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Un giallo tibetano, tra veleni e vecchi sospetti
Maggio 20th, 2012 by admin

Sua Santità il Dalai lama impartisce la benedizione toccando la testa di una giovane tibetana.

Sua Santità il Dalai lama impartisce la benedizione toccando la testa di una giovane tibetana.

Un giallo tibetano, tra veleni e vecchi sospetti

di Raimondo Bultrini, La Repubblica

In un’epoca in cui nessuno crede più in nessuno, anche le dichiarazioni del Dalai lama sulle ipotesi di avvelenamento chimico ai suoi danni sono state accolte da parte dell’opinione pubblica come la reazione esagerata di un leader esule che può usare solo armi di propaganda contro i suoi nemici cinesi. Non sappiamo quanto ci sia di vero nella storia delle donne tibetane coi capelli e le sciarpe votive impregnati di sostanze mortali in procinto di andare a Dharamsala in India per farsi toccare la testa da Sua Santità durante le udienze di benedizione. L’idea di una missione del genere (dagli intenti suicidi se il veleno era davvero letale al solo tatto) è molto lontana da ogni tradizione buddhista, come lo sono gli autoimmolamenti susseguiti a ritmo di due al mese nell’ultimo anno in Tibet e India. Ma mentre monaci, monache e laici che si sono dati fuoco per la causa della libertà del Paese delle Nevi non mettevano a rischio altre vite oltre alle proprie, nel caso dei finti fedeli attentatori del Dalai lama, chiunque altro avesse toccato i capelli o le sciarpe augurali poteva lasciarci la pelle. Ngodup Dongchung , il capo dell’apparato di sicurezza di Sua Santità Tenzin Gyatso, ha confermato oggi alla stampa i timori espressi dal Dalai lama in un’intervista pubblicata pochi giorni fa dal Sunday Telegraph http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/tibet/9261729/Dalai-Lama-reveals-warning-of-Chinese-plot-to-kill-him.html, e ha annunciato in occasione delle prossime udienze pubbliche, oltre ai normali metal detector, l’uso di strumenti capaci di scoprire sostanze chimiche pericolose. Questa rivelazione potrebbe a sua volta essere vista come una mossa politica anti-cinese. Ma rispetto alla denuncia pubblica del leader tibetano, il ministro ha indicato altri possibili mandanti della missione al veleno. “Non possiamo escludere la presenza di agenti cinesi e anche di rivali della setta Shugden”, ha detto Ngodup, puntando direttamente il dito contro i sostenitori di una ormai nota fazione scissionista tibetana, creata in nome di uno spirito o demone venuto al mondo tre secoli e mezzo fa in contrapposizione a un predecessore dell’attuale Dalai lama. E’ la stessa sètta ritenuta responsabile di un triplice omicidio avvenuto nel febbraio del 1997 a ridosso della residenza del leader tibetano, a due passi dal tempio delle udienze. In quegli anni i cinesi spedivavano continuamente a Dharamsala spie incaricate di conoscere ogni possibile dettaglio della vita del nemico numero uno di Pechino, l’uomo che  maggiormente danneggia nel mondo l’immagine della Cina sul terreno dei diritti umani. Della storia dei rapporti ibridi tra religiosi devoti al culto osteggiato dal Dalai lama e autorità laiche cinesi, abbiamo in parte parlato su questo stesso blog http://bultrini.blogautore.repubblica.it/2012/01/31/la-primavera-birmana-e-il-lungo-inverno-del-tibet/. Ma la portata delle accuse del ministro della Sicurezza è tale – se provata – da lasciar intuire un’alleanza addirittura operativa tra “shugdenisti” e autorità comuniste.

Per capire l’importanza storica e religiosa di un patto del genere per il futuro del Tibet, basta pensare che alla morte del Dalai lama non esisterà più – per legge già in vigore – nessun lama, o tulku (reincarnazione), che non sia stato “scelto” con la supervisione del Partito. La figura numero due del Pantheon buddhista, il Panchen lama, membro di un Comitato del Congresso del Popolo, è già stato eletto con i nuovi criteri, e non a caso ha ricevuto fin da bambino l’educazione di tutori devoti al culto di Shugden. E’ come se per paradosso – dopo l’occupazione del Vaticano – il Papa e tutti i Cardinali venissero scelti dal futuro governo italiano sulla base della loro devozione non più a Gesù Cristo, ma a qualche angelo, serafico o demoniaco, come nel caso dello spirito tibetano. C’è una ragione ben  precisa per cui il Dalai lama non avrebbe alcun vantaggio a denunciare complotti da parte di esponenti di tale culto a fini di pura propaganda. Portare di fronte all’opinione pubblica questa antica e inquietante controversia di natura esoterica, significa ogni volta esporsi all’imbarazzante giudizio del mondo moderno verso forme arcaiche di devozione che provocarono nella storia conflitti di potere fin dentro i monasteri e nelle stanze del leggendario Potala di Lhasa, dove visse Kundun fin da bambino circondato da tanti fantasmi del passato. Da ragazzo – e per molti anni a venire, compreso il primo periodo successivo all’esilio in India – il Dalai lama praticò inoltre lo stesso culto oggi fortemente sconsigliato. Aver rescisso i legami con certe credenze che gli furono inculcate in tenera età da alcuni dei suoi stessi insegnanti, non è stato mai facile

per il leader tibetano. Se dovesse succedergli qualcosa, i suoi nemici interni potrebbero attribuire qualunque disgrazia al potere vendicativo del demone. Come la trama di un giallo mistico sullo stile del Nome della Rosa, ma dannatamente realistica.

http://bultrini.blogautore.repubblica.it/2012/05/20/un-giallo-tibetano-tra-veleni-e-vecchi-sospetti/


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