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IL PANCHEN LAMA È ANCORA VIVO?
Aprile 29th, 2009 by admin

Panchen Lama

Panchen Lama

Il Panchen Lama compie 20 anni. Da 14 è ostaggio del governo cinese

I tibetani festeggiano la ricorrenza secondo la tradizione buddista, pregando per la sua “sicurezza” e augurandogli “lunga vita”. Ministro del governo tibetano in esilio denuncia la “violazione della libertà religiosa” delle autorità di Pechino. Una questione che concerne “l’interna comunità internazionale”.

Dharamsala (AsiaNews) – Oggi compie 20 anni, ma da 14 non si sa nulla della sua sorte. È il più giovane prigioniero politico della storia da quando, nel 1995, le autorità cinesi lo sequestrarono perché in lui “il Dalai Lama aveva individuato la reincarnazione dell’11° Panchen Lama”, la seconda carica per importanza nel buddismo tibetano. È ancora avvolta nel mistero la vicenda di Gedhun Choekyi Nyima, nato il 25 aprile del 1989 a Lhari, vicino a Lhasa, ostaggio nelle mani di Pechino dall’età di sei anni.

Il Panchen Lama, ha il compito, dopo la morte del Dalai Lama, di riconoscerne la nuova reincarnazione. L’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha riconosciuto come Panchen Lama il giovane Gedhun Choekyi Nyima il 14 maggio 1995. Pochi giorni dopo la polizia ha rapito il bambino di 6 anni e la sua famiglia, da allora scomparsi nonostante ripetute richieste delle Nazioni unite e di organizzazioni internazionali di poterli almeno incontrare. Nel novembre 1995 la Cina ha “scelto” Gyaltsen Norbu come “vero” Panchen Lama, per attuare uno stretto controllo sulla pratica religiosa nella regione.

Il Panchen Lama e la sua famiglia – denuncia Tsering Phuntsok, Ministro degli affari religiosi del governo tibetano in esilio – sono stati rapiti il 17 maggio del 1995 dal governo cinese. Da allora non si sa più nulla della loro sorte”. Egli oggi compie 20 anni e i tibetani in esilio intendono celebrare la ricorrenza “secondo la tradizione buddista tibetana”, pregando per la sua “sicurezza” a augurandogli “lunga vita”. Tsering Phuntsok spiega che il suo sequestro non è solo “una questione tibetana”, ma “internazionale”. “È una grave violazione – continua – dei diritti umani e della libertà religiosa. Ancor più grave perché è stato rapito quando aveva solo sei anni ed è stato privato di tutte le libertà personali”.

Il Ministro degli affari religiosi attacca il governo cinese, che ha paura di liberare il vero Panchen Lama perché “riconosciuto dal Dalai Lama” e si chiede quale “educazione alla libertà religiosa” potrà riceve da un regime comunista che viola i diritti umani. “Questa negazione della libertà religiosa – conclude – è una questione seria che concerne l’intera comunità internazionale”.I tibetani lanciano infine un appello per la liberazione di tutti i tibetani sequestrati dalle autorità cinesi. Ad oggi vi sono infatti più di 1000 persone scomparse, dopo essere state prelevate dall’esercito cinese inviato nella regione nel marzo del 2008 per sedare la rivolta dei monaci.di Nirmala Carvalho http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=15085&size=A

PANCHEN LAMA: E’ MORTO IL «VERO», RESTA QUELLO «CINESE»

Lo dice Yoichi Shimatsu, documentarista e già direttore del Japan Times Weekly

Pechino, 20 aprile 2009. (www.corriere.it) «Il Panchen Lama scelto dagli inviati del Dalai Lama è morto. Quello indicato dalla Cina è oggi l’unico Panchen Lama». Le parole di Yoichi Shimatsu risuonano durante una lunga tavola rotonda che la scuola di giornalismo e comunicazione dell’università Qinghua di Pechino, una delle più prestigiose del Paese, ha dedicato alla questione tibetana. Studiosi cinesi e occidentali e un paio di corrispondenti di giornali stranieri (tra cui il Corriere) riuniti per un dibattito dove di un tema cruciale si è discusso con una libertà normalmente impensabile. E che si trattasse dell’ateneo dove nel 1964 si laureò in ingegneria il presidente Hu Jintao aggiunge spessore all’eccezionalità dell’incontro.

Ebbene, è qui che Shimatsu, documentarista e già direttore del Japan Times Weekly, ha scandito la sua verità sulla fine dell’11° Panchen Lama, Gedhun Choekyi Nyima, riconosciuto dal Dalai Lama nel 1995, quand’era bambino. Allora le autorità cinesi lo misero sotto tutela, lo nascosero facendone «il più giovane prigioniero di coscienza del mondo», denunciarono le ong per i diritti umani. I cinesi reagirono scegliendo a loro volta un Panchen da crescere leale a Pechino.
Gedhun Choekyi Nyima avrebbe vent’anni, oggi. «Ma è morto da tempo. Di malattia: cancro o leucemia»: Shimatsu aggiunge che la notizia della sua scomparsa «è stata tenuta nascosta da tibetani e cinesi per lo stesso motivo, salvare la faccia. La Cina per non rivelare che le fosse morto fra le mani un bimbo che aveva in custodia. Il Dalai Lama e i suoi per non perdere il “loro” eletto e non ammettere che il leader buddhista avesse fallito, indicando un bambino morituro». La notizia non è verificabile né da parte tibetana né cinese. Il bambino non è mai riapparso, al punto che voci incontrollate di un decesso erano già circolate. Shimatsu però assicura: «La mia fonte è certa. È la diplomazia di un Paese occidentale non europeo e di sinistra che, su invito di Pechino, inviò invano medici per tentare di salvare il piccolo. Tutto vero».
Il Paese sembrerebbe essere Cuba o il Venezuela, dunque, ma più significativa è la conseguenza spirituale-politica: il Panchen Lama scelto da Pechino a fine ’95, il diciannovenne Gyaincain Norbu, non ha contendenti. Ed è pronto per la controffensiva mediatica contro il detestatissimo Dalai Lama «cocco dell’Occidente». Se guerra (di pubbliche relazioni) dev’essere, tra il Dalai e Pechino, che guerra sia.
http://www.corriere.it/esteri/09_aprile_20/panchen_lama_vero_del_corona_4dbaa8e2-2d82-11de-b92c-00144f02aabc.shtml

IL MISTERO DEL PICCOLO BUDDHA CHE OGGI COMPIE VENT’ANNI. L’EREDE DEL DALAI LAMA È SCOMPARSO DA 14 ANNI. PECHINO LO DÀ PER MORTO. MA IL TIBET LO FESTEGGIA

PECHINO – È l’anniversario che la Cina ha deciso di cancellare. Oggi compie vent’anni il Panchen Lama, la seconda autorità spirituale del buddismo tibetano, il “vice” del Dalai Lama alla guida del suo popolo. Ma Gedhun Choeky Nyima – questo il nome del vero Panchen Lama – è invisibile dall’età di sei anni. Poco dopo la sua investitura da parte del Dalai, il 14 maggio 1995, il bambino fu sequestrato con tutta la sua famiglia dalla polizia cinese. Quello che divenne “il prigioniero politico più giovane del mondo” da allora è recluso in un luogo segreto. La sua colpa è imperdonabile: per il solo fatto di esistere, il Panchen incarna l’autonomia di un potere spirituale che lo ha scelto senza prendere ordini dal governo.

L’ultima violenza su di lui il regime di Pechino l’ha commessa alcuni giorni fa, lasciando filtrare indiscrezioni sulla sua morte. Nessun annuncio ufficiale – altrimenti il governo dovrebbe fornire spiegazioni e prove sull’improvviso decesso di un ventenne – ma solo voci. Che gli esuli tibetani vicini al Dalai Lama definiscono false. Forse per vie imperscrutabili riescono ad avere notizie su di lui.
Alla vigilia di questo compleanno proibito, i cinesi non si sono limitati a diffondere insinuazioni sulla morte del loro giovane prigioniero. Pechino ha deciso di esibire in due eventi ufficiali il suo “gemello comunista”: il Panchen del regime. Quasi coetaneo dell’altro (ha 19 anni), etnicamente tibetano anche lui ma figlio di due membri del partito comunista, questo si chiama Gyaincain Norbu. Nel 1995, non appena catturato il vero Panchen, la controfigura venne investita solennemente dal governo. Secondo le autorità cinesi è lui l’undicesima reincarnazione del “grande studioso” della setta Gelugpa. Il Panchen filo-cinese non è mai stato accettato dai suoi connazionali, che gli negano ogni legittimità. Senza la benedizione del Dalai, per i fedeli è un impostore. Perciò anche lui ha finito per trascorrere infanzia e adolescenza come un detenuto. Per paura che i tibetani potessero influenzarlo le autorità lo hanno allevato a Pechino, in un convento politically correct, sotto il controllo del partito. I maestri di dottrina gli insegnavano il patriottismo (cinese), la fedeltà al governo, il mandarino e l’inglese: utili per farne un futuro portavoce urbi et orbi. Per anni le sue apparizioni in pubblico sono state rare e protette da una scorta. In una di quelle occasioni, paracadutato per poche ore nel 2005 nel monastero di Tashilhunpo a Shigatse (storicamente la sede del Panchen) il povero burattino dei cinesi rimase impaurito dal disprezzo dei religiosi.

Nelle foto ufficiali ha la faccia di un bambinone cresciuto, goffo e timido, vittima di un gioco troppo grande per lui. Un mese fa le cose sono cambiate. Il Panchen-di-Pechino è stato lanciato sul palcoscenico a marzo per una celebrazione importante. Ricorreva il 50esimo anniversario della fuga in esilio del Dalai Lama, un giorno di lutto per il suo popolo. Nella stessa data quest’anno il governo ha istituito una nuova festa nazionale: la Giornata dell’Emancipazione dei Servi del Tibet. Un’occasione per celebrare la “liberazione” dalla teocrazia feudale dei lama, grazie al provvidenziale intervento dell’Esercito Popolare di Liberazione sotto la guida di Mao. Il 28 marzo il Panchen comunista è apparso in una cerimonia di Stato a Lhasa. Il giovane era visibilmente agitato, ma ha detto quello che si aspettavano da lui: “Voglio ringraziare sinceramente il partito comunista per avermi aperto gli occhi, così so riconoscere il bene dal male”. Poi una stoccata diretta a colui che dovrebbe esserne il padre spirituale. “Sono io stesso discendente di schiavi – ha detto Gyaincain Norbu – e ho imparato a distinguere chi ama il popolo tibetano, da quelle persone senza scrupoli che per motivi di ambizione minacciano la pace”. Jia Qinglin, membro del Politburo, ha reso esplicita l’accusa: “Il Dalai ignora i veri desideri del popolo. Vuole la secessione per restaurare l’antico regime feudale”.

In un crescendo di visibilità, il Panchen comunista è riapparso al recente Forum Mondiale del Buddismo, organizzato in pompa magna dalle autorità cinesi. Un evento ecumenico: aperto nella città di Wuxi, provincia del Jiangsu, si è concluso a Taipei capitale dell'”isola ribelle” di Taiwan. Dopo il confucianesimo anche il buddismo viene recuperato dai leader cinesi. Purché sia una religione di Stato, il presidente Hu Jintao è convinto che serva a proiettare un’immagine rassicurante della Cina, a rafforzare il suo soft power in Asia. E il giovane Gyaincain Norbu ha fatto il suo dovere. Ai delegati mondiali del simposio buddista ha dichiarato: “Questo evento dimostra che in Cina regna la libertà religiosa”. Ha partecipato alle sedute ristrette di alcuni seminari di studio: perfino un incontro con celebri imprenditori sul tema “Filosofia e Business”. I magnati industriali che lo hanno incontrato dicono che i suoi interventi sono stati “fonte d’ispirazione”. Le foto dell’agenzia Nuova Cina lo ritraggono, occhialuto e intimidito, mentre porge una sciarpa bianca in omaggio al presidente del Congresso del Popolo, Wu Bangguo. L’alto gerarca lo ha incoraggiato a “lavorare alacremente per l’unità del popolo cinese”. Zhan Ru, direttore dell’Istituto di studi orientali all’università di Pechino, era anche lui a quel congresso: “E’ stato un incoraggiamento per tutti. Eravamo onorati di avere con noi un Budda vivente”.

Lo sforzo per osannare il povero burattino è corale. Tradisce il nervosismo di Pechino per il ventesimo compleanno del vero Panchen Lama. La tensione è affiorata ai massimi livelli. Hu Jintao ha lanciato un avvertimento secco a Barack Obama: non vuole che il presidente americano riceva il Dalai Lama, atteso in America tra breve. Il tono è da ultimatum. Sul Tibet il leader cinese è pronto a rischiare un gelo diplomatico con Washington. Forte del suo potere economico-finanziario, Hu Jintao spera di intimidire Obama. Già ci è riuscito con Nicolas Sarkozy, costretto a farsi “perdonare” la visita del Dalai all’Eliseo. Il Sudafrica ha preferito far saltare un summit dei premi Nobel pur di non concedere il visto al leader tibetano in esilio.

Dietro la durezza cinese spunta la partita cruciale: la successione del 73enne capo spirituale. Pechino ha già annunciato che alla sua morte spetterà al potere politico la scelta del prossimo “reincarnato”: come all’epoca della dinastia imperiale dei Qing, secondo le ricostruzioni degli storici revisionisti di regime. Pur di evitare questa sopraffazione il Dalai Lama ha accennato a una contromossa: cambiare le regole e procedere a un’elezione democratica del suo successore. Chissà se il suo discepolo ventenne, ovunque si trovi, può intuire la battaglia furibonda che si prepara. Se è vivo oggi passa anche questo compleanno nella solitudine che ormai è il suo destino. Lontano dal Tibet, lontano dai suoi e dal mondo, forse condannato a essere invisibile fino a quando morirà davvero.

dal corrispondente F. RAMPINI http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/persone/piccolo-buddha/piccolo-buddha/piccolo-buddha.html


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