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Tibet, nei monasteri blindati adorando il Lama proibito
Settembre 23rd, 2003 by admin

Repubblica — 27 settembre 2003   pagina 14   sezione: POLITICA ESTERA

SHIGATSE – In Tibet la sua fotografia è comune come quella di Mao in Cina. Il suo volto largo e squadrato, nel quale si allarga un misterioso sorriso, compare sui muri delle case da tè, nei templi, nei negozi, nei ristoranti e perfino dei night club. Per il governo cinese il ritratto di Choekyi Gyaltsen è un simbolo di patriottismo. Quest’ uomo è stato la Decima Incarnazione del Panchen Lama, la seconda figura più sacra del buddismo tibetano. E, soprattutto, il monaco che difese il diritto della Cina a governare sul Tibet dopo che il Dalai Lama era scappato in esilio è stato un servo fedele del partito comunista. Molti tibetani venerano il Panchen Lama per varie ragioni: sebbene alcuni lo abbiano un tempo considerato un traditore, è anche vero che seppe volgere al meglio una situazione difficile. Andò in prigione per sfidare la politica di Mao e, dopo essere stato rilasciato, continuò a battersi affinché fossero rispettate la lingua, la cultura e la religione del popolo tibetano. Per i suoi fedeli esporre l’ immagine del Panchen Lama è una forma di sottile protesta contro le restrittive politiche culturali che la Cina ha adottato in Tibet dopo la sua morte, avvenuta nel 1989. La strategia governativa riflette la conclusione cui è giunto il partito comunista, ovvero che le politiche culturali liberali come quelle propugnate dal Panchen Lama hanno alimentato il nazionalismo etnico, scatenando in Tibet alla fine degli anni ’80 un’ ondata di proteste filoindipendentiste. Per i cinesi il modo migliore di combattere il nazionalismo tibetano consiste nel limitare fortemente le espressioni della sua cultura, a partire dalla religione. Il controllo sui monasteri tibetani è ferreo, è stato ridotto il numero dei preti e delle suore che possono viverci in preghiera. E’ stato proibito l’ insegnamento della dottrina religiosa e abrogati degli esami che avrebbero consentito agli aspiranti monaci di proseguire gli studi. Alla guida di ogni monastero ci sono ora le “commissioni di gestione democratica”, con monaci imposti dall’ esterno. Alla fine dello scorso decennio la Cina aveva inviato squadre di propri funzionari per epurare i templi dei monaci e delle suore che si fossero rifiutati di ripudiare il Dalai Lama, capo spirituale in esilio del Tibet. Centinaia di religiosi scapparono in India o furono sospesi, molti altri furono imprigionati lasciando i monasteri nelle mani di leader religiosi compiacenti. «Abbiamo da mangiare a sufficienza, abbiamo di che vestirci, ma il nostro spirito è afflitto», sussurra un monaco nel labirintico monastero di Tashilunpo, sede tradizionale del Panchen Lama da cui sono stati allontanati una quarantina di monaci. «Ogni martedì e venerdì dobbiamo frequentare i corsi di educazione politica e tutti abbiano paura. Non riusciamo neppure più a fidarci dei nostri monaci anziani». Presso l’ Università del Tibet della capitale Lhasa ci dicono che agli studenti non è più consentito pregare nei templi o prendere parte ad attività religiose. Se disobbediscono vengono espulsi. Il governo sta cercando anche di porre fine a un’ altra tradizione rurale, quella di mandare i bambini a studiare nei monasteri e sta invece premendo perché frequentino le scuole statali. Nessuno dei tibetani che occupano oggi una posizione di rilievo ha il peso che rivestì il decimo Panchen Lama, e il bambino scelto dalla Cina come sua reincarnazione non è stato accettato dal popolo tibetano. Nel frattempo, il piccolo prescelto dai religiosi tibetani e approvato dal Dalai Lama è stato incarcerato e non si sa nemmeno dove sia recluso. Per molti aspetti il partito comunista esercita un ruolo molto più intrusivo nelle vite dei tibetani di quanto faccia con altri cittadini cinesi, anche grazie al fatto che la maggioranza degli abitanti del Tibet lavora per le agenzie governative e per le industrie statali. Il partito esercita tutta la sua influenza per essere certo che gli abitanti righino dritto. Come avviene ogni marzo, quando alle varie divisioni governative viene ordinato di assicurarsi che nessuno degli impiegati festeggi il compleanno del Dalai Lama. (Copyright Washington Post-La Repubblica – traduzione Anna Bissanti) – PHILIP P. PAN


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