S.S. Dalai Lama: Budda e la scienza

Sua Santità il Dalai Lama: Se come praticanti spirituali ignoriamo le scoperte della scienza, la nostra pratica ne risulta impoverita e la nostra mentalità ci può condurre al fondamentalismo.

Sua Santità il Dalai Lama: Se come praticanti spirituali ignoriamo le scoperte della scienza, la nostra pratica ne risulta impoverita e la nostra mentalità ci può condurre al fondamentalismo.

Di Piergiorgio Odifreddi; La Repubblica 15 marzo 2006 pag. 49 sezione: cultura. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/03/15/budda-la-scienza.html

Le masse che hanno visto il film Kundun di Martin Scorsese ricorderanno l’interesse del giovane Dalai Lama per la tecnologia, in particolare per gli orologi e le auto che si divertiva a smontare e riparare, o per il cannocchiale che gli permetteva di evadere mentalmente dalla prigione dorata del Potala per scendere virtualmente tra la gente di Lhasa. Le minoranze che hanno letto i resoconti degli incontri che il Dalai Lama adulto ha avuto con gruppi di scienziati, da Ponti sottili e Il sonno, il sogno, la morte curati da Francisco Varela (Neri Pozza, 1998 e 2000) a Le emozioni che fanno guarire ed Emozioni distruttive curati da Daniel Goleman (Mondadori, 2003), sapranno anche che la sua passione giovanile è in seguito maturata in un profondo interesse per la scienza. Finora, però, il Dalai Lama aveva sempre lasciato ad altri l’ onore- onere di far conoscere indirettamente le sue posizioni di questi argomenti. Ora, finalmente, ha deciso di affrontarle in prima persona in L’ abbraccio del mondo. Quando scienza e spiritualità si incontrano (Sperling & Kupfer, pagg. 224, euro 15), un testo in cui discute candidamente del rapporto tra le due antitetiche visioni che ispirano i nostri atteggiamenti nei confronti della natura e dell’ uomo: la razionalità scientifica, cioè, e l’ irrazionalità religiosa. E lo fa, come egli stesso confessa fin dal Prologo, «rischiando il collo». Più esplicitamente, dichiarando che «ci sono molte aree del pensiero buddista tradizionale in cui le spiegazioni e le teorie sono rudimentali, se paragonate a quelle della scienza moderna». Ragion per cui, «se l’ analisi scientifica dimostrasse conclusivamente che certe credenze del Buddismo sono false, bisognerebbe accettare le scoperte della scienza e abbandonare quelle credenze». Una bella lezione di umiltà per tutti i leader religiosi, primi fra tutti quelli che invece proclamano come dogma la propria infallibilità! Naturalmente, sarebbe assurdo pretendere non solo da un monaco, ma da qualunque essere umano, una resa incondizionata di fronte alla scienza. E infatti il Dalai Lama dichiara che la visione scientifica del mondo è incompleta, e che «c’ è di più nell’ esistenza umana e nella realtà di quanto la scienza attuale ci possa mai far conoscere». Cosa che, naturalmente, nessuno scienziato sensato si sognerà mai di contestare, e non solo in teoria, ma anche in pratica: leggendo romanzi, guardando quadri, ascoltando musica e, più in generale, dando all’ umanesimo quel che è dell’ umanesimo. E’ invece praticamente inaudito, per lo meno dalle nostre parti, che il capo di una grande religione dica che bisogna anche dare alla scienza quel che è della scienza, arrivando a scrivere parole che faremmo carte false per sentir pronunciare non solo da preti e teologi, ma anche dalla quasi totalità dei filosofi e dei letterati nostrani. E cioè, che «la spiritualità dev’ essere temperata dalle intuizioni e dalle scoperte scientifiche», e che «se come praticanti spirituali ignoriamo le scoperte della scienza, la nostra pratica ne risulta impoverita e la nostra mentalità ci può condurre al fondamentalismo». Naturalmente, il Dalai Lama era predisposto a un incontro proficuo con la scienza dalla natura stessa della sua religione: come egli ricorda, infatti, «il buddismo accorda la massima autorità all’ esperienza, in secondo luogo alla ragione, e solo in ultima istanza alle scritture», ed «è stato lo stesso Budda a esortare i suoi fedeli a non accettare la validità dei suoi insegnamenti soltanto sulla base della loro riverenza verso di lui». Ovvero, l’ esatto contrario di ciò che hanno sempre insegnato le religioni del libro e i loro profeti mediorientali, da Mosè a Gesù a Maometto. Ma la predisposizione va coltivata, e per anni il Dalai Lama ha avuto i suoi «consiglieri scientifici» personali, che ricorda affettuosamente nella parte autobiografica del libro. Dapprima Carl von Weizscker, l’uomo che nel 1941 accompagnò Werner Heisenberg al famoso incontro con Niels Bohr rappresentato nell’opera teatrale Copenaghen di Michael Frayn (Sironi, 2003). Poi David Bohm, il fisico che in Universo, mente e materia (Rea, 1996) cercò di fondare scientificamente l’ olismo. E infine Francisco Varela, autore con Humberto Maturana dell’ influente Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente (Einaudi, 2001). Come ci si può aspettare, si tratta di scienziati tutti impegnati, ciascuno a modo suo, in una ricerca religiosa o spirituale: von Weizscker come autore di Il tempo stringe. Un’assise mondiale dei cristiani per la giustizia, la pace e la salvaguardia della creazione (Queriniana, 1987), Bohm come interlocutore di Jiddu Krishnamurti nei dialoghi Dove il tempo finisce (Astrolabio, 1986), e Varela come praticante buddista e ideatore dei periodici incontri del Dalai Lama con gli scienziati, ai quali abbiamo già accennato. L’esperienza di questi incontri è intrecciata nel libro con la dottrina buddista, in un interessante tentativo di sincretismo che passa via via in rassegna la relatività, la meccanica quantistica, l’evoluzionismo, le neuroscienze e la genetica: un bell’ exploit, che mostra come si possa parlare di scienza sensatamente e in maniera informata, anche vestendo un saio o una tonaca. Ancora una volta, su certi argomenti il Dalai Lama ha facile gioco, grazie alle caratteristiche stesse della sua religione: soprattutto quando parla del vuoto, o della relatività del tempo, o dell’ impermanenza e interdipendenza delle cose, spesso riecheggiando i toni del best seller Il Tao della fisica di Fritjof Capra (Adelphi, 1989). Ad esempio, il paradosso dei gemelli gli ricorda la storia di Asanga, che viene portato al cospetto di Maitreya per una visita che dura l’ intervallo del tè, mentre sulla Terra passano cinquant’ anni. Il paradosso di Einstein, Podolski e Rosen gli ricorda invece la rete dei gioielli di Indra, che recentemente ha ispirato al matematico David Mumford, medaglia Fields nel 1974, il titolo del bel libro Le perle di Indra (in traduzione da Bollati Boringhieri). La nascita dell’ universo a partire dalla fluttuazione del vuoto quantistico gli ricorda infine la teoria delle «particelle di spazio», dalle quali la cosmologia del Kalachakra fa derivare la materia. Tra l’ altro, è proprio a proposito della creazione che il Dalai Lama dichiara esplicitamente l’ affinità del buddismo con la scienza, perché «condividono la fondamentale riluttanza a postulare un essere trascendente come l’ origine di tutte le cose»: benché la cosa possa apparire strana a chi è abituato alla teologia mediorientale, il buddismo non crede infatti all’ esistenza di dio. E neppure dell’ anima, benché sia particolarmente interessato alla coscienza e alle sue manifestazioni: dunque, può permettersi di «mettere in parentesi le problematiche metafisiche per cercare di capire scientificamente le varie modalità della mente». Con queste premesse, non stupisce che gli incontri tra il Dalai Lama e gli scienziati, non a caso intitolati Mente e vita (www. mindandlife. org), siano stati in buona parte dedicati alle scienze cognitive, dalle neuroscienze alle applicazioni cliniche della meditazione. Né stupisce che egli intraveda la possibilità di arricchire la comprensione scientifica della mente umana, solitamente limitata alla prospettiva «in terza persona» tipica delle osservazioni sperimentali, mediante un’ integrazione della prospettiva «in prima persona» tipica delle pratiche di introspezione. A testimonianza del suo atteggiamento rilassato nei confronti di queste cose il Dalai Lama si permette persino di dichiarare che, visto che l’ amigdala è risultata essere intimamente collegata con le emozioni negative, «se gli esperimenti dimostrassero che la sua neutralizzazione non ha conseguenze dannose, rimuoverla potrebbe essere una pratica spirituale molto efficace». Una dichiarazione volutamente scherzosa, ovviamente, a proposito della quale, così come di molte altre interessanti posizioni contenute nel libro, clonazione compresa, sarebbe divertente sentire l’opinione degli involontari ma eminentissimi umoristi cattolici nostrani. Su un unico punto, l’abbraccio del Dalai Lama al mondo scientifico fa cilecca: come egli stesso dice, «la matematica è un’area per la quale non sembro avere alcuna connessione karmica». Ma lì non c’ è santo, orientale o occidentale, che tenga: come si sa, infatti, i matematici non parlano con le reincarnazioni di Avalokiteshvara, né coi vicari di Cristo, ma solo e direttamente con Dio.

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