1B-Insegnamenti S. S. Dalai Lama: Londra 1988

Sua Santità il Dalai Lama

Parte PRIMA

CARATTERI GENERALI DEL BUDDHISMO

Tali sistemi sono detti yana, ovvero veicoli. Oltre ai veicoli buddhisti, che sono: il veicolo della liberazione individuale (hinayana), il veicolo della salvezza universale (mahayana) e il veicolo del tantra (vajrayana), esistono vari altri veicoli degli esseri umani e degli esseri divini. In questo contesto, veicoli degli esseri umani e degli esseri divini si riferisce a sistemi che indicano la pratica e i metodi essenziali sia per realizzare le maggiori aspirazioni di questa vita sia per ottenere una rinascita propizia come essere umano o come essere divino. Tali sistemi sottolineano la necessità di mantenere uno stile di vita eticamente corretto fondato sull’astensione dal commettere azioni negative poiché il condurre vita retta e mantenere un buon comportamento è considerato il fattore più importante per assicurarsi una rinascita positiva. Il Buddha ha parlato anche di un altro tipo di veicolo, il veicolo brahmanico, che comprende le tecniche di meditazione che mirano al raggiungimento della più elevata forma di vita possibile all’interno del samsara (il ciclo dell’esistenza condizionato dal karma). Tali tecniche comprendono, tra l’altro, il ritrarre la mente da tutti gli oggetti esterni, il che conduce a uno stato di concentrazione univoca. Gli stati meditativi esperiti come risultato dell’aver generato concentrazione univoca costituiscono stati di coscienza modificati che, per quanto riguarda i loro aspetti fenomenologici e anche il modo di rapporto con gli oggetti, corrispondono strettamente a stati di esistenza nei mondi della forma e senza forma. DIVISIONE DEI VEICOLI

Dal punto di vista buddhista tutti i veicoli sono degni di rispetto, in quanto tutti hanno il potenziale per arrecare grande beneficio a un grande numero di esseri senzienti. Ciò non significa, tuttavia, che tutti questi siano completi nel presentare una via che conduca alla piena liberazione dalla sofferenza e dal ciclo dell’esistenza. Vera libertà e vera liberazione possono essere raggiunte solo quando sia totalmente superata la nostra fondamentale ignoranza, la nostra abituale errata percezione della natura della realtà. Questa ignoranza è alla base di tutti i nostri stati emotivi e cognitivi ed è il fattore principale che ci lega al ciclo perenne di vita e morte nel samsara. n sistema di pensiero e di pratica che presenta una via completa di liberazione da questa schiavitù è denominato veicolo del Buddha (buddhayana). Il veicolo del Buddha contiene due sistemi principali di pensiero e pratica: il Veicolo Individuale, o Hinayana, e il Veicolo Universale, o Mahayana. Il primo include il sistema Theravada, forma di buddhismo prevalente in molti paesi asiatici, per esempio Sri Lanka, Thailandia, Birmania, Cambogia e altri. La letteratura buddhista classica presenta due divisioni principali del Veicolo Individuale: il Veicolo degli Uditori e il Veicolo dei Realizzatori Solitari.

Una fondamentale differenza tra il Veicolo Individuale e il Veicolo Universale consiste nella diversa visione della dottrina buddhista della non esistenza del sé e del suo raggio di applicazione. Il Veicolo Individuale interpreta la visione della non esistenza del sé‚ solo in rapporto alla persona o all’identità personale, e non in rapporto alle cose e agli eventi in generale; mentre nel Veicolo Universale tale principio non è confinato a quell’ambito limitato, ma abbraccia l’intero spettro dell’esistenza, tutti i fenomeni. In altre parole, il sistema del Veicolo Universale considera la non esistenza del sé‚ un principio universale. Interpretato in questo modo, quel concetto acquista maggiore profondità. Secondo gli insegnamenti del Veicolo Universale, solo quando l’esperienza di non esistenza del sé‚ è radicata dal praticante nell’interpretazione universale, l’esperienza stessa porterà all’eliminazione delle afflizioni mentali e degli stati di ignoranza ad esse sottesi. Eliminando tali stati di ignoranza possiamo tagliare la radice del samsara. Inoltre, una profonda esperienza di non esistenza del sé‚ può anche condurre, in ultima analisi, alla piena illuminazione: uno stato di totale libertà dai condizionamenti sottili e dalle tendenze abituali ostruttive create dalla nostra errata interpretazione della natura della realtà. Il sistema di pensiero e pratica che presenta tale visione del sé‚ viene denominato Mahayana, cioè Veicolo Universale. Il Veicolo Tantrico, o Vajrayana, che la tradizione tibetana considera il veicolo più alto, è incluso nel Veicolo Universale.

LA LETTERATURA BUDDHISTA CLASSICA CITA VARI SISTEMI DI PENSIERO E PRATICA

Oltre a pratiche meditative volte a potenziare la comprensione della vacuità e di bodhicitta,

questo sistema comprende anche particolari tecniche avanzate per utilizzare i vari elementi del corpo fisico nella pratica meditativa, sulla base di sofisticate tecniche yoga che comportano il penetrare mentalmente i punti all’interno del corpo dove sono localizzati i chakra, o centri dell’energia. Grazie a questa sottile, raffinata coordinazione di mente e corpo, il praticante è in grado di accelerare il processo per arrivare alla radice dell’ignoranza e superare completamente i suoi effetti e condizionamenti, processo che culmina, infine, nel raggiungimento della piena illuminazione. L’impegnarsi in pratiche di meditazione che comportano la sottile coordinazione di elementi fisiologici e mentali del praticante è una caratteristica particolare e unica del Veicolo Tantrico.

Spiegherò ora brevemente il quadro storico del buddhismo quale noi lo conosciamo. Secondo il pandit kashmiro Gakya Grl che giunse in Tibet all’inizio del secolo XIII, il Buddha nacque in India circa 2500 anni fa. Ciò concorda con la posizione generalmente accettata dalla tradizione Theravada, ma, secondo alcuni studiosi tibetani, il Buddha apparve nel mondo più di 3000 anni fa.

LA NASCITA DEL BUDDHA

4 Cè poi una terza opinione che fa risalire la nascita del Buddha all’VIII secolo avanti Cristo. Riflettendo su queste contrastanti opinioni riguardo alla data forse più importante della storia del buddhismo, trovo a volte piuttosto imbarazzante che non si sia ancora raggiunta l’unanimità su quando effettivamente visse il maestro Buddha Sakyamuni! Penso seriamente che sarebbe utile se, con tutto il rispetto necessario, si conducessero test scientifici sulle reliquie del Buddha ritenute autentiche. Queste reliquie si trovano in diversi paesi come l’India, il Nepal e il Tibet. Forse esperimenti scientifici che si avvalessero delle risorse sofisticate della tecnologia e della chimica moderna sarebbero in grado di stabilire con un maggior grado di precisione le date dell’esistenza storica del Buddha. Ciò sarebbe utilissimo. Gli eruditi buddhisti del passato si sono valsi soprattutto di strumenti logici e dialettici per dimostrare la veridicità della loro versione dei fatti relativi alla vita storica del Buddha. Data la natura della questione, tuttavia, ritengo che tale genere di prove non possa mai essere definitivo. Nonostante le contrastanti asserzioni sulla data di nascita del Buddha, la letteratura mostra generale accordo riguardo agli eventi principali della sua vita. Sappiamo che egli era in origine una persona normale, come noi, con tutti i difetti e le debolezze dell’essere umano. Nacque da una famiglia reale, si sposò ed ebbe un figlio. In seguito, tuttavia, la insoddisfacente natura di sofferenza della vita gli si rivelò nella forma di inaspettati incontri con persone afflitte da malattia, vecchiaia e morte. Profondamente turbato da ciò che vedeva, il principe finì per abbandonare il palazzo paterno e rinunciare alla vita agiata e protetta che aveva condotto fino a quel momento. Inizialmente la sua reazione fu quella di adottare l’austero stile di vita dell’asceta, impegnandosi in una via spirituale che comportava grandi penitenze fisiche. In seguito, scoprì che la vera via che allontana dalla sofferenza si trova in una via di mezzo tra gli estremi del severo ascetismo e del lusso indulgente con se stesso. La sua risoluta ricerca spirituale sboccò infine nel pieno risveglio, o illuminazione: lo stato di buddhità. Sento che la storia della vita del Buddha ha grande significato per noi. Essa esemplifica le immense potenzialità e capacità che sono intrinseche alla natura umana. Mi pare che gli avvenimenti che portarono alla piena illuminazione del Buddha costituiscano un esempio degno e ispiratore per i suoi seguaci. In breve, la sua vita ci trasmette questo messaggio: – Questo è il modo in cui dovreste percorrere il cammino spirituale. Tenete a mente che il raggiungimento dell’illuminazione non è compito facile. Esso richiede tempo, volontà e perseveranza. Perciò, fin dall’inizio, è fondamentale non illudersi che il cammino sia semplice e rapido. In quanto apprendisti spirituali dovete essere preparati ad affrontare le difficoltà connesse a una vera ricerca spirituale, ed essere decisi a rispettare il vostro impegno e a mantenere salda la volontà. Dovete aspettarvi i molteplici ostacoli che necessariamente incontrerete sul cammino, e comprendere che la chiave di una pratica coronata da successo sta nel non perdere mai la determinazione. Tale fermo atteggiamento è molto importante. La storia della vita del Buddha, come abbiamo visto, è la storia di una persona giunta all’illuminazione attraverso un duro lavoro e una inflessibile dedizione. E un po’ ridicolo che noi, che seguiamo i passi del Buddha, possiamo a volte pensare di poter raggiungere la piena illuminazione con maggiore facilità e minore fatica!

IL PRIMO GIRO DELLA RUOTA DEL DHARMA: LE QUATTRO NOBILI VERITÀ

Secondo la leggenda, raggiunta la piena illuminazione, il Buddha restò in silenzio per quarantanove giorni, senza predicare. Il suo primo insegnamento pubblico fu diretto ai cinque asceti che erano stati suoi compagni quando conduceva vita di mendicante. Avendo compreso che l’ascetismo non porta alla libertà dalla sofferenza, il Buddha – allora chiamato Siddharta Gautama – aveva abbandonato le pratiche ascetiche e si era separato dai cinque compagni. Offesi per quello che ritenevano un tradimento, essi avevano giurato di non avere più nulla a che fare con lui. Credevano, infatti, che il mutamento di Siddharta indicasse la sua incapacità di perseguire la via dell’ascetismo. Ma, quando lo incontrarono dopo l’illuminazione, si sentirono spontaneamente attratti verso di lui. Ai cinque antichi compagni il Buddha impartì il primo insegnamento pubblico, nel Parco delle Gazzelle di Sarnath. In quel discorso, divenuto famoso come primo giro della ruota del Dharma, il Buddha espresse i principi delle Quattro Nobili Verità. Come la maggior parte di voi saprà, queste Quattro Verità sono:

1. la verità della sofferenza,

2. la verità dell’origine della sofferenza,

3. la verità della estinzione della sofferenza,

4. la verità del sentiero che conduce alla estinzione della sofferenza.

Secondo il sutra relativo al primo giro, il Buddha espose le Quattro Nobili Verità sulla base di tre fattori:

1. la natura delle verità stesse,

2. la loro specifica funzione,

3. il loro effetto o completo conseguimento.

Il primo fattore riguarda la natura di ogni singola verità.

Il secondo spiega la necessità che il praticante comprenda il significato specifico di ciascuna verità – e cioè:

1. riconoscimento della sofferenza ed

2. eliminazione della sua origine;

3. attuazione dell’estinzione della sofferenza;

4. realizzazione del sentiero che porta all’estinzione.

Nell’ottica del terzo fattore, il Buddha spiegò il risultato ultimo, o completo conseguimento, delle Quattro Nobili Verità – e cioè:

1. completo riconoscimento della sofferenza,

2. completo abbandono dell’origine della sofferenza,

3. completo conseguimento dell’estinzione della sofferenza,

4. completa attuazione della via che porta all’estinzione della sofferenza.

Sua Santità il Dalai Lama

CIÒ CHE DESIDERIAMO E CERCHIAMO È IL CONSEGUIMENTO DELLA FELICITÀ E L’ELIMINAZIONE DELLA SOFFERENZA.

Personalmente reputo l’insegnamento delle Quattro Nobili Verità molto profondo. Esso espone in sintesi il progetto dell’intero corpus del pensiero e della pratica buddhisti, delineando cos la struttura base del cammino dell’individuo verso l’illuminazione. Tornerò su questo più avanti. Ciò che desideriamo e cerchiamo è il conseguimento della felicità e l’eliminazione della sofferenza. Il desiderio di conseguire la felicità e eliminare dolore e sofferenza è innato in ciascuno di noi e non ha bisogno di giustificazione per la sua esistenza e validità. Tuttavia, felicità e sofferenza non sorgono dal nulla. Esse sono conseguenza di cause e condizioni. In breve, la dottrina delle Quattro Verità stabilisce il principio di causalità.

Tenendo presente questo punto fondamentale, mi trovo a volte a considerare come tutto il pensiero e la pratica buddhisti si possano condensare in due principi:

1) adottare una visione del mondo che percepisca la natura interdipendente dei fenomeni, ossia la natura di origine dipendente di tutte le cose e di tutti gli eventi;

2) su questa base, adottare uno stile di vita non violento e che non rechi danno.

Il buddhismo sollecita la condotta non violenta sulla base di due semplici e ovvie premesse:

1) in quanto esseri senzienti, nessuno di noi desidera la sofferenza;

2) la sofferenza ha origine da sue determinate cause e condizioni.

IL PRIMO GIRO DELLA RUOTA DEL DHARMA.

Sua Santità il Dalai Lama

LA CAUSA PRINCIPALE DEL DOLORE E DELLA SOFFERENZA STA NELLA NOSTRA IGNORANZA

Gli insegnamenti buddhisti asseriscono inoltre che la causa principale del dolore e della sofferenza sta nella nostra ignoranza e confusione mentale. Perciò, se non vogliamo la sofferenza, il passo logico da fare è astenersi da azioni negative, le quali conducono naturalmente a conseguenti esperienze di dolore e sofferenza. Dolore e sofferenza da soli non esistono; si verificano come risultato di cause e condizioni. Qui, nella comprensione della natura della sofferenza e del suo rapporto con cause e condizioni, il principio di origine dipendente gioca un ruolo fondamentale. In sostanza, il principio di origine dipendente asserisce che un effetto dipende dalla sua causa. Dunque, se non volete il risultato, dovreste impegnarvi per eliminare la sua causa.

All’interno delle Quattro Verità troviamo in atto due distinti binomi causa-risultato:

la sofferenza è il risultato e

l’origine della sofferenza è la causa; parimenti,

la vera estinzione della sofferenza è pace (risultato) e

il sentiero che ad essa conduce è la causa di quella pace.

Sua Santità il Dalai Lama

La felicità che cerchiamo – autentica e durevole pace e felicità – si può ottenere solo attraverso la purificazione della mente.

Questo è possibile se eliminiamo la causa principale di ogni sofferenza e infelicità – la nostra fondamentale ignoranza. La libertà dalla sofferenza, la vera estinzione della sofferenza, può prodursi solo dopo che siamo riusciti a smascherare l’illusione creata dalla nostra abituale tendenza a percepire i fenomeni come dotati di esistenza intrinseca e, di conseguenza, abbiamo realizzato la profonda visione intuitiva che penetra la natura definitiva della realtà. Per giungere a questo, tuttavia, l’individuo deve perfezionare i tre addestramenti superiori.

La pratica della visione profonda, o saggezza, agisce quale effettivo antidoto all’ignoranza e alle illusioni che da essa derivano. Tuttavia, soltanto quando essa venga unita a una capacità di concentrazione univoca, tutta l’energia e l’attenzione della nostra mente possono essere focalizzate senza distrazione sull’oggetto di meditazione prescelto.

Perciò, l’addestramento nella concentrazione superiore è un fattore indispensabile negli stadi avanzati di applicazione della saggezza ottenuta attraverso la profonda visione intuitiva. Tuttavia, perché la pratica della concentrazione superiore e la pratica della visione profonda superiore siano coronate da successo, il praticante deve innanzi tutto stabilire una solida base di moralità adottando uno stile di vita eticamente valido.

I TRE ADDESTRAMENTI SUPERIORI

Come vi sono tre tipi di addestramento superiore nell’etica, nella concentrazione e nella saggezza – cos le scritture buddhiste si dividono in tre grandi branche:

1. disciplina,

2. serie di discorsi,

3. conoscenza metafisica.

Sua Santità il Dalai Lama

Si può affermare che una persona sia un detentore del Buddhadharma quando è in grado di intraprendere un autentico esercizio di queste tre discipline, fondato sullo studio dei tre gruppi di scritture, nonché‚ di trasmettere tale conoscenza ad altri. La necessità di impegnarsi nei tre addestramenti superiori è identica per gli uomini e per le donne. Per quanto concerne l’importanza dello studio e della pratica, non si può fare alcuna distinzione tra i praticanti sulla base del loro sesso. Tuttavia, nelle regole monastiche di disciplina etica vi sono alcune differenze, a seconda del sesso del praticante. Il principale fondamento della pratica della moralità consiste nell’astenersi dalle dieci azioni negative: tre attinenti al corpo, quattro attinenti alla parola, tre attinenti al pensiero.

LE TRE NON-VIRTÙ FISICHE

sono:

1) uccidere: privare intenzionalmente della vita un essere vivente, sia esso persona o animale, anche se insetto;

2) rubare: impadronirsi di una proprietà altrui senza il consenso dell’altra persona, indipendentemente dal valore di detta proprietà;

3) impropria condotta sessuale: commettere adulterio.

LE QUATTRO NON VIRTÙ VERBALI

sono:

4) mentire: ingannare gli altri con parole o gesti;

5) disunire: creare discordia, facendo in modo che coloro che sono d’accordo entrino in disaccordo o coloro che sono in disaccordo lo siano ulteriormente;

6) parlare violento: maltrattare gli altri con le parole;

7) fare discorsi vani: parlare di cose futili perché motivati dal desiderio, e così via.

LE TRE NON-VIRTÙ MENTALI

sono:

cupidigia: desiderare di possedere qualche cosa che appartiene ad altri;

9) intenzione malevola: desiderare di fare del male ad altri, sia in piccola sia in grande misura;

10) visione errata: sostenere per esempio che la rinascita, la legge di causa e effetto o i Tre Gioielli non esistono.

Sua Santità il Dalai Lama

La moralità praticata da un apprendista spirituale in termini di esplicita adozione di una particolare condotta etica sotto forma di precetti è conosciuta come disciplina della liberazione individuale, o pratimoksa.

Per quanto concerne la natura e l’elenco specifico dei precetti, emersero nell’India antica quattro tradizioni principali, poi suddivise in diciotto sottoscuole. Ognuna delle quattro tradizioni principali aveva la propria versione del Sutra della liberazione individuale (Pratimoksasutra) tradizionale resoconto delle raccomandazioni disciplinari del Buddha, che elenca i precetti etici ed enuncia gli orientamenti fondamentali della vita monastica. Nella tradizione tibetana il sistema monastico e le regole etiche ad esso connesse sono quelli della scuola Mulasarvastivadin. Secondo il Sutra della Liberazione individuale di questa scuola, scritto in sanscrito, ci sono 253 regole da seguire per il monaco che abbia preso l’ordinazione completa, e 364 per la monaca completamente ordinata. In questo la tradizione tibetana differisce dalla tradizione Theravada, che accetta la versione del sutra in lingua pali, dove sono elencati 277 precetti per il monaco e 311 per la monaca. La pratica della moralità – impedire alle tre porte (corpo, parola, mente) di indulgere in azioni nocive – ci arma di consapevolezza e coscienziosità. Queste due facoltà ci aiutano a evitare gravi forme di azioni negative fisiche e verbali, che sono distruttive per sé‚ e per gli altri. Per questo motivo la moralità è il fondamento della via buddhista.

DUE TIPI DI MEDITAZIONE

La seconda fase è la meditazione, ossia l’addestramento nella concentrazione superiore.

In generale, parlando di meditazione in senso buddhista, distinguiamo due tipi principali:

1. la meditazione concentrativa e

2. la meditazione analitica.

Sua Santità il Dalai Lama

La prima, la meditazione concentrativa, si riferisce soprattutto agli stati meditativi della calma dimorante e alle varie pratiche meditative intimamente connesse a questo stato. Le caratteristiche principali di questo tipo di meditazione sono il carattere di univocità della concentrazione e la qualità di assorbimento meditativo che esso genera.

Meditazione analitica, invece, si riferisce a stati che, entrando in contatto con l’oggetto di meditazione, sono principalmente rivolti a esaminare e ad analizzare l’oggetto in questione. Essa comprende anche pratiche non caratterizzate solo dalla concentrazione univoca, ma associate a una analisi più profonda.

Tuttavia, in entrambi i casi, è essenziale possedere un solido fondamento di consapevolezza e vigilanza – facoltà che hanno origine, come abbiamo visto, in una salda pratica di disciplina etica. Anche sul piano ordinario, nella vita di ogni giorno, l’importanza della consapevolezza e della vigilanza non dovrebbe essere sottovalutata. Per riassumere: quando ci impegniamo nella pratica della moralità, gettiamo le fondamenta dello sviluppo mentale e spirituale.

Quando ci impegniamo nella pratica complementare della concentrazione, rendiamo la mente disponibile e ricettiva a questo scopo più elevato, e la prepariamo alla successiva pratica superiore della visione profonda, o saggezza. Mediante la facoltà della concentrazione univoca, frutto del fissare la mente su un unico oggetto, siamo in grado di incanalare tutta la nostra attenzione e la nostra energia mentale verso un dato oggetto. A questo punto, grazie a uno stato mentale assai stabile, è possibile generare una reale e profonda visione della natura ultima della realtà. Questa penetrante visione intuitiva della non esistenza del sè‚ è l’unico antidoto diretto all’ignoranza, giacché‚ essa sola è in grado di sradicare le nostre fondamentali percezioni errate, ovvero la nostra ignoranza, insieme con i vari stati illusori cognitivi ed emotivi che da essa derivano.

I TRENTASETTE ASPETTI DEL SENTIERO VERSO L’ILLUMINAZIONE

La struttura generale della via buddhista è descritta nel primo giro della ruota del Dharma mediante i trentasette aspetti del sentiero verso l’illuminazione. Questi sono divisi in sette categorie.

La prima categoria comprende le quattro consapevolezze, e cioè consapevolezza:

1. del corpo,

2. delle sensazioni,

3. della mente e

4. dei fenomeni.

Sua Santità il Dalai Lama

CONSAPEVOLEZZA si riferisce qui a pratiche contemplative che riguardano la natura fondamentalmente insoddisfacente del samsara e la transitorietà di questa esistenza condizionata, del ciclo perenne dei nostri schemi abituali di pensiero e di comportamento. Grazie a tali riflessioni il praticante sviluppa un’autentica determinazione di liberarsi dal ciclo dell’esistenza condizionata. Seguono i quattro abbandoni completi. Sono così chiamati perché‚ il praticante, quando sviluppa una sincera determinazione a liberarsi attraverso la pratica delle quattro consapevolezze, si impegna in una condotta che evita le cause di futura sofferenza e coltiva quelle di futura felicità.

Perciò i quattro abbandoni sono:

1) abbandono di pensieri e azioni nocivi già generati;

2) non generazione di pensieri e azioni nocivi;

3) sviluppo di pensieri e azioni positivi già generati;

4) generazione di pensieri e azioni positivi non ancora generati.

Benché, nella vostra mente, voi possiate superare le azioni negative e le emozioni afflittive che le motivano e incrementare i fattori positivi – tecnicamente detti classe di fenomeni puri -, i cosiddetti quattro fattori di poteri miracolosi si manifestano solo quando la mente è molto concentrata. Questi quattro fattori sono collegati alla pratica dello sviluppo della facoltà di concentrazione univoca. Vengono definiti anche le quattro gambe, perché sono i requisiti indispensabili che consentono al praticante di conseguire gli stati mentali di concentrazione univoca che servono come base per le manifestazioni soprannaturali.

Questi sono i quattro poteri miracolosi:

1. dell’aspirazione,

2. dello sforzo,

3. dell’intenzione e

4. dell’analisi.

La quarta categoria comprende le cinque facoltà; la quinta categoria i cinque poteri.

L’elenco è lo stesso nelle due categorie:

1. fiducia,

2. impegno gioioso,

3. consapevolezza,

4. concentrazione univoca e

5. intelligenza.

In questo contesto, la distinzione tra facoltà e potere dipende dal livello di competenza del praticante in quella particolare capacità: a uno stadio sufficientemente avanzato di competenza nella pratica, la facoltà diventa potere.

Vengono poi le sette diramazioni del sentiero verso l’illuminazione:

1. perfetta consapevolezza,

2. perfetta analisi,

3. perfetto impegno,

4. perfetta gioia,

5. perfetta flessibilità,

6. perfetta stabilità meditativa,

7. perfetta equanimità.

La settima e ultima categoria è il nobile ottuplice sentiero:

1. retta visione,

2. retta intenzione,

3. retta parola,

4. retta azione,

5. retti mezzi di sussistenza,

6. retto sforzo,

7. retta consapevolezza,

8. retta stabilità meditativa.

Questa, dunque, è la struttura generale della via buddhista proposta dal Buddha nel primo giro della ruota del Dharma. Il buddhismo praticato nella tradizione tibetana incorpora in modo completo tutti questi aspetti della dottrina buddhista.

III Il secondo giro: la dottrina dellaa~

Sua Santità il Dalai Lama

IL SECONDO GIRO DELLA RUOTA DEL DHARMA

Nel secondo giro della ruota del Dharma, al Picco degli Avvoltoi,’ il Buddha insegnò i Sutra della Saggezza – il gruppo di Sutra conosciuti come perfezione della saggezza (Prajnaparamita). Vi è trattato prevalentemente il tema della vacuità e degli stati trascendenti associati con l’esperienza della vacuità. Il secondo giro va considerato come un’elaborazione dei temi trattati dal Buddha nel primo giro della ruota. Nel primo giro, il Buddha spiegò la necessità di riconoscere la natura insoddisfacente della nostra esistenza e la sofferenza e il dolore che sono parte integrante di tale esistenza condizionata. Nel secondo giro c’è un rilevante mutamento di accento. Qui il praticante viene incoraggiato ad ampliare lo scopo della contemplazione sulla natura della sofferenza, in modo da includere tutti gli altri esseri senzienti. Il secondo giro è, dunque, di portata e visione assai più ampie. Parimenti, il secondo giro è molto più esauriente per quanto riguarda la trattazione dell’origine della sofferenza.

Oltre all’ignoranza e all’attaccamento, i Sutra della saggezza identificano in modo chiaro e dettagliato varie forme sottili di afflizioni mentali; queste forme sottili ci impediscono di percepire la realtà in modo non contaminato dalla nostra abituale tendenza a percepire tutti i fenomeni come dotati di esistenza intrinseca. Perciò, in tale prospettiva, si comprende che l’origine della sofferenza si trova non solo nei palesi fattori consci dell’ignoranza e dell’attaccamento, ma anche nelle sottili impronte e manifestazioni di queste afflizioni mentali.

Sua Santità il Dalai Lama

I SUTRA DELLA SAGGEZZA

Ancora: nel secondo giro acquista ulteriore profondità e complessità la trattazione della terza Nobile Verità, la vera estinzione della sofferenza. A differenza dei sutra del primo giro, gli insegnamenti del secondo giro esaminano nei dettagli la natura della estinzione della sofferenza in generale, le sue caratteristiche specifiche, e cos via. Maggiore profondità e precisione si riscontrano anche nella presentazione della quarta Nobile Verità, i veri sentieri. Per quanto riguarda il sentiero effettivo verso l’illuminazione, nei sutra della saggezza il Buddha presenta una via unica nel suo genere, fondata sulla generazione di una profonda visione della vacuità, o non esistenza del sè, che è il vero modo di essere di tutti i fenomeni. Tale visione viene coltivata attraverso la compassione universale e il bodhicitta (la vera aspirazione altruistica a raggiungere la piena illuminazione per il benessere di tutti gli esseri), atteggiamenti che caratterizzano il praticante del Mahayana o Veicolo Universale. La combinazione di visione profonda della vacuità e di realizzazione del bodhicitta costituisce la perfetta unione di saggezza e mezzi abili. In questo contesto, l’aspetto della saggezza si riferisce principalmente all’esperienza della vacuità, mentre l’aspetto del metodo, cioè l’abilità nei mezzi, si riferisce principalmente alla motivazione altruistica che indirizza la saggezza alla realizzazione degli ideali di compassione. Questo sentiero di unificazione è insegnato nel secondo giro della ruota del Dharma.

Perché‚ la presentazione delle Quattro Nobili Verità, che si trova nel secondo giro della ruota del Dharma, è più profonda di quella che si trova nel primo giro? Non si tratta solo del fatto che nei sutra della saggezza compaiono elementi che non compaiono nei sutra del primo giro. Questa non è la ragione. Il punto è il seguente: i Sutra della saggezza non solo trattano alcuni aspetti non affrontati nei Sutra del primo giro, ma elaborano e sviluppano le più ampie ramificazioni del principio di causalità che è alla radice delle Quattro Verità, conducendo così la discussione a un livello più profondo. Questo ulteriore sviluppo della dottrina delle Quattro Verità ha luogo all’interno della struttura basilare della via enunciata nel primo giro. Queste sono le ragioni per cui sostengo che la spiegazione della dottrina delle Quattro Nobili Verità che appare nei sutra della saggezza è più profonda e più completa. A motivo della estensiva trattazione del tema della vacuità la mancanza di realtà intrinseca ovvero di identità intrinseca di tutti i fenomeni – il secondo giro della ruota è conosciuto come «la ruota del Dharma attinente all’assenza di caratteri intrinseci». Inoltre nei discorsi del secondo giro, che si trovano nei sutra della saggezza, vi sono affermazioni che sembrano contraddire la struttura generale della via annunciata nel primo giro della ruota. Per questo motivo il buddhismo Mahayana distingue due categorie di scritture: le scritture interpretabili, ossia quelle il cui significato può essere considerato provvisorio e che richiedono ulteriore interpretazione al di là del significato letterale; e le scritture definitive, ossia quelle che possono essere intese come letteralmente vere. Fondamentale, in questo approccio ermeneutico, è il principio Mahayana dei quattro affidamenti.

Questi sono:

1) affidarsi all’insegnamento, non all’insegnante;

2) affidarsi al significato, non alle parole che lo esprimono;

3) affidarsi al significato definitivo, non al significato provvisorio;

4) affidarsi alla saggezza trascendente dell’esperienza profonda, non alla semplice conoscenza.

Il primo punto del principio dei quattro affidamenti afferma che quando si ascolta un insegnamento o si legge un testo, non si deve giudicare la validità di ciò che viene detto sulla base della fama, della ricchezza, della posizione o del potere di colui che parla, ma sulla base del valore dell’insegnamento stesso. Il secondo punto afferma che non si deve giudicare un’opera sulla base dello stile letterario, ma sulla base dell’argomento trattato. E terzo punto prescrive che nel riflettere sulla validità di una tesi si tenga presente non il significato provvisorio, ma la posizione definitiva. Infine, il quarto punto afferma che, anche quando ci si attiene al significato definitivo, ciò va fatto in forza di saggezza e comprensione ottenute attraverso l’esperienza e non in base alla semplice conoscenza intellettuale dell’argomento. In effetti, questo modo di procedere trova un riscontro nelle parole stesse del Buddha.

Dice il Buddha:

0 bhiksu e uomini saggi, come l’orefice saggia l’oro ponendolo sulla fiamma, tagliandolo, strofinandolo, così voi dovete esaminare le mie parole per accettarle.Ma non per la riverenza che nutrite nei miei confronti.

In sostanza, possiamo dire che nel secondo giro della ruota del Dharma, esposto nei Sutra della perfezione della saggezza, il Buddha sviluppa in grande profondità il tema della cessazione della sofferenza nei termini di un’estesa trattazione della dottrina della vacuità. Questo approccio ermeneutico ci aiuta anche a estrarre i significati impliciti dei vari Sutra. Per esempio scopriamo che, sebbene l’argomento esplicito dei Sutra della saggezza sia il tema della Vacuità, è possibile anche una lettura che tenga conto del significato implicito. Secondo questa lettura, oggetto dei Sutra della saggezza sono i vari livelli di esperienza trascendente associati alla realizzazione della Vacuità: cioè i progressivi stadi di crescita sulla via dell’Illuminazione. Questo livello di significato è noto come significato nascosto, o implicito, dei Sutra della Saggezza.

IL TERZO GIRO DELLA RUOTA DEL DHARMA: LA NATURA DEL BUDDHA

Il terzo giro della ruota del Dharma contiene molti sutra diversi, il più importante dei quali, il Tathagatagarbhasutra (Sutra dell’essenza del Tathagata), descrive l’innato potenziale di illuminazione che si trova in noi: la nostra essenza di buddhità, ovvero la nostra natura di Buddha. Questo sutra è in effetti la fonte della raccolta di inni di Nagarjuna, nonchè‚ del trattato di Maitreya, Mahayana-uttaratantrasastra (Il sublime continuum del Grande Veicolo). In questo sutra il Buddha esplora ulteriormente i temi principali trattati nel secondo giro, e cioè la dottrina della vacuità, e le esperienze trascendenti associate con la penetrazione della vacuità, nel contesto del sentiero individuale alla illuminazione. Tuttavia, poiché‚ la natura della vacuità – la mancanza di esistenza intrinseca di tutti i fenomeni – era già stata esaurientemente spiegata nei suoi aspetti più sottili e profondi nei sutra della saggezza, in questo terzo giro non viene esposta una ancora più sottile dottrina della vacuità. Caratteristica particolare del terzo giro è, invece, la presentazione di specifiche tecniche di meditazione volte‚ a potenziare la saggezza che realizza la vacuità, e la discussione, da un punto di vista soggettivo, dei vari sottili fattori insiti nell’esperienza di quella saggezza. Vi è anche un’altra categoria di sutra appartenenti al terzo giro della ruota del Dharma. In questo gruppo il sutra principale è il Samdhinirmocanasutra (Sutra che delucida il pensiero del Buddha). In questo Sutra il Buddha riconcilia l’apparente contraddizione tra certe affermazioni del primo giro che ascrivono un’identità intrinseca ai fenomeni e l’esplicita negazione di ogni identità intrinseca presente nel secondo giro. Per far questo il Buddha chiarisce la dottrina della vacuità, o mancanza di identità, mostrando come essa debba di fatto essere applicata in modo diverso a differenti categorie di fenomeni.

Secondo questa concezione, l’esistenza va compresa nei termini di tre classi:

  1. fenomeni designati,

  2. fenomeni dipendenti e

  3. fenomeni pienamente stabiliti, o fenomeni ultimi.

Sua Santità il Dalai Lama

Fenomeni designati sono i fenomeni che esistono solo come concetti attribuiti, in relazione ad altre entità che possiedono realtà più autonome. Essi comprendono le entità astratte: gli universali, le relazioni, le negazioni (come la mera assenza di qualcosa) etc.

Fenomeni dipendenti si riferisce a tutte le cose ed agli eventi che si verificano come risultato di cause e condizioni.

La terza categoria, fenomeni pienamente stabiliti, si riferisce al modo d’essere ultimo di tutti i fenomeni: la vacuità.

Da un altro punto di vista, le tre categorie esposte sopra si possono considerare anche come nature distinte, ma universali, di tutti i fenomeni. Secondo questa prospettiva esse diventano rispettivamente:

  1. natura designata,

  2. natura dipendente e

  3. natura pienamente stabilita.

In relazione a queste tre nature, all’espressione «mancanza di identità» vengono attribuiti significati diversi. Per esempio:

  1. i fenomeni designati sono privi d’identità intrinseca,

  2. i fenomeni dipendenti sono privi d’identità derivata da autoproduzione,

  3. i fenomeni pienamente stabiliti sono privi di identità ultima.

Ecco perché il terzo giro della ruota viene detto: “ruota del Dharma che spiega chiaramente le distinzioni.

Questo modo di intendere la dottrina della mancanza di identità presentato nel terzo giro, anche se contrasta con lo spirito dei sutra della saggezza come esposto nel secondo giro, può essere considerato come un espediente di eccezionale abilità del Buddha. Nel secondo giro il principio di mancanza di identità veniva descritto come una dottrina universale che spiegava tutti i fenomeni in termini di vacuità di esistenza intrinseca. Tuttavia questa visione della vacuità può apparire estrema a molti praticanti e perciò restare al di là della loro possibilità di comprensione. Per queste persone affermare che i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca pare equivalente a dire che i fenomeni non esistono affatto. Nella loro mente, assenza di esistenza intrinseca potrebbe significare non esistenza.

Vediamo dunque che il Buddha ha insegnato i sutra del terzo giro, come il Sutra che delucida il pensiero, specificamente per venire incontro alle facoltà e disposizioni mentali di un tipo particolare di praticante. Fondate rispettivamente su questi due distinti sistemi di interpretazione della dottrina della vacuità esposta nei sutra della saggezza, emersero in India le due maggiori scuole del buddhismo Mahayana: Madhyamaka, o Via di mezzo, e Cittamatra, o Solo mente.

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