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Si è spento a Dharamsala Palden Gyatso il monaco tibetano detenuto per 33 anni nelle carceri cinesi
Dicembre 1st, 2018 by admin

Il lama Palden Gyatso mostra gli strumenti di tortura con cui fu vessato per anni nelle carceri cinesi.

30 novembre 2018. Si è spento a Dharamsala nelle prime ore del 30 novembre 2018 Tenzin Gyatso, un vero “Eroe Nazionale del Tibet”, conosciuto in tutto il mondo per le sue toccanti e drammatiche testimonianze sui trentatré anni trascorsi in prigionia nelle carceri cinesi con la sola colpa di aver manifestato pacificamente le proprie opinioni.

Il popolo del Tibet piange il lama Palden Gyatso, scomparso ieri all’età di 85 anni in un ospedale di Dharamsala (India). Il monaco era sopravvissuto a 33 anni di torture nelle carceri cinesi per non aver mai voluto rinnegare il Dalai Lama. Egli si è spento, racconta Losang Yeshe, portavoce del monastero di Kirti Jepa, circondato dall’affetto degli altri monaci. Palden Gyatso era ricoverato al Delek Hospital. Egli soffriva da tempo per un tumore al fegato e nell’ultimo periodo aveva chiesto di non essere più sottoposto a interventi chirurgici, perché, nonostante decenni di torture, la sua vita era stata “lunga e piena di benedizioni”.

Palden Gyatso era nato nel 1933 a Panam, un villaggio nella valle di Tsang, tra le città di Gyantse e Shigatse. Monaco buddhista tibetano del Monastero di Drepung, uno dei più antichi e famosi di Lhasa, era stato arrestato per la prima volta nel 1959, con l’accusa di aver preso parte alla rivolta contro l’occupazione cinese del Tibet. Fu rilasciato nel 1973 ma fu immediatamente internato in un campo di «rieducazione attraverso il lavoro» a Nyethang. Lì rimase sino al 1983, pochi mesi prima di venir di nuovo arrestato, nell’agosto dello stesso anno, con l’accusa di propaganda controrivoluzionaria e sedizione.

Nel 1959, quando la maggior parte del Tibet venne occupata dalla Cina, viene arrestato per aver protestato contro l’occupazione del suo Paese e incarcerato nelle prigioni cinesi. Condannato a sette anni, ci rimarrà per 33. In detenzione, sia nelle carceri tradizionali che nei campi di lavoro, viene costretto a lavorare e subisce innumerevoli torture che gli hanno procurato gravi lesioni permanenti.

Per tutto quel tempo venne torturato brutalmente e vide morire uno a uno tanti suoi compagni di prigionia, di stenti, per la tortura o perché messi a morte. A dispetto di quello che aveva subito non ebbe mai parole di odio o di rabbia nei confronti dei suoi torturatori e dei suoi aguzzini. Scarcerato nel 1992, si unisce alla diaspora tibetana a Dharamsala. https://it.wikipedia.org/wiki/Palden_Gyatso Da quel momento si dedica a denunciare la condizione di vita dei suoi connazionali sotto il dominio cinese e le violenze che avvengono nelle carceri comuniste ai danni della popolazione tibetana. Nel 1995, parlando di fronte alla sotto-commissione sui diritti umani della Camera negli Stati Uniti, accusa: “Noi prigionieri eravamo legati al giogo come gli animali e [costretti] ad arare i campi della prigione. Se eravamo esausti, venivamo presi a calci e frustate sulla schiena”. Nel 1997 ha pubblicato un libro sulla sua storia (“The Autobiography of a Tibetan Monk”), da cui nel 2008 la regista giapponese Makoto Sasa ha tratto il documentario “Il fuoco sotto la neve”. http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Tibet-piange-Palden-Gyatso,-difensore-della-libert%C3%A0-45630.html

Nel 1985 Amnesty International lo adottò come prigioniero di opinione.

Palden Gyatso non commise mai azioni violente né incitò mai altri a compierle. Fu arrestato, condannato e tenuto in carcere solamente per aver espresso in modo pacifico e non violento il proprio pensiero. Durante i lunghi periodi di detenzione fu vittima di gravi episodi di maltrattamento e di pesanti torture da parte delle guardie carcerarie.

Rilasciato nel 1992, Palden riuscì ad espatriare e a raggiungere Dharamsala, sede del Governo Tibetano in esilio. Da allora, instancabilmente, Palden viaggiò in tutto il mondo, dall’Europa all’America, per raccontare la propria terribile esperienza e chiedere giustizia per il suo popolo. Nel 1995 portò la sua testimonianza alla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni  Unite a Ginevra. In Italia, nel marzo 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino,  protestò assieme ai connazionali Sonam Wangdu e Tamding Choephel contro l’assegnazione delle Olimpiadi 2008 a Pechino partecipando a uno sciopero della fame protrattosi per quattordici giorni. Nonostante la fragilità del suo aspetto, Palden Gyatso trasmetteva alle platee attonite e commosse, ovunque accorse per ascoltare il suo racconto, un grande senso di forza interiore e di energia, il coraggio della verità e della ragione. Nell’autunno 2013, per iniziativa di Amnesty International in collaborazione con l’Associazione Italia-Tibet e Tso Pema no profit, Palden Gyatso partecipò a una lunga serie di incontri pubblici organizzati in numerose città italiane. A Milano il 30 settembre, si recò successivamente in Veneto e nel Friuli per poi concludere il suo indimenticabile tour a Roma dove fu ricevuto in Campidoglio.

Insieme al giornalista e storico Tsering Shakya scrisse, nel 1998, il libro “Tibet: Il fuoco sotto la neve” http://lascrittura.altervista.org/palden-gyatso-tibet-il-fuoco-sotto-la-neve/, http://www.marcovasta.net/libreria/LibreriaSingola.asp?id=735 tradotto in ventotto lingue ed edito in Italia da Sperling&Kupfer. Nel 2008, dal libro fu tratto  un film documentario dallo stesso titolo. http://www.italiatibet.org/2018/11/30/si-e-spento-a-dharamsala-palden-gyatso-il-monaco-tibetano-detenuto-per-33-anni-nelle-carceri-cinesi/


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