DECIMA parte degli
INSEGNAMENTI DI SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA
LA VIA AL SUPERAMENTO DELLE EMOZIONI PERTURBANTI
5 – 12 agosto 2005, Zurigo, Svizzera
Commentario ai testi
Bodhicharyavatara (Introduzione alla via del Bodhisattva) di Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=470
Bhawanakrama (Livello intermedio della meditazione) di Kamalashila
Appunti, traduzione dall’inglese ed editing dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa, del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA
BODHICHARYAVATARA
LA PAZIENZA È L’ANTIDOTO ALLA RABBIA
Ricordiamoci, a proposito della virtù della pazienza, che questa rappresenta l’antidoto eccellente e fondamentale contro l’odio, l’ostilità e la rabbia.
Non è tanto difficile comprendere che il corpo degli altri è impuro, ma quanto è difficile capire che anche il nostro lo è.
Diventa perciò sempre più importante raggiungere e mantenere la stabilità mentale per il conseguimento del proprio benessere, per raggiungere stadi elevati di realizzazione. …
Una volta che i Bodhisattva hanno conseguito tutti i requisiti per realizzare shinè e l’introspezione speciale, devono applicarsi nella pratica. L’introspezione speciale elimina ogni impurità delle visioni distorte. Con shinè la mente diventa irremovibile e si concentra in maniera univoca sull’oggetto di meditazione: l’introspezione speciale. Per poter praticare correttamente shinè occorre innanzitutto assolvere ad una serie di prerequisiti: vivere in un ambiente idoneo, limitare i propri desideri, eliminare l’attaccamento, seguire una corretta condotta morale.
Come precedentemente accennato, i difetti del corpo femminile, vengono qui presentati ma per dissuadere i monaci dell’attrazione sessuale, non certo perché si disprezzano le donne.
L’EFFETTO DELLA MEDITAZIONE, COME DI TUTTE LE ALTRE ATTIVITÀ, DIPENDE DALLA SUA MOTIVAZIONE.
La stessa azione compiuta con un’intenzione diversa può sortire effetti differenti. E, per agire al meglio, devo essere in grado d’esaminare correttamente la vacuità. Perciò, devo pormi l’obiettivo di riuscire a raggiungere l’illuminazione per condurre tutti gli esseri senzienti alla completa liberazione. All’inizio è importante impostare una motivazione virtuosa.
L’ESSENZA DEL BUDDHA DARMA CONSISTE PROPRIO NEL BENEFICIARE GLI ALTRI, O PER LO MENO, A NON APPORTARE DANNI AGLI ALTRI.
A questo fine è utile poterci richiamare ad un’immagine d’un Buddha o Bodhisattva, posta preferibilmente in un luogo che ci risulti familiare. Come pure è di beneficio iniziare la nostra giornata esprimendo l’intento di voler migliorare le qualità della nostra mente, esprimendo una certa motivazione virtuosa di voler beneficiare gli altri, col proposito d’evitare di generare, anche involontariamente, qualsiasi forma di sofferenza ed indirizzando in questa direzione il nostro pensiero e le nostre azioni. Perciò, se la nostra condotta è volta a fare del bene agli altri, saremo contraccambiati da benefici ancor maggiori. Se, viceversa, ci muoveremo in senso antagonista agli altri, danneggiandoli, saremo investiti da infinite conseguenze negative.
La motivazione delle nostre azioni rappresenta il cardine essenziale del nostro comportamento. Se è corretto, fin dal momento del nostro risveglio, anche se non fossimo buddisti, ci troveremmo incamminati sulla strada giusta.
PENSIAMO PURE CHE, SE MI MANTERRÒ RETTAMENTE SUL SENTIERO, QUALSIASI AZIONE CHE ANDRÒ A COMPIERE RISULTERÀ COLMA DI SIGNIFICATO, IN QUANTO SARÒ SINTONIZZATO SUI VALORI DELLA LEGGE DI CAUSA ED EFFETTO.
Anche se non ci dovessimo professare buddisti, ci potremo orientare a realizzare ciò che compiace il nostro Dio. È, comunque, bene iniziare la nostra giornata pensando di intraprendere qualcosa di utile per gli altri, beneficiando gli altri e la società in cui viviamo.
MA NON È NECESSARIO ESSERE ABBIENTI PER AIUTARE GLI ALTRI.
Comunque sia, ricordiamoci che Milarepa nella sua grotta non aveva proprio nulla, non aveva affatto un altare costosissimo.
Perciò, è bene dimostrarsi perlomeno rispettosi delle leggi vigenti.
Facciamo perciò in modo d’usufruire in modo equilibrato del nostro tempo.
INNANZITUTTO, PER MEDITARE, IMPOSTIAMO CORRETTAMENTE LA MOTIVAZIONE ALTRUISTICA, RENDENDO OMAGGIO E VOLGENDOCI CON PROSTRAZIONI ALLE CINQUE DIREZIONI.
Possiamo indirizzarci magari verso un altare. Ma non è importante disporre d’un bell’altare, non deve essere affatto costoso, né prezioso.
NON È TANTO RILEVANTE CIÒ CHE SI HA, MA COME SI FA!
Bisognerebbe sedersi nella posizione del vajra completo, o del mezzo vajra. Bisognerebbe essere né troppo tesi né troppo rilassati. Bisognerebbe assumere una posizione piuttosto naturale, stando seduti diritti, con gli occhi socchiusi, nella direzione della punta del naso.
PER TRANQUILLIZZARCI, MEDITIAMO SUL RESPIRO, VISUALIZZANDO DI FRONTE A NOI IN MEDITAZIONE UN INFINITO NUMERO DI BUDDHA E BODHISATTVA, LUMINOSI COME TANTI PICCOLI SOLI. Facciamo loro prostrazioni, offerte e rendiamo loro omaggio. Sediamoci nella posizione di Vairochana, inspirando ed espirando dolcemente ed armonicamente in modo soffice e gentile. Manteniamo il nostro corpo in equilibrio, né in avanti né all’indietro, evitando d’appoggiarci al muro. Posizioniamoci con le spalle erette, ma non troppo all’indietro, il capo diritto né troppo in avanti né troppo all’indietro per evitare di trovarci col naso all’insù, ma leggermente reclinato, in linea perpendicolare con l’ombelico. Ricordiamoci di tenere la punta della lingua all’insù a toccare il palato, la mano destra sulla sinistra, respirando senza forzature, ma normalmente, quasi impercettibilmente. Ora, mentre l’aria entra ed esce dalle narici, osserviamo il respiro che entra ed esce, contando da 1 a 21, iniziando da 1 a 10. Concentriamoci sul respiro affinché la mente possa calmarsi, acquietarsi, in modo che possa generare una propensione positiva.
Come, prima d’inserire qualsiasi oggetto gradevole nella nostra stanza o in qualsiasi luogo, dobbiamo rendere l’ambiente accogliente e pulito, così, prima di comunicare un contenuto gradevole alla nostra mente, la dobbiamo pulire alla base. Per questo motivo è innanzitutto necessario realizzare un’iniziale pulizia della nostra mente, prima di poterla irrorare con condizioni mentali positive, virtuose. Perciò, prioritariamente è importante stabilizzare la nostra mente. A questo scopo ci rivolgiamo alla pratica della meditazione sul calmo dimorare. Inizialmente la conseguiamo superando le distrazioni dagli oggetti esterni, per poi dirigerci all’interno: all’oggetto di meditazione, con estasi, duttilità e flessibilità. Con l’introspezione speciale, non mediante la vipassana comune, esaminiamo puntualmente la vacuità.
LA MEDITAZIONE SUL CALMO DIMORARE RAPPRESENTA UNA MENTE UNIVOCA, MENTRE L’INTROSPEZIONE SPECIALE È IMPEGNATA IN UNA PERFETTA ANALISI SPECIFICA DELLA REALTÀ ULTIMA.
La pratica del calmo dimorare è il primo dei due stadi di meditazione di shamata e vipassana, ma ne costituisce il livello fondamentale, in quanto la mente calma ha superato tutte le distrazioni dell’irrequietezza. Anzi, è continuamente volta all’oggetto di meditazione prescelto, conferendo alla mente flessibilità che si tramuta in estasi psicofisica, riuscendo a dirigerla a piacere, come si desidera farlo per il nostro corpo e per la nostra mente.
Si rimane, quindi, in questo stato di concentrazione: focalizzati sulla natura ultima della pratica stessa, della calma interiore. E, vi sono innumerevoli modi per realizzare questa pratica meditativa. La concentrazione univoca della calma penetrante di Shinè rappresenta la base attraverso cui è possibile iniziare a penetrare nella realtà. Shinè è dunque il trampolino per la visione penetrante che osserva lo stato ultimo delle cose.
A parte la generazione della calma dimorante, è molto importante, in generale, rifiutarsi d’accettare le cose così come ci appaiono, ma occorre invece sforzarci di riuscire ad andare a fondo della realtà, rendendoci effettivamente conto di come i fenomeni realmente sono.
Mano a mano che prosegue il nostro addestramento, la mente si fa più chiara, più stabile. È il frutto del corretto conseguimento di Shamata, in vista di poter raggiungere la visione speciale. Uno yogi può dedicarsi alla concentrazione sui 12 tipi d’insegnamenti del Buddha, oppure sulla mancanza d’esistenza intrinseca dei fenomeni, la talità, sulla mancanza d’identità a sé stante, sui diversi modi d’impedire la visione distorta della realtà, sulla comprensione a vari livelli della natura dei fenomeni. La calma dimorante è in grado d’eliminare gli aspetti, i turbamenti più grossolani della mente.
Si prosegue indi nella penetrazione più sottile della natura dei fenomeni, la quale ci porterà alla comprensione per diversi gradi della natura ultima della realtà. E, ci si può impegnare in una meditazione più sintetica, concentrandosi sulla calma interiore, contemplandola.
Soffermiamoci sulla contemplazione della calma interiore, che possiamo realizzare tramite la visualizzazione del corpo del Buddha, che possiamo visualizzare come molto piccolo, pesante, stabile, luminosissimo.
Questo procedimento ha il pregio di conferire stabilità alla meditazione. Possiamo osservarne un riferimento esterno per poi riprodurre interiormente l’immagine del Buddha.
Alla fine, deve però trattarsi d’un immagine interiore, che deve risultare piccola e luminosa, per conferire chiarezza alla meditazione.
Comunque, tengo a ribadire, la visualizzazione del corpo di Budddha non si configura mai in una figura esterna, in una forma solida o in una statua esteriore, ma in una raffigurazione della mente, sempre in un oggetto interiore.
OSSERVATE SE LA MENTE È DISTRATTA SU OGGETTI ESTERNI. L’IMMAGINE DEVE CONTINUARE A RIMANERE PRESENTE NELLA MENTE, LA VISUALIZZAZIONE DEVE ESSERE LUMINOSA, CHIARA E STABILE.
Gli ostacoli si manifestano quando si allenta la capacità di percezione, e diminuisce la nitidezza della visualizzazione. Dobbiamo continuamente esaminare la mente focalizzata sull’oggetto di meditazione: l’immagine inizia forse a farsi meno nitida e stabile?
Rivela, per caso, che la mente inizia a cadere in preda al torpore?
Continua ad essere chiara come la percepivamo inizialmente, stabile e luminosa come se risplendesse vividamente?
La pigrizia e l’indolenza vanno eliminate con perseveranza e fervore, con la piena fiducia d’aver successo, in modo che la mente risulti rinforzata dall’entusiasmo meditativo, che si ripercuoterà beneficamente sulla mente e sul corpo.
Grazie a questa pratica potrà sorgere un senso d’instancabilità, di fiducia nella validità nell’insegnamento del Buddha. Da qui scaturisce sia fiducia che entusiasmo: entrambe queste doti ci producono flessibilità e ci permettono di progredire, combattendo la dimenticanza delle istruzioni ricevute.
E’ la memoria consapevole, che ci riporta la mente sull’oggetto.
QUANDO SI CADE IN PREDA AL TORPORE, LA VISUALIZZAZIONE DELL’OGGETTO S’ALLENTA. PER COMBATTERE L’APATIA OCCORRE SVILUPPARE IL SENSO D’ALLERTA, DI VIGILANZA, D’INTROSPEZIONE.
Perché, si è in grado d’intervenire con successo, solo se si rimane consapevoli d’entrare in una fase di torpore: ad esempio, quando subentrano delle distrazioni fuorvianti, o quando si è portati ad intervenire pur non essendo ancora necessario.
In tal modo, riusciremo a guidare l’elefante impazzito della nostra mente, tanto da far sì che essa possa rimanere calma, quieta e tranquilla, il che ci conferirà una speciale fermezza che donerà ulteriore impulso al nostro cammino meditativo.
Così, se dovesse subentrare il torpore, volgerò la mente ad un oggetto stimolante e piacevole, perciò visualizzerò, come ho appena detto, ad esempio: un’immagine di Buddha, comunque molto luminosa.
La qualità dell’immagine meditativa risulta fondamentale come base per il Ton Len: la meditazione consistente nello scambiare sé stessi con gli altri, per andare incontro agli altri, per aiutarli: proprio perché tutti gli esseri non vogliono soffrire e desiderano la felicità, la felicità definitiva. Tuttavia, finché non riescono a conseguire l’illuminazione, ne sono privati, e rimangono in preda alla sofferenza.
LO SVILUPPO DELLA MENTE DELL’ILLUMINAZIONE VA GENERATO ATTRAVERSO L’APPLICAZIONE DEGLI ANTIDOTI FONDAMENTALI CHE FANNO DEDICARE LA NOSTRA VITA AL DHARMA.
Di contro, l’attaccamento e l’egocentrismo di base risultano distruttivi per il nostro e per l’altrui benessere. Perciò, dobbiamo percorrere la strada dell’equilibrio e dell’imparzialità con la stessa energia con cui un medico si applica per guarire i suoi pazienti senza alcuna discriminazione tra loro, constatando che tutti siamo eguali nel desiderare la felicità e nel ripudiare la sofferenza, perciò dobbiamo renderci conto di trovarci sotto l’influsso della sofferenza pervasiva, che rappresenta la potenzialità a soffrire.
(90) Perciò devo impegnarmi a meditare sull’equanimità, scambiando me stesso con gli altri. Per infinite rinascite, la percezione buddista del divenire ci conferma che non sussiste ragione alcuna per considerare un qualsiasi essere come nostro nemico: tutti quanti sono stati nostri genitori nell’infinito numero di vite precedenti. Tutti gli esseri nutrono le medesime aspirazioni.
COME POSSIAMO MOSTRARCI RICONOSCENTI VERSO LA GENTILEZZA DEGLI ESSERI?
Dal punto di vista buddista, non per caso siamo nati con un corpo dalle sembianze umane.
Perciò, gli altri rappresentano la base dell’etica, che serve a proteggere l’altrui esistenza, e le virtù risultano praticabili solo grazie alla presenza degli altri, rispetto agli altri. L’impegno contro la violenza, la menzogna, la malevolenza, l’ostilità mentale, insomma i tre veleni di corpo, parola e mente, sono praticabili solo in rapporto agli altri. Così, la compassione, l’aspirazione al benessere, alla buddhità, alla felicità sono ottenibili solo in relazione agli altri. Non esistono altre alternative. Quando siamo disturbati mentre coltiviamo la pazienza, allora la presenza dell’altro assume un significato particolarmente rilevante.
Non esiste alcun motivo valido per creare delle divisioni, delle discriminazioni, visto che siamo oggetto di divisioni impermanenti, puramente transitorie.
Chi ci manifesta odio, ci ostacola, ci tratta male, oltre a considerarlo come un oggetto del nostro addestramento mentale, dobbiamo distinguerlo ulteriormente tra il suo essere persona e l’oggetto del contendere.
Shantideva ci mostra appunto come il concetto di amico-nemico finisce per rivelarsi come molto relativo.
SE PROPRIO VOGLIAMO IRRITARCI, LO DOBBIAMO FARE CON LE AFFLIZIONI MENTALI, I KLESHA, NON CON LA PERSONA.
Non ha, infatti, senso nutrire animosità sia verso la persona sia verso i difetti mentali. Perché i secondi rappresentano la malattia psichica dell’ignoranza e dei turbamenti che inquinano la nostra mente, così come il medico non combatte il malato, ma fa di tutto per annientare la malattia. Se agiamo condizionati da visioni ristrette, possiamo finire col dimenticarci del vincolo dell’interdipendenza che ci lega gli uni con gli altri.
(92)
Anche se il dolore che sperimento, di fatto
non provoca alcun danno al corpo degli altri,
questa sofferenza diventa insopportabile,
a causa del mio attaccamento all’Io.
(93)
Per cui devo eliminare la sofferenza degli altri,
poiché essa è proprio come la mia.
E devo beneficiare gli altri, perché, proprio come me,
anch’essi sono esseri viventi.
MA È INVECE NOSTRA PERSONALE RESPONSABILITÀ ATTIVARE L’ARMONIA TRA TUTTI GLI ESSERI, NUTRENDO UNA RESPONSABILE PREOCCUPAZIONE GLOBALE VERSO TUTTA LA COMUNITÀ UMANA, SENZA DISCRIMINAZIONI.
Realizziamo il calmo dimorare conseguendo la flessibilità psicofisica. In questo senso ci ritorna utile la meditazione di scambiare noi stessi con gli altri, in un rapporto d’interconnessione tra tutti noi ed a livello di nazioni, nell’ambito del nostro stesso pianeta.
In effetti, ci si dovrebbe dedicare alle proprie situazioni, senza interessarci dei fatti altrui, ma gli altri sono afflitti da pene insopportabili; proprio perché la sofferenza di per sé non è causa di dolore, ma diventa insopportabile perché viene sistematicamente applicato il concetto di “io “ e di “mio”!
Se, allora, ognuno percepisce soltanto la propria sofferenza, e ciascuno finisce per occuparsi delle sue pene: perché dovrei interessarmi di quelle degli altri?
In questo modo, non saremmo tuttavia coerenti con la situazione che possiamo direttamente osservare, perché la nostra felicità è interdipendente, facendo sì che la terra, il pianeta, formino un unico organismo.
(99) Solo uno stupido si occuperebbe soltanto della mano che duole o di una ferita, quando è tutto il corpo a risentirne.
La mano non risulta così preziosa se la consideriamo a sé stante. Ma lo diventa se la valutiamo nel suo insieme. Così, il nostro sistema nervoso, il cervello, risulta importante se visto in rapporto all’insieme dell’organismo.
Se, tuttavia, non avverto il dolore degli altri, perché dovrei interessarmi per eliminare la sofferenza altrui?
Se è chi soffre che deve occuparsi della propria sofferenza, allora, se la gamba duole, perché interviene in soccorso la mano? Avrebbe forse dovuto disinteressarsene? Perché, allora la mano accorre ad alleviare il dolore del piede? Chiaramente non accadrebbe se la mano ed il piede non fossero interconnessi nel contesto d’un unico individuo.
Sbarazziamoci, perciò del pregiudizio della visione erronea dei fenomeni, ricordiamoci, piuttosto, del fuorviante concetto di Io indipendente ed autosufficiente, che lo riconosciamo solo se imputato sulla base degli aggregati.
(101)
Dato che non esiste un’entità
che sperimenta dolore, chi dunque lo sperimenterà?
(102)
E se non esiste tale entità indipendente che soffre,
non vi è alcuna differenza tra il mio dolore
e quello degli altri.
Tuttavia, poiché la sofferenza esiste, deve essere eliminata.
Per cui, a che scopo dilungarsi in particolari discriminazioni?
Questi ragionamenti dovrebbero distoglierci dall’idea d’occuparci degli altri. Che differenza esiste tra il medesimo soggetto che nasce e che muore, che soffre per il caldo e patisce il freddo?
IL MIO FLUSSO DI COSCIENZA, AD ESEMPIO, È LEGATO A QUEST’ INDIVIDUO NATO IN TIBET. PERCHÉ MAI NON DOVREI OCCUPARMI DELLE SOFFERENZE FUTURE CHE MI RIGUARDANO?
Anch’io mi trovo in una situazione transitoria. Proprio per questo motivo devo impegnarmi ad eliminare la sofferenza. Non c’è nessuno che non soffre, ovvero che è padrone, è in grado di dominare la propria sofferenza. Non esiste un Io che soffre poiché determinato dalla sofferenza.
Comunque, dobbiamo impegnarci a combattere il dolore, perché non ritroviamo un Io esistente tra questi aggregati.
Che senso avrebbe discriminare? Tutti gli esseri desiderano liberarsi dalla sofferenza, dalle aspirazioni frustranti.
INIZIAMO DA UN RILIEVO MOLTO IMPORTANTE: INIZIAMO DALL’ELIMINAZIONE DI PENSARE AL SÉ, A SÉ STESSI COME PIÙ IMPORTANTI DEGLI ALTRI, IL CHE CI DISTOGLIEREBBE DALL’EGOCENTRISMO PRIMARIO DI RITENERCI SUPERIORI AGLI ALTRI.
Perciò dedichiamoci ad osservare la sofferenza altrui come se fosse la nostra. Il che, non dimentichiamoci, potrebbe procurarci un qualche disagio. Sviluppiamo ora la vera compassione, facendone scaturire le motivazioni da certi ragionamenti della logica. Mano a mano che la compassione in noi s’incrementa, avvertiremo anche un senso di crescente coraggio che ci sarà di grande aiuto nel portare avanti delle grandi finalità.
IL DISAGIO DELLA COMPASSIONE
Ma dobbiamo essere anche molto consapevoli dei disagi che dovremo affrontare, motivati dalla compassione, ma che comunque si riveleranno di gran beneficio per noi stessi e per gli altri.
(104)
Ma, dal momento che la compassione
mi provocherò sofferenza, perché dovrei
impegnarmi a svilupparla?
Quando si contemplano i terribili tormenti
delle creature viventi, come si può considerare
grande la sofferenza prodotta dalla compassione?
Sarebbe un’assurdità, se dovessi tuttavia ambire solamente alla mia liberazione personale. Proprio perché non potrei vivere disgiunto dalla sofferenza degli altri. Di conseguenza, praticando la motivazione elevata d’impegnarmi a favore degli altri ne ricaverei un senso di certezza.
(111) Sebbene la base sia priva d’un sé, “è un fondamento privo d’entità”, per la forza dell’abitudine, “sono giunto a considerarla come Io”.
A questa stregua, perché non dovrei considerare questo “mio” corpo come di altri? Impariamo a considerare gli altri alla stregua di noi stessi, a quel punto saremo in grado di beneficiare più efficacemente gli altri. Tutti i maestri kadampa hanno sviluppato lo spirito e la condotta altruistica come metodo per la liberazione.
(120)
Per cui, chiunque desideri diventare rapidamente un rifugio
per se stesso e per gli altri
dovrebbe praticare questo santo mistero:
scambiare se stesso con gli altri.
L’unica via che conduce alla liberazione è quella della Buddhità, che consiste nel scambiare sé stessi con gli altri. Otterrò la Buddhità scambiando la mia felicità con la sofferenza degli altri!
(140)
Considerandomi come inferiore,
e considerando me stesso uguale agli altri,
con mente priva di concettualizzazioni
devo meditare su invidia, competizione ed orgoglio.
PENSIAMO INFATTI, DA UN LATO, ALL’INFINITO NUMERO DI ESSERI CHE SOFFRONO E, DALL’ALTRO, ALLA NOSTRA SITUAZIONE AGIATA, A NOI BEN NUTRITI, MA AFFLITTI DAI DIFETTI MENTALI DELL’EGOCENTRISMO, DELL’EGOISMO, DELL’INVIDIA, DELL’ORGOGLIO, DELL’ATTACCAMENTO. Allora: chi fra questi è bisognoso d’attenzione e di cura?
Visualizziamo, da un lato gli afflitti ed i perseguitati, e, dall’altro, i potenti, che rivelano un ego pieno di sé, che usufruiscono di tutto ciò che può loro servire ma nulla condividono. Verso chi dovremmo andare?
LA RISTRETTEZZA DELL’EGOCENTRISMO
L’egocentrismo va individuato ed analizzato, evidenziandone tutti i difetti e gli svantaggi e, viceversa, i vantaggi derivanti dall’altruismo. Perciò mi devo dedicare a soggiogare l’egocentrismo che è in me. Abbandoniamo il comportamento dettato dall’egoismo e dall’egocentrismo, lasciandoci alle spalle il nostro IO arrogante, a favore di quello non egocentrico, specialmente sotto l’impulso che ci spinge ad atteggiamenti sfrontati di grandezza.
Colophon
Questa prima bozza d’appunti, a cura d’Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti che Sua Santità il XIV Dalai Lama conferì dal 5 al 12 agosto 2005 a Zurigo, Svizzera, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresnta affatto una trascrizione letterale delle parole di Sua Santità il Dalai Lama, tradotte dal tibetano in inglese da Ghesce Dorje ed in italiano da Anna Maria De Pretis, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.