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Matthieu Ricard, biologo molecolare diventato monaco buddista
Settembre 11th, 2010 by admin

Matthieu Ricard con Sua Santita il Dalai Lama

Matthieu Ricard con Sua Santita il Dalai Lama

«Vi spiego come si diventa l’uomo più felice del pianeta» Parla Matthieu Ricard, biologo molecolare diventato monaco buddista. E lo confermano gli scienziati che tengono monitorata la sua mente» – «Tutti possiamo essere contenti, basta investire 20 minuti al giorno…»

«Vi spiego come si diventa l’uomo più felice del pianeta»

Parla Matthieu Ricard, biologo molecolare diventato monaco buddista. E lo confermano gli scienziati che tengono monitorata la sua mente.

Carriera brillante, conto in banca rassicurante, famiglia impeccabile, casa confortevole. È su questa strada che fate la corsa dei vostri sogni? Tirate il freno! Siete lontani dalla vera felicità. Parola di Matthieu Ricard, il biologo molecolare francese che trentotto anni fa, a 26 anni, si è buttato dietro le spalle un destino da scienziato all’Istituto Pasteur di Parigi per diventare un monaco buddista in Nepal, il portavoce del Dalai Lama e infine uno «scienziato della felicità». …È lui, secondo l’università del Wisconsin, che tiene monitorata la sua mente con sensori che misurano le reazioni del cervello a stress, rabbia, depressione e anche a soddisfazione, gioia, stabilità interiore, l’uomo più felice del pianeta. Ricard, che il 22 settembre inaugura la sesta edizione del festival Torino Spiritualità, ci dà intanto una buona notizia: «La felicità è un’arte per tutti». Ma cominciamo dall’inizio. «Sono figlio di un filosofo e di una pittrice. Per casa giravano Luis Buñuel, André Breton, Henri Cartier- Bresson, Igor Stravinskij. All’università ho lavorato con due premi Nobel» racconta, e sullo schermo del computer con cui siamo collegati compare un volto assolutamente quotidiano, la parola pronta alla battuta: «Una cosa però non mi convinceva: erano grandi personaggi, eppure umanamente non erano diversi da tutti gli altri. Io volevo migliorare come essere umano».

E si poteva realizzare solo in Oriente, con il buddismo?
«Questa è stata la mia strada. La prima volta che sono andato a Darjeeling avevo vent’anni e sono rimasto folgorato. Ho concluso il dottorato di ricerca a Parigi e sono ripartito. Ho studiato con grandi maestri tibetani e ho trovato quello che stavo cercando. Ho vissuto in India, in Tibet e poi sono arrivato in un eremo in Nepal davanti all’Himalaya, dove risiedo. Medito, fotografo, scrivo libri (tradotti in tutto il mondo, ndr), viaggio e collaboro con i maggiori studiosi per dare un fondamento scientifico a questo benessere».

Il risultato?
«Che la mente è modificabile. Che se la si nutre di pensieri migliori, quelli tossici se ne vanno. E gli effetti sono fisici, non psicologici. Pare che l’emisfero sinistro del cervello, legato alle emozioni positive, si potenzi».

E vale anche qui, in mezzo al traffico, con i telefoni che squillano?
«La mia non è stata una fuga dall’Occidente e non ha niente a che fare con la religione, è la conquista di una libertà interiore. Quello che importa nella vita è darle un significato, non conta dove. Bisogna però chiedersi se quello che stiamo facendo porta davvero alla felicità».

Per intenderci, cos’è la felicità?
«Non è una successione ininterrotta di piaceri. Non si può far dipendere la felicità da fattori esterni che si consumano e la rendono vulnerabile. La felicità autentica è uno stato mentale che rende capaci di gestire gli stati emozionali di gioia e di dolore allo stesso modo. Come il fondo del mare che resta uguale anche se la superficie si increspa».

L’avrebbe raggiunta anche se fosse nato in una situazione di grave difficoltà?
«È la mente che traduce la realtà. In uno stato di equilibrio, anche in disastri come quelli avvenuti in Pakistan non si smette di sentirsi “pieni”. Naturalmente nessuno prega di soffrire, ma non siamo noi i responsabili del dolore, siamo però responsabili dell’infelicità, che è il nostro modo di reagire alle esperienze dolorose.

Quindi la felicità è alla portata di tutti?
«Tutti ce l’abbiamo in potenza, ma non arriva solo perché la desideriamo: è un’abilità che richiede tempo, sforzo e lo sviluppo di qualità come l’amore incondizionato e l’altruismo. E la disintossicazione da invidia, orgoglio, desideri compulsivi e odio, che è la nostra frustrazione rispecchiata negli altri. Se quest’idea fosse estesa al mondo, ci sarebbe un mondo migliore».

Qual è l’infelicità dell’Occidente?
«Pensare che la felicità sia un patrimonio per l’individuo, di cui prendersi la parte più grande possibile, prima che lo facciano altri. Egocentrismo ed egoismo sono i nostri peggiori mali. Il consumismo e la dipendenza da agenti esterni sono conseguenze, ma è provato che non fanno che aumentare le reazioni negative nel cervello».

A questo punto ci dia la ricetta per essere felici…
«Anzitutto dedicare un po’ di tempo alla meditazione, per distaccarsi dai pensieri ossessivi e prendere familiarità con sentimenti positivi. Più questi occupano spazio dentro di noi, meno ne resta per quelli negativi. A questo punto le esperienze della vita saranno “lette” con più felicità. È provato che 20 minuti al giorno bastano a dare risultati tangibili in tre mesi. Meditando più a lungo si attiva anche un minor invecchiamento delle cellule. Facciamo tanto fitness per il corpo, perché non fare anche allenamento per la felicità?».

La felicità le ha dato fama, questo minaccia la sua tranquillità?
«Cedo i proventi dei libri a oltre 30 progetti umanitari in cui sono impegnato e qualche mese l’anno sto fermo a Shechen, nel monastero. Il mio cammino è ancora da perfezionare, intanto però mi godo ogni singolo passo».

Giulia Calligaro
10 settembre 2010


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