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Se i Dalai lama fossero delle piante
Ottobre 1st, 2011 by admin

Sua Santità il Dalai Lama

Sua Santità il Dalai Lama

di Raimondo Bultrini. La Repubblica. – Nell’articolo pubblicato sul Web http://www.repubblica.it/esteri/2011/09/26/news/la_cina_avverte_il_dalai_lama_decidiamo_noi_il_successore-22273646/?ref=HREC2-5 di questo giornale, davamo notizia del duro scontro, per molti versi senza precedenti, tra le autorità cinesi e il solito indomabile leader spirituale dei tibetani, il Dalai lama. Da una parte l’intero apparato di un gigantesco Partito-Stato, con gli interessi economici delle sue imprese e l’imperativo di mantenere l’ordine sociale in ogni provincia dell’impero. Dall’altra un popolo di montanari e monaci che condividono un grande sogno spirituale, più importante per loro della sopravvivenza materiale: rivedere il Dalai lama in Tibet in questa o nelle prossime vite. Ne è testimonianza la sorte di due monaci che si sono dati alle fiamme pochi giorni fa nel monastero di Kirti, nella regione dell’Amdo. Non si sa con certezza se uno di loro sia morto, come dicono i suoi compagni, o se siano entrambi vivi sotto le cure dei medici cinesi, come sostengono le autorità. Ma si sa che i monaci di Kirti hanno compiuto il gesto al grido “Lunga vita al Dalai lama”, subito dopo aver appreso la notizia della determinazione cinese di nominare d’ufficio il prossimo leader spirituale del Tibet. Come loro, si erano già immolati altri bonzi, per la cui morte i cinesi avevano arrestato decine di altri religiosi con l’accusa di non averglielo impedito.

Non distruggete il vostro prezioso corpo umano, come insegnava il Buddha. E soprattutto non fatelo per augurare lunga vita a me”, ha sempre cercato di dire il Dalai lama in numerosi discorsi rivolti ai tibetani, sia gli esuli che a quelli rimasti sotto il governo cinese. Nel suo messaggio più recente, che invitiamo a leggere integralmente (per ora solo in inglese) sul suo website, www.dalailama.com, il leader spirituale tibetano ha spiegato chiaramente di sentirsi in grado non solo di ricreare una vita successiva, ma di poter trasmettere i suoi poteri mentali a un’altra persona (”perché no, ha aggiunto, anche a una donna”) mentre è ancora in vita. Questo potere lo ha chiamato “Emanazione”, differenziandolo dalla Reincarnazione che avviene con il trasferimento della coscienza in un bambino dopo la morte. E’ una sfida che appare paradossale quanto la pretesa degli atei comunisti cinesi di scegliere per legge dove e in quale corpo (per esempio nel figlio di una coppia di dirigenti del Partito, come è già successo davvero nel caso del Panchen lama, figura numero due del buddhismo tibetano) dovranno reincarnarsi i “Buddha viventi”. In una dichiarazione ufficiale un portavoce del governo comunista ha perfino detto che nessun Dalai lama della storia ha mai scelto autonomamente il proprio luogo e corpo di rinascita. Non bisogna essere esperti di metempsicosi per dedurre che la possibilità di scegliere a piacimento una forma nella vita futura – qualora davvero reabilizzabile – dipende dal desiderio del singolo individuo, e non dalla decisione di un estraneo, o addirittura di un Comitato centrale. In effetti i buddhisti contestano perfino a Dio il potere di decidere i singoli destini.

Uno degli argomenti principali usati da Pechino per arrogarsi il diritto di eleggere il Dalai lama, è stata la dichiarazione dello stesso leader tibetano di non voler assolutamente rinascere in Tibet, se ci saranno ancora i cinesi a occuparlo. “Non sarà riconosciuto nessun Dalai lama nato all’estero, e sarà considerato illegale”, hanno precisato testualmente le autorità comuniste. Quasi a rilanciare la sfida, nel testo integrale già citato, il Dalai lama ha esteso però le “linee guida” per trovare la sua reincarnazione ad altre possibilità finora inedite e per certi versi sorprendenti. “I Buddha (tale è considerato il Dalai dai suoi devoti, Ndr) appaiono in varie forme” – ha detto citando i testi sacri – : “come esseri umani, divinità, fiumi, ponti, piante medicinali e alberi per aiutare gli esseri senzienti”. E’ un fatto però che i ponti in Tibet già li costruiscono gli ingegneri di Pechino. Quanto alle piante, i boscaioli cinesi ne tagliano a migliaia ogni anno per le loro compagnie di costruzione. Paradosso per paradosso, se tra gli alberi segati ci fosse anche un Dalai lama sotto mentite spoglie, anche i problemi del futuro sarebbero già risolti. di Raimondo Bultrini. http://bultrini.blogautore.repubblica.it/2011/09/30/se-i-dalai-lama-fossero-delle-piante


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