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Dall’Ucraina al genocidio culturale del Tibet
Maggio 6th, 2012 by admin

Palden GyatzoDall’Ucraina al genocidio culturale del Tibet

Il Fatto Quotidiano di Alessio Liberati | 6 maggio 2012

Le notizie relative allo stato di detenzione di Juliia Timoshenko ed il massacro dei cani per rendere più “confortevole” l’ambiente ai turisti che assisteranno ai prossimi europei di calcio hanno suscitato una grande indignazione e, addirittura, la proposta di boicottare l’importante competizione sportiva. Non sappiamo come finirà, ma è certamente una bella notizia: la possibilità di influenzare e contrastare, tutti insieme, le forme di violenza e di prepotenza, restituendo il giusto spirito e contesto alle competizioni sportive, è una consapevolezza che cresce e che può essere di grande forza. Mi chiedo, però, perché non sia accaduto altrettanto (e non accada per il futuro) per la questione del Tibet (la Cina ha ospitato le Olipiadi nel 2008). Credo che ormai sia da molte parti testimoniato che in Tibet sia in corso un vero e proprio genocidio culturale, in cui persone semplicemente dedite alla meditazione ed alla preghiera – i molti monaci che vivono nei ministeri – sono talmente maltrattati e portati alla disperazione dalle autorità cinesi che, pur di sollevare l’attenzione sul problema, si immolano dandosi fuoco. È già successo decine di volte. I governi, probabilmente in conseguenza del potere economico della Cina e della sua capacità di condizionare le economie mondiali, non sembrano avere la forza (o peggio, l’interesse) a focalizzare l’attenzione sulla questione “Tibet”. Ed allora, forti della consapevolezza che si può condizionare la realtà anche come insieme di cittadini, a prescindere dalle ufficiali posizioni della politica, perché non c’è mai stata, sino ad ora, una indignazione ed una reazione anche solo minimamente paragonabile a quella suscitata dai cani ucraini e dalla biasimevole violenza sulla Juliia Timoshenko? Le migliaia di tibetani valgono meno? Ecco un passo del libro del monaco Palden Gyatso (da Il fuoco sotto la neve, la voce di un monaco perseguitato dall’invasione cinese in Tibet, Sperling paperback, 1997), che rende l’idea di ciò di cui sto parlando: “… <<Confessi?>> latrò Liao.  <<Confessi?>> <<potete farmi quello che volete!>> urlai. Ero fuori di me per la collera, avevo perso il controllo. Le guardie mi legarono dietro la schiena con una corda, poi gettarono l’estremità della corda sopra una trave di legno. Tirarono la corda sollevandomi le braccia, storcendole, quasi strappandole dalle cavità articolari. Urlai. Cominciai a orinare senza controllo. Non riuscivo a sentire altro che le mie urla e le percosse <<potete farmi quello che volete!>> urlai alle guardie (p. 77) (…) Non aspettò la risposta. Staccò il bastone dalla presa e cominciò a premermi sulla carne quel nuovo giocattolo e il mio corpo sussultava ad ogni scossa. Poi, urlando oscenità, mi cacciò il bastone in bocca, lo tolse, menò un altro colpo. Tornò alla parete e scelse un bastone più lungo. Sentii che il corpo si spezzava a metà. Ricordo vagamente che una guardia mi infilò un dito in bocca per estrarmi la lingua ed evitare che soffocassi. Ricordo anche che un agente cinese corse fuori dalla stanza nauseato. Mi torna in mente come fosse ieri lo strazio delle scosse elettriche che mi facevano sussultare, persi i sensi e quando mi ripresi mi trovai in una pozza di vomito e orina. Avevo la bocca gonfia. Quasi non riuscivo ad aprire le mascelle. Con una fitta di dolore sputai fuori qualcosa. Erano tre denti. Ci vollero parecchie settimane perché riuscissi a mangiare di nuovo cibo solido. Con il tempo mi caddero anche tutti gli altri denti (p. 212)


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