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“Grazie India 2018”: il Dalai Lama e i Tibetani, dopo 59 anni di esilio
Aprile 2nd, 2018 by admin

Sua Santità il Dalai Lama porge un dono commemorativo al Ministro per la Cultura Mahesh Sharma. Tempio Tibetano Principale, Dharamsala, India, 31 marzo 2018. Foto di Tenzin Choejor

31 marzo 2018, Thekchen Chöling, Dharamsala, India – Questa mattina, il cortile dello Tsuglagkhang, il Tempio Tibetano Principale, è stato riccamente decorato: la struttura delle pensiline è stata rivestita in arancione, bianco e verde, i colori del tricolore indiano. Gli ospiti aspettavano con ansia l’apertura delle porte della residenza del Dalai Lama per poterlo vedere finalmente. Sua Santità ha percorso la corsia centrale, sorridendo e salutando con la mano, fermandosi di tanto in tanto per dare il benvenuto ai suoi ospiti. Raggiunto il podio, è stato accolto dai relatori e dai dignitari e ha preso posto, continuando a sorridere alla folla. Il Segretario alle Relazioni internazionali dell’Amministrazione centrale tibetana (CTA) e Presidente del comitato “Grazie India”, Sonam Dagpo, ha introdotto le celebrazioni. Ha spiegato che il 31 marzo segna la data in cui Sua Santità raggiunse l’India, nel 1959, dopo essere fuggito dal Tibet. La giornata odierna dà l’avvio alla celebrazione annuale di quell’evento storico che culminerà, il prossimo anno, con le celebrazioni del 60°anniversario. Oltre a salutare Sua Santità, Sonam Dagpo ha dato il benvenuto agli ospiti d’onore, il Ministro della Cultura, del Turismo e dell’Aviazione Civile, Mahesh Sharma e al Segretario Generale Nazionale del Bharatiya Janata Party, Ram Madhav. Shanta Kumar, deputato locale del Kangra, ex capo del governo e coordinatore del Forum parlamentare indiano per il Tibet, ha dichiarato che oggi è un giorno speciale.

Ha ricordato che quando Sua Santità arrivò in India fu accolto come un membro della famiglia e che grazie alla sua presenza Dharamsala e Kangra si sono guadagnati un posto sulla mappa mondiale, e per questo ha ringraziato sia il Governo dell’India e sia il Dalai Lama. Ha poi espresso la speranza che le autorità cinesi cambino atteggiamento e mentalità, accogliendo nuovamente e rispettosamente il Dalai Lama in Tibet. A conclusione del suo discorso ha detto: “Quando arriverà quel giorno felice, per favore non dimenticate la gente di Kangra e dell’Himachal Pradesh”.

R.K. Khrimey, coordinatore nazionale del Core Group for the Tibetan Cause, del Arunachal Pradesh, ha raccontato che quando il Sikyong, il dottor Lobsang Sangay, gli ha proposto il programma per questa celebrazione, gli ha fatto venire in mente l’idea di una marcia per la pace che ripercorresse i passi di Sua Santità dal luogo in cui attraversò il confine fino a Tawang. Ha poi intrattenuto i presenti con i racconti della lunga marcia, attraverso i valichi montani, e degli alberi miracolosi incontrati lungo il cammino.

Poi è stato invitato a farsi avanti Naren Chandra Das, l’ultimo sopravvissuto dei sette militari dell’Assam Rifles che accolsero e scortarono il Dalai Lama appena varcato il confine dell’India nel 1959. Sua Santità ha abbracciato con affetto l’ormai anziano ex soldato.

Successivamente, è stato presentato il nuovo libro di Sonam Wangchuk Shakspo intolato “Kushok Bakula Rinpoche: l’architetto del moderno Ladakh”.

Satyavrat Chaturvedi, politico del Congresso e membro del Rajya Sabha, in rappresentanza del Madhya Pradesh, ha descritto il programma della giornata come un’opportunità unica per esprimere i propri sentimenti. Ha detto che, da quando la tradizione del Nalanda è stata stabilita in Tibet, le relazioni tra India e Tibet sono fiorite e che esiste un’amicizia profonda e secolare tra i due popoli. Ha dichiarato che Sua Santità, e i tibetani che lo seguirono, non erano rifugiati, ma ospiti. “Siamo felici di avere il Dalai Lama tra noi, ma vogliamo che egli possa un giorno tornare in patria, con la certezza di poter tornare a trovarci sempre, ogni volta che lo vorrà”.

Le danzatrici del TIPA hanno proposto una meravigliosa performance di Bharatanatyam, una danza classica indiana tradizionalmente eseguita solo da donne.

Ha preso poi la parola il Venerabile Khenpo Sonam Tenphel, portavoce del Parlamento tibetano in esilio. Ha ricordato che Sua Santità ricevette un messaggio di benvenuto in India direttamente dal Primo Ministro Nehru, non appena raggiunto il confine, nel 1959. Poco dopo, a Mussoorie, il Dalai Lama convocò il suo governo in esilio. Il 1960 vide l’inizio del processo di democratizzazione e la formazione del primo parlamento tibetano in esilio, seguito, nel 1963, dalla stesura di una nuova costituzione tibetana. Sua Santità ha curato personalmente la fondazione dei dipartimenti amministrativi, degli insediamenti e delle scuole. La sua visione è stata realizzata con il prezioso sostegno del governo e del popolo indiano. Questa gentilezza rispecchia ciò che il politico indiano Moraji Desai descrisse come l’eccezionale connessione tra il popolo indiano e quello tibetano. Khenpo Sonam Tenphel ha concluso il suo intervento ringraziando l’India per tutto quello che ha fatto per i tibetani. La cantante tibetana Passang Dolma ha poi incantato la folla con la sua composizione, “Ae Hind Tujko Salam”.

Ospite d’onore, Ram Madhav, ha rallegrato la folla dicendo che l’India ha sempre teso a tutti la mano con cuore aperto: prima agli ebrei e ai parsi (seguaci del Mazdeismo che nell’VIII secolo lasciarono la Persia, n.d.t.) e poi ai tibetani, che così  sono riusciti a stare uniti, preservando la loro cultura e le loro tradizioni. Tutti in India hanno trovato pace e armonia. Nel frattempo, 6 milioni di tibetani in Tibet attendono il ritorno di Sua Santità. Ram Madhav ha ricordato che le forti relazioni culturali tra India e Tibet sono sbocciate grazie alla fioritura delle Università del Nalanda e di Vikramashila. “I tibetani hanno preservato la nostra antica cultura traducendola nella loro lingua”, ha detto rivolgendosi al Dalai Lama “e ora, tu l’hai riportata qui ricordandoci la nostra eredità buddhista e per questo ti ringraziamo. L’India è la terra del Buddha, del Mahatma Gandhi e di Sua Santità il Dalai Lama, ma comprendiamo il tuo desiderio di vedere di nuovo la tua terra natale”.

Dopo che gli artisti del TIPA hanno eseguito una danza ispirata alle tradizioni del Gaddi, il dottor Lobsang Sangay si è rivolto al pubblico, in tibetano e inglese. Ha esordito dicendo che questo il sessantesimo anno da quando Sua Santità ha lasciato Lhasa, capitale del Tibet. E’ il sessantesimo anno dall’occupazione illegale del Tibet da parte delle forze comuniste cinesi, occupazione che ha causato la perdita di tante vite tibetane, compresi coloro che in tempi recenti hanno scelto di auto-immolarsi. Ed è anche il sessantesimo anno dall’inizio dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali tibetane. 

Il Sikyong ha ricordato ai presenti che è oggi è più difficile per un giornalista visitare e informare sul Tibet che sulla Corea del Nord e che se molti sono consapevoli delle violazioni dei diritti umani  in Siria, pochi sono a conoscenza di quelle che avvengono in Tibet.

Tuttavia, è anche il sessantesimo anno di resistenza tibetana. Il Sikyong ha fatto un paragone tra la campagna del Primo Ministro Modi “Make in India” e i tibetani che sono riusciti a fiorire nuovamente in India. Lobsang Sangay ha concluso dicendo: “Il successo dei tibetani sarà il successo dell’India e oggi siamo qui per dire ‘Grazie, India'”.

Ricordando gli antichi legami tra India e Tibet, un altro ospite d’onore, Mahesh Sharma, ha dichiarato che non c’era bisogno ringraziare: “Voi siete nostri ospiti e siete i benvenuti. Ringraziamo Sua Santità e il popolo tibetano per aver mantenuto viva la vostra cultura e le vostre tradizioni. Il vostro desiderio di ringraziarci ci commuove profondamente”.

Sua Santità ha poi offerto a Mahesh Sharma un dono commemorativo per questa occasione speciale e lo stesso ha fatto con gli altri ospiti e dignitari Lobsang Sangay.

Poi sua Sua Santità è salito sul podio.

“Come mia consuetudine, vorrei salutarvi tutti come miei fratelli e sorelle. Preghiamo ogni giorno per la felicità di tutti gli esseri senzienti, ma se davvero comprendiamo il significato delle parole che pronunciamo, dobbiamo ricordare che siamo tutti uguali come essere umani”.

“Sono fuggito dal Tibet in circostanze difficili e da allora è stato un misto di felicità e tristezza. Quando siamo arrivati qui non avevamo idea di cosa ci sarebbe successo. Oggi, a quasi 60 anni di distanza, abbiamo un’idea più chiara di ciò che il futuro può riservare. Gli altri oratori che mi hanno preceduto hanno già ricordato le relazioni speciali tra India e Tibet. Ci consideriamo studenti e gli indiani sono i nostri guru. Guardiamo all’India con rispetto e ammirazione, come alla Terra dei Nobili. C’è un forte legame tra noi”.

“La nostra cultura in Tibet si è formata su ciò che abbiamo imparato dai maestri del Nalanda, come Shantarakshita. Sotto la sua guida abbiamo tradotto le parole del Buddha nei circa cento volumi del Kangyur e i trattati esegetici dei successivi maestri indiani negli oltre duecento volumi del Tengyur”.

“Quando penso alle cinque scienze maggiori e alle cinque minori, mi rendo conto di quanto siano importanti fra tutte la logica e l’epistemologia. Dobbiamo essere scettici, non soccombere alla fede cieca. Lo stesso Buddha ha suggerito ai suoi seguaci di non accettare ciò che diceva per fede, ma di esaminarlo attentamente come fa l’orafo quando deve saggiare l’oro. I maestri del Nalanda hanno seguito questo approccio, usando la ragione e la logica nella ricerca della verità”.

“Oggi gli scienziati ci dicono che la natura umana è fondamentalmente compassionevole. Allora, perché continuiamo a crearci così tanti problemi? E’ solo quando abbiamo raggiunto una più chiara comprensione del funzionamento della nostra mente e delle emozioni, quando capiamo che cosa disturba e che cosa calma la nostra mente, che siamo in grado di scoprire come vivere una vita più pacifica. Per questo credo che ciò che i grandi maestri indiani del passato hanno insegnato sia ancora di grande attualità. Gran parte di questa antica conoscenza indiana è stata trascurata. Tuttavia, dopo averne estratto l’essenza dalla letteratura che ho citato, possiamo esaminarla e utilizzarla in modo accademico. Questo è ciò che vorremmo restituire e rilanciare in India, dopo averlo preservato per secoli”.

“Per imparare a fare il miglior uso possibile del nostro incredibile cervello umano la logica, la filosofia e la psicologia dell’antica India hanno un valore inestimabile. Per noi dare un tale contributo al bene dell’umanità rappresenta un’opportunità per trasformare le avversità in benefici. Abbiamo vissuto quasi sessant’anni in esilio, ma non abbiamo sprecato il nostro tempo e lo spirito dei nostri fratelli e sorelle in Tibet è rimasto forte”.

“Quando in passato il Tibet era un paese indipendente e potente, la nostra forza d’animo era legata al nostro senso di unità. Oggi, ovunque vivano i tibetani, aspiriamo allo stesso modo a mantenere viva la nostra cultura e la nostra lingua. Non c’è alcun autocompiacimento. Dobbiamo continuare a impegnarci per scoprire i nostri limiti e imparare nei campi in cui possiamo migliorare”.

“Vorrei concludere ringraziando tutti coloro che sono intervenuti oggi”.

Dopo un’emozionante esibizione di canto e danza, il cui significato rappresenta l’unità del popolo delle tre province del Tibet, il Segretario all’Informazione Dhardon Sharling ha espresso i suoi ringraziamenti.

Dopo il pranzo, a base di thali vegetariano, Sua Santità si è trattenuto ancora un po’ di tempo con gli ospiti dell’evento per poi fare ritorno alla sua residenza. http://154.35.150.101/news/2018/grazie-india-2018-il-dalai-lama-e-i-tibetani-dopo-59-anni-di-esilio


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