S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Zurigo 12

DODICESIMA parte degli

INSEGNAMENTI DISUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA

LA VIA AL SUPERAMENTO DELLE EMOZIONI PERTURBANTI

5 – 12 agosto 2005, Zurigo, Svizzera

Commentario ai testi

Bodhicharyavatara (Introduzione alla via del Bodhisattva) di Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=470

Bhawanakrama (Livello intermedio della meditazione) di Kamalashila

Appunti, traduzione dall’inglese ed editing dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa, del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA

BODHICHARYAVATARA

Capitolo IX

LA SAGGEZZA

IL BUDDHA SPONTANEAMENTE PERVADE OGNI DIREZIONE

Nel suo trattato “La saggezza fondamentale”, Nagarjuna asserisce che il Buddha parlò anche di liberazione dalle elaborazioni, in quanto, come la gemma che esaudisce i desideri, immerso nella cognizione della vacuità, concepisce simultaneamente il mondo ed i fenomeni in modo ultimo ma anche in modo convenzionale.

Il Buddha percepisce perciò anche la realtà convenzionale e spontaneamente aiuta tutti gli esseri e riesce a percepire simultaneamente in modo non concettuale la realtà ultima.

SONO APPUNTO LE ELABORAZIONI, LA VISIONE DUALISTICA A FORMARE LA BARRIERA CHE CI IMPEDISCE DI RECEPIRE SIMULTANEAMENTE QUESTA DUPLICE DIMENSIONE DEI FENOMENI: LA CONVENZIONALE E L’ULTIMA.

Ed è la parte che li concepisce come ultimi che li percepisce anche convenzionalmente. Perciò il Buddha spontaneamente pervade ogni direzione.

In questo modo comprendiamo, anzi acquisiamo la differenza tra come le cose, i fenomeni appaiono ed invece come realmente sono, superando la percezione d’una sorta d’intrinsicità erronea, a sé stante, delle cose e dei fenomeni.

C’è sempre dissonanza fra apparenza e modo in cui le cose sono effettivamente.

La cognizione di questa assenza di un sé intrinsecamente esistente, sostanziale, autosufficiente (sostenuto delle scuole più basse), non è sufficiente per emanciparsi dal samara. Per disinnescare l’ignoranza di base è imprescindibile comprendere la realtà ultima, è necessario giungere alla cognizione della vacuità.

NON BASTA, AD ESEMPIO, COMPRENDERE LA MANCANZA DELL’ESISTENZA DELLA PERSONA IN QUANTO TALE, IN MODO INTRINSECO ED AUTOSUFFICIENTE. LA MERA VISIONE DEL TRANSITORIO COSTITUISCE UN OSTACOLO ALLA SUA LIBERAZIONE, IN QUANTO GENERA LE EMOZIONI AFFLIGGENTI.

Gli studiosi Hinayana del piccolo veicolo dicono che basta liberarsi dalle afflizioni mentali, i klesha. Basta staccarsi dalla concezione dell’Io personale, E, conseguentemente, dall’ignoranza, attaccamento, avversione, orgoglio, invidia, gelosia, e così via, per liberarsi dal samsara.

Per loro non occorre comprendere la vacuità, non costituisce una condizione indispensabile per liberarsi dal samara.

Ma non è così per la Madyamika Prasangica.

Anche quando si avessero effettivamente superato queste distorsioni mentali che abbiamo appena accennato, rimarrebbero comunque altre motivazioni, altri schemi, che continuerebbero a vincolarci ancora al samsara. Perché alla base rimarrebbe un residuo concettuale. Per questo motivo gli studiosi del Grande Veicolo non sono d’accordo: perché, finche non c’è chiarezza sulla vacuità, finche non si sradicano fin dalle fondamenta i veleni mentali, non è possibile raggiungere la liberazione e le afflizioni potrebbero ancora sorgere.

La radice è dunque la scorretta percezione della realtà.

IL BODHISATTVA RIMANE NEL SAMSARA NON PER KARMA E KLESHA MA PERCHÉ HA MATURATO LA VOLONTÀ ESPLICITA DI LIBERARE GLI ALTRI ESSERI SENZIENTI DALLA SOFFERENZA.

Perciò, una volta liberi si può rimanere nel samsara ma non per ignoranza o perché oscurati dai klesha, ma perché si vuole effettivamente aiutare tutti gli esseri.

Se tutto fosse vuoto cosa rimarrebbe?

La vacuità è un antidoto profondo non solo alle tossine, alle afflizioni mentali, ma anche all’ignoranza, la causa profonda della sofferenza.

Pensiamo al senso dell’Io, che ci appare diverso dagli aggregati, anzi, da loro separato. Ora cerchiamolo. Lo troviamo forse nei nostri organi: il cuore, i polmoni, fegato, milza, muscoli, reni, tiroide, encefalo, arterie e vene? Oppure potrebbe sembrarci all’interno delle parti più fini del nostro corpo: le cellule, le molecole, gli atomi, o particelle ancora più sottili? In questa ricerca siamo in grado di trovare gli aggregati, ma non l’io.

La persona sarà forse data dalla coscienza mentale?

I Cittamatra distinguono, infatti, ben otto forme di coscienza.

Vi sono diversi livelli di coscienza, alcuni più grossolani e alcuni più sottili, e allora non c’è modo di rilevare l’io in un livello della coscienza mentale. Se la persona non fosse identificabile nella coscienza mentale, non la si potrebbe trovare, dov’è allora la persona? Forse che non c’è, non esiste?

NO LA PERSONA C’È, MA LO È, IN QUANTO IMPUTATA, È SEMPLICEMENTE UN’IMPUTAZIONE SULLE SUE PARTI, MA NON È CHE NON ESISTA.

L’IO non viene trovato sulla base dell’imputazione.

Per i non Buddhisti, l’IO è presente al di fuori, esternamente agli aggregati: non è né corpo né mente. Per i Cittamatra, l’IO è nella coscienza mentale. Qual è il modo di esistere dell’IO, del sé? Potemmo pensare: IO esisto. Ed esisto: o in un tutt’uno con gli aggregati, oppure risiedo in una parte di essi, quella psichica, oppure ne sono all’esterno: non sono né corpo né mente.

Possiamo avere la sensazione che l’IO sia un qualcosa di concreto. Alle volte pensiamo: vorrei cambiare corpo. Vorrei cambiare carattere. Ecco che l’IO che desidera ciò è identificato come esterno dagli aggregati (mente e corpo). Ma, a ben cercarlo, l’IO non lo ritroviamo né nella coscienza né negli aggregati, né al di fuori di essa. Per i Madyamika Prasangika l’IO non costituisce una parte o è incluso nella coscienza mentale. Il sé per Shantideva non esiste, è una mera imputazione sulla base degli aggregati. Per Chandrakirti, Babaviveka e gli altri rappresentanti, la coscienza mentale è sovrapponibile all’io, perché continua il viaggio del corpo. E, per proseguire questo cammino, per continuare il viaggio, la mente va distinta in due coscienze: mentale e sensoriale. Tuttavia per costoro la coscienza mentale sembrerebbe identificarsi col sé autentico. Ma, la coscienza del risveglio dal sonno, della veglia, non è ravvisabile in un determinato istante, identificato come Io. Tuttavia per la Madyamika Svatantrika si continua a considerare la coscienza mentale come l’identità della persona.

IN REALTÀ QUESTO IO, IL SÈ NON ESISTE, È UNA MERA ETICHETTA IMPUTATA SULLA BASE DEGLI AGGREGATI. PER LA MADYAMIKA PRASANGIKA SI TRATTA D’UNA MERA IMPUTAZIONE. DUNQUE, IL SÉ È UNA MERA IMPUTAZIONE SULLA BASE DELLE PARTI AGGREGATE.

Per Tirtika della scuola Samkya, non Buddista, il sé esiste ed in forma separata dalle parti del corpo. Se il sé fosse, appunto un qualcosa di non indicabile, di non identificabile: chi sperimenta le conseguenze delle proprie azioni?

Il Buddha spiega che esiste una connessione tra l’azione ed il risultato. Sebbene non vi sia un sé intrinseco, c’è comunque un identità, che chiamiamo sé, considerato come una mera imputazione.

ED ESISTE COMUNQUE UN SÉ IMPUTATO, DESIGNATO COME CONTINUO MENTALE, COME FRUITORE DELLE AZIONI DEL SUO KARMA.

Se esistesse un sé pervadente, al momento della fruizione del karma, come potrebbe esserlo una sorta di atma o anima eterna?

Infatti, la persona che ne ha originato le conseguenze, non è affatto eterna, e quell’IO, era uguale, immutabile in passato, e lo sarà ugualmente in futuro?

SE IL PRESENTE ESISTE, ALLORA, QUALE INTERVALLO ESISTE TRA CIÒ CHE È PASSATO, E GIÀ TRASCORSO, ED IL FUTURO ANCORA DA ACCADERE?

Anche se suddividiamo quest’intervallo in momenti infinitesimali, finiamo per non riuscire ad identificare il vero effettivo momento presente. Per la scuola di pensiero Buddhista Madyamika Prasangika, è quindi confutato un sé concreto, a sé stante, oggettivo.

L’IO C’È, MA È UNA PURA E SEMPLICE DESIGNAZIONE. IO CI SONO MA NON HO UN ESISTENZA INTRINSECA, A SE STANTE. NON PUÒ TRATTARSI, IN OGNI CASO, DELL’IO PERENNE, UN SUPEREGO.

Poiché i fenomeni e le cose non esistono intrinsecamente, esse dipendono da altri. Perciò,anche se i fenomeni appaiono come inerenti, non è effettivamente così.

PER CHI DOVREMMO NUTRIRE COMPASSIONE SE NON CI FOSSERO NEMMENO GLI ALTRI?

ADERENDO A QUELLO CHE È UN OSCURO , CONFUSO, ORDINARIO FARDELLO, O PACCO DEL SÉ, MI TROVEREI IN COMPAGNIA DI TUTTE LE AFFLIZIONI MENTALI, L’IGNORANZA, IL SAMSARA E QUINDI NELLA SOFFERENZA.

Insomma, se mi fossi rifiutato d’analizzare lo stato delle cose, mi scoprirei nell’inferno della sofferenza. Infatti, pur impegnandomi a cercarlo, non sono in grado d’identificare quell’IO che tanto mi incalza.

PER PACIFICARE LA SOFFERENZA È INDISPENSABILE CAPIRE L’INTERDIPENDENZA DELLE RELAZIONI DI CAUSA-EFFETTO.

E, grazie alla saggezza che percepisce la vacuità sarà annullata l’indispensabilità dell’autoaffermazione. Se si vuole raggiungere la felicità ultima è necessario eliminare, attraverso la comprensione della vacuità, questo senso del sé, dell’IO.

Per eliminare la sofferenza è indispensabile dunque rendersi conto dell’interdipendenza. Grazie alla familiarizzazione con la saggezza che percepisce la realtà questo verrà annullato.

SE GLI ESSERI ESISTENTI NON ESISTESSERO AFFATTO, PER CHI, ALLORA, BISOGNEREBBE AVERE COMPASSIONE? PER IL SÉ DELL’ALTRO CHE NON ESISTE? QUANDO IO INVITO A SVILUPPARE AMORE E COMPASSIONE, MA PER CHI? VERSO CHI SVILUPPO AMORE?

Verso esseri che nascono nel sorgere interdipendente, esseri che esistono ma in modo convenzionale, non possiedono un’esistenza intrinseca a se stante. Chi si pone sulla strada di liberare gli esseri, anzi, chi lotta e si impegna invece a salvare gli esseri senzienti, si pone sulla stradea dell’illuminazione. Gli esseri sono intrappolati nel ciclico del divenire, sono tormentati dalle afflizioni mentali, dalle dinamiche karmiche a causa dell’ignoranza. Ora, qualunque cosa che pensiamo esiste, ma in una dimensione convenzionale.

NESSUNO DEGLI ELEMENTI CHE COMPONGONO IL CORPO È IL CORPO.

La ricerca dell’io del corpo non esiste, non esiste il corpo in sé, ma esiste in dipendenza di parti. Niente è reperibile come questo o quello. Quindi c’è l’introvabilità delle cose quando le si ricerca. Si deve riconoscere che sono meramente imputate.

L’interdipendenza è un processo di connessione a più fattori: nulla, perciò è assoluto.

La comprensione della vacuità mira a farci comprendere che i fenomeni sono interconnessi in rapporto a cause e condizioni, perciò respingiamo la concezione dell’esistenza intrinseca di natura propria dei fenomeni. Il che ci permette la comprensione del modo in cui effettivamente le cose esistono: intrappolate nel samsara, soggiogate a dinamiche karmiche e a difetti mentali.

Se non esistessero gli esseri limitati: di chi sarebbe il frutto?

L’aspirazione alla liberazione si sviluppa a partire dall’ignoranza. Tuttavia, nemmeno l’aspirazione ha un valore assoluto. Qualsiasi cosa pensiamo, esiste in un ambito convenzionale, il che non vuole assolutamente dire che non esiste.

PROPRIO PERCHÉ SIAMO IN UN AMBITO CONVENZIONALE, PERCHÉ NON ESISTIAMO IN MODO IMMUTABILE ED ETERNO, SVILUPPIAMO COMPASSIONE.

Quando si medita sulla consapevolezza, e si prende come oggetto il proprio corpo, si intraprende un percorso meditativo volto alla propria liberazione individuale, come nel caso degli uditori o realizzatori solitari. Quando costoro meditano sul corpo, lo visualizzano come composto da parti, da membra, organi ed apparati, arrivando a vederlo come privo d’un sé, inesistente al di dentro ed al di fuori delle diverse parti, tutte interconnesse tra loro. Se c’impegniamo nello ricerca dell’IO nelle tante parti del corpo, la nostra indagine si rivela vana: non lo troviamo. L’io non è individuabile in nessuna parte.

ORA SFORZIAMOCI D’ACQUISIRE CONSAPEVOLEZZA. MA VERSO COSA? ACQUISIAMO CONSAPEVOLEZZA NEI RIGUARDI DI QUATTRO FATTORI: IL CORPO, LE SENSAZIONI, LA MENTE, I FENOMENI.

Innanzitutto osserviamo il nostro corpo come impermanente, meditando sulle quattro caratteristiche della realtà della sofferenza.

Il corpo è unico o è invece costituito da parti? Ed il corpo è forse identificabile in una delle parti? Il corpo è identificabile col piede, la mano, la testa? La risposta è sempre negativa. Nulla è individuabile con quella parte del corpo se non la parte stessa e, men che meno il corpo intero.

Questo ragionamento meditativo ci porta in definitiva a concludere che i fenomeni sono meramente designati.

Ora passiamo alla consapevolezza sulle sensazioni, sui sentimenti.

Se questo genere di consapevolezza fosse veramente esistente, come natura assoluta inalterabile, quindi non danneggiabile, non ci sarebbero ostacoli a provare la gioia. Piacere e dolore sono privi d’esistenza autonoma, perciò sono transitori.

Se, allora il dolore e la gioia sono transitori, se le sensazioni sono passeggere, non possiedono esistenza propria, autonoma, perenne, perché si manifestano?

Perché la presenza mentale ravvicinata sulle sensazioni, sui sentimenti ci fa comprendere giustamente che non hanno esistenza propria, sono transitorie, effimere. Si parla dunque di assenza di esistenza reale delle sensazioni: dolore, gioia…le sensazioni sono passeggere, non hanno esistenza propria e durevole.

Il che rappresenta l’antidoto a coltivare la saggezza che identifica la vera esistenza dei fenomeni. Non è possibile rinvenire alcunché frutto d’aggregazione che sia un qualcosa di veramente esistente, di per sé. Permanentemente. Anche le due verità, quella relativa e quella ultima, sono prive d’un esistenza propria, non esistono di per sé. Sono, invece interconnesse come padre e figlio sono legati in un rapporto reciproco indissolubile.

Il mondo esterno esiste in rapporto alla coscienza ? I frammenti di diamante non sono sorti di per sé o senza cause, così esiste una discordanza tra il modo in cui i fenomeni vengono percepito e la loro realtà. La ragione che osserva le cause e le condizioni rappresenta la produzione dipendente. Perciò, in senso ultimo, tutti i fenomeni sono illusori, a patto che la cognizione valida si dimostri effettivamente tale.

Se tutto fosse veramente esistente, allora la cognizione valida non potrebbe essere autentica, valida. Non esiste alcunché che provenga da un che di assoluto.

Poiché gli oggetti sono prodotti da cause e condizioni, sono simili a riflessi in uno specchio.

E’ solo nel modo ultimo quello in cui i fenomeni esistono intrinsecamente. Attraverso la stabilizzazione meditativa che realizza la vacuità, recitate il Sutra del Cuore, praticate le Sei Paramita, le Sei Perfezioni, il Sutra della Esposizione Estesa di tutte le Qualità.

Il cammino del Bodhisattva si avvale della pratica dei Mezzi Abili o del Metodo Unito alla Saggezza. La comprensione della vacuità deve favorire la chiarezza e la consapevolezza sull’origine interdipendente. Occorre perciò superare l’eternalismo ed il nichilismo dei Cittamatra. Impegniamoci a vincere il torpore allentando la concentrazione e focalizzandoci su un oggetto prediletto.

Se, viceversa la mente è distratta, eccitata, ricorda continuamente eventi passati, divertimenti, giochi, occorre pacificarla focalizzandoci su temi quali l’impermanenza, la transitorietà.

Se, viceversa la mente è intorpidita, applichiamo con sforzo l’unificazione di metodo e saggezza nel Darmakaya e Rupakaya.

Manifestiamo la gran compassione ed il pensiero altruistico di Bodhicitta per comprendere la talità.

Se la mente si sente abbattuta, riposatevi.

Nel sentiero del Bodhisattva, certe volte anch’egli può andare incontro a frustrazioni.

Applicatevi nell’unione di calma dimorante e di speciale visione interiore, d’introspezione, praticata la Bodhicitta per liberare gli altri esseri dalla sofferenza, per ascendere dagli stadi ordinari a quelli più elevati dell’illuminazione

CAPITOLO 10

DEDICA

(55)

Sino a quando esisterà lo spazio

e sino a quando vi saranno esseri viventi,

sino ad allora possa anch’io essere presente,

per poter eliminare le sofferenze del mondo.

COMMIATO

Siete venuti fin qui con tanto entusiasmo, senza distinzione tra Buddhisti e non Buddhisti.

Tutte le tradizioni portano avanti la necessità di dimostrare buon cuore, e spero che questa esperienza vi serva per praticare ancor più la vostra religione.

Colophon

Questa prima bozza d’appunti, a cura d’Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti che Sua Santità il XIV Dalai Lama conferì dal 5 al 12 agosto 2005 a Zurigo, Svizzera, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole di Sua Santità il Dalai Lama, tradotte dal tibetano in inglese da Ghesce Dorje ed in italiano da Anna Maria De Pretis, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.

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