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10 marzo, il 61° anniversario dell’insurrezione di Lhasa
Marzo 10th, 2020 by admin

Sua Santità il Dalai Lama fugge da Lhasa per evitare di cadere in mano dei cinesi e trova rifugio in esilio in India.

Oggi 10 marzo, ricorre il 61° anniversario dell’insurrezione di Lhasa, un evento drammatico nella storia del Tibet. L’intera popolazione di Lhasa insorse contro l’occupazione militare cinese e nella repressione che ne seguì, 87.000 tibetani vennero brutalmente uccisi. Dal 1959, i Tibetani in tutto il mondo ricordano il 10 marzo come la giornata dell’Insurrezione Nazionale Tibetana e chiedono al mondo attenzione, conoscenza e solidarietà.
La questione tibetana non riguarda dunque solo il destino del Tibet e del suo popolo ma anche quello di ciascuno di noi.
Lunga vita a Sua Santità il Dalai Lama, uomo di pace, esempio di compassione e saggezza e a tutti i preziosi Maestri che preservano questa cultura millenaria e la diffondono a beneficio di tutti gli esseri.

10 Marzo
Pubblichiamo, dal libro “Lontano dal Tibet” di Carlo Buldrini la cronaca di quel drammatico mese di marzo 1959 che ha segnato per sempre la storia del Tibet contemporaneo.

Lhasa, 28 febbraio 1959. Continuano gli arrivi di centinaia di profughi nella capitale del Tibet. Giungono dalle province orientali di Amdo e di Kham. In queste zone, cinque anni fa, iniziò uno scontro armato tra le popolazioni locali e l’Esercito popolare di liberazione cinese. Amdovani e khampa si opposero in massa al programma di “riforme democratiche” imposte dal governo di Pechino. I monasteri diventarono i centri della resistenza tibetana. Nel febbraio del 1956, i due monasteri di Changtreng e Lithang, con dentro migliaia di rifugiati civili, vennero bombardati dagli aerei da guerra cinesi. Ci furono più di tremila morti. Dopo questi bombardamenti, la ribellione dei khampa si estese a tutto il nord-est del paese. L’Armata rossa di Mao Zedong la represse nel sangue. Migliaia di profughi khampa cercarono rifugio nel Tibet centrale. A Lhasa, da mesi, scarseggiano i viveri e i generi di prima necessità. Le truppe di occupazione cinesi presenti nella capitale sono stimate superare le ventimila unità. Le famiglie di profughi che hanno trovato rifugio a Lhasa o nelle sue immediate vicinanze sono più di quindicimila.
Lhasa, 1 marzo. Nella tarda mattinata di oggi, due giovani ufficiali dell’esercito cinese si sono recati nel Jokhang, la Cattedrale centrale, e hanno chiesto di poter incontrare il Dalai Lama. A nome del generale Tan Guansan, il facente funzione del rappresentante del governo cinese a Lhasa, hanno invitato la massima autorità temporale e spirituale del Tibet ad assistere a uno spettacolo teatrale organizzato in suo onore a Silingpu, la sede del comando militare cinese. Il Dalai Lama ha accettato l’invito. Si è riservato però di fissare la data della sua partecipazione all’evento solo dopo l’esame per il “geshe lharampa”, il dottorato in metafisica, che dovrà sostenere il prossimo 4 marzo.
Lhasa, 3 marzo. L’abate del monastero di Gyume ha consultato questa mattina l’oracolo del monastero di Nechung. Gli ha chiesto, in questo momento di grande travaglio, cosa fare per proteggere il Dalai Lama, il Buddhismo e il governo tibetano. L’oracolo ha risposto: “Ngekyi lopon thongwa donden di / Phyikye mepai Kulma debre ren” (E’ ora di far sapere al Guru che tutto conosce di non avventurarsi fuori dalle mura). La profezia è stata scritta su uno spesso foglio di carta tibetana a cui è stato apposto il sigillo dell’oracolo.
Lhasa, 3 marzo. Nelle prime ore del pomeriggio Radio Lhasa ha diffuso la notizia che il Dalai Lama prenderà parte alla riunione del Congresso nazionale del popolo cinese che si terrà a Pechino nel prossimo mese di aprile. Fonti vicine al governo tibetano smentiscono la notizia e la definiscono “priva di ogni fondamento”.
Lhasa, 4 marzo. Tenzin Gyatso (24 anni), il XIV Dalai Lama del Tibet, ha superato a pieni voti l’esame per il dottorato in metafisica. L’esame si è tenuto al Jokhang di Lhasa alla presenza di più di diecimila monaci. E’ stato l’evento culminante del festival di Monlam, in corso nella capitale tibetana da una decina di giorni.
Lhasa, 5 marzo. Il Dalai Lama si è trasferito oggi dal Potala al Norbulingka, la sua residenza estiva. Il Norbulingka, il “parco-gioiello”, è situato nella periferia occidentale della città. Tra due ali di folla festante, una variopinta processione ha accompagnato il “dio-sovrano” del Tibet al Palazzo d’estate. Ad aprire la parata c’erano tre soldati a cavallo vestiti con gli antiche costumi tibetani. Precedevano una banda musicale che suonava l’inno “God save the King”. Seguivano gli effetti personali del Dalai Lama trasportati all’ombra di alti parasoli gialli. Era quindi la volta di un intero reparto a cavallo dell’esercito tibetano. Venivano poi gli alti dignitari, i monaci anziani e i membri della famiglia di Tenzin Gyatso. Il dio-sovrano del Tibet sedeva all’interno di un palanchino rivestito di seta gialla. Era portato a spalla da trentasei inservienti. Chiudevano la processione le autorità laiche, in ordine gerarchico decrescente. Per la prima volta, dal 1950 a oggi, le autorità cinesi non hanno preso parte alla parata.
Lhasa, 7 marzo. Il generale Tan Guansan ha rinnovato l’invito al Dalai Lama ad assistere a una rappresentazione teatrale da tenersi in suo onore a Slingpu, il quartier generale dell’esercito cinese a Lhasa. Il Dalai Lama ha nuovamente accettato l’invito e ha proposto la data del 10 marzo per la sua partecipazione all’evento.
Lhasa, 9 marzo. Il brigadiere Fu, l’addetto militare cinese, ha fissato il protocollo della visita del Dalai Lama al comando militare. Il brigadiere Fu ha stabilito che nessun uomo armato dovrà accompagnare il Dalai Lama e nessun soldato dovrà scortarlo oltre il “Ponte di pietra”. A detta di Depon Talka, il comandante del reggimento della guardia personale del Dalai Lama, le condizioni poste dai cinesi per la visita di Tenzin Gyatso a Silingpu sono “del tutto inaccettabili”.
Lhasa, 9 marzo. Surkhang, Liushar e Shasur, tre ministri del “kashag”, il governo tibetano, hanno confermato la presenza del Dalai Lama alla rappresentazione teatrale prevista per domani 10 marzo. Il Dalai Lama ha accettato di recarsi a Silingpu senza scorta. A tal proposito la polizia di Lhasa ha annunciato speciali restrizioni del traffico. “A nessuno verrà consentito di oltrepassare il Ponte di pietra” è scritto nell’ordinanza.
Lhasa, 9 marzo. Migliaia di tibetani, uomini, donne e bambini, si stanno radunando fuori dalla cinta muraria del Norbulingka, la residenza estiva del Dalai Lama. Gridano slogan: “Il Tibet ai tibetani” e “Tibet libero”. I manifestanti vogliono impedire al Dalai Lama di recarsi a Silingpu, il quartier generale dell’Esercito popolare di liberazione. “I cinesi lo vogliono rapire e portarlo a Pechino” dicono i dimostranti. Altre manifestazioni sono in corso a Lhasa di fronte ai consolati indiano e nepalese.
Lhasa, 10 marzo. I dimostranti che presidiano il Norbulinka sono ormai più di 30.000. La tensione è altissima. Fra poche ore il Dalai Lama dovrebbe lasciare il Palazzo d’estate per recarsi, senza scorta, al quartier generale dell’esercito cinese.
Lhasa, 10 marzo. Khunchung Sonam Gyatso, un monaco tibetano membro del Comitato per gli Affari Religiosi del Pcart (il Comitato preparatorio della Regione autonoma del Tibet), è stato ucciso dai manifestanti che, da ieri sera, presidiano il Norbulingka. Kunchung, nella tarda mattinata di oggi, era arrivato in bicicletta nei pressi del portone d’ingresso del Palazzo d’estate. Indossava una camicia bianca, un paio di pantaloni scuri, un cappello cinese e una mascherina di garza contro la polvere che gli copriva buona parte del volto. I dimostranti, in un primo momento, lo hanno scambiato per un cinese e lo hanno fermato. Vistosi circondato, l’uomo ha estratto una rivoltella che teneva nascosta nella cintura dei pantaloni e ha sparato due colpi in aria. La gente lo ha allora immobilizzato e spinto a terra. Gli hanno strappato la mascherina dal volto. “E’ Khunchung, il traditore” ha gridato qualcuno. Khunchung era infatti un noto collaboratore dei cinesi. I dimostranti lo hanno allora colpito ripetutamente a calci e pugni. Poi, la folla inferocita lo ha lapidato. La morte di Khunchung Sonam Gyatso è stata lenta e straziante. Il cadavere, legato per i piedi, è stato trascinato fino al Barkor, il circuito sacro che gira attorno al Jokhang, la Cattedrale centrale di Lhasa.
Lhasa, 10 marzo. Nel primo pomeriggio si è conclusa, ai piedi del Potala, una grande manifestazione degli abitanti di Lhasa. I manifestanti hanno gridato slogan anticinesi. Hanno chiesto a gran voce “rangzen”, l’indipendenza. Gli oratori hanno dichiarato decaduto il Trattato in 17 punti firmato dalla Repubblica popolare cinese e dal governo tibetano. A organizzare la manifestazione sono stati gli attivisti del Mimang Tsongdu, l’Assemblea del popolo, un gruppo di militanti fondato da Alo Chonzed nel 1954.
Lhasa, 10 marzo. Vengono segnalati spostamenti di truppe tibetane nel quartier generale situato nella zona nord della città. Un contingente di 2000 uomini lascerà questa notte il quartier generale per spostarsi a sud del fiume Kyichu. Voci sempre più insistenti parlano di una possibile fuga del Dalai Lama dal Palazzo d’estate. A tutti i membri dell’Esercito dei volontari per la Difesa nazionale presenti all’interno del Norbulingka sono state fornite armi e munizioni. L’esercito dei volontari è conosciuto anche come “Chu-zhi Gang-drung” (Quattro fiumi, Sei contrafforti), un antico nome della regione di Kham. Questo movimento di resistenza anticinese è stato costituito dai militanti khampa rifugiatisi a Lhasa e nella zona del Lhokha, dopo la disfatta subita nella loro regione a opera degli uomini dell’Esecito popolare di liberazione. Leader del movimento è Andrug Gonbo Tashi. La Central Intelligence Agency americana, dopo aver cercato inutilmente un contatto con il Dalai Lama e il suo governo, ha deciso di dare un limitato appoggio al movimento Chu-zhi Gang-drung. Per due volte, nel 1958, la Cia ha fornito armi ai militanti khampa. Alcuni di loro sono stati addestrati nella base americana nell’isola di Saipan, nell’Oceano Pacifico.
Lhasa, 10 marzo. Il generale Tan Guansan ha dichiarato che, se il governo tibetano non ristabilirà immediatamente l’ordine nella capitale, “verranno prese drastiche misure per schiacciare l’opposizione al regime cinese in Tibet”.
Lhasa, 10 marzo. In risposta a una lettera del generale Tan Guansan, il Dalai Lama gli ha scritto dicendo: “Ero sinceramente intenzionato a venire al comando militare per assistere alla rappresentazione teatrale. Purtroppo la folla dei dimostranti, laici e religiosi, mi ha impedito di farlo. Questi militanti sono sobillati da un piccolo gruppo di malintenzionati. Della cosa sono profondamente dispiaciuto e, al momento, mi trovo nella condizione di non poter agire liberamente”.
Lhasa, 11 marzo. Trentacinquemila persone si sono radunate nel quartiere di Shol. Chiedono il “ripudio dell’Accordo in17 punti” e il ritorno all’indipendenza del Tibet.
Lhasa, 12 marzo. Quindicimila donne tibetane si sono date appuntamento ai piedi del Potala e manifestano contro la presenza cinese in Tibet.
Lhasa, 12 marzo. Il Dalai Lama, con una procedura senza precedenti, ha convocato all’interno del Norbulingka 60 leader del gruppo di Rappresentanti del popolo.
Lhasa, 13 marzo. Spie tibetane riferiscono di un’intensa attività militare da parte dell’esercito cinese. Venti cannoni pesanti sono stati trasportati a Lhasa da un piccolo centro situato a una ventina di chilometri a est della capitale. Altri 4 cannoni e 28 mitragliatrici sono state prelevate da un cantiere per la costruzione di una centrale elettrica nella periferia della città e portate a Lhasa. I tibetani, a loro volta, rispondono erigendo barricate nei punti nevralgici della città. Dalle finestre del Potala spuntano le canne dei fucili mitragliatori. Armi e munizioni sono state trasportate dai soldati dell’esercito tibetano sulla Collina d’acciaio dove ha sede l’Istituto di Medicina tibetana, ormai trasformato in un bunker militare.
Lhasa, 16 marzo. Terza missiva del generale Tan Guansen al Dalai Lama. Nella stessa busta era inclusa anche una lettera di Ngabo Ngawang Jigme, il ministro del governo tibetano passato dalla parte cinese. Scrive Ngabo al Dalai Lama: “Se Sua Santità, assieme ai Suoi più stretti collaboratori, resterà dentro le mura interne del Norbulingka e segnalerà al generale Tan in quale edificio intende rimanere, sicuramente quell’edificio non verrà danneggiato”. Tutto lascia dunque prevedere che i cinesi si apprestino a bombardare il Norbulingka.
Lhasa, 16 marzo. Phala, il capo del protocollo del Dalai Lama, ha emesso un’ordinanza con cui viene vietato l’uso di torce elettriche durante la notte. Continua intanto il presidio del Norbulingka da parte della popolazione di Lhasa.
New Delhi, 17 marzo. Il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru, parlando nella Lok Sabha (il Parlamento) di New Delhi, ha detto che le notizie che giungono in India di presunti disordini che sarebbero in corso a Lhasa, altro non sono che “voci da bazar”. Nehru ha detto che in Tibet ci si trova di fronte a “uno scontro di mentalità piuttosto che a uno scontro di eserciti”. Il primo ministro indiano ha concluso il suo intervento dicendo che “non c’è nessuna violenza su larga scala in quel paese”.
Lhasa, 17 marzo. Alle 5 del pomeriggio, l’esercito cinese ha sparato due colpi di mortaio contro il Norbulingka. La prima granata è esplosa in un piccolo lago artificiale situato all’interno della cinta muraria. La seconda, immediatamente fuori le mura. I tre ministri del governo tibetano che hanno trovato rifugio all’interno del Palazzo d’estate hanno definito la situazione come “la più grave crisi della storia del Tibet”.
Lhasa, 17 marzo. Dopo lo scoppio dei due ordigni nei pressi del Norbulingka, il kashag (il governo tibetano) e il Dalai Lama hanno consultato separatamente l’oracolo di Nechung. In entrambi i casi l’oracolo ha detto che il rimanere all’interno del Palazzo d’estate non offre più garanzie di sicurezza.
Lhasa, 17 marzo. Alle 20,30 la madre del Dalai Lama, con la figlia maggiore e il figlio tredicenne, hanno lasciato il Norbulingka travestiti da soldati dell’esercito tibetano.
Lhasa, 17 marzo. Alle 10 di sera, il XIV Dalai Lama del Tibet è uscito clandestinamente dal Norbulingka. Tenzin Gyatso aveva indosso un chuba color marrone, un berretto di pelliccia e una sciarpa di lana che gli copriva buona parte del volto. Portava in spalla un fucile e si era tolto gli occhiali per non farsi riconoscere.
Lhasa, 18 marzo. E’ in corso un massiccio dispiegamento di truppe cinesi lungo l’asse nord-sud della città. Il chiaro intento degli uomini dell’Esercito popolare di liberazione è quello di isolare la città di Lhasa dalla sua espansione occidentale che comprende il Potala, la Collina d’acciaio, il Norbulingka e il consolato indiano. Lungo la strada che corre di fronte al villaggio di Shol, ai piedi del Potala, truppe cinesi stanno scavando trincee. L’intero Shuktri Lingka, il grande parco situato di fronte a Shol, è stato trasformato in una base militare cinese.
Lhasa, 18 marzo. Anche gli uomini dell’esercito tibetano si stanno preparando allo scontro. Sono armati con fucili, mortai e pochi pezzi di artiglieria pesante. I soldati tibetani stanno posizionando i loro vecchi cannoni, trascinandoli con dei muli.
Passo Che-la (Tibet), 18 marzo. Alle 8,30 di mattina il drappello del Dalai Lama, in fuga da Lhasa, ha raggiunto la base del passo di Che-la. Il passo è alto 5.180 metri.
Lhasa, 18 marzo. E’ in corso una grande manifestazione organizzata dall’Associazione delle donne. Le donne tibetane gridano slogan e portano striscioni con la scritta “Il Tibet ai tibetani”.
Monastero di Ra-me (Tibet), 18 marzo. Dopo quasi venti ore di viaggio ininterrotto, alle 16,30 di oggi, il Dalai Lama e il suo seguito sono giunti nel monastero di Ra-me dove trascorreranno la notte.
Lhasa, 20 marzo. Alle due di notte sono iniziati i bombardamenti della città da parte dell’esercito cinese. Il primo obiettivo colpito è stato il Norbulingka. Si contano centinaia di morti tra i civili tibetani.
Lhasa, 20 marzo. Gli scontri tra gli uomini dell’Esercito popolare di liberazione cinese e la popolazione di Lhasa si sono estesi a tutta la città. Particolarmente violenti sono i combattimenti nelle piccole strade nei pressi del Jokhang , la Cattedrale centrale. Spesso si combatte all’arma bianca. Numerose le vittime da entrambe le parti.
Lhasa, 20 marzo. Con l’artiglieria pesante posizionata nello Shuktri Lingka, l’esercito cinese ha iniziato il bombardamento della Collina d’acciaio.
Lhasa, 20 marzo. Radio Lhasa ha annunciato che i “ribelli” hanno distrutto i ritratti del presidente Mao Zedong e li hanno sostituiti con manifesti con scritto “Cinesi, andatevene a casa”. La radio ha detto anche che “i rivoltosi lanciano slogan infiammati contro lo Stato”.
Lhasa, 20 marzo. Stime non ufficiali parlano di 3.000 morti tra i civili tibetani.
Lhasa, 20 marzo. Più di venti donne tibetane sono state uccise a colpi di mitragliatrice all’interno della sede dell’Associazione delle donne.
Lhasa, 20 marzo. Alcuni colpi di artiglieria hanno colpito la base del Potala.
Lhasa, 20 marzo. Di notte, la capitale del Tibet ha un aspetto spettrale. Dovunque vi sono i segni lasciati dalle operazioni militari in corso: distruzione e morte. I cadaveri, abbandonati nelle strade, vengono mutilati dai cani randagi.
Londra, 21 marzo. Il Daily Mail pubblica un lungo articolo sugli scontri di Lhasa. Riporta “notizie provenienti da New Delhi”.
Lhasa, 21 marzo. Radio Lhasa ha annunciato che “alle truppe dell’Esercito popolare di liberazione è stato dato l’ordine di compiere un’azione punitiva nei confronti della cricca di traditori tibetani che ha compiuto orrendi crimini nella capitale”. Radio Lhasa ha detto anche che “i ribelli tibetani hanno distrutto strade di vitale importanza per la difesa nazionale, hanno fatto saltare ponti e dighe, hanno abbattuto pali della luce e del telegrafo e incendiato edifici, sede di organizzazioni dipendenti dal Governo centrale”.
Lhasa, 21 marzo. Nuovo massiccio attacco al Norbulingka da parte dell’artiglieria cinese. Si contano altre vittima tra i civili tibetani.
Lhasa, 21 marzo. Anche il Collegio medico, trasformato in una roccaforte militare dagli uomini dell’esercito tibetano, è capitolato. Per quasi dieci ore i cinesi lo hanno sottoposto a un massiccio bombardamento. Tutti i soldati e i volontari tibetani che lo difendevano sono stati uccisi.
Lhasa, 21 marzo. Spie tibetane riferiscono che i cinesi stanno preparando l’assalto finale al Jokhang. La Cattedrale centrale è stracolma di rifugiati tibetani.
Lhasa 22 marzo. All’alba, un primo colpo di mortaio ha colpito i tetti dorati del Jokhang.E’ iniziato così l’attacco cinese all’ultimo baluardo della resistenza tibetana.
Lhasa, 22 marzo. A colpi di mitragliatrice i soldati cinesi si stanno facendo largo tra la folla accorsa a difendere il Jokhang. Tre carriarmati cinesi sono comparsi nelle strade antistanti la Cattedrale centrale.
Lhasa, 22 marzo. Da ore infuria la battaglia di fronte alla Cattedrale centrale. L’intera zona è stata trasformata in un campo di battaglia. I tibetani, malgrado le ingenti perdite, resistono. Un carroarmato cinese è stato incendiato. Dai tetti delle case, le donne lanciano pietre e bottiglie incendiarie contro gli uomini dell’Esercito popolare di liberazione.
Lhasa, 22 marzo. I carriarmati cinesi, appoggiati dai veicoli blindati, hanno abbattuto le barricate erette dalla popolazione di Lhasa. Due carriarmati stazionano adesso di fronte al portone d’ingresso del Jokhang.
Lhasa, 22 marzo. Alle due del pomeriggio gli altoparlanti posti agli angoli delle strade hanno cominciato a trasmettere un annuncio del generale Tan Guansan e del ministro Nagbo. Il generale Tan Guansan ha ordinato agli abitanti di Lhasa di “deporre le armi”. “Chi lo farà”, ha detto il generale “verrà perdonato”. E’ stata poi la volta di Nagbo. Il ministro tibetano ha detto: “E’ Nagbo che vi parla e, come sapete, sono un membro del kashag (il governo tibetano). Ogni forma di resistenza deve cessare. Questo è un ordine del governo tibetano, non di quello cinese. Il governo tibetano ha infatti deciso di porre fine alla rivolta. Il Dalai Lama non è stato ucciso. E’ stato rapito, contro la sua volontà, da un pugno di reazionari. Tornate dunque alle vostre case e al vostro lavoro abituale. Deponete le armi. Se lo farete, rimarrete liberi cittadini di questo paese”.
Chenye (Tibet), 22 marzo. Prosegue la marcia del Dalai Lama nel sud del paese. Il gruppo che accompagna il dio-sovrano del Tibet ha raggiunto ormai le cento unità. E’ scortato da 350 uomini dell’esercito tibetano e da 50 guerriglieri khampa a cavallo. Durante il giorno i fuggitivi si dividono in piccoli gruppi, per non farsi avvistare dagli aerei cinesi che sorvolano la zona.
Lhasa, 22 marzo. Radio Lhasa ha annunciato che “più di 4.000 ribelli tibetani sono stati fatti prigionieri. Ottomila armi di diversa fattura, 80 mitragliatrici leggere e pesanti, 27 mortai da 81 mm., 6 cannoni da montagna e 10 milioni di munizioni sono state sequestrate ai ribelli”.
Lhasa, 23 marzo. La bandiera a cinque stelle della Repubblica popolare cinese sventola sul Potala, l’edificio simbolo dell’intero Tibet. Radio Lhasa ha dato la notizia con queste parole: “Mossa da una leggera brezza, la bandiera nazionale cinese, simbolo di luce e felicità, sventola sopra Lhasa. La Bandiera Rossa saluta così la rinascita di questa antica città”.
Lhuntse Dzong (Tibet), 27 marzo. Il Dalai Lama e il suo seguito sono giunti a Lhuntse Dzong, un centro abitato del Tibet meridionale, caratterizzato da un antico forte. Più di mille tibetani hanno fatto ala al corteo del dio-sovrano del Tibet, bruciando incenso e lanciando sciarpe votive al suo passaggio. Nell’atrio del forte, i monaci lo hanno accolto con il suono di musiche sacre. Nella tarda mattinata di oggi un funzionario al seguito del Dalai Lama ha letto un proclama con cui viene istituito un governo tibetano provvisorio. Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama del Tibet, ha firmato il proclama che è stato inviato in copia in tutte le maggiori città del paese.
Pechino, 28 marzo. Il premier cinese Chou Enlai ha firmato un ordine del Consiglio di Stato con cui viene sciolto il governo tibetano. Le sue funzioni verranno svolte dal Comitato preparatorio della Regione autonoma del Tibet (Pcart). Vice presidente del Pcart è stato nominato Ngabo Ngawang Jigme. Diciotto membri del Pcart, tutti al seguito del Dalai Lama in fuga da Lhasa, sono stati individuati come “capi della ribellione”. Tra essi figurano Phala, il capo del protocollo, e Surkhang, un ministro del governo tibetano. L’ordine del Consiglio di Stato dice che i ribelli verranno “severamente puniti”. Se catturati, rischiano tutti la pena di morte.
Passo di Karpo-la (Tibet meridionale), 28 marzo. Subito dopo aver superato il passo, il Dalai Lama e il suo seguito sono stati avvistati da un aereo da trasporto cinese. Il drappello dei fuggitivi si è subito disperso in tanti piccoli gruppi. Un’improvvisa tempesta di sabbia ha ridotto fortemente la visibilità, impedendo nuovi avvistamenti da parte degli aerei cinesi.
Chu Dhangmo (confine indo-tibetano), 31 marzo. Il Dalai Lama, visibilmente malato, è giunto al confine tra il Tibet e l’India in groppa a uno dzo, l’animale che nasce dall’incrocio tra una vacca e uno yak tibetano. Ad accogliere Tenzin Gyatso in territorio indiano c’era un arco di bambù e sei soldati gurkha schierati sull’attenti. Il loro comandante ha offerto al Dalai Lama un khata, la sciarpa cerimoniale di seta bianca.
Tawang (India), 3 aprile. Un funzionario del governo indiano ha consegnato al Dalai Lama un telegramma firmato Jawaharlal Nehru, Primo ministro dell’Unione indiana. Nel telegramma c’era scritto: “I miei colleghi e io personalmente Le porgiamo il benvenuto e le nostre più vive felicitazioni per il Suo incolume arrivo in India. Siamo lieti di offrirLe, assieme alla Sua famiglia e al Suo seguito, tutta l’assistenza necessaria per la Sua permanenza in questo Paese”.
Tezpur (India), 7 aprile. La popolazione di Tezpur, in festa, ha accolto il Dalai Lama al suo arrivo in questa cittadina della North-East Frontier Agency (Nefa). Al capo temporale e spirituale del Tibet sono stati consegnati migliaia di telegrammi di “benvenuto” in India. Ad attendere il Dalai Lama c’erano anche più di cento giornalisti e fotografi inviati da tutte le principali testate giornalistiche del mondo per coprire l’“evento dell’anno”.

[da: Carlo Buldrini, “Lontano dal Tibet. Storie da una nazione in esilio”, Edizioni Lindau, nuova edizione 2015].


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