4 – S.S. Dalai Lama: Insegnamenti al Kalachakra Barcellona 1994

INSEGNAMENTI preliminari all’INIZIAZIONE del KALACHAKRA conferiti da

Sua Santità il XIV DALAI LAMA a BARCELLONA, 11-14 Dicembre 1994

Tradotti dal tibetano in inglese dal Prof. Thupten Jinpa, Traduzione dall’inglese in italiano della Dr.ssa Nicoletta Nardinocchi.

Terzo giorno, prima parte, 13 Dicembre 1994

Sua Santità il XIV Dalai Lama

Durante gli ultimi due giorni abbiamo parlato molto del‘importanza di far sorgere in noi stessi una trasformazione interna, la trasformazione all’interno della mente e del cuore attraverso la pratica e attraverso la meditazione. Per riassumere, nel buddismo si afferma che tutte le proprie esperienze, siano esse piacevoli o dolorose, se esaminamo i processi che provocano l’esperienza della sofferenza e del dolore, troviamo, alla radice di tutte quelle esperienze, uno stato della mente indisciplinato, selvaggio e disturbato. Allo stesso modo, se  esaminiamo il processo e le cause e le condizioni che portano ad esperienze di felicità e di gioia  troviamo alla radice di queste uno stato della mente disciplinato, mansueto e pacifico. In ultima analisi, le proprie esperienze di gioia,  dolore, sofferenza e felicità risultano da uno  stato della mente disciplinato o indisciplinato. Questo è il punto cruciale secondo il Buddhismo.

Allo stesso modo, se esaminiamo la natura di tutte le cose ed degli eventi, tutte le cose e gli eventi che siano, direttamente o indirettamente rilevanti per la nostra esperienza di dolore o di piacere, come il corpo, l’ambiente, l’universo fisico, in altre parole, tutte le cose e gli eventi, sono in ultima analisi, radicati in uno stato della mente. Per esempio, come ho ricordato ieri, le proprie esperienze di sofferenza risultano da stati della mente negativi ed illusori che a loro volta sono motivati dalla volontà. La volontà conduce ad azioni e così via che sono esse stesse radicate in uno stato distorto della mente. Così troviamo che in ultima analisi, tutte le cose e gli eventi, l’intera estensione della realtà che non ha alcuna relazione con noi come individui, le nostre esperienze di gioia, felicità, sofferenza e dolore sono tutte in un certo senso  prodotti della mente, da diversi stati della mente. Questi non si manifestano senza una causa e non provengono da una qualsiasi causa piuttosto esiste un’intima connessione tra le cause ed i loro frutti. Così si scopre che in ultima analisi, tutte le esperienze sono i prodotti di diversi stati della mente o coscienza. Per continuare, quello che troviamo è che in ultima analisi, le proprie esperienze di gioia o di felicità sono il risultato di uno stato disciplinato, pacifico e positivo della mente mentre le esperienze di dolore e sofferenza, le conseguenze indesiderabili sono frutti di stati della mente indisciplinati, negativi. Troviamo che nella nostra esperienza quotidiana la mente svolge un ruolo molto importante nel governare la nostra stessa esistenza. Non solo in questa situazione  ma anche quando ci impegnamo in un percorso spirituale, cercando di realizzare la trasformazione interna di cui ho parlato in precedenza, anche lì troviamo ancora una volta che la mente svolge un ruolo importante. E ‘solo utilizzando fattori della mente, diverse facoltà della mente e differenti modi di pensare, atteggiamenti e processi di pensiero che possiamo realizzare questa trasformazione interna. Possiamo passare da stati d’animo negativi a stati positivi e pacifici della mente. Perciò anche quando si tratta di cammino spirituale e pratica spirituale, la mente gioca ancora un ruolo dominante. Allo stesso modo, dal punto di vista buddhista, nella fase in cui l’individuo alla fine raggiunge il pieno risveglio, anche in questo caso la mente svolge un ruolo di enorme importanza. Il Buddismo definisce e caratterizza la piena illuminazione in termini d’un livello della mente o di perfezione della mente. Quando parliamo degli stati perfetti del corpo parola e mente di Buddha parliamo della qualità della mente illuminata del Buddha. Ciò che diventa fondamentale per capire il buddismo che si tratti della natura della propria esperienza, della condizione umana o della natura del sentiero che conduce alla cessazione o caratterizzazioni dello stato pienamente illuminato, ciò che è chiaro è la comprensione della natura della mente.

La questione sorge quando discutiamo della natura del sé e dell’importanza della mente, che cosa si intende per mente? Come è definita? Anche in questo caso è importante tenere a mente che quando il Buddismo parla di mente o “sem” in tibetano, bisogna tener conto che si sta parlando di un concetto complesso. Esistono diversi livelli di coscienza o mente, diversi livelli sottili. Ai livelli grossolani si potrebbe dire che la mente o la coscienza hanno un rapporto molto intimo con il corpo fisico. Proprio come gli scienziati sottolineano esiste una stretta correlazione tra il cervello, i processi chimici nel cervello, i processi di pensiero e livelli di coscienza a livello grossolano. Inoltre dalla teoria evoluzionistica possiamo vedere come lo sviluppo del cervello vada di pari passo con lo sviluppo della coscienza. Non vi è alcuna contraddizione nell’accettare questi fatti.

Inoltre sembra che ci sia una correlazione tra le dimensioni del cervello di specie particolari e il livello di intelligenza in quella particolare specie. Questo è un fatto e non c’è contraddizione nel accettare questo fatto. Quello che sembra essere vero, è che a livello grossolano sembra esista una stretta correlazione tra i livelli di coscienza e la costituzione fisiologica e biologica del corpo.

Come ho sottolineato in precedenza, a livello grossolano esiste una stretta correlazione tra la coscienza e il cervello o il corpo. Per avere un evento cosciente, per esempio, una percezione visiva, è necessario che vi siano insieme alcune condizioni come l’oggetto visivo, l’occhio come organo, le facoltà sensoriali e così via. L‘interazione e aggregazione di queste condizioni danno luogo all’esperienza sensoriale. Questo è qualcosa che possiamo conoscere dalla nostra esperienza.

Tuttavia si pone il problema, di che cosa faccia sì che questa particolare esperienza, questo particolare evento cognitivo abbia il carattere di esperienza, quella qualità esperienziale o la chiarezza dell’esperienza soggettiva? I buddisti naturalmente spiegano questo in termini delle sue cause precedenti. Quando si parla del nesso di causalità qui bisogna tenere a mente due tipi di cause. Una è chiamata causa sostanziale e questa è la causa specifica che ha dato luogo all‘effetto. Esistono anche cause co-agenti che agiscono come condizioni o circostanze che danno luogo a tale effetto particolare.

Quando parliamo della qualità luminosa, semplicemente esperienziale della coscienza, dobbiamo rintracciarne le cause al suo momento precedente. Altrimenti, se dovessimo accettare che la materia pura, semplicemente una entità fisica possa dar luogo ad una entità di coscienza che è così diversa, nella sua natura, dalla materia allora questo porterebbe ad ogni sorta di contraddizioni e posizioni intolleranti.

La questione complessa è come comprendere il rapporto mente-corpo. Naturalmente è un’area dove esistono ancora molte questioni irrisolte, anche dal punto di vista scientifico. Molta ricerca è stata fatta nello studio sui neuroni e come questi diano luogo a stati di coscienza e così via. Si potrebbe dire che questa ricerca in un certo senso stia cercando di capire il rapporto tra coscienza e materia o tra la coscienza ed il corpo. Credo che in questa zona esistano ancora molte questioni aperte e credo che possano essere svolte ulteriori ricerche.

Tuttavia, dobbiamo tenere a mente una cosa, ossia che la metodologia scientifica, utilizzata attualmente in questa fase di comprensione ed il concetto di metodologia scientifica, sono molto basati su un modello di indagine fondato interamente sul concetto di realtà fisica.

E’ molto caratterizzato da idee metodologiche come quantificazione, misurazione e questa sorta di parametri. Quindi mi chiedo se questa metodologia scientifica attuale possa cogliere appieno gli studi sulla natura della coscienza. Per esempio, ad alcuni scienziati è stato domandato se è possibile che il pensiero concettuale avvenga nel cervello e la presenza di quel pensiero particolare possa causare un cambiamento chimico nel cervello, che a sua volta porti a ulteriori processi di pensiero. Abbastanza stranamente ho scoperto che alcuni scienziati sono vincolati ad un dogma, secondo il quale, poiché  il  pensiero e la coscienza sorgono nel cervello solo attraverso il processo di reazioni chimiche, essi non vedono alcuna possibilità di concepirne il processo inverso. Dare una tale risposta non è fedele allo spirito di comprensione scientifica. Essere scientifici significa essere di mente aperta: si  dovrebbero lasciare aperte delle possibilità.

Parte del limite che sento, proviene dal concetto di metodologia scientifica, il quale è fortemente dominato dall’idea che la realtà si esaurisca nella realtà fisica. Questo porta poi a molte complicazioni. Tuttavia quando impieghiamo tale metodologia di indagine utilizzando quantificazioni, misure, calcoli e così via, e attraverso questi metodi non troviamo nulla, questo in sé non comporta che l’oggetto di analisi, quando cercato in questa maniera, non esista.

Ad esempio, prendiamo la questione dell identità personale o di qualsiasi altra entità astratta, come nel caso del concetto della mancanza d’un sé nel Buddismo. Usiamo anche l’esempio del concetto buddista di provvisorietà o natura transitoria. Non c’è alcun modo, utilizzando l’attuale metodologia scientifica, di misurare o quantificare questi concetti. Non vi è alcun modo di trovare l’identità personale, né possiamo trovare l’impermanenza, né la mancanza d’un sè. Tuttavia questo non vuol dire che queste cose non esistano.

Naturalmente, esistono, anche se non riusciamo a trovare l’impermanenza di per sé o la mancanza d’un sè. Perché esistono riflettiamo su di loro, meditiamo su di loro e quando miglioriamo la nostra comprensione di essi possiamo sentire dentro di noi una trasformazione, l’effetto che portano in noi. Quindi queste sono indicazioni del fatto che esistono, non necessariamente in termini fisici. Ritengo sia importante fare una distinzione tra ciò che non si trova e ciò di cui si è accertata la non esistenza. Questa è una distinzione molto importante che dobbiamo fare. Semplicemente perché qualcosa non è stato trovato non comporta necessariamente che la cosa non esista.

Secondo il buddismo, come potrete avere ormai immaginato, vi è l’idea che la mente e il corpo, sebbene siano molto intimamente dipendenti l’uno dall’altro, tuttavia in termini del loro continuum hanno continuum separati. Questi sono rintracciabili attraverso le loro cause sostanziali. Per esempio, se si traccia il continuum del proprio corpo fisico, il proprio corpo in questo momento della storia, è venuto dalla precedente evoluzione delle forme corporee. Se si dovesse tracciare il continuum di questo corpo, è venuto da un uovo fecondato. Andando ancora più indietro, esaminando il suo continuum fisico, si può arrivare per così dire all’inizio dell’universo. Secondo il buddismo al punto di inizio di questo particolare universo, vera una forma di materia, che era il condensato da tutta la materia in questo universo, che è chiamata “particelle spaziali”. C’è un concetto in base al quale tutta la materia e gli elementi materiali siano condensati in queste precedenti particelle spaziali. Così è possibile rintracciare la continuità del proprio corpo fisico indietro fino alle particelle spaziali. Allo stesso modo, se si risale il continuum della propria coscienza, è del tutto insostenibile sostenere che lo stesso continuum fisico del proprio corpo sia identico al continuum della propria mente. Hanno chiaramente due distinte nature.

Come ho già sottolineato, molti degli eventi coscienti grossolani, dei processi cognitivi, sono in un certo senso prodotti del proprio corpo, come le esperienze sensoriali. Queste dipendono dagli organi di senso e per questo motivo denomiamo la nostra coscienza, come coscienza umana, come mente umana. Quando il corpo umano cessa di esistere anche quella mente umana o coscienza grossolana cesserà di esistere. Ma questo non tiene conto del fatto di fondo che ci permette di avere eventi esperienziali. Una spiegazione puramente materiale non può spiegare completamente la presenza dell’unico fattore che permette di avere eventi esperienziali e cognitivi. Questo fattore secondo il Buddismo può essere nuovamente rintracciato nei termini della sua origine. Proprio come il continuum fisico può essere fatto risalire indietro in un tempo senza inizio, allo stesso modo il continuum della mente a livello sottile può essere fatto risalire indietro attraverso le vite precedenti.

Elungo queste linee, che il buddhismo spiega la sua fede nella rinascita, come se la mente precedente dovesse provenire da un continuum precedente, che il continuum precedente debba essere uno stato della mente o coscienza sottile. In questo modo il buddhismo spiega la sua fede nella rinascita. Questo è come si ritraccia il continuum della mente e del corpo di un individuo. Di nuovo nessuno può spiegare il continuum della coscienza puramente in termini di continuum del corpo, il che, nel caso del nostro corpo attuale, proviene dall’uovo fecondato da parte dei genitori. Se si dovesse cercare di estendere  questo alla comprensione del cosmo nel suo complesso allora si può facilmente capire che, in termini di componenti materiali, un particolare universo come questo inizia dalle  particelle spaziali”. Sorge la questione di che cosa faccia evolvere lo stesso continuum, la stessa materia come particelle, in oggetti inanimati come i pianeti mentre altra materia evolve in altri corpi animati, in forme di vita? Qual è il fattore che fa la differenza? Qui credo che sia importante capire, dal punto di vista buddhista, il ruolo che il karma gioca in questo processo. Come ho già sottolineato in precedenza, quando si parla di un continuum di causalità, il continuum attuale di un oggetto materiale è una conseguenza del suo momento precedente. In termini di quel continuum non credo che sia il risultato del karma, ma è solo a seguito di un processo di legge naturale.

Tuttavia, il ruolo che svolge il karma è visto più in termini di un fattore di condizionamento circostanziale. Attraverso il karma, per esempio, nel caso di questo universo, anche se il continuum materiale proviene dalle particelle spaziali, è il karma collettivo degli esseri senzienti che poi abitano il particolare universo che permette al continuum della materia d’evolvere gradualmente nel mondo macroscopico. Il pianeta, ad esempio, avrà un effetto diretto sugli esseri senzienti che vi abitano e sulle loro esperienze di dolore e piacere. Così si potrebbe dire che nel momento in cui il processo evolutivo fisico comincia a diventare rilevante per l’esperienza degli esseri viventi, a quel punto si può dire il karma è entrato in causa.

Naturalmente questo porta ad un’altra domanda, ossia: come può il karma, che è un fenomeno non-sostanziale, immateriale, aver un qualche effetto nell’influenzare un processo materiale, fisico? Questa è una domanda valida. Qui penso che forse qualche spiegazione potrebbe essere trovato nel Tantra, in particolare nel più alto  Yoga Tantra. Lì si parla di materia sottile in forma di energie e c’è un particolare concetto di energia chiamata Energia delle Cinque radianze. Queste, in un certo senso, possono essere descritte come la forma più sottile dei cinque elementi: spazio, vento, fuoco, acqua e terra. Questa forma più sottile degli elementi  sento che dia luogo alle forme più grossolane degli elementi corporei e che questi elementi interni del corpo, hanno, quindi, una qualche relazione con gli elementi esterni. È attraverso questa sottile connessione che si potrebbe spiegare la relazione tra il karma ed i processi del mondo materiale.

Un’ulteriore questione può essere sollevata di come nascano le particelle spaziali ed il continuum della coscienza? Tale indagine in ultima analisi, porterebbe ad un punto in cui si è costretti  o a credere in un punto di partenza per cui si avrebbe bisogno, ad un certo punto, di accettare il principio della creazione oppure a perseguire una linea di ulteriore ragionamenti. La prima alternativa di giustificare questo, in nome di un concetto di creazione, dal punto di vista buddhista farebbe sorgere molte complicazioni. La prima questione da sollevare sarebbe qual’è esattamente la natura del Creatore? Il creatore a sua volta dipende da una causa o è unentità autogenerata? È un essere necessario, e se sì, come può un’entità senza causa, autogeneratasi, avere il potere o potenziale di produrre qualcosa che è in sostanza diverso da sé? Dal punto di vista buddhista questo porta a tutta una serie di complicazioni insostenibili e lascia molte questioni aperte ed irrisolte.

Dal punto di vista buddhista è adottata la seconda alternativa che è quella di cercare una spiegazione più in termini dello stesso principio di causalità. Quindi in definitiva i buddisti accettano la possibilità di cause infinite [regresso all’infinito] e condizioni, l’infinito nel continuum di cause. Naturalmente per alcune persone ciò può essere insoddisfacente e altre domande potrebbero essere poste, ad esempio: come è sorto l’infinito? Come è  possibile un’infinità di cause? Questo può sembrare molto scomodo e insoddisfacente per alcune persone. A loro il buddista avrebbe risposto che questo è il modo in cui è, non vi è alcuna altra spiegazione logica.

Per riassumere, la comprensione buddhista della natura dell’esperienza umana sarebbe che molti dei nostri problemi, le nostre esperienze di dolore, sofferenza, frustrazioni, ansie, sopravvengono a seguito di certi atteggiamenti o stati della mente, di uno stato indisciplinato della mente. Naturalmente esistono altri fattori come la predisposizioni provenienti da vite passate e anche influenze karmiche da vite precedenti. Così, quando parliamo di cercare di capire la natura dell’esperienza ora, per un buddista, devono essere presi in considerazione tutti questi fattori.

Nell’ambito di una tale visione del mondo è  quindi più facile accettare certi fenomeni, che ci troviamo di fronte. Perfino oggi ci sono casi di bambini che sono in grado di ricordare eventi di una vita precedente in modo molto vivo e chiaro. Per tale  visione del mondo vi è il concetto di rinascita e di continuum senza inizio della coscienza, così questi fenomeni diventano accettabili e comprensibili. Altrimenti si è costretti o a dire che si tratta di un mistero totale, che non c’è affatto una spiegazione oppure si è costretti a concludere che è solo un’illusione, perfino quando qualcuno ricordi  in modo molto chiaro e preciso.

Per riassumere quello che abbiamo trovato circa il continuum della coscienza, è che è sempre presente. Allo stesso modo è sempre presente il  continuum dell’individuo o dell’essere che è designato su questo continuum. Ci si potrebbe chiedere: se questo è il caso, come si fa a spiegare fenomeni come la morte, la nascita e la vita?

Il Buddismo spiega che anche se il continuum della coscienza è sempre lì, tuttavia la morte, la nascita e la vita sono, in un certo senso, le varie fasi dello stesso continuum, in un punto particolare nel continuum della natura ciclica. Si intendono  morte e nascita in termini di diverse fasi del processo.

Questo è simile ai processi del sonno, dello stato di veglia e di sogno. Secondo il buddismo queste fasi diverse nella vita quotidiana sono diversi stati di coscienza in cui la coscienza dimora a livelli diversi. Si potrebbero anche definire vari livelli di energia. Per esempio il sonno è dove la coscienza e l’energia sono ad un livello più profondo. Se si include lo stato di sogno, il livello di coscienza e di energia diventa un po grossolano, questo è il livello di sogno. La forma più grossolana della coscienza è quando siamo svegli e, per questo, si paragona la morte al sonno, il sogno allo stato intermedio, lo stato di veglia alla nascita.

In questa prospettiva possiamo vedere che il punto di morte è caratterizzato dal punto in cui il corpo vecchio e grossolano è separato dalla mente. Tuttavia, rimarrà sempre il continuum della mente / corpo al suo livello più sottile. Quindi non esiste una separazione totale tra la mente e il corpo. E’ solo il livello grossolano, il corpo grossolano che, in un certo senso, sono rigettati in punto di morte. Al momento della nascita si assume un nuovo corpo grossolano. Allo stesso modo, quando si guarda alla natura del sonno e del periodo di veglia, si può vedere che siamo andati incontro ad una forma di rinnovamento del proprio corpo. Per esempio, se siamo completamente esausti, durante il sonno e quando ci si risveglia, si sente come se il corpo fosse stato ristorato e rinnovato. Se vogliamo essere molto precisi, potremmo dire che durante il sonno siamo andati incontro ad un processo di rinnovamento. Allo stesso modo, si realizza un processo simile  anche durante il sonno e il periodo di veglia.

È a causa di queste analogie e corrispondenze tra morte, stato intermedio e rinascita, da un lato ed il sonno, il sogno e il periodo di veglia, dall’altro che, nel Guhyasamaja Tantra si trovano molte pratiche per tracciare paralleli e confronti tra queste fasi, conosciute come “Le pratiche del mescolare”. È sulla base della conoscenza di queste che il Buddismo parla di molte vite e  anche di tempi in termini di innumerevoli eoni. Così, se si è compresa la posizione buddista in questi termini quando si recita una preghiera come faremo tra poco tratta dal Bodhicaryavatara come “Finché resterà lo spazio, Finché esisteranno gli esseri senzienti”, allora si può veramente sentire qualcosa. Quando si riflette sull’infinità del proprio continuum, e senza inizio,  questo ci fa sentire esausti? O scoraggiati?

Anche se il concetto di infinito e il concetto di senza inizio può sembrare scoraggiante e può sembrare difficile da comprendere, un punto da ricordare è però la realtà della propria esistenza presente. Finché noi esistiamo, è importante rendere la nostra esistenza significativa, renderla significativa nel mettersi al servizio degli altri. Ora che esistiamo e per quanto riguarda la nostra esistenza  non possiamo mettere in dubbio la nostra esistenza e pertanto dovremmo renderla  significativa con l’essere al servizio degli altri. Il fatto che esistiamo è un fenomeno naturale, non si può davvero spiegare perché siamo qui, ma dal punto di vista buddhista il fatto di una infinità di vite da un tempo senza inizio,  anche questo è solo parte della natura. Potremmo rendere significative ed utili queste vite infinite. Quando riflettiamo in questo senso sui versi di Shantideva dove egli afferma: “Finché durerà lo spazio e così a lungo fino a quando esisteranno gli esseri senzienti, possa io rimanere per eliminare le miserie del mondo”, E quindi questi versi saranno portati a casa ed inizieranno ad avere un senso vero per voi.

Quindi, quando parliamo di essere al servizio degli altri, non stiamo parlando puramente in un senso morale, dove il nostro altruismo si limita ad un pensiero di desiderio. Stiamo parlando di qualcosa di più profondo, soprattutto nel contesto della pratica buddhista. Compassione ed altruismo devono essere basati su una realizzazione chiara e sulla visione profonda della natura insoddisfacente della propria esistenza e sofferenza. Come ho citato ieri da  “Entrando nella Via di Mezzo” di Candrakirti, dove afferma che noi prima ci aggrappiamo ad una solida identità dell’io, quindi ci aggrappiamo al nostro corpo ed ai nostri beni come nostri. Attraverso questo attaccamento all’io e mio generiamo un certo tipo di reazioni emotive, che poi conducono ad azioni volontarie che perpetuano l’intero ciclo di esistenza samsarica.

Quando pensiamo a questi versi, sappiamo dalla nostra esperienza sebbene non vogliamo essere arrabbiati o negativi, ci troviamo spesso ad essere sopraffatti da forti impulsi negativi.

 

 

Questo indica che in un certo senso abbiamo uno scarso controllo sulle nostre risposte e sulla nostra psiche.

Allo stesso modo non vogliamo agire in modo negativo, non vogliamo creare un karma negativo, ma spesso ci ritroviamo a agire contro il nostro desiderio fondamentale. Questo dimostra ancora una volta che abbiamo scarso controllo sulle nostre azioni. Quindi, questo dimostra che si è in un certo senso governati dalla duplice forza del karma e delle illusioni. Attraverso la manipolazione di queste due forze siamo entrati in un circolo vizioso di schemi abituali di azione e di esistenza. Una volta che ci rendiamo conto di questo, allora sviluppiamo un forte senso di repulsione nei confronti di queste illusioni e karma negativo. Sviluppiamo anche un autentico senso o aspirazione a cercare la libertà da questo tipo di esistenza. Aspiriamo ad uscire da questo circolo vizioso, e questo è conosciuto  nel contesto buddhista come vera rinuncia. Una volta che abbiamo la vera rinuncia e profonda visione della sofferenza e della natura insoddisfacente dell’esistenza allora estendiamo questa visione agli altri esseri senzienti. Ci accorgiamo di essere spinti contro la nostra volontà da parte delle forze del karma e delle illusioni così come gli altri esseri senzienti, che ugualmente non desiderano per l’infelicità e sofferenza, ma sono guidati dalle duplici forze del karma e delle illusioni contro i loro desideri.

Quando riflettiamo su tali fatti, sviluppiamo spontaneamente un senso di  avversione verso il karma, le illusioni e la natura insoddisfacente dell’esistenza, così forte da spingerci e motivarci ad interessarci del benessere degli altri esseri senzienti. Essi, proprio come noi, desiderano essere felici ed eliminare la sofferenza. Pensando in questa direzione ed essendo convinti dalla forza della compassione, dedicando tutta la nostra vita al servizio degli altri, per portare benessere agli altri esseri senzienti utilizzando tutte le risorse a noi disponibili di corpo, parola e mente, ne risulterà allora un enorme senso di realizzazione e di gioia.

Il sotteso senso di gioia e di soddisfazione risultante da  questo stile di vita dedicata agli altri, rende, in un certo senso, la nostra esistenza ancor più significativa nel miglior modo possibile.

Così, quando riflettiamo su queste cose, i passi tratti dal Bodhicaryavatara ed altri testi sul bodhisattva acquisiscono un senso preciso. Per esempio, nel Bodhicaryavatara Shantideva dice: “Perché dovrei cercare il nirvana?” Allo stesso modo Bhavaviveka  afferma nel suo testo chiamato il Cuore della Madhyamika: “Attraverso la visione della natura insoddisfacente dell’esistenza sarò liberato dall’attaccamento all’esistenza. Tuttavia, attraverso il potere della compassione, prendo le distanze dal cercare il nirvana “. Ne deriva che, una volta che si è stretti nella morsa del potere della compassione, l’impegno di ognuno di portare al benessere gli altri esseri senzienti è tale che, in un certo senso,  semplicemente non sorge il pensiero di cercare l’illuminazione per se stessi. Quando  Chandrakirti riassume le grandi qualità del bodhisattva sul sesto bodhisattva bhumi, afferma che un Bodhisattva ad un livello elevato di realizzazione, a causa della sua profonda comprensione della natura della vacuità e della sua esperienza diretta ed intuitiva della vacuità svilupperà la compassione spontanea: il vero modo dessere del bodhisattva.

COLOPHON

Trascritto e digitato in inglese da Phillip Lecso da audiocassette ottenuti da QED Recordin service intitolate “Kalachakra per la pace nel mondo: preliminari all’iniziazione al Kalachakra”. Mi assumo la responsabilità per tutti gli errori che si sono verificati, attraverso ascoltare e scrivere in modo non corretto ciò che è stato insegnato, per questi mi scuso. Possono essere tutti di buon auspicio. Possa ogni merito da questa attività essere per la lunga vita e buona salute di Sua Santità. Che tutti gli esseri senzienti possano rapidamente raggiungere lo stato del Glorioso Kàlachakra anche attraverso questo sforzo imperfetto. Phillip Lecso.

Traduzione dall’inglese in italiano della Dr.ssa Nicoletta Nardinocchi.

 

Lascia un commento