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Un ex monaco tibetano si è dato fuoco a Ngaba
Febbraio 8th, 2012 by admin

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Un ex monaco si dà fuoco in Tibet contro l’occupazione cinese. È il 21mo dal marzo 2009. È un ragazzo di diciannove anni, Rinzin Dorjee, ex monaco del monastero di Kirti. Aveva lasciato il monastero nel 2010 e viveva con la sua famiglia. La polizia ha domato le fiamme e lo ha fatto ricoverare prima all’ospedale di Ngaba e, in un secondo momento, all’ospedale di Barkham, la capitale della Prefettura autonoma di Ngaba. Non si conoscono con esattezza le sue condizioni ma, secondo alcune fonti, la scorsa notte Rinzin era “in punto di morte”. Il nuovo episodio, il ventunesimo dal marzo 2011, è avvenuto nelle vicinanze della scuola primaria di Ngaba, alle ore 18.30 locali. “Un tibetano si è dato fuoco gridando slogan contro il governo cinese”, ha riferito un tibetano appartenente al monastero di Kirti in India citando un suo contatto all’interno della regione. Secondo testimoni oculari sembra che trattarsi di un monaco, ma ancora non si hanno notizie precise sulla sua identità. “È stato immediatamente portato via dalla polizia e dai soldati e al momento non sappiamo dove sia e quali siano le sue condizioni”, riferisce la fonte all’interno del Tibet. La notizia del nuovo caso di auto immolazione arriva nel giorno in cui i tibetani della diaspora, rispondendo all’appello del governo di Dharamsala, manifestano in questo giorno di fronte alle ambasciate cinesi in tutto il mondo e organizzano fiaccolate e veglie di preghiera in segno di solidarietà con i compatrioti. La scorsa settimana, il Primo Ministro Lobsang Sangay aveva invitato i tibetani in esilio a manifestare, il giorno 8 febbraio, “per far sapere alla Cina che la violenza e l’uccisione di tibetani innocenti sono inaccettabili”. “La violenza e le uccisioni non riporteranno stabilità in Tibet” – aveva dichiarato Lobsang Sangay. “La soluzione della questione tibetana e una pace durevole saranno possibili soltanto se saranno rispettati i diritti umani del popolo tibetano e attraverso il dialogo”. Aveva inoltre chiesto alla comunità internazionale di levare la propria voce a sostegno dei diritti fondamentali dei tibetani e, rivolto alle Nazioni Unite, aveva auspicato l’invio in Tibet di una delegazione in grado di accertare i fatti e il libero accesso al paese degli organi di informazione. “Udiamo il vostro grido in modo forte e chiaro”, aveva detto Lobsang Sangay rivolgendosi ai tibetani in Tibet. “Vi chiediamo di non cedere alla disperazione e di astenervi da atti estremi”. “Sentiamo il vostro dolore e non lasceremo che i vostri sacrifici siano vani, siete nei nostri cuori e nelle nostre preghiere tutti i giorni”. Sulla stessa linea anche le parole della signora Dicki Chhoyang, Ministro delle Informazioni e Relazioni Internazionali. “Atti estremi, quali le auto immolazioni, non sono soltanto un segnale di protesta ma esprimono il rifiuto del protrarsi dell’occupazione e delle politiche repressive del governo cinese”, si legge in un comunicato stampa del 6 febbraio. Dopo aver ringraziato i gruppi di sostegno al Tibet e i governi stranieri che in questo difficile momento hanno manifestato la propria preoccupazione per la situazione in Tibet, la signora Chhoyang si è rivolta alla dirigenza di Pechino: “Chiediamo al governo cinese di accogliere le richieste dei tibetani perché questa è l’unica via per porre fine alle crescenti tensioni nella regione e al confronto che da tempo contrappone il popolo del Tibet e il governo cinese”. Ha quindi invitato tutti i tibetani in esilio a partecipare alle manifestazioni e alle veglie del giorno 8 febbraio. Sull’argomento è intervenuto con un lungo comunicato anche Ogyen Trinley Dorje, il XVII Karmapa Lama. Precisando che, essendo tibetano, “le sue parole sono dettate da un sentimento di grande simpatia e affetto per il suo popolo”, il Karmapa ha detto tra l’altro: “Le dimostrazioni e le auto-immolazioni dei tibetani sono un sintomo di profonda, ma non riconosciuta, insoddisfazione. Se ai tibetani fosse data un’opportunità reale di condurre le proprie vite come vogliono, preservare il proprio linguaggio, religione e cultura, non dimostrerebbero mai e tanto meno sacrificherebbero le proprie vite”. “Chiedo alle autorità di Pechino di guardare al di là della parvenza di benessere vanto dei dirigenti locali. Riconoscendo il reale disagio che vivono i tibetani e assumendosi la piena responsabilità di cosa accade in Tibet, le autorità potrebbero mettere una vera base per costruire fiducia reciproca fra tibetani e cinesi”. “Invece di trattare questa questione come un caso di opposizione politica, sarebbe più efficace se le autorità iniziassero a trattarla come una questione di benessere umano di base”. “In questi tempi difficili, mi appello con forza ai tibetani in Tibet: rimanete sinceri con voi stessi, mantenete la vostra equanimità nonostante le difficoltà e concentratevi sul lungo periodo”. “Tenete sempre a mente che le vostre vite hanno un grande valore, come esseri umani e come tibetani. Mentre si avvicina il Nuovo anno tibetano, prego affinché i tibetani, i nostri fratelli e sorelle cinesi e i nostri amici e sostenitori in India e in tutto il mondo possano trovare la felicità durevole e la vera pace. Possa il Nuovo anno aprire un’era di armonia, caratterizzata dall’amore e dal rispetto reciproco e per la terra, la nostra casa comune”.

Le proteste in Tibet

Sono proseguite i giorni scorsi in Tibet le manifestazioni di protesta. Sabato 4 febbraio, a Wonpo, una cittadina della regione di Dzachukha, nel Tibet orientale, un gruppo di tibetani, saliti sul tetto di una scuola, ha sostituito la bandiera cinese con quella tibetana. L’intera zona è sotto stretta sorveglianza, negozi e ristoranti sono chiusi ed è stato proibito alle persone di spostarsi liberamente.

Domenica 5 febbraio le forze di sicurezza cinesi hanno arrestato quattro tibetani che avevano pacificamente dimostrato di fronte alla stazione di polizia di Dzatoe-Khangmar, nella regione tibetana del Kham. I tibetani chiedevano l’indipendenza del Tibet e il ritorno del Dalai Lama.

È di ieri l’ennesima presa di posizione delle autorità cinesi di fronte al dilagare delle proteste. Liu Weimin, un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato che “il governo cinese soffocherà in modo risoluto ogni tentativo di invito alla violenza o di minaccia all’unità e all’integrità nazionale”. Le accuse di Liu erano rivolte agli attivisti in esilio e allo stesso Dalai Lama. “Riteniamo che le manifestazioni siano state organizzate e orchestrate da qualcuno che agisce dietro le quinte” – ha affermato il portavoce che ha proseguito accusando il Tibetan Youth Congress di aver dato inizio a una campagna di raccolta – firme in cui si chiede ai tibetani di essere pronti ad auto immolarsi in luoghi e momenti diversi.

Nuova dichiarazione di Lobsang Sangay

Dharamsala, 8 febbraio 2012. “Centinaia di mezzi carichi di personale militare dotato di  fucili automatici si stanno dirigendo verso il Tibet” – ha dichiarato oggi il Primo Ministro Lobsang Sangay. “Temiamo che il governo cinese si appresti a compiere qualche azione con tragiche conseguenze”. “È tempo che gli Stati Uniti e le nazioni europee intraprendano azioni concrete e chiedano l’invio in Tibet di rappresentanti per investigare sulla realtà dell’escalation militare, sulle ragioni della repressione, le morti, le torture e le auto immolazioni”.

Fonti: Phayul – TibetNet, Associazione Italia-Tibet


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