S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 1B

1 B UNA FORTE E PURA MOTIVAZIONE

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo.

Appunti, traduzione ed editing del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama

La fede religiosa deve essere basata su motivazioni razionali

Quando si trovano in situazioni sfavorevoli, gli esseri umani cercano conforto nelle pratiche religiose. Per questa ragione esistono diverse tecniche e percorsi religiosi, che, quando devono affrontare situazioni di particolare importanza, cercano conforto in esseri superiori: nel Buddha e in altre entità religiose. E’ come rifugiarsi tra le braccia della mamma, dei genitori o in chi parla al nostro cuore. <!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

In questi casi si cerca rifugio in chi può dare affetto, un affetto vero e spontaneo: nell’affetto vero di chi ci dona conforto per risolvere questi problemi. Questo è il motivo per cui è sorta la fede religiosa.

Vi sono, tuttavia, certi tipi di fede che non sono basate su una ragione particolare, sulla razionalità.

Un punto centrale del Buddhismo, in particolare della dottrina Mahayana, è rappresentato dal fatto che la fede religiosa deve essere fondata su motivazioni razionali, la fede deve essere basata su convincimenti connessi con l’osservazione della realtà: una fede fondata sul convincimento razionale, su ragionamenti o processi logici dimostrabili. Nel Buddhismo si dice che, se si sviluppa una fede irrazionale, questa può diventare rischiosa. Pertanto, nel Buddismo, la fede dovrebbe essere basata sulla conoscenza, la quale, a sua volta, dovrebbe fondarsi sulla corretta percezione della realtà, sviluppata attraverso uno studio idoneo ed una riflessione conseguente.

– In tutte le religioni del mondo viene spiegato come sviluppare la fede.

Nel Buddhismo, questo processo si genera dapprima con un’analisi critica verso tutte le concezioni filosofiche e religiose, incluso il Buddhismo stesso. Ad esempio, nella nostra pratica religiosa, soprattutto nella fase iniziale, crediamo che non si debba accettare alcuna teoria senza averla posta prima in discussione. Se, dopo aver analizzato criticamente quelle posizioni, le troveremo adeguate, solo allora potremo credervi, dar loro fede. Per noi, infatti, il processo di sviluppo della fede è basato sulla razionalità. Allora, come sono quelle fedi che non si fondono su basi razionali?

Le fedi che non si basano sulla razionalità e sulla conoscenza, non le possiamo considerare tra le più elevate. Come praticante del Buddhismo debbo dire che questa è la concezione più efficace.

Si possono distinguere due aspetti nelle religioni: quello maggiormente volte a conoscere, a cambiare, a trasformare la nostra mente e quello principalmente orientate verso lo studio filosofico, indirizzato a sua volta all’ottenimento della conoscenza. V’è così una categoria finalizzata alla trasformazione della nostra mente, basata principalmente sulla pratica religiosa, ed un’altra maggiormente volta al conseguimento della conoscenza profonda dal punto di vista filosofico.

Possiamo osservare questi due aspetti perfino nei testi che stiamo studiando: le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” sono basate sul come impegnarsi nella pratica quotidiana. Nello stadio intermedio della meditazione occorre, tuttavia, possedere le profonde conoscenze ed i valori della scuola Mahayana.

– Qual è il fattore mentale più rilevante per la disposizione mentale d’un praticante spirituale?

In termini di trasformazione interiore e di disciplina mentale, possiamo ammettere l’uguaglianza delle maggiori religioni (cristianesimo, giudaismo, induismo, buddhismo), perché tutte le grandi tradizioni religiose al mondo sono di gran beneficio per trasformare la mente dei loro praticanti. Ad esempio, tra i cristiani, la fede è particolarmente efficace nel trasformare la mente dei propri seguaci. Viceversa, tra i buddhisti la pratica cristiana potrebbe rivelarsi non altrettanto efficace: le diverse tradizioni religiose sono, infatti, di beneficio per differenti tipologie di persone. Qual è il fattore mentale più rilevante per la disposizione mentale d’un praticante spirituale?

In tal senso, va evidenziato che il Buddhismo è una delle pratiche più vaste e profonde, e, parlando della vastità e profondità di particolari pratiche religiose, dobbiamo riconoscere che sono tutte relazionate alla disposizione mentale dei suoi praticanti: così accade anche in particolare per il Buddhismo. Prendiamo l’esempio dell’insegnamento mahayana: esso è considerato tra le pratiche più elevate e profonde. Tuttavia questo cammino è da porre sullo stesso piano con altre pratiche buddhiste che seguono altre vie o scuole filosofiche: la ragione di ciò sta nel fatto che il Buddha non insegnò solo la scuola Mahayana, ovvero il suo punto di vista filosofico. E, per i praticanti meno acuti, è tuttavia importante comprendere la mancanza del sé della persona piuttosto che la mancanza del sé dei fenomeni.

Prendiamo un altro esempio, e facciamolo nel campo della medicina. L’utilità o meno d’un farmaco dipende dalla sua capacità d’apportare dei miglioramenti nel paziente. Solo se quella specifica medicina si dimostrerà efficace nel curare quella precisa malattia essa sarà considerata utile. Non si può certo affermare che una certa medicina è migliore di un’altra perché è più costosa. Simile a questo ragionamento è il discorso della pratica religiosa.

– Solo se la pratica religiosa dimostrerà una ricaduta positiva sulla vostra mente, la potrete considerare appropriata per voi.

Penso, comunque, che apprezzate il fatto che esiste un numero infinito d’esseri senzienti diversi per disposizione mentale. Il fatto più rilevante consiste nella dimostrazione della ricaduta positiva della religione sul singolo praticante. Nel caso di voi occidentali, che siete qui numerosi ad ascoltarmi, è importante che la pratica spirituale si riveli efficace per il vostro tipo di mente: utile a rispondere ai vostri quesiti mentali. E’ inoltre rilevante seguire le tradizioni religiose del proprio paese, perché dà più stabilità.

Ad esempio, spinti dalla purezza di questi insegnamenti del Buddha, che abbiamo ereditato dai nostri padri, ci possiamo giustamente impegnare nel restauro dei templi esistenti e nella costruzione di nuovi. Faremo ciò, perché queste opere sono importanti per sviluppare la fede e per accumulare meriti.

La purezza del Dharma deve, tuttavia, essere connessa alla modifica dei nostri processi mentali e non a pratiche esteriori. Questo è il processo che deve essere intrapreso nella nostra interiorità, nella nostra mente.

Nel Buddhismo si combinano sostanzialmente due fatturi: da un lato la conoscenza e lo studio degli insegnamenti basati sui testi scritti e, dall’altro, la loro applicazione, ovvero la realizzazione dei loro contenuti tramite la pratica.

Perciò è molto importante conoscere i diversi stadi degli insegnamenti del Buddha e sviluppare la vera consapevolezza di quanto vogliono dire. Rilevo che, quel che è più importante è la trasformazione che realizziamo dentro di noi sulla base degli insegnamenti delle scritture. Questi, se condivisi, possono produrre dei cambiamenti nel nostro modo d’osservare la realtà.

Sua Santità il XIV Dalai Lama

– Impegniamoci ad applichare i principi della meditazione stabilizzativa: è molto importante sviluppare l’attenzione, l’acutezza mentale.

Questa è la base per la trasformazione della vostra mente, a partire dagli aspetti religiosi della pratica del Dharma. Altrimenti, se lascerete che la vostra mente continui ad essere quella di sempre, comportandosi come ha sempre fatto, senza impegnarsi in alcuna trasformazione, pur conoscendo i precetti del Dharma, senza metterli in pratica, non otterrete alcun risultato. Viceversa, se v’impegnerete di cuore a studiare e ad applicare i testi religiosi, e parlo della filosofia della trasformazione della mente e della sua pacificazione, potrete giungere alla felicità, alla pace interiore.

La pratica del Dharma non è incentrata tanto sulle preghiere al Buddha o agli esseri superiori, ma sulla visualizzazione, sulla formazione d’una nuova concezione mentale.

Ovviamente siete venuti fin qui per ricevere l’iniziazione del Kalachakra e per vedere il Dalai Lama, affrontando enormi difficoltà per raggiungere questo luogo tanto remoto.

– Potete facilmente rendervi conto che quando la vostra mente è pronta, potete ottenere la pace, potete ottenere la felicità.

Il che non dipende tanto dalle disponibilità esteriori. Questo cammino porta a trasformare la mente, a pacificarla: questa è la necessità di noi tutti. Questa della pace e della felicità è una necessità universale inderogabile: perché tutti noi abbiamo bisogno della tranquillità. Perciò, la strada della pratica del Dharma, se veritiera, deve portare ad una graduale trasformazione della mente, a più elevati livelli di pace e di tranquillità. Tuttavia questa trasformazione della mente non avviene automaticamente, di per sé stessa.

Dobbiamo impegnarci, prendere l’iniziativa minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno. Questa è la sostanza del nostro discorso.

I benefici della pratica del Dharma sono individuali, per questo motivo li potrete percepire solo voi.

Il termine sanscritto “Dharma” significa “sostenere”, o, meglio, “proteggere” qualcuno, impedendogli di cadere in stadi negativi d’esistenza. Pertanto, è tramite queste pratiche religiose che s’intraprende la strada della liberazione dalla sofferenza e della felicità, proteggendola dall’infelicità e dalle sue cadute.

Quando la vostra mente non è in pace, quando è alterata, ad esempio, quando si è adirati con qualcuno, quando si è stati insultati, quello è il momento in cui si è portati a commettere delle negatività: mentalmente, verbalmente, forse anche fisicamente. Quando si è risentiti verso qualcuno, lo apostroferemo in tono insolente, provocando così uno stato d’infelicità in quella persona. Viceversa, apprezzerete le persone che vi sorridono, vi compiacciono. Vi dovete rendere conto che, se assumerete questi comportamenti negativi, aumenterete la negatività che è già in voi e la stimolerete ulteriormente negli altri.

Perciò dovete far di tutto per non creare infelicità negli altri.

Sua Santità il XIV Dalai Lama

– State certi che si tratta d’un effimera soddisfazione

Seguendo infatti, nel corso della vostra vita, queste inclinazioni negative (mentali, verbali o fisiche) favorirete, non solo il continuo accumulo di aspetti sfavorevoli dentro di voi, ma anche il sorgere di negatività nella mente degli altri, di quelli che vi stanno vicino. Sul momento, il vostro atteggiamento offensivo ed arrogante potrà anche compiacervi o soddisfarvi. Ma, state certi che si tratta d’un effimera soddisfazione che, a lungo andare, vi procurerà solo conseguenze negative.

Viceversa, la felicità è un bene di cui tutti noi abbiamo necessità, che tutti vorremmo raggiungere. Per questa ragione è importante impegnarci in azioni virtuose.

Perciò la via del Dharma significa impegnarsi a fondo per trasformare la mente: solo in questo modo potremo raggiungere una felicità a lungo respiro. E’ perciò essenziale sintonizzare la nostra mente in una reale pratica del Dharma.

Dal mio punto di vista farò del mio meglio per spiegarvi questi testi, nonostante che la mia conoscenza trovi dei limiti.

Per questo motivo, cercate d’ascoltare attentamente, senza lasciarvi distrarre, impegnandovi anche a scoprire le profondità della scuola Madyamika.

In termini di trasformare e disciplinare la mente, ritengo di poter mettere tutte le tradizioni del mondo sullo stesso piano.

– Disgusto per le emozioni affliggenti

In nessun caso gli esseri umani, e neppure gli animali, vogliono la sofferenza.

E la sofferenza del cambiamento è discussa persino in alcune pratiche inferiori.

E’ importante giungere alla conoscenza ultima delle capacità distruttive della sofferenza e del fatto di vivere immersi in essa. Non appena mediterete sulla sofferenza, dovrete giungere a generare naturalmente in voi il desiderio di liberarvene. Questo perché la natura omnipervasiva della sofferenza si riferisce ad ogni livello d’esistenza.

Quando proverete un totale disgusto per le emozioni affliggenti, che sono la causa della sofferenza, allora, spontaneamente v’incamminerete sulla strada della liberazione: e la raggiungerete! E questo tipo d esercizio spirituale usiamo chiamarlo meditazione sulla RINUNCIA.

Al fine di suscitare questa sensazione di disgusto per le emozioni affliggenti, è opportuno far sorgere una certa repulsione per i limiti in cui siamo calati: in questo mondo ed ancora nelle prossime vite, ed ancora vieppiù, verso le ossessioni disturbanti in questa e delle prossime vite.

Atisha, nei “Tre stadi del sentiero”, insegnò che negli individui vi sono tre gradi d’intelligenza. E’ perciò importante praticare gradualmente e progressivamente.

Similmente s’espresse Aryadeva nei suoi “Quattrocento versi”, quando diceva: “Ci si deve impegnare per bloccare velocemente le azioni non meritorie e l’afferrarsi al sé, nonché la visione errata della realtà”.

Quando parliamo di liberazione, noi intendiamo il cammino che rifugge dalle emozioni che ci affliggono. Pertanto, quando c’impegniamo nella pratica del Dharma, tentiamo di sviluppare gli antidoti per eliminare le emozioni affliggenti: ovvero le azioni negative che commettiamo col nostro corpo, con le nostre parole o i nostri pensieri.

Questo lo dovremmo fare a livello iniziale; ma, a livello ulteriore, ci dovremo impegnare attivamente per eliminarle.

Ciò significa dire che, a livello iniziale, vi dovrete impegnare per difendere voi stessi da ciò che vi affligge, mentre più avanti, dovrete porre in atto gli antidoti e applicare tattiche offensive verso di loro, tentando d’eliminare completamente l’apparenza dualistica e gli errori ad essa conseguenti.

– Tutto ciò è possibile solo sviluppando saggezza.

Essa rappresenta la suprema qualità d’ogni aspetto positivo. Così queste tre pratiche positive rappresentano le tre esperienze da realizzare individualmente, esse sono spiegate appunto nel testo le “Trentasette pratiche del Bodhishattva”, in cui gradualmente si chiarisce come una persona come tutte le altre si cimenti per la sua liberazione nel corso della vita d’ogni giorno. Atisha dice: “Coloro che hanno visto i fenomeni nella loro profondità vedono che non hanno né inizio né fine.” Egli esprime la realtà convenzionale, individuata come quella ultima.

In termini di vedere e realizzare la realtà ultima, i fenomeni non hanno né sorgere né svanire. Si tratta dello stesso concetto spiegato nei versi sulla conoscenza del trattato sui “Fondamenti della saggezza” di Nagarjuna, in cui s’afferma: “I fenomeni non hanno nè produzione né cessazione, né sorgere né svanire”.

Nella natura del sorgere dipendente, per una mente che non esamina in questo modo, s’identifica un inizio ed una fine dei fenomeni. Ma, nella prospettiva della realizzazione ultima, non c’è né inizio né fine.

Perciò, all’inizio di questo testo, si dice che chi ha esaminato i fenomeni, e non ha individuato né il loro sorgere né il loro svanire, esprime la verità ultima. Avalokitesvara, esprimendosi in questo modo, denota d’aver realizzato la verità ultima, e, in questa prospettiva, riconosce che nei fenomeni non c’è né inizio né fine, ma, a livello convenzionale, dimostra una gran compassione verso tutti gli esseri senzienti.

Per questa ragione l’autore si rivolge ad Avalokitesvara come il supremo Lama e ne rende omaggio ai tre supremi: corpo, parola e mente.

I Buddha sono la fonte della pace e della felicità

Nel verso successivo spiega che i Buddha sono la fonte della pace e della felicità e che questi Buddha raggiungono questo stadio grazie alla pratica del Dharma supremo: “Nutro compassione verso tutti gli esseri senzienti, e offro tutta la mia devozione al supremo Lama Avalokitesvara, impersonificato nel Buddha della Compassione”. L’omaggio è espresso in sanscritto per enfatizzare la potenza, l’energia di queste parole che vengono dall’India.

Similmente disse: ”Il sé è il rifugio de sé, ed il sé è il protettore del sé”. Inoltre aggiunge: ”I Buddha non lavano le colpe degli esseri senzienti, e non possono rimuoverne le sofferenze, né possono trasferire le loro realizzazioni nella mente degli esseri senzienti, ma sono invece capaci di condurre alla liberazione gli esseri senzienti mostrando loro la realtà vera: quella ultima”.

Le benedizioni dei Buddha, da sole, non sono in grado di rimuovere la sofferenza, che nessun essere desidera.

E’ di fondamentale importanza che vi convinciate di ciò, perché, talvolta, come praticanti Buddhisti, non si dà tutta l’attenzione dovuta alla pratica individuale, ma si tende a prendere rifugio in alti e qualificati lama o in grandi maestri, nella convinzione che le loro benedizioni potranno assolverci dalle nostre colpe e purificare le nostre infelicità. Ricordatevi, tuttavia, che, comunque si esprimano questi versi, solo i Buddha sono la fonte della pace e della felicità. Questo significa che tutta la pace e la felicità che abbiamo conseguito, sono il risultato di tutte le nostre pratiche virtuose, intraprese seguendo il sentiero indicato dal Buddha. Per questo motivo sono la fonte della pace e della felicità. Questi Buddha sono il risultato della pratica del Dharma supremo. Negli stadi precedenti dell’insegnamento si spiega che il Buddha è sorto, ovvero è il risultato graduale di cause e condizioni: di pratiche di compassione, delle sei perfezioni. E’ perciò importante per noi, che vogliamo raggiungere l’illuminazione, conoscere come praticare il Dharma. Per questa ragione di Togmey Sangpo disse: ”Vi spiegherò la pratica del Bodhisattva, tuttavia, sappiate che non è sufficiente ascoltare questi insegnamenti, ma occorre praticare, per realizzarli.

Proprio per questo motivo il Buddha sottolineò i tre livelli della pratica: l’ascolto, la riflessione e la meditazione.

E’ molto difficile trovare la vera grandezza dell’impegno di liberare noi stessi e gli altri dall’oceano della sofferenza.

Ora dovremmo ascoltare, riflettere e meditare giorno e notte sulla pratica del Bodhisattva, senza lasciarci distrarre. Per poterci impegnare nelle pratiche è importante sapere come praticare, e, per sapere ciò, dobbiamo ascoltare gli insegnamenti, dovremo essere costantemente attenti nell’ascolto e farne oggetto di riflessione. La migliore predisposizione all’ascolto di questi insegnamenti, consiste nel pensare all’immenso beneficio ottenuto con la rinascita umana. Se foste nati come esseri animali, o in altri reami, non sarebbe stato possibile venire in contatto con queste pratiche. Così il Bodhishattva Togmey Sangpo dice che: ”Dal momento in cui abbiamo ottenuto questa preziosa natura umana, dotata di questa intelligenza meravigliosa, è importante non sprecare questa vita umana ma impegnarci nelle pratiche”.

Noi desideriamo la salvezza degli esseri, rifuggiamo dalla sofferenza: è questo un risultato della nostra capacità di comprensione degli esseri.

La nostra mente non è concentrata solo sulla vita attuale, e su ciò che accade in questo momento, ma lo è anche sul nostro futuro a lungo termine.

Noi abbiamo la capacità di fare progetti sul nostro futuro, il che è una caratteristica delle capacità intellettive umane. Quel che è importante è usare in modo corretto l’intelligenza umana, perché in questo modo possiamo guidare la nostra mente sulla strada che produce pace e felicità.

E, grazie all’intelligenza, ci possiamo dedicare a pratiche vaste e profonde, possiamo dirigere gli esseri umani verso la giusta direzione, il che potrà risultare molto costruttivo.

Se, viceversa, dirigeremo l’intelligenza umana nella direzione sbagliata, non potremo risollevare la nostra esistenza, a quel punto, anzi, sarebbe stato forse meglio non aver ottenuto questa vita umana.

Quando dico che dobbiamo impegnarci nelle pratiche, senza lasciarci distrarre, intendo sottolineare l’evidenza di evitare di pensare di poter cambiare la nostra mente semplicemente ascoltando un insegnamento, oppure di dedicarsi alle pratiche del Dharma solo nei giorni liberi da insegnamenti.

Altrimenti, si finisce per ricorrere al Dharma solo nei momenti del bisogno, vale a dire in quelli in cui si ha più problemi e non quando, liberi da affanni, si è apparentemente sereni.

– Nell’atmosfera del tempio, ad esempio, si può sentire la sensazione di non avere problemi. Possiamo avere la medesima sensazione anche nel momento in cui siamo impegnati nella recitazione di preghiere. Finche siamo intenti alla preghiera non avvertiremo i problemi, ma, all’uscita dal tempio, o alla fine della recitazione delle preghiere, vi troverete faccia a faccia coni vostri problemi.

In quel momento avrete maggiormente bisogno di pratiche sincere del Dharma, a meno che non riuscite a fare in modo che le vostre pratiche siano efficaci anche dopo la sessione, dopo aver finito di recitare le preghiere.

La necessità di dedicarsi proficuamente alle pratiche, senza distrarsi, significa che, per riuscire a modificare la mente, non è sufficiente decidere di seguire un insegnamento, o una serie d’insegnamenti. Dicendo: ”Oggi mi dedico a quest’insegnamento”. La spiegazione di ciò è subito detta: non appena sarà terminata la sessione d’insegnamento, se non si avrà un’idea precisa di come fare le pratiche di Dharma, tutto sarà vanificato. Abbiamo infatti bisogno di praticare continuativamente il Dharma, non solo nel momento in cui ascoltiamo un insegnamento. Per esempio, nel momento in cui visitiamo un tempio potremo non essere afflitti da molti pensieri disturbanti. Non è quello il momento in cui la pratica del Dharma è realmente necessaria, perché ci troviamo in un ambiente protetto. Potremo avvertire una sensazione simile nel momento in cui recitiamo una preghiera. Ma, subito dopo la visita del tempio o appena terminata la recitazione della preghiera, potremmo trovarci subissati da intensi problemi o emozioni disturbanti. Sono quelli i momenti in cui avete bisogno d’una vera pratica del Dharma.

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