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Tibetano si dà fuoco in protesta contro la repressione cinese
Agosto 8th, 2012 by admin

Self-immolation-TibetTibetano si dà fuoco in protesta contro la repressione cinese

Fonti locali confermano che l’uomo è vivo. La sua identità resta però sconosciuta. Direttrice di Free Tibet critica i media internazionali concentrati a coprire le prodezze dei super- atleti cinesi alle Olimpiadi.

Ngaba (AsiaNews) – Un tibetano si è dato fuoco ieri pomeriggio a Ngaba (Sichuan). Secondo testimoni oculari le autorità cinesi hanno subito spento le fiamme sul corpo dell’uomo, che versa in gravi condizioni, ma è vivo. La sua identità è ancora sconosciuta, subito dopo l’incidente le autorità l’hanno prelevato a trasportato lontano dal centro, dove si erano già accalcate decine di persone. Dopo l’ennessima autoimmolazione di protesta contro l’occupazione cinese del Tibet, i residenti di Ngaba hanno nominato la piazza centrale della città, “piazza dei martiri”. Stephanie Bridgen, direttrice di Free Tibet, nota che “mentre i media mondiali sono concentrate sulle vicessitudini dei super-atleti cinesi, la repressione di Pechino spinge i tibetani ad autoimmolarsi nel silenzio totale di giornali, televisioni e agenzie di stampa internazionali”. La Bridgen sottolinea che la Cina partecipa ai Giochi olimpici nonostante le continue violazioni dei diritti umani, già al culmine durante le Olimpiadi di Pechino 2008″. Alla comunità e ai media internazionali impegnati nel seguire i Giochi, la direttrice di Free Tibet consiglia di iniziare “a difendere i diritti umani, invece di celebrare solo la grandezza della macchina umana”. Dal marzo 2011, oltre 40 tibetani, religiosi e laici, si sono dati fuoco in protesta contro la repressione delle autorità cinesi che sorvegliano anche la pratica del culto e dispone l’apertura e la chiusura dei monasteri. Il Dalai Lama ha sempre sottolineato di “non incoraggiare” queste forme estreme di ribellione, ma ha elogiato “l’audacia” di quanti compiono l’estremo gesto, frutto del “genocidio culturale” che è in atto in Tibet ad opera della Cina. Pechino risponde attaccando il leader spirituale tibetano, colpevole di sostenere gesti estremi di “terroristi, criminali o malati mentali”.


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