S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Zurigo 4

QUARTA parte degli

INSEGNAMENTI DI SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA

LA VIA AL SUPERAMENTO DELLE EMOZIONI PERTURBANTI

5 – 12 agosto 2005, Zurigo, Svizzera

Commentario ai testi

Bodhicharyavatara (Introduzione alla via del Bodhisattva) di Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=470

Bhawanakrama (Livello intermedio della meditazione) di Kamalashila

Appunti, traduzione dall’inglese ed editing dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa, del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Sabato 6 agosto mattino

SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA

EQUANIMITÀ

Abbiamo precedentemente visto la necessità di liberarci dall’attaccamento, di sviluppare uno stato di libertà svincolato dall’attaccamento ossessivo, di generare una condizione amorevole basata sull’equilibrio indiscriminato verso tutti gli esseri, facendo nascere, in sostanza, un sentimento d’equanimità universale.

Come ci sentiamo, invece, nei riguardi di chi avvertiamo come più vicino a noi?

Proviamo un senso d’intimità.

Quale sentimento avvertiamo quando questa persona, che sentiamo vicina al nostro cuore, sta male?

Proviamo dolore e stiamo male anche noi.

E, viceversa, cosa ci sentiamo di fronte ad un nemico sofferente?

Lo avvertiamo distante da noi.

Ora, gli esseri non vogliono sperimentare nemmeno la più sottile sofferenza, anzi desiderano la felicità. In questo sono tutti uguali. E tutti abbiamo il diritto di liberarci dalla sofferenza, ma con equanimità, vale a dire ponendo tutti sullo stesso piano, indiscriminatamente, senza badare ad amici o nemici.

UGUALMENTE, TUTTI ABBIAMO IL DIRITTO D’OTTENERE L’ONNISCIENZA, SENZA DIMENTICARE TUTTAVIA UNA SOTTILE DISTINZIONE: L’ESIGENZA DEL SINGOLO È MOLTO MENO IMPORTANTE DI QUELLA DELL’INFINITA MOLTITUDINE DEGLI ESSERI.

Ai fini della realizzazione dell’onniscienza, è perciò più importante l’infinità degli esseri rispetto ad una minoranza.

Se penso: “Io da solo posso ottenere la felicità”. Se sono mosso dall’egocentrismo non riuscirò a liberare nemmeno me stesso. Condizionato da questo vincolo dell’egocentrismo, sebbene abbia prodotto qualsiasi sforzo per realizzare l’onniscienza, tutti i miei tentativi saranno infruttuosi: non ce l’ho fatta e non potrò farcela.

Quindi, se ci occupiamo degli altri ne deriva un beneficio anche personale, ed in questo modo si sviluppa coraggio. Non è un caso che anche chi nella società si occupa degli altri è coperto dalla stima della comunità. Su quella persona ricade un ritorno estremamente benefico. Ne ricava un beneficio interiore, che si tramuta in benessere anche fisico, e sviluppa coraggio.

LA PRATICA DELL’EQUANIMITÀ, DI METTERE TUTTI SULLO STESSO PIANO PORTA A SVILUPPARE CORAGGIO.

Tutti gli esseri aspirano alla vera libertà, anche la più sottile.

Se, invece, si è mossi dalla vera ossessione del sé, si pensa solo a sé stessi, non si trova pace, si è perennemente preoccupati, finendo per cadere inesorabilmente in preda alla mente egoistica. Perciò, se si ragiona con la mente egoistica non si riuscirà a liberare alcunché, né tantomeno a sviluppare coraggio.

Viceversa, sviluppando la mente altruistica si ricevono dei benefici. Partendo dal presupposto che rappresento solo un individuo, mi renderò conto sia che gli altri costituiscono un numero infinito sia della conseguente rilevanza che assumono. Per questo motivo il numero degli esseri da liberare acquista un’importanza enorme. Per questa stessa ragione dobbiamo comprendere quanto sia determinante generare un senso d’immensa compassione verso tutti gli esseri.

LA NOSTRA STESSA POSSIBILITÀ D’OTTENERE LA FELICITÀ PERSONALE RISULTA OSTACOLATA, BLOCCATA, DAL NOSTRO ATTEGGIAMENTO EGOCENTRICO CHE C’IMPEDISCE DI PERSEGUIRE ANCHE IL NOSTRO BENE PERSONALE.

Da tempo senza inizio non c’è un solo essere che non abbia avuto come parente ed amico ogni altro suo simile, perciò abbiamo sviluppato relazioni da cui abbiamo raccolto benefici da tutti gli esseri indiscriminatamente, mentre, in generale, abbiamo la tendenza a lasciarci coinvolgere solo dalle persone care, intrattenendo con loro dei rapporti privilegiati e riversando su di loro tutto il nostro affetto.

RICONOSCERE LA NATURA DELLA SOFFERENZA

Viceversa, nei riguardi dei nemici ci può sfuggire di dire: “Che soffrano pure, se lo meritano”.

AL CONTRARIO, TUTTI QUANTI ABBIAMO IL MEDESIMO DIRITTO D’OTTENERE LA FELICITÀ. QUINDI, CONTA MOLTO DI PIÙ LA FELICITÀ DELLA MOLTITUDINE DELL’INFINITO NUMERO DI ESSERI, PIUTTOSTO CHE QUELLA PARTICOLARE D’UN UNICO INDIVIDUO.

Parrebbe, a prima vista, che l’intento dell’attaccamento e dell’avversione sia volto a favorire il raggiungimento dei nostri scopi, rendendoci attratti dalle condizioni favorevoli e, viceversa facendoci sbarazzare di quelle avverse.

Ma non è così.

Pensando alle ragioni dell’uno, l’atteggiamento egoistico, e dell’altro, quello altruistico, ci rendiamo conto che l’attaccamento è ottenebrante.

Buddha Shakyamuni ha mostrato le qualità della compassione. Viceversa, questa continua preoccupazione verso noi stessi rappresenta un ostacolo all’ottenimento della felicità. Con l’egocentrismo non riusciamo neanche a perseguire il nostro bene personale, mentre l’altruismo ci permette di farlo.

LA MENTE DELL’AVVERSIONE HA LA PECULIARITÀ D’INGIGANTIRE A DISMISURA LE NEGATIVITÀ DELL’OGGETTO CHE HA PRESO DI MIRA. Infatti, per il 90% dei casi questa esagera.

Il che costituisce il risultato d’una mera sovrapposizione, d’un pregiudizio, che impedisce di vedere le cose come sono, proprio perché tendiamo ad allontanare ciò che ci risulta sgradito e, viceversa, ad attaccarci a ciò che ci piace.

La percezione realistica viene, infatti, completamente oscurata dalla mente dell’attaccamento, impedendoci di raggiungere dei risultati autentici, il che non ci arreca alcun vantaggio. Per questo motivo, invece di veri risultati otteniamo, senza esserne consapevoli, dei frutti meramente distorti.

LA MENTE OTTENEBRATA, IN PREDA ALL’ATTACCAMENTO PER LE CONDIZIONI ILLUSORIE, CI PORTA A SCONTRARCI CON UNA CONTINUA SERIE DI PROBLEMI.

Al contrario, se riusciamo ad entrare in sintonia con la realtà vera, finiamo per ottenere proprio i risultati ambiti.

L’animosità è un sentimento indirizzato contro qualcuno che ci ostacola: se ci riflettiamo, troviamo che anch’esso è un frutto dell’immaginazione. E’ il frutto di quell’oscuramento che ci fa provare ostilità verso chi ci si para davanti.

L’attaccamento è ottenebrante, lo affermava anche un famoso psicoterapeuta quando ribadiva che il 90% di quanto è percepito della nostra mente in collera è frutto della pura distorsione, prodotto della fantasia, una mera sovrapposizione all’oggetto: il risultato della percezione distorta della realtà.

LA MENTE OSCURATA S’ABBANDONA A FANTASTICHERIE, PERCEPISCE ERRONEAMENTE E NON COMPRENDE I FENOMENI COME EFFETTIVAMENTE SONO.

La realtà effettiva risulta così in contrasto con la nostra percezione. All’opposto, la percezione vera blocca la mente dell’attaccamento che è ottenebrante.

Di conseguenza, l’attaccamento e l’avversione non ci apportano alcun beneficio. Proprio perché si tratta di sensazioni sempre molto ottenebranti e, quindi, antitetiche all’effettivo beneficio agognato.

Proviamo ostilità, e, mossi da questa, cerchiamo di raggiungere i nostri fini. Siamo entrati, a questo punto in un vicolo cieco, perché siamo caduti in preda all’oscuramento, a sua volta dipendente dall’emozione istintiva. E’ proprio l’oscurazione mentale a distorcerci la realtà.

PERCIÒ, LA PERCEZIONE DELLE COSE PER LO PIÙ RISULTA FRUTTO DI MERA FANTASIA, NON CORRISPONDE ALLA REALTÀ, E L’ATTACCAMENTO DERIVA DALLA DEFORMAZIONE DELLA REALTÀ STESSA.

Ora, occorre trovare delle valide ragioni che aderiscono alla realtà dei fatti. L’atteggiamento realistico consiste nel prender atto del desiderio di voler raggiungere la felicità, di farla propria e di ripudiare la sofferenza.

Perciò, il processo corretto consiste nell’analizzare i fenomeni, per poi sviluppare all’infinito amore e compassione.

Da tempo senza inizio abbiamo provato sofferenza nel samsara, derivante dal divenire ciclico.

PER NATURA, TUTTO CIÒ CHE SCATURISCE DA KARMA E AFFLIZIONI NON È ALTRO CHE SOFFERENZA STRUTTURALE, OMNIPERVASIVA E CONDIZIONATA. TUTTO CIÒ CHE DERIVA DA KARMA E KLESHA, GLI AGGREGATI CONTAMINATI, I DIFETTI MENTALI, COMPORTA SOFFERENZA PER NATURA PERVASIVA E SOFFERENZA STRUTTURALE.

COS’È L’IO?

Cos’è questo io imputato su questi aggregati? Ma chi è quest’io? Cos’è questa mente che concepisce, aderisce a quest’io tanto speciale?

La mente innata lo percepisce come una forma, identificandosi in essa. Così dico: “Io sono giovane, anziano. Io penso, io sento”. Lo affermo sulla base degli aggregati.

C’è un io, un’anima immortale permanente, inalterabile, un’entità necessaria?

Ed ancora, esiste l’io trasmesso da una rinascita all’altra?

SECONDO IL BUDDISMO, C’È UN IO, MA NON ESISTE UN IO SEPARATO, INALTERABILE, CHE NON DIPENDA DAGLI AGGREGATI.

Dal momento che non esiste un io svincolato dagli aggregati, di conseguenza, l’io varia in base agli aggregati.

PERCIÒ, DA UN LATO ESISTE UN IO IMPUTATO SULLA BASE DEGLI AGGREGATI, IL CHE È UNA VERA IMPUTAZIONE, MA, DALL’ALTRO, NON ESISTE UN IO RITROVABILE IN CIASCUNO DEGLI AGGREGATI. Altrimenti, non potrei dire: “Io sono di mezza età. Io sono giovane, anziano”. E, lo posso affermare proprio perché lo faccio in rapporto agli aggregati, che sono variabili. Il corpo grossolano è unito ad una coscienza: nelle scritture buddiste si parla d’un io, d’un identità, d’una persona come coscienza o come stati di coscienza. Nagarjuna, negli “Stadi della via di mezzo”, sosteneva che non esiste un io ritrovabile in nessuno degli aggregati.

Colophon

Questa prima bozza d’appunti, a cura d’Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti che Sua Santità il XIV Dalai Lama conferì dal 5 al 12 agosto 2005 a Zurigo, Svizzera, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole di Sua Santità il Dalai Lama, tradotte dal tibetano in inglese da Ghesce Dorje ed in italiano da Anna Maria De Pretis, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.


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