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Sua Santità il Dalai Lama Incontra una rappresentanza di giovani di zone di conflitto
Ottobre 26th, 2018 by admin

Sua Santità il Dalai Lama chiacchiera con i ragazzi durante una pausa tè presso la sua residenza di Dharamsala, India, il 25 ottobre 2018. Foto del Venerabile Tenzin Jamphel

25 ottobre 2018. Thekchen Chöling, Dharamsala, India – Per il terzo anno consecutivo, lo United States Institute of Peace (USIP) ha organizzato un incontro tra un gruppo di ragazzi provenienti da zone di conflitto e Sua Santità il Dalai Lama. Lo USIP è un’istituzione indipendente e apartitica che ha lo scopo di promuovere la sicurezza nazionale e la stabilità globale attraverso la riduzione dei conflitti.

Guidati dalla presidente dello USIP Nancy Lindborg, 27 giovani sono arrivati a Dharamsala da 12 paesi diversi: Afghanistan, Birmania, Repubblica Centrafricana, Colombia, Iraq, Libia, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Siria, Tunisia e Venezuela.

“Mi piacciono molto gli incontri come questo” ha esordito Sua Santità. “La mia pratica principale è quella di dedicare il mio corpo, la mia parola e la mia mente a beneficio degli altri. Non posso aiutare nessuno di voi a pulire le vostre case, ma almeno vi posso sorridere. Di solito un sorriso ne fa sorgere un altro. E’ piuttosto raro che un sorriso riceva come risposta un’espressione imbronciata. Dedico le mie azioni fisiche a beneficio degli altri e altrettanto faccio con le mie parole, ma la cosa principale è che dedico la mia mente alla realizzazione del benessere degli altri, non solo oggi, ma finché rimarrà lo spazio. Tuttavia, quando sono seduto in meditazione sono da solo, mentre quando mi trovo con persone come voi posso sorridere e far sentire la mia voce. Grazie per avermi dato questa opportunità”.

Nancy Lindborg ha guidato la conversazione invitando i ragazzi a presentarsi e a porre le loro domande a Sua Santità. La prima, da parte di una giovane venezuelana, riguardava la possibilità di raggiungere la pace quando non si ha la libertà.

“Ci sono diversi livelli di pace” ha detto Sua Santità, descrivendo la propria esperienza di vita in una zona di conflitto. “Quando i comunisti cinesi invasero per la prima volta il Tibet, il loro controllo sul paese non era così oppressivo. Nel 1954, andai a Pechino per partecipare al Congresso del Popolo. Ho incontrato più volte il presidente Mao: non si comportava come un leader politico, ma come un vecchio contadino che era diventato un rivoluzionario. Rispettavo lui e gli altri leader di partito che ho incontrato. Abbiamo discusso della storia della rivoluzione e delle idee di Marx e allora come oggi ero attratto dalle sue teorie socio-economiche, specialmente dall’idea di una equa distribuzione delle ricchezze e delle risorse”.

“Poi però, durante la Rivoluzione bolscevica, Lenin ha rovinato tutto con la sua mentalità da tempo di guerra e il clima di segretezza, sospetto e repressione che ha instaurato. Questi atteggiamenti portarono inevitabilmente al totalitarismo. Stalin peggiorò ulteriormente  le cose. Tuttavia, ho scoperto che nei primi anni, i leader rivoluzionari cinesi erano davvero impegnati, ma una volta “assaggiato” il potere per loro è diventato più importante dell’ideologia. Questo è ciò che ha prodotto la Rivoluzione culturale: persone buone, schiette e oneste furono cacciate via, mentre individui subdoli e senza scrupoli come Zhou Enlai presero il controllo”.

“Quando sono tornato a casa, nel 1955, ho detto al generale Zhang Guohua che ero partito pieno di preoccupazioni, ma che stavo tornando pieno di fiducia. Eppure, a partire dal 1956, i funzionari cinesi hanno cominciato ad essere sospettosi nei miei confronti e la repressione, iniziata nel Tibet orientale, ha provocato la prima rivolta popolare”.

“Molte persone fuggirono dal Tibet orientale e si rifugiarono a Lhasa. Nel 1959, quando i cinesi mi invitarono a partecipare a uno spettacolo di danza, la gente era molto preoccupata e così circondò il Palazzo Norbulingka per difendermi. Cercai di rassicurarli e scrissi alcune  lettere ai cinesi senza però ricevere risposta. Un ex alto funzionario tibetano mi chiese dove precisamente alloggiavo nel Norbulingka, ma non era chiaro se lo scopo della sua richiesta fosse quello di proteggermi o di consegnarmi ai cinesi. Il 17 marzo abbiamo deciso di lasciare il Paese. Il 20 marzo le forze cinesi hanno bombardato Lhasa e la mia residenza a Norbulingka. Sembra che alla fine la decisione di fuggire sia stata quella giusta e qui in India ho potuto contribuire a un maggiore senso di pace mentale”.

Sua Santità ha poi spiegato come, in esilio, si sia concentrato soprattutto sulla preservazione della cultura e dell’identità tibetane attraverso l’educazione dei bambini tibetani. E’ stato un approccio realistico, ha detto, perché il ricorso alla rabbia e alla violenza è sempre autodistruttivo e porta a una repressione ancora più dura. La violenza è il metodo più sbagliato per realizzare un cambiamento. Nancy Lindborg ha aggiunto che lo USIP ha dimostrato che la non violenza si rivela sempre più efficace nel lungo periodo.

Sua Santità ha aggiunto che secondo le stime attuali in Cina ci sono 400 milioni di buddhisti, molti dei quali apprezzano il valore del buddhismo tibetano. I cinesi, ha detto, potrebbero portare sviluppo materiale e maggior benessere in Tibet, mentre i tibetani potrebbero offrire alla Cina gli strumenti per lo sviluppo spirituale e la tranquillità della mente. Ma è necessario rimanere determinati, essere realistici e agire.

“Abbiamo preservato l’antica conoscenza indiana del funzionamento della mente e delle emozioni attraverso i testi che abbiamo tradotto dal sanscrito. Affrontiamo i problemi lavorando sulla mente e sulle emozioni e sviluppando la forza interiore. Dopo 70 anni, nonostante i loro metodi, i cinesi non sono riusciti a fiaccare lo spirito tibetano”.

Rispondendo a una domanda sul ruolo delle donne, Sua Santità ha ribadito che le donne hanno dimostrato di essere più sensibili alle sofferenze del prossimo. Al contrario gli “eroi”, celebrati per aver ucciso i propri avversari, sono quasi sempre uomini. Nel buddhismo, ha detto, ci riferiamo ad altri esseri come ‘esseri senzienti-madre’ per indicare chiaramente la loro gentilezza. Ha detto che spesso sottolinea la necessità di avere più donne in ruoli dirigenziali ed educativi, soprattutto per quel che riguarda l’educazione alla compassione e ha citato l’ex Presidente dell’Irlanda e attivista per i diritti umani, Mary Robinson, che lo ha definito un “Dalai Lama femminista”.

Sua Santità ha confermato l’importanza di utilizzare la tecnologia laddove possibile per superare la mancanza di conoscenze. Ha ricordato che in Tibet la principale fonte di notizie dal mondo esterno sono stati i commercianti musulmani che transitavano da e per l’India e che le persone dei Paesi più isolati hanno spesso la tendenza a pensare in termini di una verità e una religione. Questo approccio va bene a livello individuale, ma la realtà del mondo contemporaneo è che ci sono diverse grandi religioni e la verità può avere molte sfaccettature.

Facendo poi notare che molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare dipendono da una mancanza fondamentale di principi morali, Sua Santità ha raccomandato ai ragazzi di addestrare la propria mente, coltivando una preoccupazione più profonda e autentica per il benessere del prossimo. Questo atteggiamento sorge spontaneamente quando consideriamo le altre persone come nostri fratelli e sorelle.

“Dobbiamo ricordare che ognuno di noi è parte dell’umanità. Dobbiamo essere determinati a realizzare un cambiamento positivo, ma dobbiamo anche essere in grado di avere una visione a lungo termine di ciò che deve essere fatto. L’importante è non demoralizzarsi. L’ottimismo porta al successo; il pessimismo porta alla sconfitta. Un singolo individuo può essere fonte di grande ispirazione per molti altri. Quelli di noi che praticano il Buddhismo mirano a raggiungere l’Illuminazione, obiettivo quasi inarrivabile per la maggior parte di noi, ma anche solo questa sincera aspirazione ci dà una grande forza interiore”.

“Gli incontri come quello di oggi mi danno fiducia nel fatto che ci stiamo svegliando. Possiamo realizzare un cambiamento nel mondo. Possiamo coltivare i semi del bene. Dobbiamo essere fermi nei nostri obiettivi e affrontarli insieme. Alcuni anni fa, in una riunione dei Premi Nobel per la Pace, si è convenuto sulla necessità urgente di eliminare le armi nucleari, ma se vogliamo raggiungere questo traguardo dobbiamo fissare un calendario e rispettarlo, coinvolgendo sempre più gente nella nostra causa”.

Un ragazzo del Sud Sudan, che aveva partecipato all’incontro dell’anno scorso e che è tornato come formatore, ha voluto commentare i due incontri a cui aveva partecipato con Sua Santità.

“Ero qui l’anno scorso e sono davvero felice di essere riuscito a tornare di nuovo. La sensazione è che lei vive veramente ciò che dice. Lei è un leader mondiale con cui possiamo relazionarci. La sua tranquillità è una fonte di grande ispirazione. Mi immagino tutti noi che torniamo nei nostri Paesi come dei Dalai Lama per portare la pace nella nostra terra. Sono felice di sapere che lei è femminista. Grazie per averci dedicato un po’ del suo tempo”.

Rispondendo a un’ultima domanda su come costruire un mondo pacifico, Sua Santità ha detto:

“Le idee possono viaggiare dall’alto verso il basso, ma i movimenti che le metteranno in pratica devono andare dal basso verso l’alto. Sono molto incoraggiato nel vedere come voi giovani stiate cercando di realizzare un cambiamento positivo. Abbiamo buoni motivi per essere fiduciosi perché i nostri sforzi sono basati sulla verità e sulla ragione, quindi avremo successo”.    

“Stiamo lavorando per il bene dell’umanità. Non mi considero soltanto un tibetano o buddhista, ma un essere umano. Dobbiamo pensare all’intera umanità. L’essere umano è il terreno comune nei nostri sforzi, volti a creare un mondo migliore. Ricordate, sopravviviamo tutti nella dipendenza degli uni dagli altri”.

Nancy Lindborg ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito all’incontro, compreso lo staff dell’Ufficio di Sua Santità, dello USIP e di Radio Free Asia. Ha regalato a Sua Santità un berretto di pace dello USIP, che il Dalai Lama ha immediatamente indossato con un sorriso.
“Tutti vogliono vivere una vita felice – ha detto Sua Santità congedandosi –  ma molti non sanno come si fa. Con il tempo e con l’impegno possiamo cambiare le cose”.

Un particolare ringraziamento per la traduzione e per la sua amorevole gentilezza alla Dr.ssa Carolina Lami. http://it.dalailama.com/news/2018/incontro-con-una-rappresentanza-di-ragazzi-provenienti-da-zone-di-conflitto


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