9 Insegnamenti S.S. Dalai Lama Tolosa 14.08.11


Sua Santità il Dalai Lama a Tolosa: "Non limitatevi alle citazioni, non basatevi semplicemente sulle citazioni, nemmeno se l'ha detto il Buddha. Tutto va confrontato con l'esperienza: così s'approfondisce la visione filosofica".

Sua Santità il Dalai Lama a Tolosa: "Non limitatevi alle citazioni, non basatevi semplicemente sulle citazioni, nemmeno se l'ha detto il Buddha. Tutto va confrontato con l'esperienza: così s'approfondisce la visione filosofica".

Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama a Tolosa, Francia il pomeriggio del 14 agosto 2011 (nona parte – secondo giorno) su “Gli stadi intermedi di meditazione” di Acharya Kamalashila liberamente disponibile qui https://www.sangye.it/altro/?p=1698. Traduzione dal tibetano in italiano di Fabrizio Pallotti. Appunti ed editing del Dott. Luciano Villa, dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Sua Santità il Dalai Lama

La mente può cadere nel torpore. Pur essendo apparentemente e stabilmente in concentrazione, pian piano la mente si sente come affondare, perde d’intensità, è allentata sull’oggetto. Qui diventa fondamentale la forza della memoria, affinché la mente lo ricordi intensamente. Occorre far attenzione che la mente sia stabile. Quali sono gli antidoti al torpore? La mente che affonda, che si ritrae, va opportunamente sollecitata, evitando accuratamente gli eccessi. Altrimenti cadremmo nell’opposto: nell’eccitazione. Occorre essere in grado di realizzare un bilanciamento degli antidoti sulla base della propria esperienza. Iniziamo il nostro percorso con sessioni brevi e ben fatte di 5 10 minuti l’una, per poi proseguire con sessioni più lunghe. Questo è un percorso che si rivela utile ed efficace. Questo modo d’esercitare la mente arreca indubbiamente dei vantaggi: dobbiamo dimostrarci abili nel farlo. È bene svegliarci presto di mattino, quando la mente è chiara. Il nostro comportamento ha delle ricadute sulla qualità della nostra mente. Pratichiamo per 30 minuti circa la stabilizzazione meditativa Shinè. Procediamo lentamente, adagio, procediamo coi piazzamenti meditativi fino al nono in cui risiediamo stabilmente senza problemi, senza avvertire disturbi interiori. Altrimenti, se ne è il caso, applichiamo con moderazione gli opportuni antidoti dagli effetti armonizzanti. Sorge così dapprima una sensazione di beatitudine fisica, poi mentale. Il che corrisponde al conseguimento di Shinè, di flessibilità mentale: ma, in realtà si tratta d’un qualcosa di più. Quindi, una volta conseguita la stabilizzazione meditativa, si giunge alla flessibilità per poi pervenire alla gioia. Una volta realizzata shinè, ci volgiamo alla visione speciale. Solamente realizzando shinè si giunge ad eliminare le concettualizzazioni che condizionano la mente. Dal che ne deriva un corpo di flessibilità sprizzante di gioia, da cui scompaiono le fattezze grossolane. Questo processo è identico anche ai non buddhisti che praticano la visione non mondana ma che noi consideriamo mondana, il che corrisponde a diversi passaggi nei reami della forma e della non forma attraverso quella visione super-mondana che considera gli svantaggi di quello stadio d’esistenza ed i vantaggi di quello superiore. Così meditando, s’abbandonano i diversi livelli d’attaccamento grossolani per innumerevoli legami d’esistenza, che contiamo fino a 17 livelli di progressione, quindi si procede migliorando vieppiù i livelli, raggiungendo quello della non forma, oltre quindi al Laktong mondano, fino al livello del picco dell’esistenza. Dobbiamo generare il Laktong sovramondano, sviluppando quella visione speciale che ha per oggetto la realtà ultima. La Prima Nobile Verità illustra la mancanza d’un sé intrinseco, indipendente, ma lo fa a diversi livelli. La vacuità come è espressa nelle scuole inferiori risulta un concetto più grossolano di quanto lo sia per le scuole superiori. Esistono poi dei non Buddisti che credono o non credono all’esistenza di vite passate o future sulla base di precisi ragionamenti filosofici e s’avvalgono d’un certo tipo d’intelligenza investigativa per pervenire a queste conclusioni. Il che trova spiegazioni anche nel Kalachakra interno. Anche i maestri di Nalanda prendono in considerazione le visioni filosofiche dei non buddisti, perché lo sviluppo della pratica buddhista è basato su ragionamenti validi ma porta sempre rispetto anche alle visioni filosofiche rifiutate. Il che mi venne confermato da un interlocutore illustre: l’ex primo ministro dell’India Lal Krishna Advani. Egli, in un’occasione mi disse: “pur tra dispute filosofiche molto serrate, ad esempio tra gli Sravaka ed altre scuole di pensiero, in cui ogni scuola rifiutava categoricamente la visione delle altre, tra loro si chiamano rishi, ovvero “saggi”: e lo fanno con molto rispetto. Il medesimo comportamento avviene tra i maestri delle quattro scuole Vaibashika, Sautantrika, Cittamatra e Madiamyka: pur confutando tra loro le tesi sostenute dall’altro, si portano un gran rispetto. Dobbiamo sviluppare la visione penetrante della natura ultima dei fenomeni: la conoscenza della saggezza primordiale. Il Buddhismo Mahayana è concentrato sull’aspetto ultimo della Bodhicitta. Per realizzarlo ci serve la meditazione Shamata. Per conseguire l’aspetto ultimo dobbiamo realizzare la vacuità: tutti i fenomeni sono privi di natura ultima. Nel processo dialettico delle Quattro Scuole Buddhiste: ciascuna rifiuta la visione della scuola precedente, rifiuta la vacuità permanente ed autonoma. È una filosofia estremamente elaborata, che rifiuta i due estremi del nichilismo e dell’eternalismo, che ritiene non esistere alcun individuo autosufficiente, proprio perché gli aggregati sono impermanenti. Se il sé risulta non identificabile con gli aggregati, allora dovrebbe trattarsi d’un entità separata: ma non è così. Proprio sulla base degli aggregati, affermo:” Sto bene, sono ammalato”. Proprio su questa base affermo che anche il sé cambia, non esiste un qualsiasi modo di vedere gli aggregati come immutabili e non esiste alcun modo di vedere il sé separato dagli aggergati, né uguale a questi. Perciò, dato che gli aggregati sono molti ed impermanenti, nel momento in cui si ricerca questo sé: lo si dovrebbe trovare o negli aggregati o al loro esterno. Quando parliamo di IO – Mio, convenzionalmente parlando, il sé possessore degli aggregati non esiste, ma è semplicemente imputato sulla loro base. Nel Buddhismo delle origini di tradizione Pali, non si riteneva che esistesse un sé sulla base della percezione degli aggregati. Il carro no esiste di per sé, ma lo è in quanto composto da aggregati e sulla base di designazione. Ma non esiste, ovviamente il carro di per sé, in quanto tale. Neppure esiste alcunché dotato di proprie caratteristiche perenni, immutabili. Se dovessimo osservare un qualcosa particolarmente attraente, bello, carino proveremmo senz’altro il desiderio d’averlo, di possederlo. Qualora riuscissimo ad acquisirlo, dopo un primo periodo in cui ne saremmo magari infatuati, perché in quella fase lo troveremmo interessante in quanto ci sembrerebbe rispondere ai nostri desideri, passata questa prima fase finirebbe a poco a poco od improvvisamente a perdere d’interesse. Viceversa, se non fossimo in grado di venirne in possesso o perdessimo improvvisamente quell’oggetto cui eravamo tanto affezionati, e, per giunta fossimo attorniati da persone che ci condizionano con la loro smodata bramosia, allora finiremmo per sentirla come una grossa perdita. Su quella base l’attaccamento s’incrementerebbe sempre più, sulla base dell’Io e Mio e del possesso frustrato, il passo sarebbe ben breve perché l’avidità si trasformi in avversione, e l’avversione in odio, con conseguenti diatribe, liti e conflitti. Al contrario, placando la concezione d’un sé sostanzialmente esistente, diminuisce anche l’attaccamento, diminuisce l’intensità non solo del sé ma anche di come è percepito l’oggetto. In tal modo non diminuirà solo la forza dell’attaccamento, ma s’elimineranno anche le forze negative, distruggenti, dominate dall’oscurazione mentale. Per i Cittamatra, la concezione sulla mancanza d’esistenza dei fenomeni esterni, se non come semplici apparenze, esercita un effetto dirompente sull’attaccamento diminuendo enormemente la forza delle oscurazioni distruggenti, anche se, va detto, è di beneficio per diminuire l’attaccamento verso i fenomeni esterni, ma non per quelli interni. A meno che non si arrivi ad asserire la non esistenza di quella coscienza che concepisce la non esistenza intrinseca di quella coscienza che concepisce i fenomeni come autonomamente esistenti. Il che è proposto dalla Scuola Madiamyka di pensiero. Per la Madiamyka Svatantrika i fenomeni non esistono di per sé, dalla loro parte, inerentemente, ma alcune caratteristiche dei fenomeni permangono, caratteristiche che vengono invece completamente eliminate dalla Scuola Prasangika Madiamyka. La Svatantrika nega una esistenza inerente dal lato della base di imputazione che nel caso, per esempio, di un vaso, sarebbe costituito da una presunta “vasità” la quale dovrebbe fungere da valida base sulla quale poter imputare il nome “vaso”; questo è un particolare della visione Madhyamaka Svatantrika fondata da Bhavyaviveka ed è negato dalla Scuola Prasangika che si oppone con argomentazioni valide ad una qualsiasi esistenza intrinseca che possa caratterizzare la base di imputazione del supposto “vaso”. La Madiamyka Prasangika, rappresentata eminentemente da grandi maestri come Chandrakirti, Buddhapalita pur accettando un esistenza convenzionale dei fenomeni, ne nega qualsiasi essenza intrinseca, per cui tutto appare, ma erroneamente. Anche la percezione valida, in ultima analisi, è impermanente, quindi errata. Qualsiasi tipo di concezione errata si sviluppa non solo sui testi ma in base all’impegno del nostro ragionamento analitico. Perciò non limitatevi alle citazioni, non basatevi semplicemente sulle citazioni, nemmeno se l’ha detto il Buddha. Tutto va confrontato con l’esperienza: così s’approfondisce la visione filosofica.