S.S. il Dalai Lama ad Udine : “Dalla violenza alla compassione”.

Incontro pubblico Dall’aggressività e dalle tante forme di violenza alla non violenza attiva e all’amorevole compassioneil 22 maggio 2012, ore 13.30-15.30 al Palasport “Primo Carnera” di Udine organizzato dal Centro Cian Ciub Ciö Ling di Polava Udine e dal Centro Balducci di Udine con Sua Santità il Dalai Lama, Prof. Vito Mancuso, teologo (leggi il suo intervento sottoriportato), Prof. Franco Fabbro (leggi il suo intervento sottoriportato).

Prima bozza d’appunti ed editing del Dott. Luciano Villa, dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Questo lavoro è basato su quanto espresso direttamente in inglese da Sua Santità il Dalai Lama. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni. Vedi video dell’incontro http://www.centrobalducci.org/easyne2/LYT.aspx?Code=BALD&IDLYT=359&ST=SQL&SQL=ID_Documento=1310 .

Sua Santità il Dalai Lama

D’accordo col cristianesimo, la pratica dell’amore e della compassione buddista e’ la stessa cosa, tutte le maggiori religioni dicono la stessa cosa. Nonostante le grandi differenze tra le diverse scuole buddiste ed il cristianesimo, il fine e’ il medesimo. Queste sono visioni che enfatizzano i valori della compassione, intensificando la pratica. Anche nel giainismo e nelle antiche tradizioni indiane esistono dei diversi concetti della realtà, ad esempio, i fiori hanno sensazioni, ma diverse dagli umani. Per un jainista, se strappi un fiore: e’ violenza. Quindi, il concetto di violenza e’ vasto. Per il Buddha, i fiori non sono esseri senzienti, perché gli esseri senzienti hanno la sensazione del danno subito. Gli esseri senzienti hanno la capacita’ di distinguere tra un tipo e l’altro, il che non l’hanno i fiori. Gli esseri senzienti possono essere mossi dalla motivazione di preoccupasi per gli altri o, all’opposto, dalla motivazione negativa di ingannare gli altri. Esiste una demarcazione tra l’azione di violenza dalla motivazione, di ingannare o, al contrario, pacifica, di beneficiare. La motivazione costituisce il fondamento delle azioni.

Nessuno considera i chirurghi dei violenti, perché con la violenza curano le malattie e riescono a guarire i pazienti. Perciò gli insegnamenti d’amore e compassione devono scaturire da motivazioni vere e sincere. Se dovessi dare insegnamenti di pace e compassione con motivazione di denaro e potere sarebbe negativo. Come distinguere il buono dal negativo? Positivo e’ chi porta sensazioni che diminuiscono la sofferenza: la stessa azione puo essere negativa o positiva in relazione alla motivazione ed alla percezione degli esseri. Se produce una sensazione di felicita’, una sensazione di gioia e di non danno e’ positiva. Viceversa lo e’ se produce paura. Ma non possiamo dire se una certa azione e’ in assoluto negativa o positiva.

Se un componente della famiglia e’ alcolizzato, si può affrontare con forza il problema, togliendogli ad esempio l’alcool.

Dobbiamo comunque pensare alle conseguenze a lungo termine, sacrificando l’interessamento a breve termine. Cosi come i nostri monaci e quelli buddisti hanno rinunciato ai piaceri immediati per quelli a lungo termine. Da 40 anni mi interesso alla scienza, negli ultimi 30 anni sono giunto alle neuroscienze, alla neurologia, alla psicologia, all’astronomia, all’astrofica, alla fisica quantistica.

Anche la scienza riconosce ora l’interrelazione tra sistema nervoso, cervello e le emozioni, riconosce l’interdipendenza tra esperienze neurologiche e quanto avviene a livello fisico nel resto del corpo. E la scienza riconosce che si tratta di un condizionamento in senso biunivoco. Inoltrandoci nelle spiegazioni delle emozioni della mente, pensiamo molto seriamente che il sistema nervoso lavora molto velocemente, ma, in realtà, ad una velocità inferiore a quella della luce, al punto che la velocità della mente ci sembra più veloce di quella della luce. Non e’ semplice spiegare le emozioni su base neurofisiologica. Gli antichi pensatori indiani, i praticanti indiani avevano già raggiunto il samadhi ed avevano delle elaborate spiegazioni sul controllo delle emozioni, avevano realizzato l’addestramento per realizzare vipassana e shamata, attuando quindi il necessario controllo della mente. Nell’antica India emergevano elaborate spiegazioni sul controllo della mente.

Occorre operare una distinzione nello studio del sistema nervoso centrale SNC e le sue attivazioni sensioriali.

Quando la mente principale e’ in samadi, in quel attimo, le altre coscienze diventano più deboli. Mente concettuale e non: in neurofisiologia si parla di emotività sensoriale, senza distinzione tra mente concettuale e non. Esistono reazioni del SNC a livello sensoriale e mentale. La ricerca scientifica neurologica si sta cimentando tra le reazioni della coscienza sensoriale e mentale, generalmente possiamo piangere di gioia o dispiacere, a livello fisico e’ la stesa reazione. Se fossero distinti, si avrebbero delle attivazioni distinte, ad esempio, tra le lacrime di felicita’ e d’infelicita’. Ma non e’ cosi’.

Dobbiamo sviluppare la capacità di distinzione a livello mentale, quando, ad esempio, abbiamo dei contatti esterni e le nostra coscienza sensoriale percepisce, ma la coscienza mentale giudica. Sognando, e’ attiva la coscienza del sogno, ma le coscienze sensoriali sono disattivate. E’ interessante analizzare quando si sogna. La scienza e’ pure interessata alla meditazione dopo la morte, a quei segni che indicano che, pur essendo cessate le funzioni cardiocircolatorie e il soggetto e’ clinicamente morto, il corpo non si decompone e permane un’attività. Decidemmo, su consiglio di neurologi, d’analizzare il fenomeno con EEG elettro encefalogramma. Ma, quando il kit era disponibile, nessuno moriva in quelle condizioni. Ora disponiamo di personale addestrato. Cosa significa la morte, se il corpo non si decompone? Saputo del decesso di un meditatore, ho subito inviato degli operatori con EEG per monitorare al 18 giorno di meditazione post mortem il mio maestro anziano. Un lama Nigma e pure un altro Kargyu rimasero in samadhi per 15 giorni. La ricerca scientifica non può basarsi su un solo caso, occorre ripetere la sperimentazione, comunque si vide una qualche attività celebrale. Questi esperimenti ci indicano una forte relazione tra cervello e coscienze sensoriali ed una qualche coscienza della mente.

Nel 1979 incontrai a Mosca degli scienziati URSS, parlai di sesta mente e gli scienziati russi risposero: Impossibile. Ma loro intendevano negarla come anima, altri scienza sono autenticamente disponibili, lasciando aperta la possibilità.

Ora m’interesso di scienza della mente, per uno sviluppo positivo. Negli ultimi 20 anni s’e’ stabilita una collaborazione non solo per realizzare esperimenti su temi fisici (fatti tangibili e misurabili) ma sulla natura della nostra mente. Occorre pero’ superare il rischio della soggettività, in carenza di parametri oggettivi misurabili.

Domanda – Oggigiorno si pensa che i problemi siano al fuori di noi, e’ predominante una loro soluzione politica sociale, cosa dice il Buddhismo sulla violenza in noi?

Sua Santità il Dalai Lama. Esistono molti livelli: globale, il mondo internazionale, nazionale, comunità, famiglia, individuo ed ognuno ha il suo problema: le crisi economiche globali, non so come poter trovare lavoro ne’ quindi oppormi alla crisi.

Ognuno dovrebbe sviluppare un interesse preoccupandosi per i problemi che si possono risolvere globalmente, come ad esempio il riscaldamento globale, risparmiare acqua e luce, spengo sempre la luce anzi mi assicuro che sia spenta e non faccio mai il bagno ma la doccia. Ogni singolo individuo può contribuire a risparmiare energia. A livello mentale, difficoltà e dolore individuale sono risolvibile solo da quella persona, il Buddha disse: tu sei il tuo maestro,

Domanda. Con quale criterio un’azione e’ violenza e non, e’ interiore, dipende dall’intenzione, come e’ buona l’intenzione del chirurgo, che relazione c’e tra bene e natura?

Sua Santità il Dalai Lama. Buoni sentimenti e buoni risultati sono in base alle intenzioni, quindi, alla percezione di sensazioni di benessere o felicita o l’opposto. Rispetto alle religione teistiche alla base c’e’ un concetto diverso rispetto alle concezioni non teistiche. Chiediamola agli scienziati, la differenza tra positività e negatività.

Franco Fabbro, neuropsichiatra infantile. Ha, tra l’altro, introdotto la meditazione in ambiente ospedaliero per migliorare la comunicazione medico-paziente.

Violenza e Compassione alla luce delle Neuroscienze

Le neuroscienze sono un insieme di discipline che si dedicano allo studio del cervello in relazione al comportamento ed alle diverse capacita cognitive, affettive e sociali. La filosofia e la scienza che si sono sviluppate in occidente hanno separato il cervello dagli altri organi del corpo. Si tratta di una semplificazione, perché il cervello e’ un sistema interconnesso con gli altri organi. Nel corpo umano e’ molto difficile distinguere dove inizia e dove finisce il sistema nervoso. Il cervello e’ dunque una sorta di metafora piuttosto che una realtà. Il SNC sistema nervoso centrale si e’ sviluppato soltanto nel phylum dei cordati, cui apparteniamo insieme agli anfibi, ai pesci, ai rettili, agli uccelli, mammiferi ed ai nostri cugini primati: le scimmie. Nei cordati il cervello puo essere concepito come un sistema stratificato. I pesci e gli anfibi presentano gli elementi più semplici: il midollo spinale, il tronco dell’encefalo e l’ipotalamo. A questi si aggiungono, via via espandendosi, ulteriori elementi: nei rettili i gangli della base, nei mammiferi il sistema limbico ed i lobi cerebrali, nei primati sopratutto lo sviluppo del lobo frontale. Probabilmente la funzione fondamentale del sistema nervoso consiste nell’aver cura di se’. Cosi gli esseri viventi, attraverso il loro cervello, si muovono nel mondo, riconoscendo e categorizzando ciò di cui hanno bisogno. Secondo Patricia S. Churchland una neurofisiologa nordamericana, il cervello e’ organizzato per cercare il benessere e sollievo dal malessere. Il cervello sembra elaborare in modo selettivo gli aspetti del mondo che nel passato sono stati importanti per la sopravvivenza, prestando particolare attenzione agli eventi inaspettati. Tra l’elaborazione dei segnali sensoriali e l’azione, numerosi esseri viventi hanno sviluppato un dimensione intermedia di tipo rappresentazionale chiamata psiche o mente. Gli esseri umani hanno inoltre sviluppato un secondo sistema di rappresentazione: il linguaggio, che amplifica sia le possibilità sia i limiti conoscitivi della psiche. La violenza e l’amore compassionevole sono argomenti che da millenni stanno al centro delle argomentazioni sia dei filosofi, teologi e grandi maestri spirituali dell’umanità. Le neuroscienze sembrano offrire nuove prospettive d’analisi e comprensione di questi problemi, forniscono dati e correlazioni interessanti. Tuttavia, e’ importante sottolineare che esse sono soltanto uno dei possibili approcci conoscitivi. Le neuroscienze devono dunque collaborare su un piano paritetico con altri ambiti della conoscenza, come quello fisico-matematico, storico-filosofico, antropologico, letterario e religioso. Dopo queste premesse, cercherò di muovermi verso il cuore dei temi in discussione. Sigmund Freud, uno dei piu grandi neuroscienziati dell’occidente, che nella sua ricerca si era interessato alle dimensioni più profonde della psiche, nel suo libro “Al di la’ del principio del piacere”, pubblicato nel 1920 dopo l’immane massacro della Prima Guerra Mondiale, si e’ chiesto: come mai gli esseri umani potessero giungere a tali livelli d’aggressività e violenza. Giunse alla conclusione che tutto ciò che vive, presenta da una parte una pulsione alla vita, il principio del piacere, e dall’altra il principio alla distruzione, la pulsione di morte. Secondo Freud, questi due forze elementari, eros e Tanatos, si trovano anche nella mente umana e sono impegnate in un’eterna battaglia. Da un punto di vista filosofico questa visione dualistica può apparire ingenua, tuttavia, a livello pratico, può costituire un’utile traccia per analizzare tre aspetti neuropsicologici fondamentali, che voglio trattare: quello della cura, quello dell’aggressività e violenza ed infine, come possibile sintesi, quello della scelta. Inizio ora ol primo aspetto: i fondamenti neurofisiologici della cura. La cura e’ un tema centrale degli esseri viventi. Come ha sottolineato il grande filosofo tedesco Martin Heidegger, l’essere umano scopre che la sua disposizione fondamentale nei riguardi del mondo e’ la cura. Tuttavia, l’atteggiamento della cura non e’ presente soltanto negli esseri umani: esistono infatti molti livelli della cura. Il primo riguarda la cura di se’, ovvero l’autoconservazione. Gli esseri viventi si sono evoluti per prendersi cura della loro sopravvivenza. Nel phylum dei cordati, e’ il tronco dell’encefalo, insieme all’ipotalamo che garantisce e controlla l’omeostasi e la sopravvivenza. Queste strutture permettono probabilmente già ai pesci la possibilità di rappresentare il mondo, di provare piacere e dolore. La cura dei piccoli, un secondo fondamentale livello, si e’ sviluppata sopratutto nei mammiferi. Le madri si comportano come se i piccoli facessero parte del loro se’, ovvero del loro spazio omeostatico fondamentale. Il rapporto delle madri coi loro piccoli e’ mediato da specifiche emozioni: l’essere in contatto e comunicare attiva tutta una serie d’emozioni positive collegate al rilascio di particolari ormoni e neurotrasmettitori, tra i quali l’ossitocina, gli oppioidi endogeni e la dopamina. La separazione provoca sia nella madre sia nel piccolo l’emergere del dolore. Nei mammiferi sociali, sopratutto nei primati, si e’ sviluppato un terzo livello, correlato allo sviluppo del lobo frontale: la cura degli altri, che consiste nell’inclusione nel proprio se’ di parenti ed amici. La separazione dal proprio gruppo provoca nei primati: paura, ansia e dolore. L’emozione del dolore e’ molto complessa, presenta diversi livelli di rappresentazione: quelli più bassi nel midollo spinale registrano i segnali potenzialmente dannosi, mentre i più altri, rappresentati nella corteccia anteriore del cingolo e nell’insula, registrano il dolore sociale dovuto alla separazione, all’esclusione ed alla disapprovazione.

I fondamenti neurofisiologi della violenza

La violenza o aggressività intenzionale rappresentano uno dei lati più oscuri dell’umanità. Numerosi fattori di tipo biologico, socioculturale e psicologico influiscono a determinarla. Vediamo i fattori biologici ed evoluzionistici. La forma d’aggressività più diffusa tra i primati e’ probabilmente quella competitiva. Essa si manifesta nel tentativo d’assumere potere all’interno d’un gruppo per avere un accesso facilitato alle risorse: acqua, cibo e risorse. Poiché gli esseri umani tendono per caratteristiche biologiche alla poligamia, una fonte molto potente di aggressività competitiva e’ legata alla sessualità. Sembra che gli esseri umani si siano formati in gruppi di circa 150 individui uniti in popoli di circa 1.500 unita’. Gli individui che vivono all’interno d’un popolo o d’una nazione, condividono una lingua, usi e costumi e credenze apprese dall’infanzia. Questi fattori culturali scolpiscono il cervello in una maniera specifica, generando una modalità biologico culturale di separazione tra i popoli, conosciuta come pseudo speciazione culturale. Gli individui degli altri popoli, poiché hanno lingue, usi e costumi differenti, tendono quindi ad essere considerati diversi, potenzialmente pericolosi, fino alla possibilità estrema d’essere considerati non umani. Dunque, nelle comunità umane esiste un’aggressività competitiva interna, una lotta per il potere, attiva o cristallizzata nelle diseguaglianze sociali ed economiche, ed un’aggressività competitiva esterna verso gli altri gruppi. La guerra e’ la manifestazione più nota di aggressività competitiva tra popoli. Essa non e’ presente soltanto nelle civiltà tecnologiche dove negli ultimi 100 anni ha causato più di 150 milioni di morti, ma anche nelle civiltà non tecnologiche, dove la percentuale di morti per anno in guerra e’ spesso più alta che nelle civiltà tecnologiche.

Fattori socio culturali ed educativi.

Nella specie umana il periodo di maggior aggressività fisica e’ la prima infanzia tra i 2 ed i 4 anni: sia nei bambini che nelle bambine. In seguito l’aggressività tende progressivamente a diminuire, ad esclusione di un piccolo gruppo di bambini, attorno al 5% che consideriamo affetti di disturbi della condotta. Un secondo picco d’aggressività si ha nei giovani maschi dai 15 ai 25 anni. La maggior parte degli omicidi viene compiuta da giovani maschi spesso affetti da disturbi della personalità, prevalentemente di tipo antisociale. I fattori che sembrano determinare una progressiva diminuzione dell’aggressività nei bambini sono lo sviluppo del linguaggio, con la possibilità d’accedere a significati valori culturali condivisi, lo sviluppo delle capacita cognitive e del ragionamento, nonché la progressiva maturazione del lobo frontale che permette di sviluppare l’empatia, la consapevolezza e l’autocontrollo.

Consideriamo ora i fattori legati allo sviluppo psicologico.

Numerose ricerche di neuroscienze hanno studiato le modalità di sviluppo e d’organizzazione della mente umana. Vi e’ sufficiente accordo per ritenere che il sistema nervoso costruisca in ciascuno di noi una rappresentazione del mondo, del corpo e d’un agente che sta al centro della coscienza. Questo agente, attore o ego e’ una rappresentazione mentale costituita da numerosi schemi di reazione implicita, meccanismi mentali di difesa, catene di storie e memorie autobiografiche. Secondo una delle più grandi psicologhe del secolo scorso Karen Horney, il nucleo di questa rappresentazione mentale e’ costituito da una sfiducia originaria attorno alla quale tendono a formarsi numerosi strati psicologici di difesa e di offesa che corrispondono alle cosiddette emozioni distruttive.

Le basi neuropsicologiche della scelta.

Una caratteristica fondamentale degli esseri umani e’ la possibilità di scegliere, legata al notevole sviluppo del lobo frontale. Una delle funzioni più importanti di questa struttura e’ la capacita d’inibizione. Gli esseri umani sono in grdo di fermarsi, di bloccare gli automatismi, di sospendere pensieri, parole, azioni proprie, d’inibire i centri nervosi e mentali che permettono il dispiegarsi delle emozioni negative. Le strutture del lobo frontale, in coordinazione con altri centri corticali e sottocorticali, sostengono inoltre la capacita umana d’essere consapevoli nel momento presente, oppure, quando e’ utile, permettono agli individui di ricostruire il passato o d’immaginare il futuro. La dimensione temporale della mente e’ probabilmente un tratto unico degli esseri umani, un prerequisito fondamentale sia per lo sviluppo della tecnica, che della cultura. La nascita e lo sviluppo della cultura sostenuta dai grandi geni religiosi, dai letterati e dagli scienziati ha fatto progredire la consapevolezza umana fino alla comprensione di alcune verità fondamentali che riguardano l’interconnessione di tutti gli esseri viventi, il loro diritto alla vita ed alla felicita, la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani, insieme al rispetto per la terra e l’universo che ci ospita. La cultura occidentale contemporanea ritiene che la soluzione dei problemi che affliggono l’umanità (come la disuguaglianza, la violenza e le guerre) sia possibile lavorando soltanto fuori di noi, cioè nel mondo economico, sociale e politico. Non e’ sempre stato cosi. Nell’antica Grecia, due iscrizioni scolpite nel tempio di Delfi, che recitano “Conosci te stesso” e “Nulla e’ di troppo”, richiamavano il cittadino greco all’autoconoscienza ed all’equilibrio. Nella tradizione Buddhista, nel Cristianesimo dei Padri della Chiesa nel deserto, gli esseri umani vengono invitati a riconoscere le loro emozioni distruttive e a rimuoverle praticando gli antidoti, le virtu che lentamente permettono di sciogliere il lato oscuro di quel che si trova dentro ciascuno di noi. Fra gli antidoti piu importanti vi sono l’empatia e la compassione: anch’essi riconducibili al lobo frontale. Gli esseri umani possono condividere l’azione, il pensiero e l’emozione degli altri perché hanno strutture del cervello che sono in grado di sovrapporre la rappresentazione del se’ a quella dell’altro. Nella compassione, gli esseri umani non sono solo consapevoli della sofferenza altrui, ma desiderano altresì aiutarlo affinché sia liberato dalla sofferenza. Millenarie tradizioni spirituali ed alcuni sperimenti delle neuroscienze hanno evidenziato che la cura di se stessi e dell’altro, insieme con la compassione, e’ la via per poter essere felici.

http://www.francofabbro.it/index.php?/video/dalai-lama/

Vito Mancuso ha partecipato alla conferenza/dibattito nell’ambito della visita di Sua Santità il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso al capoluogo friulano. Tema dell’incontro : Dall’aggressività e dalle tante forme di violenza alla non violenza attiva e all’amorevole compassione”

1. Onnipresenza della forza e della violenza. Capire quanto la forza e la violenza ci circondano, entrano dentro di noi e giungono a impastare il nostro essere, può essere terribile.

Si tratta però del primo indispensabile passo per giungere in modo responsabile alla non-violenza attiva e all’amorevole compassione. Infatti l’azione responsabile procede sempre da una conoscenza fondata e, che lo si voglia o no, la nostra vita ha molto a che fare con la forza e la violenza, al punto che senza di esse noi non saremmo quello che siamo. La storia con le sue innumerevoli vittime ci mostra che la costituzione di stati avviene per mezzo di continue battaglie, con popoli che aggrediscono e sottomettono altri popoli e con i popoli sottomessi che per non scomparire devono a loro volta aggredire. Nonostante le felici eccezioni di India e Sudafrica, sembra proprio che la lezione complessiva della storia sia che in essa nessuno regala niente e che l’uso della forza sia condizione obbligata, se si vuole ottenere di esistere. La medesima logica vale per la politica, la dinamica sociale, l’economia, la cultura. Né vi sfuggono le religioni, con i loro anathema sit, i loro herem, le loro jihad e tutto il sangue che hanno fatto e fanno versare. La violenza emerge persino dai libri sacri, vi sono passi della Bibbia che fanno rabbrividire. E chissà che cosa realmente intendeva Gesù quando una volta disse: “Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Matteo 11,12). Il paradigma scientifico oggi dominante ci insegna a leggere la natura attraversata da ciò che Darwin chiamava struggle for life, lotta per l’esistenza. Consideriamo per esempio semplicemente noi stessi. Siamo qui a riflettere sulla non-violenza e forse alcuni di noi quest’oggi si sono nutriti di carne o di pesce, di vita cui è stata imposta una fine violenta. Altri saranno invece vegetariani, ma i vegetali non sono pur sempre vita? Quando mangiamo una carota o una patata, stiamo sopprimendo un organismo. È noto inoltre il legame tra eros e thanatos, tra l’amore sessuale e la morte, e ogni giorno sui giornali si legge quanta violenza discende dalla sessualità e dalle energie che essa suscita. Per questo chi vuole coltivare la non- violenza attiva ha spesso un regime alimentare strettamente vegetariano e vive la castità. Ma anche nel suo organismo le cellule killer del sistema immunitario sopprimono i microrganismi patogeni: anche nel più convinto non-violento seduto qui tra noi, il sistema immunitario compie fedelmente il lavoro violento per il quale è stato programmato.

2. Le conseguenze negative. Prendere consapevolezza di tutto ciò, dicevo, può essere terribile. Può condurre a un sentimento rabbioso verso la vita e a una condotta tesa unicamente ad aggredire all’insegna della volontà di potenza: “la logica della vita è la forza e la violenza e io quindi sarò forte e violento”. Tale visione ha avuto nella filosofia di Nietzsche la consacrazione teoretica e nel nazifascismo la consacrazione politica, e alla luce del terzo principio della dinamica di Newton (“a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”) si può essere certi che essa condurrà sempre e comunque alla guerra. La consapevolezza della violenza può far sorgere al contrario un senso di cupa sfiducia verso la vita coltivando l’idea che sarebbe stato meglio non nascere, una visione pessimista dell’esistenza che ha generato in occidente non poche tradizioni religiose (gnosticismo, manicheismo, catarismo) e non poche filosofie (un nome per tutti, Schopenhauer).

3. “Il peccato del mondo”. Io non accetto né l’una né l’altra prospettiva, ma nutro un senso di fiducia verso la vita in quanto capace di bene e giustizia. Ho però a questo punto l’obbligo di rispondere a una domanda: conoscendo la logica della forza in cui è radicata la vita, com’è possibile continuare a vivere all’insegna del bene e della giustizia? Se la vita è lotta, chi non vuole lottare ma entrare in comunione con gli altri viventi in amorevole compassione, non è necessariamente un illuso? Nel rispondere a questa questione si gioca il senso dell’esperienza spirituale. Cerco di precisare ancora meglio la questione: se la vita è aggregazione, è possibile aggregare senza aggredire? è possibile aggregabilità senza aggressività? è possibile aggregazione senza aggressione? Nel Vangelo compare uno strano concetto: “il peccato del mondo”. Giovanni il Battista vede passare Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Non “i peccati” del mondo, come banalizza la liturgia della Messa, ma “il peccato” del mondo. Che cosa indica questo strano concetto? Io vedo in esso la necessaria dose di forza e di violenza per rendere possibile l’aggregazione del mondo, sia in quanto natura, sia in quanto storia, economia, società. Allora la domanda diviene: è possibile essere mondo senza essere peccato? Oppure, per essere senza peccato, è inevitabile non essere più mondo?

4. Distinguere forza e violenza. Ho detto all’inizio che capire il ruolo della violenza nella vita è il primo indispensabile passo per giungere in modo responsabile alla non-violenza attiva e all’amorevole compassione. Compio ora un passo fondamentale: la distinzione tra forza e violenza. La violenza, come indica il nome, è violazione: essa non è originaria, è parassitaria, per esistere ha bisogno di qualcosa che la precede. Ciò che la precede è la forza. La forza è originaria, la violenza no. La forza, nella quadruplice forma a noi conosciuta (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole), è ciò che consente all’energia di non essere caos ma lavoro, capacità di compiere lavoro. La forza è la grande matrice del mondo. Se noi esistiamo, se la vita è apparsa e si è evoluta, se le nostre menti possono pensare e giudicare, è grazie alla forza che inserisce logos (o se preferite, dharma) all’interno del caos. La forza è principio di organizzazione. La violenza invece è violazione di tale principio, nel senso che usa la forza non a favore dell’organizzazione generale del sistema ma per favorirne una parte, quindi creando squilibrio e portando al caos. Il risultato della violenza infatti è sempre il disordine. C’è quindi un uso della forza che non è violento e ce n’è un altro che è violento. L’uso non violento della forza non vìola, ma al contrario serve l’equilibrio dinamico del sistema. Ne viene, a mio avviso, una conseguenza importante: se coltivare la non-violenza significa sostenere sempre e comunque l’assenza di forza, si tratta, a mio avviso, di un errore, perché la vita, senza la forza, non è. Non-violenza deve essere piuttosto esercizio giusto della forza, esercizio che non vìola ma crea coesione, che combatte il caos sempre minaccioso, che nutre il delicato equilibrio della vita.

5. Amorevole compassione e amore del prossimo. In questa prospettiva emerge il senso della compassione, cioè della passione-con, della comunione con la passione altrui. Essendo la vita impastata dalla forza, alla passione e al patire non è possibile sfuggire. Volenti o nolenti, se viviamo siamo soggetti alla forza e quindi esposti al patire. L’amorevole compassione buddhista e l’amore cristiano del prossimo rimandano entrambi al patire-con, al portare i pesi gli uni degli altri, al vivere a livello interpersonale la legge fondamentale della relazione mediante la forza all’insegna dell’armonia ed escludendo ogni violazione-violenza. In questo senso Giovanni il Battista vedendo passare Gesù dice: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Ecco cioè chi, pur essendo mondo, non è tuttavia peccato; ecco chi vive e insegna la possibilità di aggregazione senza la minima aggressione. Io sono sicuro che se avesse visto passare il Buddha, oppure Sua Santità il Dalai Lama, avrebbe potuto dire la stessa cosa, perché anche in loro si dà una modalità di essere mondo, cioè di essere forza, da cui è assente ogni traccia di violazione-violenza. Essere mondo senza essere peccato; essere forza senza essere violenza; essere forza come amore e come amorevole compassione: io non conosco nulla di più sublime e di più luminoso per cui spendere la vita.