3 Dalai Lama New York 1998: Lo spirito di Majusrshi

Sua Santità il Dalai Lama: L’esistenza, costituita e causata da karma ed illusioni, è esistenza non illuminata e rappresenta la sofferenza del condizionamento.

Sua Santità il Dalai Lama: L’esistenza, costituita e causata da karma ed illusioni, è esistenza non illuminata e rappresenta la sofferenza del condizionamento.

Insegnamenti  di Sua Santità il XIV Dalai Lama a New York, USA, maggio 1998 sul Tema: Lo spirito di Manjustri.

Traduzione dall’inglese all’italiano della Dott.ssa Nicoletta Nardinocchi, , revisione del Dott. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lam’s Teachings”per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, ci scusiamo per ogni errore ed omissione.

Parte terza: Vacuità, I Quattro Incommensurabili

Nel Buddismo si parla delle impronte del karma. Cosa sia esattamente un’impronta è abbastanza problematico. Non è né fisica né mentale, ma è per lo più in forma di potenza, di potenzialità. Si potrebbe definire come una forma di continuum del subconscio. Parlando di inconscio a volte lo si intende come seme o potenziale, a volte è una pura impronta, qualcosa che si imprime sulla nostra coscienza, le impronte che ci predispongono ad agire in un certo modo. Forse un modo per aiutare a capire come si mantenga questo continuum di impronte karmiche è guardare a come funziona la memoria nella nostra vita. La memoria è una raccolta di ricordi di precedenti esperienze. Esiste un divario tra l’esperienza reale ed il suo ricordo successivo. Deve esserci un collegamento tra i due: la sua esperienza intuitiva. Mentre la facoltà, in cui sono memorizzate tali impronte, secondo alcuni è la coscienza fondamentale, la alayavijnana. Alcuni la definiscono sesta coscienza mentale. Dal punto di vista tibetano, il praticante più elevato è quello che dedica la sua intera vita alla ricerca del Dharma e ricerca la solitudine. Sono chiamati i leoni tra i praticanti. Altri praticanti seri possono continuare a seguire il loro sentiero e progrediscono ma allo stesso tempo condividono le loro esperienze e conoscenze con gli altri, diventando dei maestri. Molte di queste pratiche riguardano l’adottare un certo modo di pensare, di essere, ed integrare tali processi di pensiero a far parte del nostro modo di essere. Questo non vuol dire che tutto ciò che ho qui detto sia un qualcosa che anche io posso mettere in pratica. Non si afferma che si possa realizzare tutto ciò che conosciamo. E’ vero che all’inizio dobbiamo sviluppare una visione d’insieme, un senso generale di direzione del sentiero. Si tratta di un livello di comprensione concettuale. Credo che sia fondamentale almeno avere questo tipo di grande visione. Ad esempio, se stiamo costruendo una grande casa non possiamo costruirla in una sola volta. Ma bisogna farlo passo passo, e almeno l’architetto deve avere un piano globale e una concezione di come risulterà l’edificio. Riguardo alla domanda specifica dove cominciare, penso che questo dipenda dalla mentalità e dal temperamento del praticante. Alcuni dovrebbero iniziare con una riflessione sulla natura impermanente e transitoria dell’esistenza, mentre per altri il punto migliore per iniziare potrebbe essere una riflessione sulla vacuità. Eppure, per altri, un approccio più devozionale, di dipendenza da un maestro spirituale può essere molto più stimolante ed efficace. Ciò che è importante è che, una volta impegnati sul Sentiero, è necessario avere un approccio fortemente integrato in cui tutti gli elementi chiave del percorso risultano completi.Il che avrà un effetto cumulativo sulla trasformazione della mente del praticante.Tuttavia, a livello molto generale, esiste una sequenza precisa nel Sentiero. La prima fase di pratica dovrebbe essere incentrata su come affrontare le manifestazioni negative delle nostre illusioni. Questa pratica ha a che fare con la pratica della moralità, la pratica di astenersi dalle dieci azioni negative. Se consideriamo le specifiche attività negative (come uccidere, rubare, cattiva condotta sessuale ecc.) su molti di questi punti vi è un ampio consenso tra lo stato giuridico di tali azioni e lo stato morale.

Astenersi dall’uccidere è morale e dove è definito legale dipende molto dallo stato della mente e dalla motivazione della persona ad evitare di commettere un tale atto negativo.

Se la nostra motivazione è dettata puramente dalla paura delle conseguenze giuridiche dell’omicidio, anche se ci asteniamo da un atto negativo, non possiamo definirla una pratica di Dharma perché è motivata dalla paura delle conseguenze legali. Mentre, se ci asteniamo dal commettere un omicidio, non per paura delle conseguenze giuridiche, ma avendo compreso che un tale atto è negativo, allora si tratta di una forma di pratica del Dharma.

Tuttavia qui ancora non si tratta di una pratica profonda di Dharma perché la motivazione è ancora egoista. Se una persona si astiene dal commettere un omicidio perché si preoccupa della propria vita e di quella dell’altra persona e perché l’omicidio è un atto dannoso verso quella persona, allora questa è una pratica profonda di Dharma. Anche se in realtà l’atto è lo stesso in tutti e tre i casi, sulla base della motivazione vi è una differenza se l’atto è legale, morale o profondo.

L’esistenza, costituita e causata da karma ed illusioni, è esistenza non illuminata e rappresenta la sofferenza del condizionamento. Qui è cruciale avere una profonda comprensione delle negatività delle illusioni.

Più forte è la realizzazione della negatività delle illusioni, più forte sarà il nostro senso di repulsione verso le conseguenze delle nostre illusioni.

Se cerchiamo di coltivare una profonda convinzione della negatività delle illusioni della nostra mente, forse il modo migliore per farlo è fare riferimento alla nostra esperienza personale. Quando giudichiamo il nostro stato della mente, possiamo vedere che ogni volta in presenza di un’emozione negativa come odio o rabbia, immediatamente si crea un disturbo all’interno della nostra mente. Si distrugge ogni senso di compostezza e si crea inquietudine.

Dalla nostra esperienza personale vediamo che molti dei problemi psicologici, confusione e inquietudine sono conseguenze delle emozioni e pensieri negativi. In effetti in tutta la storia della esistenza umana la violenza su larga scala, dalla guerra alla violenza domestica è conseguenza diretta delle forti afflizioni ed emozioni negative.

Tuttavia se esaminiamo il rapporto con le nostre emozioni negative, non siamo pienamente consapevoli della loro natura distruttiva. Infatti, al contrario, tendiamo ad accoglierle. Per esempio, di fronte ad una minaccia o provocazione, sorgono forti emozioni come la rabbia.

Sembra che ci diano forza o coraggio ad affrontare la data situazione. E’ quasi come se abbracciassimo volentieri queste emozioni negative e le cercassimo a proteggerci, in realtà la presenza di tali forti emozioni in noi sorgono problemi di ogni genere.

Per prima cosa perdiamo il senso delle proporzioni e la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato.

Anche l’eccessiva audacia è spesso cieca e non siamo capaci di utilizzarla nel modo giusto.

Abbiamo parlato della rinuncia, della vera rinuncia che è l’aspirazione genuina a cercare la liberazione dal samsara. Abbiamo parlato di bodhicitta come aspirazione genuina a raggiungere la piena illuminazione per il bene di tutti gli esseri senzienti. I fattori che ostacolano il raggiungimento di questi oggetti di aspirazione sono le illusioni e gli ostacoli alla conoscenza. La comprensione della vacuità è davvero l’antidoto per l’eliminazione di queste forze ostruttive.

In generale a livello pratico non si è buddisti praticanti se non si è preso rifugio nei Tre Gioielli. La differenza tra buddisti e le scuole di pensiero di filosofie non-buddiste è se si condividono o meno i Quattro Incommensurabili.

Tutti i fenomeni compositi sono transitori, impermanenti

e tutti i fenomeni sono vuoti e privi di sé.

Il Nirvana soltanto è la vera pace.

Il primo dei Quattro Incommensurabili è riconoscere che tutto ciò che è composito, che origina da cause e condizioni, è transitorio ed impermanente. In secondo luogo tutto ciò che un prodotto di cause contaminate in ultima analisi è una forma di sofferenza.

Il terzo è che tutti i fenomeni sono vuoti e privi di esistenza di sé. L’assenza dell’esistenza del qui è la nozione generale di anatman, il non-sè comune a tutte le scuole del buddismo.

Naturalmente ci sono uno o due casi eccezionali come la scuola Vatsiputriya o nella scuola Personalista che postulano una qualche nozione di esistenza reale di sé. Nel complesso, filosoficamente parlando, tutte le scuole buddiste rifiutano ogni nozione di un principio atman o dell’anima. Perciò la dottrina della non-sé è fondamentale filosoficamente per tutte le scuole del buddismo.

Il quarto e ultimo punto è il nirvana; soltanto la cessazione della vera sofferenza è uno stato di gioia e di pace durature. Questi sono i Quattro Incommensurabili condivisi da tutte le scuole del buddismo.

Il quarto e ultimo punto è che nirvana, la cessazione della sofferenza vera, è solo lo stato di gioia e di pace duratura. Questi sono i quattro eccellenze del buddismo, che sono condivisi da tutte le scuole del buddismo.

Si racconta nelle antiche scuole indiane di pensiero non-buddista che tutti postulano un atman o anima, detto essere permanente, autonomo e indipendente dalla mente ed un corpo i quali costituiscono la realtà empirica della persona. Nelle scuole non-buddiste si crede in una sorta di anima eterna totalmente separata, separata categoricamente e distinta dal corpo, la natura contingente di corpo, persona e mente. Le scuole buddiste nel complesso respingono questo tipo di atman mentre l’accento è posto sul non-io, l’anatman.

Esiste anche un altro livello di comprensione della dottrina del non-sé, in termini di rifiutare un sé che controlli o sia padrone dei nostri aggregati in quanto corpo e mente ne sono ancora parte.

Questo aggrapparsi ad un sé autonomo ma non completamente separato dall’aggregato mente/corpo, con ancora qualche forma di autonomia è una forma di fede in un atman o anima. La maggior parte delle scuole buddiste la respinge.

Nei Quattro Incommensurabili il non sé o la mancanza del sé devono essere compresi in questo modo e non necessariamente come il non sè sottile presentato dalle scuole Mahayana.

Le scuole buddiste, nel complesso, rifiutano ogni nozione di un sé indipendente dalla mente e del corpo, dagli aggregati. Respingono anche la nozione di un sé permanente, eterno e unitario.

Questa è la posizione di base buddista, nel complesso, che rifiuta il principio dell’anima.

Ma su cosa sia l’individuo vi una divergenza di opinione tra i pensatori buddisti. Alcuni sostengono che la persona sia l’insieme degli aggregati, mentre altri che sia la coscienza mentale.

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