche distintive di un sistema di credenze che farebbero sentire le persone benvenute e a loro agio.

Vedete, c’è sempre una questione legata alla fedeltà. La fedeltà è un concetto molto importante per quanto concerne il benessere emotivo delle persone. Vogliamo tanto essere fedeli alla nostra famiglia, fedeli alla nostra origine etnica e alla nostra religione. E poi vi è la fedeltà allo stato, al paese. E quel che spesso crea difficoltà, è quando alle persone non è permesso di mostrare la loro fedeltà verso tutto questo in maniera armoniosa; quando, cioè, sono costrette ad essere infedeli, per così dire, alla loro appartenenza religiosa, per essere fedeli ai costumi della società in generale.

Sto pensando ad esempi di abiti religiosi. Nelle società musulmane le donne coprono la testa, e a volte il viso intero, con un velo, e sono sorte numerose polemiche sul divieto che è stato imposto a questo in Francia, di recente. I sikh (è una religione in India) non tagliano mai i capelli; gli uomini non tagliano mai i loro capelli e indossano sempre un turbante. In alcuni paesi, non è consentito loro farlo nei luoghi di lavoro; nell’esercito ad esempio, nel caso entrassero nell’esercito. Oppure, alcuni monaci buddhisti vengono scoraggiati ad indossare le loro vesti se lavorano in un ufficio o in una scuola. Inoltre, se si è cristiani, anche indossare una croce in alcuni luoghi viene visto come essere un po’ troppo aggressivi riguardo la propria religione.

Nuovamente, credo sia molto importante permettere alle persone, in un certo senso, di rimanere fedeli alle proprie tradizioni, se questo non causa un grosso problema nella società. Cosa c’è di male se s’indossa un turbante e non ci si taglia i capelli se si è in una scuola o nell’esercito, o in qualsiasi altro posto? Ci sono problemi? Beh, veramente no. Si può comunque fare il proprio lavoro molto bene. Qual è il problema se, come buddhista, si recita una preghiera e si fa un’offerta prima di mangiare? Qual è il problema? Se s’indossa un velo che copre completamente la propria faccia, beh, potrebbe essere un problema guidare una macchina ad esempio, perché la visione è limitata. Pertanto si potrebbe dire: “bene, non si può indossare un velo sul viso intero mentre si guida.” Ma, in altre circostanze, cosa c’è di male? Oppure, se si è una donna, cosa c’è di male nell’insistere di essere visitata da un medico donna, da infermiere donne, se si va all’ospedale? Ci sono molte persone, anche non religiose, che preferirebbero essere visitate da una donna.

Credo dunque che nel pianificare un edificio, ad esempio, si possano prendere in considerazione cose come sezioni maschili e sezioni femminili, se si è in una società in cui esiste un numero considerevole di persone che lo apprezzerebbero molto, in quanto parte dei loro costumi. E nel caso si lavori per una società, valutare quali passi si potrebbero prendere per permettere alle persone, come dicevo, di essere fedeli alle loro tradizioni in situazioni nelle quali questo non crei problemi al funzionamento della società.

In breve, come dice sempre Sua Santità il Dalai Lama, è meraviglioso che esistano nel mondo molte religioni diverse, e non soltanto religioni ma anche credenze laiche, perché, come nell’esempio del cibo, se fosse disponibile un unico cibo per tutti, sarebbe decisamente noioso e non sarebbe adatto a tutti. Così è lo stesso per i sistemi di credenze: quello che è adatto ad una persona, può non essere affatto adatto ad un’altra. Ci sono moltissimi sistemi di credenze che possono aiutarci ad essere persone più gentili, più premurose, più amorevoli, e che ci possono insegnare metodi per vivere in armonia con gli altri. E come dice Sua Santità, la miglior religione è quella che funziona nell’aiutarti ad essere una persona più gentile. Per cui è come dire: “solo perché a me piace il gelato al cioccolato, non significa che debba piacere anche a te.”

Quindi, grazie, questi sono i miei pensieri. E abbiamo tempo per delle domande o una discussione.

Domande e risposte

Presentatore: Grazie mille, caro professore. Se possibile le vorremmo fare alcune domande.

Alex: Certo. Le accolgo volentieri.

Presentatore: E mentre il pubblico sta pensando, mi permetto di farle una domanda. Condivido la sua opinione che tutti i rapporti dovrebbero essere armoniosi, ma vorrei chiederle, nello specifico: a che cosa pensa quando usa la parola armonia? Questa è la mia prima domanda, e poi ne avrei una seconda.

Alex: “Armonia” significa vivere assieme in pace, senza conflitto. Tuttavia, non si tratta di una mera assenza di conflitto. C’è un aspetto positivo di rispetto reciproco, in modo che i vari elementi all’interno di una società lavorino assieme, beneficiando mutualmente l’intera società.

Presentatore: Grazie mille. In effetti sono d’accordo con lei, sebbene vivere senza conflitti non sia necessariamente vivere in armonia. E ho un’ulteriore domanda, che forse è collegata alla prima e la elabora: sin dall’inizio ha specificato che si dovrebbe avere un atteggiamento imparziale nei confronti di tutte le religioni, ma poi, nel discorso successivo, sulla base della sua esperienza personale, ha tratto la conclusione che ora si dovrebbe porre maggiore interesse sull’Islam. E le vorrei chiedere se è davvero così, ovvero se crede che l’Islam dovrebbe essere messo al primo posto, oppure se si trattava soltanto di quel particolare contesto; se realmente lei pensa che ora l’Islam abbia maggiore importanza. Grazie mille.

Alex: In generale, non penso che una religione sia più importante di un’altra, in termini dell’attenzione da prestargli e della considerazione. Tuttavia, nel mondo attuale, ci sono molte difficoltà, incomprensioni e conflitti, che sfortunatamente ruotano attorno a numerosi membri della fede islamica. Il Dalai Lama sottolinea che ci sono monelli (questo è il termine che usa) all’interno di tutti i gruppi religiosi, e che è ingiusto descrivere un’intera religione, e tutte le persone che la seguono, nei termini di questi piccoli rivoltosi. Per cui esistono monelli anche nel Buddhismo, tuttavia il piccolo numero di monelli provenienti dal mondo islamico sta ricevendo una grandissima attenzione mondiale. E la tendenza che si osserva è che, in paesi come gli Stati Uniti e via dicendo, i musulmani vengono demonizzati e sono oggetto di sospetto e paranoia come popolo in generale. Quindi, in questo particolare momento storico, credo sia molto importante lavorare per cercare di minimizzare questo sentimento di minaccia e di “noi contro di loro, loro contro di noi.”

Se si verifica un attacco, nei notiziari si parla di attacco terroristico islamico. Non si direbbe mai attacco terroristico cristiano, o buddhista, se la persona che l’ha commesso fosse cristiana oppure buddhista. Ma viene detto islamico, proprio come un tempo si diceva terrorista nero, se la persona era africana; non si sarebbe mai detto terrorista bianco, ma si sarebbe sempre specificato che era nero. Questo è chiaramente un pregiudizio.

E poi un’altra cosa, un altro punto, è che le persone tendono a pensare che il problema sia un conflitto fra credenze religiose, mentre invece, andando a vedere in maniera più approfondita, non è realmente questo il problema. Esistono problemi economici, problemi sociali, problemi storici, ecc., dietro a tutte le questioni che abbiamo menzionato, e puntare il dito soltanto sulla religione è estremamente ingenuo. Entrai quindi nel dialogo fra buddhisti e musulmani principalmente perché vidi che non vi erano molte altre persone disposte a farlo, ed era necessario che venisse fatto. Ci sono molte altre persone coinvolte nel Buddhismo e nel Cristianesimo, ecc..

Presentatore: Grazie mille per questa risposta esauriente.

Domanda: Sono uno studente del quarto [anno], e la mia domanda è: come mai fu attratto dal Buddhismo? Perché si interessò a questo?

Alex: E’ molto difficile dare una risposta precisa a questa domanda, poiché fui attratto istintivamente dal Buddhismo in età molto giovane. Iniziai a fare yoga all’età di 13 anni. Lessi qualsiasi cosa fosse disponibile sul Buddhismo a quel tempo. Studiai le lingue asiatiche buddhiste all’Università. Mi fu sempre molto chiaro che cosa mi interessasse. Questo non aveva nulla a che vedere con la mia famiglia. E sulla base di questo interesse istintivo, leggendo e imparando poi sempre di più, vidi che gli insegnamenti buddhisti avevano senso per me. Ci sono certe cose che chiamiamo il test della verità: “ma certamente!” In altre parole, dopo averle lette o ascoltate, diciamo: “beh, certamente, questo è vero.” Come il fatto che i nostri problemi sono tutti davvero causati dal nostro atteggiamento, dal nostro modo di affrontare la vita: naturalmente questo è vero. Quindi, vidi questo negli insegnamenti buddhisti, e ciò li rese per me ancora più attraenti. E quello che maggiormente mi convinse fu il fatto che il Buddhismo era una tradizione viva, che possedeva metodi che realmente funzionavano nell’aiutare a superare la rabbia, l’attaccamento, l’insicurezza, ecc.. Per cui questo è fantastico. Tutto quello che si doveva fare era metterlo in pratica. Non si trattava di una saggezza antica che era morta. E proprio questo suo aspetto vitale, legato ai maestri viventi, come il vostro Ghesce Wangyal, faceva la differenza.

Domanda: Il mio nome è Angelika Abaeva. Sono una studentessa del quarto [anno]. E la mia domanda è a proposito della sua esperienza nel visitare la Calmucchia. Cosa ne pensa in generale?

Alex: Sono stato in Calmucchia ormai un certo numero di volte, e quello che mi incoraggia e mi fa più felice, è vedere i progressi che sono stati fatti qui nel far rinascere la vostra tradizione culturale, in armonia con il generale sviluppo moderno: per cui la costruzione del [tempio] hurul, ad esempio, e le attività che vengono svolte lì.

Per quella che ancora una volta chiameremo una ragione karmica nel Buddhismo, non solo fu Ghesce Wangyal, un calmucco, il primo buddhista che incontrai, ma fui anche coinvolto con il primo gruppo di ragazzi calmucchi che vennero in India per diventare monaci e studiare nel Sud dell’India. Il primo gruppo, credo fossero circa una quindicina (non ricordo il numero esatto, qualcosa come 15 o 20), erano tutti giovani adolescenti: non erano mai stati lontani da casa. E vennero in India, a Dharamsala, per andare a studiare nel sud, ma ci furono dei problemi burocratici per l’ottenimento dei permessi per andare a Mundgod, e rimasero bloccati a Dharamsala per sei mesi circa. E visto che ero già stato in Russia e in Calmucchia, mi venne chiesto di occuparmi di loro, nel senso che sarebbero venuti nel piccolissimo cottage in cui vivevo, e saremmo rimasti tutti nella mia stanza. E c’era un russo che studiava lì, e che era l’interprete, ed io insegnavo loro (non ricordo se tutti i giorni oppure alcune volte a settimana, accadde molto tempo fa) i fondamenti del Buddhismo, come affrontare la vita in India, il cibo, le condizioni di vita, quindi cercavo in generale di essere un po’ come un padre per loro. Per cui sono felicissimo di vedere che alcuni di loro, ovviamente non tutti, hanno completato la loro educazione. Lavorano qui. Sempre più studenti studiano nei monasteri in India, ricevono una formazione, e questo sta crescendo e sta avendo molto successo. Sono perciò molto, molto felice di vedere tutti questi progressi qui in Calmucchia.

In tutto il processo di modernizzazione la questione della fedeltà è, nuovamente, molto importante. E’ importante, mentre si progredisce economicamente o socialmente o in altro modo, nel mondo moderno, che ci si possa sentire orgogliosi delle proprie origini e si possa rimanere fedeli ad esse. Questo conferisce un senso di autostima e di valorizzazione, il quale è fondamentale per il successo.

Domanda: In alcune professioni (io, ad esempio, lavorerò nel settore giuridico), a volte si deve essere forti, e la mia domanda è: come si fa a non perdere il proprio senso di armonia quando si è costretti ad essere forti o severi?

Alex: Intendi dire essere rigorosi in termini di applicazione delle leggi?

Traduttore: Che cos’è l’applicazione?

Alex: Il mettere in pratica la legge. Assicurarsi che le persone rispettino la legge.

Partecipante: Sì, è questa la domanda.

Alex: Bisogna analizzare la motivazione e lo stato mentale che stanno dietro all’applicazione delle leggi. Il senso della legge, almeno in teoria, è quello di consentire alla società di funzionare in maniera armoniosa, in un modo che produca un mutuo beneficio per tutti. Se si deve arrestare qualcuno o metterlo in prigione, o qualcosa del genere, invece di vederla come una punizione nei confronti di chi è stato cattivo (farlo con rabbia ed ostilità nei suoi confronti), bisogna considerare il criminale come una parte della società: è anche lui un essere umano. E, nella misura in cui gli si sta impedendo di commettere altri crimini, mettendolo in prigione ad esempio, si sta effettivamente facendo il suo bene. Non si tratta di punirlo; si tratta in realtà di fargli del bene. Il desiderio, quindi, è quello che il criminale venga aiutato a superare l’ostilità, la rabbia, l’infelicità, i problemi, qualsiasi cosa lo abbia portato a commettere un crimine. In altre parole, in breve, il proprio atteggiamento, come avvocato o giudice o membro delle forze di polizia, dev’essere quello della compassione, il desiderio d’alleviare la sofferenza della società, invece che pensare: “io sono il potente e andrò in giro a punire chiunque.” E’ lo stato mentale a fare la differenza.

Presentatore: In primo luogo, non abbiamo la possibilità di evitare la legge. Ma la domanda è: come può una donna non perdere le proprie qualità femminili?

Alex: Innanzitutto… Ora, questo ci porta ad un argomento molto delicato. Io lo vedo in termini di parità delle donne, della capacità di una donna di fare qualsiasi lavoro faccia un uomo, e di come sia triste quando le donne si sentono costrette a vestirsi e ad essere come un uomo per fare un tipo di lavoro che tradizionalmente hanno sempre fatto gli uomini. Naturalmente, non si dovrebbe apparire sexy di proposito, e indossare un abbigliamento che potrebbe essere considerato provocatorio; ciononostante, non ci si dovrebbe neanche vestire come un uomo.

L’esempio che potrebbe essere utile credo sia quello della famiglia, in cui la madre educa il figlio tanto quanto il padre. E la madre non è meno femminile mentre lo fa, giusto? Per cui credo che utilizzare il modello della madre, la quale vuole disciplinare il bambino capriccioso, sia forse un buon modello da seguire per una donna che lavora nel campo legale.

Presentatore: Grazie.

Domanda: Innanzitutto voglio ringraziarla molto per la sua lezione. E la mia prima domanda riguarda quello che lei ha detto a proposito della Francia. Dunque, credo che quello che sta succedendo lì, in termini di abbigliamento culturale, sia che probabilmente i cittadini di origine islamica mostrano la loro fedeltà e, allo stesso tempo, protestano anche contro la civiltà occidentale che si dimostra un po’ aggressiva. Questa è la mia prima considerazione. E la seconda considerazione è che ora, d’altro canto, osserviamo la tendenza opposta nei paesi islamici, dove si assiste a delle rivoluzioni. Si può forse affermare che in questo momento sta avendo luogo un processo di democratizzazione in quei paesi. E quindi, considerando questi ultimi eventi, cosa direbbe lei? Forse presto il mondo islamico cambierà di molto.

Presentatore: Se possibile, non troppo lunga, perché non ci è rimasto molto tempo.

Alex: In termini di usanze all’interno della società (ad esempio, per le donne, il fatto di coprire o meno il viso), come ho detto, si può guardare la cosa da una prospettiva, quella delle autorità che temono che qualche sorta di terrorista possa travestirsi da donna, coprendosi il viso con un velo, e causare così problemi. Pertanto si può capire la loro preoccupazione. D’altro canto, è molto offensivo per una donna di quella cultura non indossare il velo. Sembra quindi che si rendano necessari dei compromessi da entrambe le parti.

Per quanto riguarda le rivolte che si stanno verificando in vari paesi nordafricani e mediorientali, la situazione è molto complessa, e ciascun paese è abbastanza singolare, ma la difficoltà sta nel fatto che queste società sono tradizionalmente società tribali. Ossia, non sono società unificate; ci vivono tribù differenti. L’unica cosa che sembra aver funzionato nel creare uno stato centralizzato, al di là di tutte queste diverse fazioni tribali e religiose, è stata la presenza di una forte figura autoritaria. Beh, è un peccato perché molte di queste figure sono piuttosto corrotte. Per cui, ci si sbarazza del dittatore corrotto, e si rimane con diverse fazioni in lotta all’interno della società, come in Iraq. Non è dunque una situazione semplice, e non dovremmo aspettarci che una democrazia di stampo occidentale possa risolverla.

Partecipante: Recentemente abbiamo parlato del dialogo fra la tradizione induista e quella buddhista, e si può parlare non soltanto di dialogo ma anche di adattamento, una tradizione in un’altra, o in termini di altre tradizioni. E mentre discutevamo a proposito di questo, abbiamo pensato che forse, se chiamassimo l’atman, il termine induista, pura consapevolezza (quello che chiamiamo “pura consapevolezza” nel Buddhismo), forse tutte le contraddizioni fra l’Induismo e il Buddhismo svanirebbero.

Alex: Bisogna stare attenti, nel lavoro di comparazione tra due religioni, a dire che un elemento in una religione, è in realtà lo stesso di cui si parla nella propria, solo con un nome diverso. Negli studi religiosi questo è noto come inclusivismo, con il quale si afferma che la religione altrui è in realtà la propria religione, oppure parte di essa, ma con parole differenti. Ed, effettivamente, può essere considerato irrispettoso.

Credo sia più produttivo, per quanto concerne questa questione dell’atman, dire che… Il termine “atman” viene usato nel Buddhismo. L’atman è il sé. La domanda riguarda, in realtà, le qualità del sé, e ciascuna religione fa determinate affermazioni su quelle che sono le qualità del sé e quelle che non sono le qualità del sé. Parlano quindi della stesso tema, definendo però le qualità in modo diverso. Tuttavia la pura consapevolezza, quella che viene chiamata rigpa in tibetano, è davvero molto diversa da ciò di cui sia il Buddhismo che l’Induismo parlano quando discutono del sé, o atman.

Presentatore: Dunque credo che possiamo terminare qui se nessuno ha obiezioni. Ancora una volta vorrei esprimere il mio apprezzamento e la mia profonda gratitudine a nome dei professori e degli studenti. Immagino che molte persone abbiano un sacco di domande, e il fatto che ci siano così tante domande significa che siamo realmente e sinceramente interessati a questo tema. E’ sempre un piacere trovarsi a discutere con una persona intelligente, esperta in questioni complicate come queste. Per cui oggi abbiamo l’opportunità di stabilire un dialogo fra l’America e la Calmucchia, come parte della Federazione Russa, attraversando l’oceano. E anche se si tratta soltanto di una piccola goccia, stiamo procedendo verso il raggiungimento dell’armonia nelle nostre relazioni.

Così siamo giunti al termine della nostra conversazione, e in accordo con la nostra tradizione, vorremmo farle un regalo, se non ha obiezioni. Prego lo prenda. Credo capisca di cosa si tratta.

Alex: E’ bellissimo. Grazie.

Presentatore: E per il giovane che l’accompagna, questo è un libro sulla cerimonia del tè, la cerimonia calmucca del té. Speriamo che lui gradisca il tè calmucco, perché è giovane; in caso contrario, te lo insegneremo. E desidereremmo che ci dedicasse un altro po’ del suo tempo prezioso. Siamo davvero sinceramente felici di averla qui. Per cui, affinché la prossima volta lei venga direttamente qui ad incontrare il nostro gruppo, gli studenti le faranno un breve spettacolo artistico.

Alex: Oh, meraviglioso.

Presentatore: Se non ha obiezioni.

Alex: Per niente. E’ meraviglioso.

Presentatore: Grazie mille.

http://studybuddhism.com/web/it/archives/approaching_buddhism/interreligious_dialogue_and_harmony/live_work_multireligious_society/transcript.html