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Tutti i monasteri tibetani finiscono sotto il controllo del governo cinese
Marzo 31st, 2012 by admin

Manifestazione di monaci tibetani in un monastero in Tibet.

Manifestazione di monaci tibetani in un monastero in Tibet.

Pechino invia 20mila uomini “per parlare con le persone”. Ma la tensione è crescente: altri due monaci si danno fuoco.

di Ilaria Maria Sala 31/03/2012 La Stampa, Hong Kong.

Il tetto del mondo è in fiamme: ieri, altri due giovani tibetani si sono immolati, bevendo cherosene e poi dandosi fuoco. Sono Thenpa Dhargyal, di 22 anni, e Chime Palden, di 21, entrambi monaci al monastero di Kirti, nella regione di Ngaba (Aba in cinese) parte delle zone tibetane del Sichuan.
Mentre bruciavano, secondo quanto dichiarato da testimoni che hanno inviato informazioni a gruppi di tibetani in esilio in India, i due hanno gridato slogan anti-cinesi e chiesto il ritorno del Dalai Lama. La tragedia di ieri ha portato a 33 le immolazioni, iniziate lo scorso anno. Altri due tibetani, invece, si sono dati fuoco in India, un rituale che si ripete ormai sempre più frequentemente e che lascia sbigottiti, ma che non sta avendo altro risultato se non quello di falciare giovani vite. Da parte dei quadri dirigenti cinesi la risposta alle immolazioni sembra essere solo quella di una linea ancora più dura per il controllo capillare dell’altipiano e dei suoi templi. Le poche persone che sono riuscite ad evadere i controlli e ad arrivare nelle regioni cinesi del Tibet parlano di uno stato di semi-legge marziale, con poliziotti armati agli angoli delle strade – e da qualche mese, dotati anche di un estintore.
Avere notizie precise, verificabili, e costanti dal Tibet è divenuto ancor più difficile che averle dalla Corea del Nord. Ma l’insistenza con cui Pechino rifiuta alla stampa e agli osservatori internazionali di recarsi sull’altipiano per vedere con i propri occhi quello che vi sta avvenendo è la più grossa ammissione del fatto che la situazione sia grave.
Le statistiche mostrano che lo scorso anno quasi 9 milioni di turisti si sono recati in Tibet, ma si tratta quasi esclusivamente di turisti cinesi. Secondo notizie riportate da Human Rights Watch, da marzo tutti i templi sono stati messi sotto al controllo diretto di funzionari governativi, che per la prima volta nella storia non sono più gestiti dai monaci stessi. Dalla violenta rivolta anti-cinese scoppiata poco prima dei Giochi olimpici di Pechino, nel 2008, ad oggi, i templi avevano un’autonomia ridotta, e i monaci dovevano accettare un regolamento imposto dalle autorità, ma la gestione nominale delle istituzioni religiose restava loro. Non più. Ci sono 1787 monasteri autorizzati ad operare in Tibet (sia nella Regione Autonoma che nelle zone tibetane sotto altre regioni, quali il Qinghai, il Sichuan, lo Yunnan e il Gansu), e i controlli in tutti questi sono ormai divenuti parte della vita quotidiana. E fonti ufficiali hanno anche confermato l’invio di 20.000 membri del Partito e del governo in 5.000 villaggi tibetani – per «parlare con le persone e capire i loro problemi», secondo gli uni, per aumentare i controlli e rendere ancora più insopportabile la situazione, secondo gli altri. La stampa cinese intanto, tutta sotto il controllo di vari organi di governo e ministeri, sembra funzionare in un universo parallelo, e riporta giorno notizie positive dal tetto del mondo: i tibetani festeggiano l’anniversario della «liberazione dei servi» e la «fine del feudalesimo», ovvero, il «53° anniversario della fine della teocrazia in Tibet».
L’economia cresce, i nomadi di ieri sono i motociclisti di oggi. E i giovani che si danno alle fiamme sono «terroristi», istigati dalla «cricca del Dalai» (per una forma di spregio tutta sua, la propaganda cinese non usa la parola «lama» parlando della massima carica spirituale tibetana, in esilio in India dal 1959). Intanto, Pechino continua a cercare di stimolare l’economia tibetana, convinta che lo scontento sarà sopito dalla materialità. Una politica portata avanti a tappeto, come sono solite fare le autorità cinesi, e che ha risvolti perfino divertenti: «Mio padre è un alto funzionario nel ministero delle ferrovie nel Xinjiang», dice una giovane cinese che lasceremo anonima, «e ha ricevuto una direttiva che richiede a tutti di sostenere l’economia tibetana. Così, per Capodanno cinese, il ministero delle ferrovie ha regalato a tutti i suoi dipendenti una cassa di birra del Tibet». Ma per i 33 giovani che hanno preferito l’abbraccio delle fiamme alla vita sotto il controllo cinese, la prosperità economica dell’altipiano ha un prezzo troppo alto.

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/448498/


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