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Intervista a Samdhong Rinpoche
Gennaio 2nd, 2009 by admin

I 50 anni dell’esilio tibetano: – la speranza del ritorno, il compito di tener viva la tradizione
di Nirmala Carvalho
Nel 2009 i tibetani celebrano l’anniversario della fuga in India del 1959. Oggi la sfida più importante per il popolo in esilio è quella di mantenere intatte le tradizioni culturali e religiose e maturare una politica educativa adeguata per le giovani generazioni. Samdhong Rinpoche, primo ministro del governo tibetano in esilio, esprime le sue speranze per il nuovo anno.        
Kalon Tripa (AsiaNews) – Il 10 marzo 2009 cade l’anniversario della fuga dei tibetani dalla Cina verso l’India. A cinquant’anni da quella data il primo ministro del governo in esilio, Samdhong Rinpoche, risponde ad alcune domande di AsiaNews su presente e futuro del suo popolo.

 

Come celebrerete il 50mo anniversario del 10 marzo?

Non sarà certo un giubileo allegro o un tripudio. Questo cinquantesimo sarà il ricordo di difficoltà e tristezza nella storia del popolo tibetano e della lotta tibetana. Sarà un momento importante per abbozzare piani per il futuro per la soluzione del problema tibetano. Non sappiamo: se dovremo vivere in esilio per altri 50 anni dovremo anche trovare una strategia per fare sì che i tibetani preservino la loro ricca eredità, l’identità culturale, la religione e siano tibetani, pensino da tibetani.

 

Cosa vi ha causato maggior angoscia in questi 50 anni?

Dei tanti tormenti e delle angosce, c’è la nostra incapacità a convincere il partito comunista cinese (Prc) sulla sua politica. I nostri fratelli e sorelle che vivono nel Tibet sono costretti ad un sistematico smantellamento della cultura, della religione e dell’identità tibetana: questo è un immenso danno per tutti i tibetani nel loro complesso. Oltretutto, stiamo vivendo sotto una minaccia continua ed il sospetto; siamo soggetti a gravi violazioni della dignità umana e religiosa.

In secondo luogo c’è la nostra inesperienza nell’ambito educativo come anche nessun tipo di esperienza nel formulare una politica nazionale in materia. Abbiamo preso coscienza dell’immense difficoltà inerenti questo compito assegnatoci considerando che questa attività non è mai stata intrapresa prima nella comunità in esilio. Non esiste compito più impegnativo, più vitale e rilevante di questo nella nostra lotta per sopravvivere come nazione in esilio.

Abbiamo assoluto bisogno di pianificare e introdurre cambiamenti per raggiungere risultati nel campo dell’educazione e formulare una nostra politica che tenga conto della visione della crescita futura, dello sviluppo della comunità e del ruolo che l’educazione dovrebbe giocare nell’evoluzione della nazionale.

L’educazione deve preparare i ragazzi e le ragazze tibetane a superare la realtà della vita quotidiana in esilio, il compito essenziale dell’educazione è quello di preservare la cultura e l’identità facendo fronte allo sradicamento dalla cultura della terra d’origine.

 

Nel recente passato il Dalai Lama ha anche menzionato il fatto che l’atteggiamento dell’India sta diventando eccessivamente cauto…

Non considero il commento di sua santità il Dalai Lama come negativo o critico. Senza la cooperazione dell’India non avremmo potuto andare avanti in questi passati 50 anni e per questo siamo grati. Infatti il 31 marzo, organizzeremo un giorno di ringraziamento per l’India per dimostrare il nostro apprezzamento. Comunque il Dalai Lama faceva riferimento ad una specifica azione diplomatica in cui le autorità indiane hanno avuto particolare attenzione a non risultare offensive nei confronti del Partito comunista cinese. Sfortunatamente ciò che per l’India è una virtù per la Cina è un segno di debolezza.

 

Quali sono le vostre speranze per il 2009?

La nostra sincera speranza è che si trovi una soluzione al problema tibetano; speriamo per l’emancipazione dei tibetani che vivono in Tibet e allo stesso modo per l’emancipazione del popolo cinese. Perché ogni essere umano abbia il diritto fondamentale alla libertà. E sotto il governo totalitario del Prc vivono immense sofferenze e oppressione sia i tibetani sia i cinesi. La stragrande maggioranza degli abusi dei diritti umani che avvengono in Cina sono ampiamente ignorati. Ci auguriamo che ci sia un cambiamento rispetto all’attuale totale mancanza di libertà di espressione e di pensiero, che finiscano le violazioni dei diritti umani contro il nostro popolo e sia posta fine alla diluizione della cultura perpetrata con migrazioni di massa nella regione degli Han [gruppo etnico cinese che costituisce la quasi totale maggioranza della popolazione del Paese, Ndr]. Celebriamo il popolo tibetano che abbraccia la non violenza e chiediamo ai ledaer mondiali e ala comunità internazionale di individuare una soluzione pacifica al problema del Tibet in questo 50 anniversario dell’esilio”.


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