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Sul Tibet la Cina impari la lezione di Solidarnosc
Dicembre 4th, 2008 by admin

Repubblica — 04 dicembre 2008   pagina 38   sezione: POLITICA ESTERA

Berlino «Venticinque anni fa, col Nobel conferitomi, fu aiutato un processo positivo per tutti. Adesso, celebrando l’ anniversario insieme al Dalai Lama, ad altri Nobel, a Sarkozy, dobbiamo lanciare da Danzica un segnale al mondo: aiutiamo gli oppressi a una via pacifica di negoziato e compromessi verso la libertà. Funzionò da noi, può funzionare altrove: ricorda? Avemmo il Nobel io, vincitore, ma anche Gorbaciov, sconfitto, che seppe accettare compromessi e rifiutò soluzioni violente». Lech Walesa spiega a Repubblica le proposte che lancerà domani e sabato. Presidente, che emozioni e sentimenti provò allora? «Mi aspettavo grandi cambiamenti. Ma quel che conta è che dovremmo ripetere il copione, a livello mondiale. Magari mi dessero un altro Nobel, tornerei alla ribalta». Oggi l’ Europa è unita e libera, ma molti altri paesi sono oppressi. «Gli ex paesi comunisti hanno realizzato profonde trasformazioni e riforme, ma nel mondo resta molto da fare. La nostra lotta chiuse la Guerra fredda, ma aprì anche una nuova era che approdò alla globalizzazione. Si creò però uno status quo adeguato alla vecchia era, non alle nuove sfide. Dobbiamo riformare le strutture a livello mondiale. In tempo per evitare un collasso globale». Quali sono le sfide più urgenti? «I paesi oppressi dovrebbero liberarsi dalle dittature. <!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –> Tutti insieme dobbiamo ripensare il mondo della globalizzazione. Vedo tre sfide: primo, le oppressioni dittatoriali. Secondo, i paesi postcomunisti devono ancora fare molto per raggiungere le democrazie mature. Terzo, la ricerca di soluzioni globali». Dittature e oppressione – dal Tibet all’ Iran – oltre a reprimere, spesso minacciano la pace. L’ Europa le sembra conscia di ciò? «L’ Europa è la parte del mondo più conscia di questi pericoli e insieme quella che fa di meno per affrontarli. Stiamo andando verso un unico Stato europeo, ma mantenendo vecchie strutture. Dovremmo invece pensare e offrire al mondo nuove soluzioni». Il Dalai Lama incontrerà lei e Sarkozy, proprio a Danzica, città-simbolo. Che peso ha questa scelta? «La questione è che la Cina partecipa appieno alla globalizzazione ma con un sistema di valori completamente diverso dal nostro, su diritti umani, diritti dei lavoratori e altro. Se non raggiungiamo un compromesso siamo condannati a un conflitto con la Cina. Gli incontri col Dalai Lama qui saranno tesi alla ricerca di soluzioni adottabili in Cina. Non dobbiamo andare al confronto con la Cina, ma incoraggiarla a cambiare alcune sue regole. Come la libertà di spostamento». Cosa si aspetta dai colloqui del Dalai Lama con lei e con Sarkozy? «Ho incontrato spesso il Dalai Lama, ci conosciamo bene. Siamo d’ accordo su molti temi. Quanto a Sarkozy, spero che non dica solo che non vogliamo il confronto con la Cina e che Pechino è indispensabile alla globalizzazione. Ma anche che una globalizzazione senza una Cina che dialoga e si apre, è incompiuta». Sarà questo il messaggio di Danzica? Offrire alla Cina compromessi, come quando lei e Jaruzelski negoziaste rinunciando allo scontro? «Dobbiamo dire ai dirigenti cinesi che sono rudi, a volte un po’ cattivi: pretendono di decidere con chi noi possiamo parlare o no. Devono smetterla di farlo. Vogliamo mostrare alla Cina che se si apre e accetta compromessi, può esserci una via comune. Le leggi sulla libertà di viaggio sono importantissime. Perché la Cina non pensa ad aprirsi come l’ Europa e costruire una Ue asiatica?» Spera in un nuovo impulso da Barack Obama? «Obama ha vinto perché ha parlato di bisogno di cambiamento. Certo, ogni americano ha la sua idea di cambiamento. Gli Usa non devono dimenticare di essere rimasti l’ unica superpotenza. Ora l’ Impero del Male non c’ è più, gli Usa devono darsi un nuovo ruolo per la riforma del mondo. Obama è stato eletto anche per questo». Tornando al Tibet e ad altri drammi: le dittature rispondono alla non violenza con la violenza. Allora solo le rivoluzioni violente potranno sconfiggerle? «Noi dimostrammo che si può vincere senza violenza. E’ tempo di ricordarlo al mondo. Più solidarietà per affrontare insieme i problemi. Venticinque anni fa non speravamo ancora di sconfiggere il comunismo, poi ci riuscimmo, ma giustamente il Nobel andò anche a Gorbaciov lo sconfitto». La via non violenta alla polacca come ricetta globale? «Sì. Anche dove non sembrano esserci speranze. Non sembravano essercene neanche da noi. Io con la mia esperienza sono a disposizione». – ANDREA TARQUINI

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