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La guerra agli Usa del colonnello
Marzo 3rd, 2010 by admin

Di Francesco SisciLa Stampa – 02.03.10

PECHINO – La Cina dovrebbe accelerare per diventare numero 1, creare le forze armate più potenti del mondo e spodestare gli Stati uniti come “campione” globale. Questo in una frase il “Sogno cinese” (Zhongguo meng) secondo l’autore dell’omonimo libro, il colonnello superiore Liu Mingfu. L’ufficiale, con un grado equivalente in sostanza a un nostro generale di brigata, non si fa illusioni sulle conseguenze di questo sogno. Esso potrebbe allarmare Washington e portare a una guerra nei prossimi 10- 20 anni nonostante le speranze di Pechino per una ascesa pacifica, come prescrive la dottrina ufficiale sostenuta da Zheng Bijian, il consigliere politico del presidente Hu Jintao. Il volume è estremamente diretto, ancora più dei molti altri libri nazionalisti usciti negli ultimi due anni, dopo che la crisi economica americana ha all’improvviso fatto avanzare di molti gradini la posizione cinese nella politica internazionale. Liu afferma per la prima volta senza infingimenti un dubbio nutrito in silenzio da anni da tanti intellettuali cinesi: “Se anche la Cina diventasse capitalista come e più degli Stati uniti, l’America farebbe comunque di tutto per contenerla”. La rivalità tra Cina e America non è quindi una questione di ideologia, sistema politico o economico, ma una variante moderna del vecchio gioco a somma zero della geopolitica ottocentesca. In cima ci deve essere un capo, e gli Usa vogliono mantenere la loro posizione e quindi devono fermare la crescita cinese, spiega Liu. Perciò la Cina deve approfittare del momento di presente difficoltà americane, e affrettare lo sviluppo per conquistare la prima posizione. La voce di Liu non è isolata ma neppure senza opposizioni. Due anni fa, intorno al periodo delle olimpiadi Wang Xiaodong e altri pubblicarono il controverso “La Cina non è contenta” (Zhongguo bu gaoxin) che chiedeva un ruolo maggiore del paese nell’arena internazionale. Dopo quel libro ne uscirono un’altra dozzina su temi simili, ma non tutti cantavano le lodi del nuovo nazionalismo. Alcuni, facendo il verso al titolo scandaloso, dichiaravano che la Cina invece era contenta per tutto lo sviluppo economico e il benessere materiale che era arrivato con le riforme. Così anche oggi il panorama delle opinioni intorno al libro non è univoco. Anche oltre alla posizione ufficiale sostenuta da Zheng, molti uomini d’affari, certo una delle forze che più spingono e hanno spinto proprio l’accelerazione economica voluta da Liu, scuotono la testa. “Alcuni cinesi si stanno comportando proprio come fece il Giappone negli anni ’80 – dice un dirigente di una grande banca – Allora Tokyo, intossicata dalla crescita economica credette nel libro-manifesto ‘Il Giappone numero 1’, pensava di superare l’economia Usa, di comprarsi mezza America. E come è finita? Che il Giappone è entrato in un periodo di ormai quasi 25 anni di depressione”. Per evitare questo destino il banchiere e tanti come lui nel governo pensano che bisogna mantenere la calma anche perché in realtà la capacità di evitare conflitti e guerre in questi 30 anni di riforme cinesi è stata la condizione per lo sviluppo attuale. Solo alzare la voce, parlare di rischi di scontri violenti con l’America crea una cattiva atmosfera per gli affari. Qui il vero obiettivo è rafforzare il G2 di fatto con gli Usa, non andare allo scontro. D’altro canto però trova molte simpatie l’appello di Liu a respingere con durezza l’America su questioni come la vendita di armi a Taiwan, l’incontro con il Dalai Lama, la questione dei diritti umani. Su tutte queste complesse agende Washington negli ultimi anni ha perso di credibilità davanti al pubblico cinese. Molti in Cina, anche moderati, credono sempre di più che Washington usi questi temi in maniera speciosa solo per creare difficoltà a Pechino e in ultima analisi ostacolare la crescita politica della Cina. Tanti pensano che nonostante nel 2009 la Cina abbia contribuito per circa il 50% della crescita economica globale, essa resta quasi nell’angolo dei cattivi tra gli altri potenti del mondo. A questa campagna vista come discriminatoria Liu propone di rispondere uscendo alla scoperto e affermando le legittime ambizioni cinesi. Altri sanno che in questi termini il sogno cinese rischia di trasformarsi in un incubo per molti altri. Però sempre meno cinesi credono che sia utile e vero farsi fare prediche di umanità e democrazia da un paese come l’America che oggi ha e ha creato tanti problemi a casa sua e all’estero. Questi risentimenti profondi all’estero sono trattati solo come frutto della propaganda del regime, ma i moderati spiegano che qui è il frainteso profondo che dà voce alle tesi di Liu.

 


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