Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama
a Washington DC, USA, 8 novembre 1998
Tema degli Insegnamenti: gli Otto versi di trasformazione della mente https://www.sangye.it/altro/?p=27
Trasformare la mente: Verso 1
Traduzione dall’inglese all’italiano della Dott.ssa Nicoletta Nardinocchi, revisione del Dott. Luciano Villa, per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri
Per realizzare il fine supremo
Possa io costantemente prenderli a cuore.
Sua Santità il XIV Dalai Lama
Queste quattro linee sono relative al coltivare un sentimento di prendere a cuore tutti gli altri esseri senzienti. Il punto principale che questo verso sottolinea è sviluppare un atteggiamento che permetta di considerare gli altri esseri senzienti come preziosi, più preziosi di gioielli. Ci si potrebbe chiedere “Perché abbiamo bisogno di coltivare il pensiero che altri esseri senzienti siano preziosi e di valore?” In un certo senso, possiamo dire che gli altri esseri senzienti sono veramente la fonte principale di tutte le nostre esperienze di gioia, felicità e prosperità, e non solo in termini di rapporti giornalieri con la gente. Possiamo vedere che tutte le esperienze desiderabili che amiamo o aspiriamo ad ottenere dipendono dalla cooperazione ed interazione con gli altri esseri senzienti. Si tratta di un fatto ovvio. Allo stesso modo, dal punto di vista di un praticante sul sentiero, molti degli elevati livelli di realizzazione che otteniamo ed i progressi sul cammino spirituale dipendono dalla cooperazione ed interazione con gli altri esseri senzienti. Inoltre, allo stato risultante di buddhità, le attività veramente compassionevoli di un Buddha possono sorgere spontaneamente, senza alcuno sforzo solo in relazione agli esseri senzienti, perché sono i destinatari ed i beneficiari di dette attività illuminate. Così possiamo vedere che gli altri esseri senzienti sono, in un certo senso, la vera fonte della nostra gioia, prosperità e felicità. Le gioie semplici e gli agi della vita come cibo, alloggio, vestiario, e compagnia dipendono tutti dagli altri esseri senzienti, come anche fama e notorietà. I nostri sentimenti di conforto e senso di sicurezza dipendono dalle percezioni che altre persone hanno su di noi e dal loro affetto per noi. E’ quasi come se l’affetto umano fosse la base stessa della nostra esistenza.
La nostra vita non può iniziare senza l’affetto e il nostro sostentamento, la nostra crescita corretta, ecc. dipendono tutte da questo. Per ottenere una mente calma, più vi prenderete cura degli altri, più profonda sarà la vostra soddisfazione. Credo che il momento stesso in cui sviluppate un senso di responsabilità, gli altri sembreranno più positivi, il che è dovuto al vostro stesso atteggiamento. D’altra parte, se rifiutate gli altri: vi appariranno in modo negativo. Un’altra cosa che mi è abbastanza chiara è che nel momento in cui pensate solo a voi stessi il focus della vostra intera mente si restringe, ed a causa di questa prospettiva ristretta eventi non confortevoli possono apparire come enormi ed incutere paura e disagio ed una sensazione di essere schiacciati dalla sofferenza. Nel momento in cui pensate agli altri con un senso di responsabilità, la vostra mente si espande. All’interno di questa prospettiva più ampia, i propri problemi sembrano essere di nessuna importanza, e questo fa una grande differenza
Se nutrite il sentimento di prendervi cura degli altri, manifesterete una sorta di forza interiore nonostante situazioni personali difficili e problemi. Con questa forza, i vostri problemi sembreranno meno significativi e fastidiosi. Andando oltre i vostri problemi e prendendovi cura degli altri, guadagnerete forza interiore, fiducia in voi stessi, coraggio, ed un maggior senso di calma. Questo è un chiaro esempio di come il proprio modo di pensare può davvero fare la differenza.
La Guida allo Stile di Vita del Boddhisattva (Bodhicaryavatara) afferma che esiste una differenza fenomenologica tra il dolore sperimentato quando prendete su di voi il dolore degli altri ed il dolore che proviene direttamente dal proprio dolore e sofferenza. Nel primo caso, vi è un elemento di disagio, perché si condivide il dolore degli altri, tuttavia, come sottolinea Shantideva, si consegue anche una certa stabilità perché, in un certo senso, si è volontariamente accettato quel dolore. Nella partecipazione volontaria alla sofferenza altrui c’è forza ed un senso di fiducia. Ma in quest’ultimo caso, quando subite il vostro stesso dolore e sofferenza, cadete in una situazione d’involontarietà e a causa della mancanza di controllo da parte vostra, vi sentite deboli e completamente sopraffatti. Negli insegnamenti buddisti sull’altruismo e la compassione, si usano certe espressioni come “dovreste trascurare il vostro benessere e prendervi a cuore il benessere degli altri.” E’ importante capire che queste affermazioni sulla pratica del condividere volontariamente il dolore di altri nel loro giusto contesto. Il punto fondamentale è che se non siete capaci di amare voi stessi semplicemente non c’è una base sulla quale costruire un senso di responsabilità verso gli altri. L’amore per voi stessi non significa che siete in obbligo verso voi stessi. Piuttosto, la capacità di amare se stessi o essere gentile con se stessi dovrebbe essere basata su un fatto molto fondamentale dell’esistenza umana: che tutti noi abbiamo una tendenza naturale alla felicità ed al desiderio di evitare la sofferenza. Una volta che questa base esiste in relazione a se stessi, la si può estendere ad altri esseri senzienti. Perciò, quando troviamo affermazioni negli insegnamenti come “Ignorare il proprio benessere e prendere a cuore il benessere degli altri,” dovremmo comprenderle nel contesto della trasformazione di voi stessi secondo l’ideale della compassione. Questo è importante se non vogliamo indulgere nel pensiero egocentrico che ignora le conseguenze delle nostre azioni sugli altri esseri senzienti. Come ho già detto, siamo in grado di sviluppare un atteggiamento di considerare gli altri esseri senzienti come preziosi, riconoscendo quanto la loro gentilezza gioca nella nostra stessa esperienza di gioia, felicità e successo. Questa è la prima considerazione.
La seconda considerazione è la seguente: attraverso l’analisi e la contemplazione arriverete a capire che molta della nostra sofferenza e dolore derivano da un atteggiamento centrato sull’ego che prende a cuore la propria felicità a discapito degli altri, mentre molta della gioia, felicità e senso di sicurezza nella nostra vita derivano da pensieri ed emozioni che prendono a cuore la felicità degli altri esseri senzienti. Mettendo a confronto queste due forme di pensiero e di emozione ci convinciamo della necessità di considerare preziosa la felicità degli altri. Vi è un altro fatto relativo al coltivare pensieri ed emozioni che prendono a cuore il benessere degli altri: il nostro interesse personale ed i nostri desideri sono soddisfatti, come un sottoprodotto del lavoro svolto per gli altri esseri senzienti. Come Je Tsong Khapa sottolinea nella sua “Grande Esposizione del sentiero per l’illuminazione (Lamrim Chenmo)”, più il praticante si impegna in attività e pensieri mirati e diretti verso la realizzazione della felicità altrui, più di conseguenza avverrà la realizzazione delle proprie aspirazioni personali senza la necessità d’un ulteriore impegno. Alcuni di voi hanno effettivamente sentito la frase, che pronuncio abbastanza spesso, secondo cui i bodhisattva, i compassionevoli praticanti del sentiero buddista, in un certo senso sono dei saggi egoisti, mentre le persone come noi sono stupidamente egoisti. Noi pensiamo solo a noi stessi e ignoriamo gli altri, e il risultato è che restiamo sempre infelici e viviamo malissimo. È arrivato il momento di pensare in modo più saggio, non è vero? Questa è la mia convinzione. Ad un certo punto emerge la domanda: “Possiamo davvero cambiare il nostro atteggiamento?”
La mia risposta, sulla base della mia poca esperienza è, senza esitazione: “Sì!” Questo è abbastanza chiaro per me. La cosa che noi chiamiamo “mente” è del tutto peculiare. A volte è molto testarda e molto difficile da cambiare. Ma, con uno sforzo continuo e con una convinzione basata sulla ragione, le nostre menti a volte sono abbastanza oneste. Quando abbiamo veramente l’impressione che vi è necessità di cambiare, allora la nostra mente può cambiare. Desiderare e pregare solamente non trasformerà la vostra mente, ma con convinzione e ragione, ragione basata sulla vostra esperienza personale, è possibile trasformare la vostra mente.
Il tempo è un fattore molto importante, e con il tempo i nostri atteggiamenti mentali possono certamente cambiare. A questo punto dovrei fare un osservazione. Alcune persone, specialmente coloro che si considerano molto realistiche e pratiche, sono troppo realistiche e ossessionate dalla praticità. Possono pensare: “Questa idea di volere la felicità di tutti gli esseri senzienti e questa idea di coltivare pensieri di prendersi a cuore la felicità di tutti gli esseri senzienti è irrealistica e troppo idealista. Così non contribuiscono in alcun modo alla trasformazione della mente o al conseguimento di qualche tipo di disciplina mentale perché sono idee del tutto irrealizzabili.” Alcune persone possono pensare in questi termini e sentire che forse un approccio più efficace dovrebbe iniziare con una stretta cerchia di persone con cui si ha un’interazione diretta. Più tardi, aggiungono, se ne potrebbe espandere ed accrescere la portata. Per loro semplicemente non è possibile pensare a tutti gli esseri senzienti, poiché sono infiniti. Potrebbero pensare di sentire un qualche tipo di relazione con gli altri esseri umani su questo pianeta, ma che gli esseri senzienti infiniti nel mondo dei sistemi di universi multipli non hanno nulla a che fare con la loro esperienza come individui. Possono domandarsi: “Che senso ha cercare di coltivare la mente che cerca di includere nella sua sfera ogni essere vivente?” Messa così potrebbe anche essere un’obiezione valida, ma ciò che è importante è capire l’impatto del coltivare tali sentimenti altruistici. Il punto è cercare di sviluppare il campo di applicazione della propria empatia, in modo da estenderla a qualsiasi forma di vita che abbia la capacità di provare dolore e sperimentare felicità. Si tratta di definire un organismo vivente come un essere senziente. Questo genere di sentimento è molto potente, e non c’è bisogno di identificare, in termini specifici, con ogni singolo essere vivente affinché possa essere efficace. Prendiamo, ad esempio, la natura universale dell’impermanenza. Quando coltiviamo il pensiero che cose ed eventi sono impermanenti, non abbiamo bisogno di prendere in considerazione ogni singola cosa che esiste nell’universo per convincerci dell’impermanenza. Non è così che funziona la mente. Quindi è importante apprezzare questo punto.
Nel primo verso, vi è un esplicito riferimento all’agente “IO”: “Possa sempre considerare gli altri come preziosi.” Forse in questa fase potrebbe essere utile una breve discussione sulla comprensione buddista di ciò a cui questo “io” si riferisce. In linea generale, nessuno contesta che esistano le persone-tu, me-gli altri. Non mettiamo in discussione l’esistenza di chi subisce l’esperienza del dolore. Diciamo: “Vedo così e così” e “sento così e così,” e costantemente usiamo il pronome di prima persona nel nostro discorso. Non vi è contestazione sull’esistenza del livello convenzionale di “sé” che tutti sperimentiamo nella nostra vita giorno per giorno. Le domande sorgono, però, quando cerchiamo di capire che cosa sia in realtà il “sè” o l’IO. Nel porre tali domande, possiamo tentare di estendere l’analisi un po’ oltre la vita quotidiana, ad esempio, ricordare noi stessi nella nostra gioventù. Quando ricordate qualcosa della vostra giovinezza, avete un forte senso di identificazione con lo stato del corpo ed il vostro senso del “sé” a quell’età. Quando eravate giovani, vi era un “sé”. Quando invecchiate, c’è un “sé”. C’è anche un “sé” che pervade entrambi gli stadi. Un individuo può ricordare le sue esperienze di gioventù e le sue esperienze di vecchiaia, e così via. Possiamo vedere una stretta identificazione tra i nostri stati corporei ed il senso del “sè”, la coscienza dell’IO. Molti filosofi e, soprattutto, pensatori religiosi hanno cercato di comprendere la natura della persona, quel “sè” o “io”, che mantiene la sua continuità nel tempo. Questo è stato particolarmente importante nell’ambito della tradizione indiana. Le scuole non-buddiste indiane parlano di Atman, che è approssimativamente tradotto come “sè” o “anima”, ed in altre tradizioni non-religiose indiane sentiamo parlare di ‘”anima” dell’essere e così via. Nel contesto indiano, Atman è il significato distinto di un agente che è indipendente dei fatti empirici dell’individuo. Nella tradizione indù, ad esempio, vi è una credenza nella reincarnazione che ha dato vita a molti dibattiti. Ho anche trovato riferimenti ad alcune forme di pratica mistica, in cui una coscienza o anima assume il corpo di una persona morta di recente. Se vogliamo dare un senso alla reincarnazione, se vogliamo dare un senso all’anima che assume un altro corpo, allora dobbiamo postulare un qualche tipo di agente indipendente, indipendente dai fatti empirici dell’individuo.
Nel complesso, le scuole indiane non buddiste sono più o meno arrivati alla conclusione che il “sé” si riferisce proprio a questo agente indipendente o Atman. Si riferisce a ciò che è indipendente dal nostro corpo e della mente. Le tradizioni buddhiste nel complesso hanno respinto la tentazione di porre un “io”, un Atman, o un’anima indipendente dal nostro corpo e della mente. Tra le scuole buddiste c’è consenso sul fatto che “sè” o “io” deve essere inteso in termini di aggregazione di corpo e mente. Ma quanto a che cosa, esattamente, ci riferiamo quando diciamo “io” o “sè”, vi è stata divergenza di opinione perfino tra i pensatori buddisti. Molte scuole buddiste sostengono che, in ultima analisi, dobbiamo identificare il “sé” con la coscienza della persona. Attraverso l’analisi, siamo in grado di mostrare come il nostro corpo sia una sorta di fatto contingente, e che quello che continua attraverso il tempo è in realtà la coscienza di un essere. Naturalmente, altri pensatori buddisti si sono rifiutati di identificare il “sé” con la coscienza. Pensatori buddisti come Buddhapalita e Chandrakirti hanno rifiutato l’esigenza di cercare un sé eterno, costante, duraturo, sostenendo che seguire questo tipo di ragionamento è, in un certo senso, cedere alla necessità radicata di aggrapparsi a qualcosa. Un’analisi della natura del “sé” in questo senso non porterà a nulla perché la ricerca interessata è metafisica, è una ricerca di un sé metafisico in cui, Buddhapalita e Chandrakirti sostengono, stiamo andando al di là della comprensione della lingua ed esperienza quotidiane. Quindi “sé” persona ed agente devono essere intesi esclusivamente in termini di come sperimentiamo il nostro senso di sé. Non dobbiamo andare oltre il livello della comprensione convenzionale di “sé” e persona. Dobbiamo sviluppare una comprensione della nostra esistenza in termini di nostra esistenza corporea e mentale, in modo che “sé” e persona siano compresi in un certo senso, inteso come denominazioni dipendenti da mente e corpo. Chandrakirti utilizzò l’esempio di una biga nella sua “Guida alla Via di Mezzo (Madhyamakavatara)”. Quando sottoponete all’analisi il concetto di carro, non state mai andando a trovare una sorta di carro sostanzialmente o metafisicamente reale che è indipendente dalle parti che costituiscono il carro. Ma questo non significa che il carro non esista. Allo stesso modo, quando sottoponiamo il “sè”, la natura di “sé” a tale analisi, non possiamo trovare un “sé”, indipendente dalla mente e dal corpo che costituisca l’esistenza dell’individuo o essere. Questa concezione del “sé” come origine-dipendente deve essere estesa alla nostra comprensione di altri esseri senzienti. Altri esseri senzienti sono, ancora una volta, designazioni dipendenti dall’esistenza corporea e mentale. L’esistenza corporea e mentale si basa sugli aggregati, che sono costituenti psicofisici degli esseri.