1 – Insegnamenti S.S. Dalai Lama, Dharamsala 19.03.11

Sua Santità il Dalai Lama: "Nel Buddhismo ci occupiamo proprio delle basi della realtà, abbiamo perciò una comprensione filosofica, da ciò scaturisce la pratica"..

Sua Santità il Dalai Lama: "Nel Buddhismo ci occupiamo proprio delle basi della realtà, abbiamo perciò una comprensione filosofica, da ciò scaturisce la pratica"..

Prima parte degli Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama a Dharamsala il 19 marzo 2011 per le celebrazioni del Monlam, il nuovo anno tibetano, sul tema: “I racconti di Jataka”, la vita del Buddha.

Appunti, traduzione dall’inglese ed editing del Dott. Luciano Villa, dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Consigliamo vivamente di ascoltare, visionare e scaricare il filmato in inglese di questo insegnamento liberamente disponibile qui http://dalailama.com/webcasts/post/176-jataka-tales .

Sua Santità il Dalai Lama

Le motivazioni di queste celebrazioni del Monlam coincidono con quelle di Buddha Sakyamuni che in questo stesso periodo dell’anno fece dei miracoli in una serie di dispute con maestri non buddhisti. Per questo motivo, questo viene chiamato il mese dei miracoli. La pratica del Dharma dipende dalla nostra mente. Nagarjuna ed Aryadeva spiegano infatti che il Dharma ha sì un aspetto fisico, ma quello più importante non è solo quello basato sull’ascolto degli insegnamenti ma sopratutto sulla pratica mentale. Questo in india è il periodo della penitenza, in cui il corpo viene sottoposto a mortificazioni fisiche. C’è quindi un Dharma basato sull’ascolto e la recitazione dei Veda ed un Dharma basato sull’impegno mentale. Attualmente va ricordata una delle tradizioni più rilevanti, quella Jainista, basata appunto sulla non violenza, sulla deliberata astinenza dal nuocere gli altri esseri senzienti. In ciò si differenzia dalle altre tradizioni, anch’esse non buddhiste, unicamente basate su rituali. La caratteristica principale del Buddhismo è proprio quella di basarsi eminentemente sulla mente, non tanto su suoni o su pratiche fisiche. Il sentiero ed il terreno del progresso spirituale sono basati sulla mente, senza un particolare nesso con un aspetto fisico della pratica, come la necessità di dover mutare il proprio aspetto fisico. Di conseguenza gli insegnamenti buddhisti risultano molto acuti, sottili.

Ascoltare gli insegnamenti di Dharma è quindi una pratica virtuosa, specialmente in questo mese dei miracoli. Quando parlo di pratiche virtuose, per molti di voi significa fare prosternazioni, circumdeambulare i templi o recitare dei mantra. Questa è una pratica di Dharma, ma non è la vera pratica del Dharma, pur essendo semplice da fare. Anche quando facciamo dei ritiri, ci confiniamo in una stanza per un certo tempo, e, pur essendo fisicamente isolati dagli altri, abbiamo innanzitutto la necessità primaria d’isolare la nostra mente dall’esterno. Specialmente dalle preoccupazioni, dalle false concezioni: questo è l’impegno maggiore del ritiro, non certo la recitazione di mantra. Il gran maestro Alasambhava, del Monastero di Tashikil nell’Amdo, diceva appunto che la recitazione anche per 100.000 volte di mantra potrebbe non permettervi affatto di dominare le vostre emozioni negative, le vostre preoccupazioni. L’utilizzo della mala rosario per recitare i mantra può non sortire altro effetto che quello di consumare le unghie.

Dobbiamo invece impiegare la mente per individuare gli antidoti alle emozioni negative. Abbiamo fede nel Dharma ma spesso rimaniamo in superficie con la nostra pratica. È raro trovare persone che si concentrano sulla vera pratica del Dharma. Molti considerano la pratica del Dharma come un’assuefazione, senza porre molta attenzione al suo significato, senza approfondirlo o studiarlo. Quando pongo domande agli amici sul significato del Dharma, spesso non ricevo risposte soddisfacenti. Lo scorso anno diedi insegnamenti nelle valli himalayane del Lahul Spiti, dove sono quasi tutti buddhisti e chiesi loro: cos’è il buddhismo? Mi sentii rispondere: è prendere rifugio nel Buddha, Dharma e Sangha. Al che chiesi: cos’è il Buddha, Dharma e Sangha? Ma non lo sapevano. Ugualmente mi accadde in una scuola buddhista in india. Anche a loro chiesi cos’è il Buddha, Dharma e Sangha? Anch’essi non mi risposero.

Un tibetano che s’era stabilito in Australia, nel suo viaggio aereo di ritorno gli capitò di discorrere con una signora cinese che gli confidò d’essere buddhista. Al che le chiese cosa volesse dire per lei professarsi buddista. La signora cinese rispose che per lei essere buddhista significa bruciare incenso sull’altare delle statue: queste erano per lei le pratiche di Buddhismo. Il che ci mostra come non si approfondisce e non si studia il significato del Dharma. Nel buddhismo è sufficiente profferire il rituale della presa del rifugio per dichiararsi tale, senza che siano necessari tanti testi. In altre religioni, quelle teistiche, questi testi sono fondamentali. I loro seguaci devono nutrire fede in dio.

Ma sia il buddhismo che le tradizioni non buddhiste dell’India sono basati su profondissime basi filosofiche, molto vaste. In accordo agli stessi insegnamenti del Buddha, sono sorte innumerevoli scuole che offrono differenti interpretazioni da parte di vari maestri. Cosicché le differenti vie di pensiero buddhiste si sono sviluppate secondo le disposizioni mentali. Perciò abbiamo la necessità di sviluppare l’analisi, d’usare la nostra intelligenza. Sia che sia buddhismo tibetano, coreano, giapponese, cinese: con tutti loro mantengo una gran connessione. Come pure a quelli dello Shri Lanka, Birmania, Thailandia che vengono ai miei insegnamenti dico sempre che dobbiamo essere dei buddhisti del 21° secolo. Non dobbiamo limitarci a considerarci per tradizione buddhisti, perché lo erano i miei genitori, ma lo dobbiamo studiare, comprendendone le sue uniche prerogative e potenzialità. A quel punto, lo veniamo a comprendere. Ed è questo il motivo per cui affermo che dobbiamo essere dei buddisti del 21° secolo. Contemporaneamente il nostro sistema d’istruzione va migliorato, perché è importante che le persone usino la loro intelligenza. Allo stesso tempo assistiamo a molti cambiamenti nel mondo materiale, con innumerevoli distrazioni. E, se non saremo tanto accorti da fare in modo che i nostri valori interiori marcino di pari passo con quelli esteriori, allora ne saremo stravolti. Vedete, a proposito delle emozioni distraenti, il buddhismo mira alla trasformazione all’interno della nostra mente, utilizzandola ed impegnandola: lo dovreste sapere!

Ci saranno molti che vengono dal Tibet: alzate una mano. Per i controlli e le restrizioni delle autorità cinesi, ci sono ben pochi Lama che insegnano buddhismo in Tibet. Per studiare buddismo in Tibet occorre seguire le regole cinesi con i relativi programmi di rieducazione. A causa degli sbarramenti a questi studi, questo percorso diventa molto difficile. Per essere veramente buddhisti dovete impegnarvi in una costante pratica di studio. Dovete rendervi conto che dovete far attenzioni alle distrazioni di questo mondo: dai luoghi piacevoli, alla cucina succulenta, ai suoni e musiche attraenti, profumi attraenti. Proprio perché possiamo esserne affascinati in modo ossessionante, dobbiamo fare particolarmente attenzione a tutti questi tipi d’esperienza sensoriale: la bella musica, i buoni pranzi, i bei posti. Non dico che non li si debba apprezzare, ma non si deve trascorrere la vita inseguendo queste distrazioni! Perché, allora, la nostra felicità diventa dipendente dalle distrazioni esterne. E, fintantoché siamo avvinti dalle distrazioni esterne, ci sentiamo felici. Ma, quando cessano, proprio perché non hanno la capacità di dare un significato al nostro tempo, ci lasciano insoddisfatti ed infelici. La sofferenza dell’invecchiamento, della malattia, di dover incontrare chi non desideriamo e di non poterlo fare con chi invece vorremmo avere vicino, quando costoro sono colpiti da queste sofferenze, cadono in una profonda depressione, a volte tanto grave da portarli al suicidio.

Ovviamente intendo dirvi che la religione ci tiene a nutrire adeguatamente il nostro corpo, a proteggerlo dal freddo con abiti caldi, ad averne cura affinché non s’ammali, ma la nostra gioia e felicità mentale deve necessariamente provenire dal nostro mondo interiore. Anche se siete soli, potete vivere molto felicemente grazie alla vostra mente. Non si tratta d’inventarvi cose immaginarie: qui stiamo parlando di realtà, anche se la gente la nega. Si sviluppano così le visioni distorte, che da un lato esagerano, mentre dall’altro sminuiscono, negano. Mentre quel che dobbiamo conoscere dal buddhismo è la realtà. Così, in base alle situazioni, quando affrontiamo la sofferenza dell’invecchiamento, della morte, di dover incontrare chi non desideriamo e di non poterlo fare con chi invece vorremmo avere vicino, possiamo pensare che ovviamente sono eventi che fanno parte della vita, ma quel che ci capita è il frutto del karma. Pertanto, pensare in questo modo c’aiuta ad attenuare le preoccupazioni, il desiderio eccessivo e la rabbia. Il che fa la differenza tra coloro che credono e non credono nella religione. Degli amici cinesi, comunisti, mi dicevano che quando parlano della sofferenza, lo fanno in modo molto intenso. Pure noi abbiamo dei problemi, ma, benché fisicamente proviamo dolore, mentalmente ne siamo meno investiti. Perciò, proprio perché conosciamo la realtà ed affrontiamo le cose con un approccio realistico, come dice Shantideva nel suo Bodhisattvacharyavatara “La via allo stile di vita del Bodhisattva”, se esiste un modo per uscire dalla sofferenza, perché allora preoccuparsene ed angosciarsi? La soluzione consiste nell’impiegare la mente per risolvere i problemi, specialmente quando le soluzioni sono raggiungili. In particolare stiamo seguendo la via del buddhismo tracciata dalla Scuola di Nalanda, specialmente discernendo dagli insegnamenti del Buddha quelli che possono essere accolti nel loro significato e quello che non lo possono. Ne deriva una gran enfasi nel vagliare gli insegnamenti del Buddha. Perciò Nagrarjuna, Aryadeva, Buddhapalita, Asangha, se andate ad esaminare i loro insegnamenti, noterete che non sono frammentari ma esposti in testi articolati ed in modo analitico. Il che significa che non si sono limitati a semplicemente a leggere gli insegnamenti del Buddha, ma li hanno vagliati, ci sono entrati dentro, realizzando un percorso analitico molto approfondito che, quando li portava a scoprire che degli insegnamenti non erano in linea col filo logico conduttore, li rifiutavano dal punto di vista del significato letterale. Da parte mia dico sempre ai monaci e laici che mi ascoltano che non devono mai accettare supinamente le mie parole, ma devono vagliare i miei insegnamenti, accettandoli solo dopo averli verificati, non per devozione nei miei confronti.

Mentre i maestri delle altre tradizioni dicono agli allievi d’ascoltare i loro insegnamenti, senza tuttavia dir loro di verificare quel che dicono. Mentre il Buddhismo insegna ad usare la ragione. Perciò, per comprender bene il Buddhismo dobbiamo impegnarci col pensiero, perché non esiste altro modo, se non lo si comprende bene, di poterlo seguire. Proprio per questo motivo invito sempre a studiare i testi. Quando ricavo del tempo per leggere il Tengyur, il Commentario ai testi dei maestri indiani sugli insegnamenti del Buddha, mi rendo conto che questi Commentari non sono altro che la chiave per comprendere gli insegnamenti del Buddha. Quando poi leggerete e vi renderete conto delle differenze tra la diverse scuole buddhiste, comprendendole ne sarete soddisfatti.

Gli insegnamenti del Buddha sull’impermanenza e sulla natura interdipendente delle cose vertono effettivamente sulla realtà delle cose. Pure le Quattro Nobili Verità esaminano la realtà. Nel Buddhismo ci occupiamo proprio delle basi della realtà, abbiamo perciò una comprensione filosofica: da ciò scaturisce la pratica.

Faccio una triplice distinzione tra i contenuti del Kangyur, le parole trasmesse del Buddha ed i commentari agli insegnamenti. La prima è la scienza buddhista, quindi la filosofia buddhista, gli aspetti filosofici del buddhismo basati sul concetto della natura interdipendente delle cose, il che esprime la vera realtà,

In proposito, parlando a dei mussulmani, dicevo loro che questa visione dell’interdipendenza delle cose è un punto di vista condivisibile anche da loro, che li può giovare nei loro ragionamenti sia che crediate o non crediate in una religione potete seguire questa visione della realtà, questa filosofia universale. Quindi, all’interno del Buddhismo abbiamo l’aspetto religioso, mentre la scienza buddhista è un qualcosa di completamente globale, universale. Inoltre consideriamo l’aspetto della filosofia buddhista che non dice che una cosa è buona o cattiva, ma che dipende dal sorgere dipendente: anch’esso è universalmente applicabile. Inoltre, negli ultimi 30 anni ho avuto dei contatti con degli scienziati occidentali. All’inizio, alcuni di loro reagivano dicendo che loro appartengono alla scienza ed il Dalai Lama è un Buddhista. Si chiedevano appunto cosa avessero da discutere con un monaco Buddhista. Quando iniziammo a parlare, capirono che il Buddhismo non accetta un dio creatore, né alcuna teoria sull’anima, ma accetta la relatività delle cose, la loro natura interdipendente. Perciò, a poco a poco, si sono interessati al buddhismo, mentre mantengono le distanze da altre tradizioni religiose. Mentre, pur essendo una religione, s’interessano al buddhismo in quanto basato su fondamenta razionali e stimolante il ragionamento, per nulla determinato meramente dalla fede cieca. Proprio perché il buddhismo è basato sullo studio razionale della realtà delle cose, da cui ne discende la visione filosofica e l’ordinamento delle pratiche, gli scienziati lo osservano attentamente. Perciò raccomando vivamente, in special modo ai tibetani appena giunti qui, d’impegnarsi nello studio, il che porterà ad una maggiore apertura mentale col risultato d’una comunità più pacifica. Tra certuni che si professano buddhisti, scaturisce facilmente la rabbia. Ma dovete rendervi capaci d’affrontare le situazioni, senz’arrabbiarvi. Facendo affidamento sulla vostra intelligenza, dovete rendervi capaci di affrontare e gestire i problemi. Così, pure voi uomini e donne, è bene che studiate il Dharma. Tornando a casa, dite ai vostri familiari, parenti, vicini, amici e conoscenti che il Dalai Lama esorta tutti ad impegnarsi a studiare il Buddhismo. Siamo soliti pensare che, una volta anziani, dobbiamo impegnarci nella recitazione di mantra, senza effettivamente immergerci negli studi. Ma Sakyapandita, un gran Maestro Sakya http://en.wikipedia.org/wiki/Sakya_Pandita, ci ricorda che, anche se dovessimo morire domani, ora dovremmo ugualmente studiare. Così nella prossima vita non saremo una persona infantile e superficiale. In questi casi in Tibet diciamo che: non sarai come un asino!

Anche se dovreste morire domani: dovete studiare il buddhismo. Così capirete, beneficiandone ora e nella prossima vita, che c’è una gran differenza tra chi pratica il Dharma: comprendendolo o non capendolo affatto. Si tratta d’una gran differenza.

Fondamentalmente, alla base dell’insegnamento buddhista troviamo la pratica della non violenza, il non danneggiare gli altri e la concezione filosofica dell’interdipendenza. Per quanto concerne la pratica della non violenza, questa è condivisa dal Jainismo e da altre religioni. Come pure è condivisa da altre religioni l’attitudine alla compassione, motivata dall’amore del dio creatore verso tutti gli esseri, asserendo infatti: “Dobbiamo essere amorevoli verso tutti gli esseri perché sono tutti creature di dio, come lo siamo anche noi”. Il che è molto utile, va molto bene.