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La demolizione del complesso monastico di Larung Gar
Agosto 17th, 2016 by admin

Larung Gar: monaci e monache costretti a tornare alle loro case con minacce di conseguenze per i familiari

I funzionari cinesi che sorvegliano la demolizione del centro buddista di Larung Gar stanno costringendo monaci e monache della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana (Tar), che studiavano presso l’istituto, a tornare alle loro case.

Una fonte ha riferito a Radio Free Asia che i funzionari hanno finora preso di mira quelle dimore abitate da studenti provenienti da Lhasa, Ngari, Nagchu, e Chamdo, che sono regioni situate nel TAR.

I monaci e le suore di Driru nel Nagchu sono stati i primi ad essere costretti ad allontanarsi dalle autorità. Sono stati anche avvertiti delle gravi conseguenze sui loro familiari, se si fossero rifiutati di allontanarsi.

La pene includono il divieto di raccogliere un noto fungo, che è di grande valore medicinale e una delle principali fonti di reddito per i tibetani.

Ai familiari degli studenti provenienti da queste regioni è stato ordinato di venire per ricevere i loro parenti”, ha detto la fonte.

La stessa fonte ha aggiunto che gli studenti di queste regioni sono stati anche sottoposti a interrogatori e vessazioni con lezioni di “educazione politica” per settimane.

Le autorità hanno anche imposto restrizioni e pesante monitoraggio della comunicazione al fine di frenare il flusso di informazioni dal sito di demolizione.

Ieri, il governo degli Stati Uniti ha chiesto un arresto immediato di tutte le attività di demolizione presso l’accademia buddista situata nella contea di Serthar nella regione Kardze del Tibet.

Traduzione a cura della Laogai RF ONLUS
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Una monaca tibetana si è suicidata a causa del progetto di demolizione da parte delle autorità cinesi in una contea a popolazione tibetana nella provincia del Sichuan, nel sud-occidente della Cina, del grande istituto religioso dove ha studiato.

Rinzin Dolma si è impiccata il 20 luglio perché non poteva sopportare di vedere la demolizione del Larung Gar Buddhist Academy in Serthar (in Chinese, Seda) nella contea Ganzi (Kardze) della Prefettura Autonoma Tibetana,riferisce una fonte parlando a Radio Free Asia in condizione di anonimato.

Rinzin Dolma era dalla regione Dege e stava studiando presso il complesso come studente regolare”, ha detto la fonte. “Ha lasciato un biglietto in cui ha scritto come non poteva sopportare il dolore delle infinite molestie cinese su buddisti innocenti che silenziosamente studiano presso l’istituto”.

Ha anche lasciato del denaro richiedendo sia consegnato all’istituto,” ha detto.

Severi controlli sulla comunicazione nella regione, al momento, ha impedito alla notizia del suicidio di raggiungere il mondo esterno.

Traduzione a cura delle Laogai RF Onlus
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Iniziata la demolizione del Centro Buddista di Larung Gar. Comunicato stampa dell’Associazione Italia-Tibet

29 luglio 2016. Monaci e monache del Centro di Studi Buddisti di Larung Gar stanno assistendo impotenti alla demolizione delle loro abitazioni recentemente decretata dalle autorità cinesi che intendono ridurre del 50% il numero dei religiosi presenti nell’Istituto.

Come riportato dal nostro sito in data 8 giugno 2016, le autorità cinesi hanno deciso che il numero delle persone attualmente ospitate a Larung Gar debba ridursi entro il 30 settembre 2017 dalle attuali 10.000 unità a non più di 5000. Il Centro di Studi Buddisti di Larung Gar è la più grande scuola filosofica del Tibet, frequentata da monaci, monache e studenti laici di origine tibetana, cinese e di molti altri paesi asiatici. Il monastero, fondato nel 1980 da Khenpo Jigme Phuntsok, si trova nella Contea di Serthar, Prefettura Autonoma Tibetana di Kardze, nella Regione del Kham, a un’altezza di 4000 metri. A partire dalla sua fondazione, la notorietà e l’alta considerazione riservata a Khenpo Jigme Phuntsok hanno fatto confluire a Larung Gar migliaia di monaci e monache che hanno costruito le loro abitazioni nei dintorni dell’Istituto: le case ricoprono l’intera vallata e le alture circostanti fornendo un colpo d’occhio davvero impressionante. Nei giorni scorsi è iniziata la demolizione delle prime 1400 abitazioni che ospitano soprattutto monache e anziani.

Nel 2001 il complesso monastico, che vantava oltre 10.000 studenti, fu oggetto di una prima ondata di demolizioni. Nel giugno di quell’anno squadre di operai cinesi abbatterono circa 2000 case, incentivati oltre che da un compenso economico anche dal permesso di impossessarsi di tutto ciò che avrebbero trovato in ogni abitazione distrutta tra cui preziosi e antichi testi sacri e oggetti di culto. Sembra che in quell’occasione furono cacciati circa 8000 tra monaci e monache che si dispersero e vagabondarono senza dimora nelle zone circostanti, privi di riparo e assistenza. Le autorità della Regione vietarono esplicitamente qualsiasi tipo di aiuto, anche sanitario, e Khenpo Jigme Phuntsog, che si era rifiutato di partecipare alla cerimonia di insediamento del Panchen Lama riconosciuto dalle autorità di Pechino, fu trasferito di forza nella città di Chengdu, in un piccolo ospedale dove nel 2004 morì in circostanze poco chiare.

Le autorità cinesi hanno affermato che non è loro intenzione chiudere l’Istituto e cancellare la prestigiosa istituzione religiosa. Il Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro della Contea di Serthar ha fatto sapere che la drastica riduzione del numero delle abitazioni del Centro fa parte di un progetto di “urbanizzazione” della zona che prevede di inglobare Larung Gar alla vicina cittadina di Lo-Nor. La riduzione del numero degli studenti a non più di 5000 unità sembra invece essere una misura preventiva voluta da Pechino, e forse caldeggiata dallo stesso Xi Jinping, in quanto il governo cinese ritiene che il Centro di Studi sia in realtà un ricettacolo di elementi sovversivi che forniscono informazioni alle “forze separatiste in esilio”. “Queste demolizioni sono parte di una serie di provvedimenti politici adottati dal governo cinese per limitare la libertà religiosa dei tibetani”, ha dichiarato Matteo Mecacci, presidente di International Campaign for Tibet. “Larung Gar è un centro di studi attivo e dinamico, conosciuto in Cina e in tutto il mondo. Svolge un lavoro importante in termini di protezione della lingua, della cultura e della religione tibetana e come tale dovrebbe essere salvaguardato e protetto”.

Unendosi allo sdegno suscitato dalle demolizioni in atto, l’Associazione Italia-Tibet ha diffuso il seguente comunicato stampa:

LA RIVOLUZIONE “CULTURALE” NON E’ FINITA L’ACCADEMIA BUDDISTA DI LARUN GAR VIENE RASA AL SUOLO.

Il 20 luglio i bulldozer dell’esercito della Repubblica Popolare Cinese hanno iniziato la distruzione dell’Accademia Buddhista di Larung Gar. Larung Gar, nota anche come Serthar Buddhist Institute, è risorta negli anni ‘80 per volontà del Lama Jigme Phuntsok nel luogo dove prima della rivoluzione culturale sorgeva l’omonimo monastero appartenente alla scuola Nyingma. Nella realtà drammatica del Tibet occupato grazie alla sua remota ubicazione e all’impostazione ecumenica degli insegnamenti di Jigme Phuntsok l’istituto è cresciuto in modo impressionante attorno al tempio centrale dove migliaia di piccole case, per lo più in legno, hanno dato vita ad uno dei complessi architettonici più suggestivi e originali del Tibet del dopo invasione. Larung Gar era stata già oggetto di “attenzione” da parte delle autorità cinesi quando nel 2001 ricevette la visita di un alto funzionario con mille soldati al seguito che ordinò l’immediato “ridimensionamento” del numero degli ospiti dell’istituto. Migliaia di studenti uomini e donne, tra cui molti cinesi, furono cacciati senza riguardi e privi di qualunque sostegno mentre fu vietata ogni forma di assistenza nei loro confronti. Jigme Phuntsok, che già si era macchiato della grave colpa di rifiutarsi di partecipare all’insediamento del Panchen Lama fantoccio nominato da Pechino, fu arrestato e portato all’ospedale di Chengdu dove morì in circostanze mai chiarite. Ora Larung Gar è di nuovo sotto l’attacco brutale delle autorità cinesi e dei suoi bulldozer assistiti dall’esercito. Quanto sta accadendo è una ulteriore prova di come siano solo menzogne le affermazioni cinesi riguardo libertà religiosa e il presunto benessere di cui godrebbe il Tibet dopo la “liberazione”. Al contrario la nuova dirigenza di Pechino sta inasprendo il pugno di ferro mai venuto meno nei confronti della popolazione laica e religiosa del Tibet. L’Associazione Italia-Tibet denuncia con indignazione questo ennesimo oltraggio al popolo tibetano e alla sua cultura e il silenzio complice e vergognoso dei governi e di molti media, impassibili di fronte a questo dramma senza fine. Chiede alla stampa, ai politici, agli uomini di cultura e alla società civile che guarda anche al nostro domani, di prendere posizione nei confronti della Repubblica Popolare Cinese e della sua inaccettabile politica in Tibet e nel resto del mondo. Molte grazie per l’attenzione.

Associazione Italia-Tibet

Fotografa la città buddista Reggiano arrestato in Cina

Per superare il posto di blocco si è nascosto nel retrosedile di un camion, ricoprendosi con pelli di yak. Una volta raggiunta la città buddista di Larung Gar, nell’est del Tibet, è sceso e ha scattato una fotografia. Che gli è costata l’arresto. La città, infatti, da circa un mese è interdetta ai turisti per una drammatica decisione del governo cinese di demolirne una grande parte.

È la storia, vera per quanto surreale, del 26enne reggiano Giacomo Bruno, fotografo professionista che non riesce a saziare la sua curiosità e sogna di vivere di reportage di viaggio.

«Me ne sono andato con la morte nel cuore e una sola immagine scattata appena prima che mi bloccassero», ci racconta, tra mille difficoltà di rete e censura, dal Tibet.

Cos’è successo?

«Mi hanno raggiunto quattro agenti, attirati dalla macchina fotografica e soprattutto dalla barba e dai miei tratti occidentali. I documenti hanno confermato che non ero cinese, così mi hanno portato in caserma. Lì ho lasciato una dichiarazione in inglese su quanto avvenuto, omettendo come avevo raggiunto la città. Dopo circa mezz’ora mi hanno detto che avrei dovuto passare la notte in una struttura convenzionata del governo, e che l’indomani mi avrebbero messo su un mezzo per Garzè, la città più vicina. Così è avvenuto.»

Perché andare proprio a Larung Gar?

«A febbraio sono stato 30 giorni in Sri Lanka, per raccontare in un reportage la vita dei lavoratori nelle piantagioni di Ceylon Tea e della Cannella. Durante questo viaggio, grazie al mio assistente Nayanadeepa Dilan, mi sono avvicinato alla vita dei monaci buddisti e ho iniziato a fotografarli. Così è nato il progetto “Essential lives”, che mi ha portato a cercare nuovi soggetti da fotografare e a scoprire l’esistenza di Larung Gar, la più grande scuola di buddismo nel mondo, dove risiedono circa 10mila tra monaci e monache. Solo sei giorni prima della mia partenza, però, ho scoperto dalle notizie della Bbc della decisione del governo cinese di demolire una vasta parte della città».

Eppure non ha cambiato il suo programma…

«La notizia è stata davvero un colpo. Biglietti prenotati, itinerario stabilito, progetto già in mente e il cuore già là. Non volevo rinunciare a questo viaggio, così sono partito comunque, con la speranza che nell’arco di tempo tra la notizia e il mio arrivo qualcosa potesse cambiare».

Invece?

«Fin da Chengdu, prima tappa del mio giro, l’omertà è stata lampante: nessuno sembrava voler capire o sapere nulla di Larung Gar. Mi sono comunque messo in viaggio per raggiungere la mia meta: dopo alcune lunghe tappe in autobus sono salito su un minivan diretto in città. Tra i passeggeri, oltre a me e al mio amico Alessandro, c’erano due monache tibetane. A un certo punto il conducente si è fermato e ci ha riferito, gesticolando e mettendosi le mani a cerchio sulla testa per indicare che avremmo trovato dei poliziotti, che al posto di blocco noi stranieri non saremmo potuti passare. Per fortuna sono intervenute le monache».

In che modo?

«Sempre a gesti ci hanno spiegato che avevamo due alternative: svalicare a piedi, camminando per un chilometro a 4000 metri di altitudine con gli zaini sulle spalle, e raggiungere il bus fermo dopo il blocco, o nasconderci dentro a un camion. Subito l’idea del camion ci è sembrata troppo folle, poi però, ripensando al percorso sconosciuto che avremmo dovuto affrontare, con 20 chili sulle spalle e a quell’altitudine, abbiamo deciso di azzardare. Così ci hanno portato in una vicina rimessa e ci hanno indicato il camion su cui avremmo dovuto viaggiare».

E poi?

«Il camionista ci ha coperti con una pesante mantella di pelo di Yak, un odore indescrivibile, ed è partito. Dopo circa 5 minuti il camion ha iniziato a rallentare, ha sobbalzato su una serie di dossi e finalmente si è fermato. Un vociferare indistinto in cinese, poi il camion è ripartito. Ce l’avevamo fatta. Abbiamo pagato il camionista per il passaggio clandestino e siamo scesi. A poco meno di 100 metri dalla enorme vallata del monastero, sulla via di accesso a Larung Gar, mentre stavo scattando l’unica foto che mi rimane, ci hanno raggiunto gli agenti».

Adesso si torna a casa?

«No, digerita la sconfitta continuiamo il nostro viaggio: ci aspettano altre tappe tra cui Ya Quing e i maestosi altopiani tibetani del Sichuan».

Fonte: Gazzettadireggio.it, 22 ago 16
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