SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA
LA VIA AL SUPERAMENTO DELLE EMOZIONI PERTURBANTI
a cura di Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania
5 – 12 agosto 2005, Zurigo, Svizzera
Commentario ai testi
Bodhicharyavatara (Introduzione alla via del Bodhisattva)
di Shantideva
Bhawanakrama (Livello intermedio della meditazione)
di Kamalashila
Premessa
Dal 5 al 12 agosto 2005 si è registrata in Europa una visita davvero eccezionale: Sua Santità il XIV Dalai Lama, in quella Svizzera che ha dato per prima asilo alla più rilevante comunità di profughi tibetani appena fuggiti dal Tetto del Mondo occupato dall’invasore cinese, ha conferito per la prima volta fuori dall’India, dove vive in esilio dal 1959, una serie d’insegnamenti, all’Hallenstadion di Zurigo, per ben otto giorni pieni, impegnandosi, per due ore di mattino ed altrettante di pomeriggio, a trasmetterci con tutta la sua grande precisione espositiva e la sua immensa passione, quella che riesce a penetrare nel cuore delle menti, l’enorme saggezza della filosofia e della pratica Buddhista Mahayana, commentando due fra i testi da lui prediletti (il Bodhicharyavatara Introduzione alla via del Bodhisattva di Shantideva eBhawanakrama Livello intermedio della meditazione di Kamalashila), cercando di portarci alla profonda comprensione del metodo capace di superare quelle emozioni che hanno il potere d’affliggerci in ogni istante, per conduci, invece, verso uno stile di vita più armonioso e pacifico, ispirandoci a generare compassione e la visione profonda della realtà ultima.
Sua Santità non ha caso ha scelto di commentare questi due insigni ed antichi testi che abbiamo appena citato, risalenti all’VIII ed al IX secolo, tuttora attualissimi e giustamente considerati come tra i capisaldi del Buddhismo Mahayana. Entrambi offrono precisi spunti per intraprendere le pratiche spirituali e la meditazione, in una chiara esposizione dell’essenza del pensiero Buddhista.
Inoltre Sua Santità, in un’atmosfera densa di grande comunicazione spirituale e di luminosità interiore, ha conferito a tutti noi l’iniziazione di Avalokiteshvara dalle 1000 braccia e di Rigzin Dondrup.
L’incontro col Capo spirituale del Tibet, durato per ben 8 giorni all’Hallenstadion di Zurigo, non inaspettativamente, ha riscosso un successo superiore al previsto, con una partecipazione media agli insegnamenti di circa 10.000 persone al giorno, con punte fin oltre le 12.000. All’interno dell’enorme anfiteatro, appena ristrutturato, si viveva tra l’enorme comunità proveniente da ben 44 paesi del mondo, una sensazione di grande partecipazione spirituale, in un silenzio che pareva che fossimo tutti appesi alle parole del Kundun “La Presenza”, come viene rispettosamente, ma anche familiarmente, chiamato dai tibetani il loro leader.
Ma la visita del Leader del Paese delle Nevi, se ha avuto indubbiamente al centro, come evento maggiore e spiritualmente più qualificante, gli otto giorni d’insegnamenti all’Hallenstadion, non si è certo limitata qui. Tra gli incontri pubblici maggiori, tutti affollatissimi, ci preme ricordare il commuovente meeting interreligioso del 2 agosto nella chiesa dell’antico “Monastero di Einsiedeln.
Al Simposio del 4 agosto all’ETH Zurigo (Istituto Federale di Technologia) “Paura ed ansia” ha fatto seguito il 5 agosto, di mattino all’Università di Zurigo un altro Simposio Neuroscientifico con la partecipazione di insigni neuroscienziati e, di pomeriggio, al Münsterhof l’Incontro Interreligioso con i maggiori esponenti delle fedi in territorio elvetico. Sabato 13 agosto, prima di tornare in India dove l’attendevano i suoi monasteri di luce dove si specchiano le nevi eterne del Ladak e della Nubra Valley, Sua Santità ha trovato il tempo di visitare soddisfatto gli impianti di produzione Padma AG a Kempten, dove, unico in Europa, viene prodotto, utilizzando le medesime formule coniate nel Tetto del Mondo, un rimedio tibetano che sta riscuotendo un discreto successo: il Padma.
Inoltre anche alti esponenti del governo svizzero, come il ministro Pascal Couchepin, non solo gli hanno voluto dare il benvenuto a nome dell’esecutivo della Confederazione, ma, affrontando i temi della libertà religiosa e culturale, nonché l’andamento dei negoziati in corso tra il Governo di Pechino e quello in esilio del Dalai Lama, hanno ancora una volta dimostrando la sensibilità della Svizzera per la tragedia del Tibet e per le difficoltà che continuamente deve affrontare il Dalai Lama ed il suo popolo, dal momento che il problema del Tibet è ben lungi dall’essere risolto.
Tantissimi i tibetani, ovunque interveniva Sua Santità, e c’erano praticamente tutti, i tanti e tanti tibetani rifugiati in Svizzera, alcuni da oltre 40 anni, commossi fin alle lacrime agli occhi di potere incontrare il loro amatissimo leader. che ha ovviamente dedicato loro le più calde e care attenzioni, dando giustamente priorità ai sofferenti, agli ammalati, tanto da far dire ad uno dei rifugiati tibetani della prima generazione: ” So che questa è la mia ultima occasione per incontrare il Dalai Lama. Poterlo vedere di persona mi ha dato pace e serenità per i miei ultimi giorni.
Indubbiamente non era fondamentale essere buddhisti o meno per partecipare e ricevere il frutto degli insegnamenti, bastava essere menti aperte a cogliere l’essenza del discorso di Sua Santità, della ricerca dell’armonia interiore attraverso l’impegno concreto, e non solo in termini puramente meditativi, ma con adeguare ricadute pratiche.
In questo momento di paura per il terrorismo e l’instabilità sociale, le parole del Kundun ci dimostrano quanto l’impegno per la pace sia estremamente rilevante per il benessere interiore e per la società intera, anzi per l’intero pianeta: un impegno non indirizzato solamente a bloccare i conflitti, ma a creare le vere condizioni di pace e d’armonia tra le famiglie, le comunità, i villaggi, le città, le nazioni, impegnandoci per una pace vera, una pace nella pace, che trae origine dall’armonia dei cuori. Questo messaggio di pace, indubbiamente riveste caratteri universali, condivisibili da tutte le religioni.
Veniamo ora a proporvi i nostri appunti che abbiamo steso in questi otto lunghi e meravigliosi giorni ascoltando le parole di saggezza del Buddha della Compassione.
Dobbiamo premettervi che queste righe non rappresentano affatto la trascrizione ufficiale degli insegnamenti di Sua Santità, né sono frutto di accurate registrazioni, ma si tratta di semplici annotazioni, per cui in molti punti si riveleranno senz’altro lacunose e, magari incoerenti. Ebbene, dobbiamo dirvi, innanzitutto che abbiamo cercato di fare del nostro meglio, ma, viste anche le difficoltà tecniche di poter seguire con continuità le traduzioni in inglese di Ghesce Dorje ed in italiano di Anna Maria De Pretis, vista la nostra conoscenza limitata degli argomenti trattati, ci scusiamo innanzitutto per qualsiasi inesattezza.
SUA SANTITA’ IL XIV Dalai Lama
Siamo disturbati dalla nostra stessa vita indaffarata. Ci sentiamo assillati anche dal dover seguire gli insegnamenti del Buddha. Ma questo non accade a chi ha vera fede negli insegnamenti che ha ricevuto dai maestri. Coloro che nutrono una fede sincera non se ne sentono infastiditi. Non intendo la fede basata sulla semplice credulità, ma quella fondata sulle convinzioni delle argomentazioni del Buddha.
Per capire davvero, occorre essere mossi da un certo spirito critico, da un senso di dubbio, di ricerca. Altrimenti non potrete giungere ad afferrare la realtà. Per questo motivo non basta limitarsi ad apprezzare il titolo d’un lavoro, né tantomeno a lodarne le prime righe, ma occorre entrare nel merito del discorso perché la comprensione si tramuti in connessione. Non potrete comprendere la vera realtà se non sarete in grado, d’altro canto, di scorgerne le visioni distorte, e, quindi, di conseguenza, le qualità possedute dai veri maestri. Coloro che hanno la capacità di farlo giungono a coglierne l’aspetto profondo.
Qual è, quindi, la vera realtà oggettiva, lo scopo della nostra vita?
La felicità di raggiungere la liberazione, la buddhità: questo è il vero scopo finale dell’esistenza.
Ma, per poter realizzare la realtà ultima, occorre intraprendere un lungo cammino, in cui va sottoposto a verifica tutto ciò che s’ascolta, e, una volta verificatane la correttezza, bisogna metterne quindi in pratica gli insegnamenti.
LE DUE VERITÀ.
Occorre ora comprendere il significato delle due verità: la verità convenzionale e quella ultima. La prima è la realtà delle apparenza: la realtà comunemente percepita, che per determinarla non necessita d’una particolare ricerca, che esiste senza che, per percepirla, ci si debba impegnare in un’analisi sofisticata.
Insomma: la realtà convenzionale.
Esiste poi un livello sottile, caratterizzante piani finissimi di realtà, in opposizione a quelli evidenzianti la realtà convenzionale, quella realtà che definiamo apparente. Infatti, la realtà ultima appare solamente se viene ricercata attraverso un’analisi molto impegnativa e profonda. Allo stesso modo, individuiamo due tipi di mente: quella convenzionale e quella profonda. Solo impegnandoci in una precisa ed univoca analisi critica, riusciremo a percepire l’altra realtà, la vera realtà: quella profonda.
È proprio questa l’altra realtà, quella che ci svela che i fenomeni esistono in una relazione interdipendente tra di loro, in un nesso di causalità.
La percezione di questa realtà ci svela il modo in cui le cose e gli eventi effettivamente si realizzano, si manifestano. E’ la legge di causalità degli eventi e dei fenomeni, quella che determina la loro produzione.
LE QUATTRO NOBILI VERITÀ.
Sono io che non voglio soffrire! E, allora, che cos’è questo senso dell’io che, oltretutto, non vuole soffrire? Questa percezione dell’io è presente in tutti gli esseri senzienti, inclusi gli animali, e tra loro, anche gli insetti.
Da cosa originano i fenomeni? Da cause mutevoli o perenni? Partendo dalla constatazione che i fenomeni sono privi d’una loro natura propria, che non esistono a sé stanti, allora si può affermare che essi sono interdipendenti. È importante capire la caratteristica comune ad ogni fenomeno: l’assenza di una sua vera esistenza intrinseca.
Dalla comprensione della mancanza della vera esistenza dei fenomeni non può che evidenziarsi la loro origine interdipendente. Quando giungeremo a riconoscere le emozioni affliggenti come prive d’una loro natura propria o d’esistenza intrinseca, capiremo anche che sono transitorie e dipendono da cause e condizioni, ed in quanto impermanenti sono soggette al cambiamento, di conseguenza, una volta che si sono generate, possono venir pacificate.
Non basta tuttavia convincersi razionalmente della transitorietà dei fenomeni, come pure della presenza delle emozioni affliggenti, ed ammettere che entrambi dipendono da cause e condizioni, occorre che questo convincimento si stabilizzi solidamente, a livello delle esperienze che realizziamo in ogni momento della nostra vita, in moda da lasciare nel nostro continuum mentale un’impronta indelebile.
Sviluppare la saggezza contemplativa
Proprio per questo motivo, per l’effettiva concretizzazione di questa esperienza conoscitiva, occorre sviluppare la saggezza contemplativa.
Grazie ad essa, ad un certo punto, la percezione dell’origine interdipendente dei fenomeni vi affiorerà naturalmente, il che sarà determinante nel liberarvi dalle afflizioni mentali.
Questa è la terza nobile verità: la cessazione della sofferenza, la cessazione delle illusioni. Grazie alla percezione diretta della realtà, alla realizzazione dell’interdipendenza degli eventi, si sviluppa un’attitudine mentale molto potente, che ci rende liberi dalle sofferenze.
Giunti a questo stadio, occorre applicare la saggezza che realizza la vacuità d’esistenza intrinseca, che comprende la mutevolezza istantanea dei fenomeni, in quanto privi d’una loro fondamentale autonomia.
Questa realizzazione è liberatoria.
Possa ciascuno trarre aspirazione per far attecchire la radice del sentiero verso la liberazione. Possa ognuno smascherare stabilmente nella propria esperienza i fenomeni da una loro autonomia fondamentale: proprio perché i fenomeni sono privi d’una loro esistenza a sé stante. Tutti quanti dobbiamo giungere a comprendere la realtà ultima, senza accontentarci delle apparenze, ma impegnandoci in una incessante analisi approfondita dei fenomeni.
I FENOMENI NON HANNO ESISTENZA PROPRIA: LE CAUSE E LE CONDIZIONI SONO INTERDIPENDENTI.
Abbiamo visto come i fenomeni, le cose non sono dotate d’esistenza autonoma. Se non fossero prodotti da cause e condizioni, se fossero dotati d’una loro natura indipendente, non sarebbero né influenzabili né influenzanti. Se fosse così, non ci potrebbe essere causalità. La quale è spiegabile solo grazie all’interdipendenza.
E’ perciò necessario giungere a riconoscere la prima nobile verità, quella della vera realtà della sofferenza: solo così possiamo porre il presupposto di poter smettere di soffrire, grazie alla nostra capacità e determinazione d’intervenire sulle cause e condizioni che producono la sofferenza.
Come?
Evitandole.
In questo modo giungeremo a conoscere la seconda nobile verità, la verità dell’origine della sofferenza, che deve essere identificata, conosciuta e riconosciuta per poter essere eliminata. Dobbiamo distogliere la nostra mente dal concetto erroneo d’immutabilità, di permanenza: d’identità a sé stante sia della persona sia dei fenomeni.
A questo punto occorre indagare l’idea dell’io che non vuole soffrire. Proprio per questo motivo la terza nobile verità, la cessazione della sofferenza, è dovuta alla mancanza d’identità a sé stante dell’io e dei fenomeni.
Grazie a questa comprensione possiamo lasciarci alle spalle le cause della sofferenza. Grazie alla comprensione delle quattro nobili verità possiamo comprendere l’insegnamento del Buddha e quello di coloro che s’inoltrano su questo cammino.
Possa ciascuno di noi essere ispirato dalla mente del risveglio, possa vivere nella sconfinata compassione che desidera proteggere tutti gli esseri migratori.
ADDESTRIAMO LA MENTE
Ora, la comprensione corretta realizza la vacuità e la comprensione dei due livelli di realtà (convenzionale ed ultima) deriva dalla compassione, dal desiderio di liberare tutti gli esseri dalla sofferenza, dal desiderio di ottenere il risveglio completo e perfetto. Possa ognuno essere consacrato a sviluppare il desiderio di bodhicitta: la mente che desidera il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Per incamminarci sulla via della bodhicitta, dobbiamo prioritariamente sbarazzarci di tutte le concezioni erronee della realtà: quando il desiderio di beneficiare tutti gli esseri senzienti si dilata fino ad includere ogni altro essere, allora diventa espressione della compassione e si giunge alla bodhicitta.
Ciò che serve è dunque la compassione, la comprensione ed i mezzi abili per giungere veramente all’illuminazione.
In proposito, come possiamo comprendere il termine tibetano indicante il Buddha Dharma? Lo capiamo realizzando fiducia nel gioiello Dharma, che ci permette di rilevare la validità del gioiello Buddha e del gioiello Sangha, in altre parole degli esseri realizzati, di coloro che sono al di là dell’apprendimento. Prima di tutto occorre comprendere come procedere nella pratica.
COS’E’ LA MEDITAZIONE?
Iniziamo ora ad utilizzare come testo principale “La guida allo stile di vita del bodhisattva”, il volume scritto da Shantideva, laddove l’altro testo di riferimento per questi insegnamenti, la “Guida agli stati intermedi di meditazione”, è opera di Kamalashila, che lo compose quando nel suo soggiorno in Tibet. Questo grande saggio enfatizzava la necessità della pratica contemplativa unita a quella analitica.
Che senso avrebbe intraprendere una meditazione senza uno scopo preciso?
Senza nessun tema, senza che la mente risulti applicata in alcun che? Potrebbe risultare piuttosto rischioso dedicarsi a questo tipo di pratica. Proprio per questo motivo Kamalashila confuta questo tipo di meditazione.
Nel nostro caso, la meditazione consiste appunto nella familiarizzazione intenzionale, con una precisa intenzione. Rappresenta un atto della nostra volontà. Non costituisce affatto un esercizio fisico, ma un impegno mentale. In questo modo meditiamo sull’abitudine a coltivare certi livelli mentali che ci portano ad eliminare la sofferenza. Lo scopo della meditazione è proprio quello di rimuovere la sofferenza e di portarci alla felicità.
IL KARMA
Quali sono le vere cause della sofferenza? Questa dipende da cause recenti o lontane? Da un’unica o più cause? Sono rintracciabili delle cause precedenti alle esperienze presenti?
Sì, e, non solo.
Vi sono, all’origine della sofferenza che proviamo ora, anche delle cause concomitanti che non sono state prodotte né oggi né ieri, e nemmeno una settimana fa, e neppure un mese fa, ma 10, 20, 30, 50, 100 anni fa e più lontano ancora.
Se così non fosse, ci troveremmo nella situazione di poter dire che qualunque fenomeno potrebbe accadere senza una causa.
Si tratta di cause immutabili, incapaci di cambiare o di essere cambiate?
Insomma, un certo tipo d’azione negativa dovrebbe ineluttabilmente portare a dover scontare un effetto sfavorevole di pari entità, senza possibilità alcuna di cambiamento?
Se le cause fossero permanenti, immutabili, allora anche gli effetti sarebbero inalterabili. Insomma, genererebbero degli effetti della stessa natura.
Ma, dal momento che le cause sono mutevoli, pure gli effetti sono transitori, effimeri.
Perciò, ogni fenomeno impermanente dovrebbe avere alla sua origine una causa capibile e comprensibile.
Tuttavia, se andiamo a ritroso nel tempo, non riusciamo a trovare un momento d’inizio agli eventi che sperimentiamo. Ci dovrebbe forse essere una causa prima? Questo presupposto non può essere accettato, perché ogni cosa che è provvisoria e momentanea, scaturisce necessariamente da cause precedenti, della stessa natura del risultato. Ma, ogni causa precedente, proprio perché non può essere creata dal nulla, è dunque anch’essa effimera.
Cause specifiche determinano effetti specifici, questa è la legge del karma. Quindi, occorre lavorare sulle cause per sperimentare felicità.
Come raggiungere la felicità, il benessere interiore?
Con la motivazione, con l’attitudine appropriata. Cause virtuose producono effetti positivi, mentre motivazioni negative sono all’origine di risultati nefasti.
Per sperimentare delle esperienze piacevoli occorre crearne le cause specifiche. In altre parole, occorre impegnarsi a coltivare le condizioni adatte a far scaturire dalle cause positive altrettante emozioni positive. Per questo motivo è importante familiarizzarci, meditare su queste motivazioni, su questo percorso: si tratta d’un processo indispensabile per il conseguimento del benessere interiore.
Familiarizzarsi vuol dire impegnarsi in un progressivo miglioramento della mente attraverso il suo addestramento continuo, non vuol affatto significare l’assenza di ragionamento, nè, tantomeno, l’assenza d’attività mentale. Anzi, costituisce l’impegno al costante e progressivo allenamento mentale verso una particolare attitudine intellettiva indirizzata al raggiungimento d’uno stato più equanime, volto alla trasformazione della mente, verso un atteggiamento di maggiore maturazione, che porti al conseguimento di valori virtuosi. Non è una facoltà legata al corpo, né alla parola. Lo scopo di questo cammino meditativo è quello di liberarci dalla sofferenza. Per conseguire questo obiettivo tanto elevato, è fondamentale trasformare la mente.
In ogni caso, esiste un rapporto di causalità. Esiste la possibilità di risalire a cause anche molto remote rispetto a ciò che stiamo attualmente sperimentando. Esiste una comunanza di natura fra causa ed effetto.
Dunque, esistiamo senza inizio.
Il karma implica una motivazione che permette il crearsi dei frutti. E’ un concetto che ci porta a modificare il nostro modo di vedere le cose, che ha a che vedere con le qualità della mente. Perciò, la meditazione si volge principalmente alla trasformazione dello spirito, ed occorre che sia sorretta da una valida motivazione, per questo motivo è necessario rafforzare il nostro pensiero, la nostra mente.
COM’È POSSIBILE RAGGIUNGERE L’ILLUMINAZIONE?
Raggiungere l’illuminazione per beneficiare tutti gli esseri: questo è lo scopo del Mahayana o grande veicolo.
Le persone coscienziose che desiderassero realizzare molto in fretta l’onniscienza dovrebbero realizzarne le cause e le sue condizioni. Quindi, alla base del Mahayana, troviamo sia una specifica motivazione sia un obiettivo da realizzare. È chiaro, da un lato, la volontà di conseguire la propria pace individuale e, dall’altro, il desiderio che tutti gli esseri senzienti siano felici.
Per liberarsi è necessario comprendere i tre tipi di sofferenza:
1. la sofferenza della sofferenza (pensiamo ad un comune malessere, anche ad un semplice mal di testa);
2. la sofferenza del cambiamento (caratterizzata dal comune piacere contaminato che si trasforma poi in sofferenza);
3. la sofferenza strutturale od omnipervasiva.
La comprensione della sofferenza di primo tipo (la sofferenza della sofferenza), oltre a portarci a voler eliminare questa forma più ovvia di patimento, ci stimola a liberarci anche del secondo tipo di sofferenza: quella del cambiamento.
Poi, quando si accede al livello della liberazione dalla sofferenza strutturale, si intravedono le forme di sofferenza susseguenti, e si decide di volerle eliminare. A quel punto siamo entrati nel cammino degli uditori solitari.
Prima di poter eliminare le tre forme di sofferenza bisogna rendersi conto della propria ignoranza, in altre parole dobbiamo comprendere il modo in cui la nostra ignoranza concepisce i fenomeni.
Bisogna svelare il senso del non sé, dell’inesistenza dell’identità a sé stante dell’io e dei fenomeni. Questo percorso, oltre a stimolarci nel desiderio della liberazione personale, ci permette di disinnescare le tre forme di sofferenza.
In ogni caso, in via prioritaria, è oltremodo opportuno maturare il desiderio di liberare tutti gli esseri dalla sofferenza.
Quando vogliamo liberare noi stessi, dobbiamo comunque applicarci in uno sforzo ulteriore affinché anche gli altri possano essere liberi dalla sofferenza. Il che implica generare la motivazione di Bodhicitta: questo è il veicolo dei Bodhisattva o Bodhisattvayana. Comprendiamo così che scaturiscono delle diversità in termini di motivazione. Alcuni sono interessati al proprio beneficio personale, alla liberazione individuale. Si tratta di coloro che si sono indirizzati, per l’appunto, verso gli insegnamenti volti alla liberazione personale. Altri hanno abbracciato il veicolo del Bodhisattva in quanto più inclini all’altruismo. Altri ancora si sono rivolti all’applicazione delle forme più sottili della pratica, il tantra, proprio perché maggiormente inclini verso questa strada.
Allora, perché vi sono diversi veicoli?
Perché gli esseri esprimono differenti volontà, predisposizioni ed interessi. Quindi, si tratta di diversità in termini di motivazione: alcuni sono inclini al proprio beneficio personale, altri a comprendere le sfaccettature più sottili del significato della vacuità. Di conseguenza scorgiamo differenti tipi d’interessi in base alle diverse predisposizioni.
LA POSITIVITA’ DELLE ALTRE RELIGIONI
Chi è attratto dalla concezione d’un Dio creatore, e si riconosce in questo tipo d’insegnamenti, non potrà che ricavarne dei benefici. Infatti, per questo tipo di persone quella concezione risulta loro di beneficio, il che lo ritengo consigliabile. Perciò, raccomando a tutte queste persone di ricevere questo tipo d’insegnamento. Perché è di tanto beneficio per alcuni il credere in un Dio creatore? Perché chi professa questa fede si sente stimolato a beneficiare gli altri esseri, in quanto è convinto che tutti derivino dal medesimo creatore. Quindi, ha maturato la decisione di voler beneficiare con le sue azioni tutti i figli di Dio, i figli del medesimo creatore.
Vi sono diverse fedi religiose, diverse discipline religiose nel mondo, che in nessun caso vanno disprezzate, anche se non si tratta di quella in cui si ha fede. Quindi, è indispensabile maturare un sincero rispetto per tutte le altri fedi.
La fede e la fiducia verso una religione corrispondono ad una categoria ben distinta dal suo mero rispetto.
Anche se non nutriamo fede per una certa religione, è comunque importante che ci dimostriamo rispettosi, perché, se non la riteniamo di beneficio per noi, indubbiamente quella credenza lo sarà per altri. Proprio in quanto arreca dei benefici, dobbiamo rispettare la religione degli altri.
Vaibashika, Cittamatra, Sautantrika e Madhyamika: si tratta di quattro differenti scuole filosofiche, tutte buddiste, tutte presentate dal Buddha stesso, che si addicono ad individui diversi, in base alle loro predisposizioni.
LE CONDIZIONI PER ADDESTRARE LA MENTE
La via ultima è la via di mezzo, ma il Buddha non ha mai detto che questa è la via superiore. Per qualcuno aderire all’idea di un Dio creatore può rivelarsi molto utile nell’infondergli una sua autodisciplina, coraggio, comprensione e compassione.
Non è possibile che l’onniscienza sia realizzata senza cause.
Se non dovesse dipendere da cause, dovrebbe esistere da sempre, eternamente, oppure non esistere mai. Se l’onniscienza non dovesse dipendere da alcunché, non avrebbe alcun vincolo. Quindi, i fenomeni occasionalmente esistenti dovrebbero esistere da sempre. Tutte e quattro le scuole di pensiero buddista concordano nell’accettare alla base della realtà il rapporto d’interdipendenza, che si applica a diversi livelli, in rapporto a cause e condizioni.
Nel suo primo insegnamento il Buddha ha chiarito che i fenomeni derivano da cause e condizioni: gli effetti piacevoli o sgradevoli rappresentano esperienze o risultati diversi scaturiti dalle loro cause, e chi vuole ottenere l’onniscienza, o buddhità, deve realizzare tutte le cause e condizioni specifiche concomitanti che permettono d’ottenere, appunto, l’illuminazione.
Solo specifiche cause e condizioni possono portare all’onniscienza, altrimenti questa sarebbe esistita da sempre o non lo sarebbe mai stata. E’ quindi possibile ottenere l’onniscienza, ma la buddhità non è conseguibile senza aver posto le cause e le condizioni adeguate. Coloro che desiderano ottenere velocemente l’onniscienza non possono farlo senza averne realizzato pienamente le cause.
Cos’è l’onniscienza?
E’ la conoscenza e la comprensione di ciascun fenomeno in ciascun istante.
Come è possibile farlo?
Ripensiamo alle Quattro Nobile Verità: quali sono le cause della sofferenza? Sono le afflizioni o klesha e le dinamiche carmiche.
Se riuscissimo a superare le afflizioni, allora non potrebbero attivarsi le dinamiche carmiche.
Cosa sono le afflizioni mentali?
Sono tutte quelle insoddisfazioni, frustrazioni o sofferenze che hanno a che vedere con un’interpretazione sbagliata, una distorsione della realtà.
La mente presenta un modo errato di percepire la realtà. Finché è offuscata dall’ignoranza è priva del vigore necessario per comprendere la realtà, per realizzare l’onniscienza.
Soltanto quando è in grado di recepire correttamente la realtà, tramite la visione profonda della saggezza, è in grado di contrastare direttamente la percezione erronea basata sull’ignoranza. Ad esempio, quando si prova avversione, non c’è possibilità del simultaneo coesistere d’amore e compassione. Non può esistere un sentimento d’amore genuino nei confronti di’altri. Dobbiamo renderci conto che, quando ragioniamo in questo modo, siamo effettivamente in preda ad un modo distorto di pensare, cui va invece contrapposto un metodo valido di percepire. Dobbiamo perciò essere consapevoli delle nostre afflizioni mentali, che per abitudine possono albergare in noi, e non sono affatto basate su una logica.
Quindi, la saggezza si basa su ragionamenti validi, incontrovertibili, corretti, il che incrementa il potere degli stati mentali positivi che contrastano le emozioni affliggenti, come l’irascibilità, l’odio. Di conseguenza, con l’applicazione della logica, le pulsioni negative vengono contrastate da quelle positive. Ad esempio, l’irascibilità e la collera sono superabili coltivando la pazienza e la tolleranza. Di questo ce ne possiamo render conto sperimentandolo nei momenti della nostra vita quotidiana.
Ad esempio: come risolvere gli inconvenienti derivanti dall’eccessivo caldo o freddo? Se fa troppo caldo si va spontaneamente a cercare qualcosa che rinfreschi, che controbilanci l’arsura.
Nello stesso modo si cerca di riequilibrare i processi della mente.
Come? Favorendo il sorgere di stati d’animo positivi.
LA NATURA DELLA MENTE
La nostra trasformazione interiore dipende da quanto riusciamo a modellare, a modificare la nostra mente per renderla sempre più positiva. Alla radice delle afflizioni mentali, dei klesha, c’è un errore, una comprensione deformata della realtà. E gli antidoti permettono di rettificare questa percezione distorta dei fenomeni, consentendo di contrastare la malevolenza con la benevolenza.
Occorre abituarsi alla visione realistica dei fatti: in questo modo giungeremo progressivamente a trasformare la nostra mente.
Occorre applicare costantemente l’addestramento mentale per smantellare le afflizioni, i klesha, le concezioni ingannevoli, mettendone in pratica gli antidoti.
Pensiamo all’incompatibilità tra fenomeni (come ad esempio tra il caldo ed il freddo), utilizziamola pensando d’impugnare delle leve antagoniste che ci permettono di trasformare il nostro stato mentale nello stesso modo in cui combattiamo il caldo col freddo ed accendiamo la luce per squarciare il buio della notte. Così, man mano che aumenta la luce diminuisce l’oscurità.
Nell’Uttara Tantra si afferma che, percependo la natura di chiara luce, la verità convenzionale diventa illusoria. Perché la natura vera della mente è di chiara luce, di luminosità, è limpida, e rappresenta la conoscenza.
Pensando alla mente caratterizzata della capacità di percepire chiaramente la realtà effettiva delle cose, che assume le qualità di chiarezza e di luminosità, non facciamo altro che riferirci al suo vero aspetto, all’aspetto congenito della mente.
Ci sono momenti in cui la mente è quieta e tranquilla. Non si può essere sempre arrabbiati 24 ore su 24, ma si può essere in preda all’attaccamento e non alla rabbia.
Perciò, anche gli stadi mentali sono avventizi e passeggeri, perché l’innata natura della mente è di limpida luminosità, un qualcosa di neutrale, mentre le afflizioni sono passeggere, transitorie.
Esse sono sì presenti, ma neutralizzabili, superabili, coltivando certe qualità mentali particolari.
Perfezionando certi stati mentali, grazie a determinati stati mentali virtuosi, possiamo ottenere l’onniscienza e comprendere simultaneamente tutti i fenomeni, realizzando appunto l’onniscienza.
Anche se la nostra mente ora ci sembra rudimentale, per la sua stessa capacità è onnisciente. Se perfezioniamo questo stato imperfetto, possiamo avanzare da uno stato grossolano (da stadi mentali che dipendono da facoltà sensoriali in mutamento, caratterizzanti situazioni temporanee), ad uno più sottile, e possiamo avvicinarci sempre di più all’onniscienza. Non dimentichiamoci mai che gli stati della nostra mente sono passeggeri e transitori.
La coscienza mentale è suddivisibile in diversi livelli sottili. Anche le nostre facoltà mentali possono passare per stadi diversi di conoscenza, tutti caratterizzati dal fatto d’essere avventizi. Se potessimo attivare i livelli più sottili di conoscenza, allora potremmo raggiungere e manifestare degli stadi più durevoli della mente, allontanandoci nel passato e nel futuro.
Lo stato più raffinato della mente è molto più sottile della normale percezione. Perciò, la nostra mente è migliorabile all’infinito in base alla familiarizzazione a coltivarne le qualità positive. La possibilità di ottenere lo stadio sublime dell’illuminazione risiede proprio in questa natura. Come? Riconoscendo la sua forma base di luminosità e le sue caratteristiche di chiarezza, limpidezza e di cognizione. La mente è chiara, pura e cognitiva: solo questa comprensione ci permette di giungere all’illuminazione più sublime.
Vi sono due tipi fondamentali d’ostruzioni: le oscurazioni o afflizioni mentali e gli impedimenti alla conoscenza, all’onniscienza. Abbiamo un modo distorto di percepire i due livelli di realtà, come se fossero distaccati tra di loro. Questo è un impedimento all’onniscienza, alla capacità di concepire simultaneamente in modo non duale i due livelli di realtà convenzionale ed ultima.
Comprendendo la mancanza d’esistenza intrinseca, o la sua vacuità, si percepiscono in modo unitario questi due livelli della realtà. Proprio in base a tale presupposto abbiamo la capacità d’ottenere l’illuminazione.
Se potessimo effettivamente comprendere lo stato d’onniscienza, proveremmo davvero degli intensi brividi nell’avvertire d’aver raggiunto la capacità di trasferirci dallo stato ordinario alle qualità sublimi dell’onniscienza.
Come si osservano aspetti grossolani del corpo, così si rinvengono livelli grossolani della coscienza, tuttavia esistono dei livelli sottili di questa ultima che perdurano. Ho personalmente incontrato innumerevoli persone che mantenevano dei precisi ricordi delle vite precedenti.
È importante conoscere la natura effimera delle nostre afflizioni mentali. Il livello più sottile della nostra coscienza è quello che percepisce simultaneamente le due verità (la verità convenzionale e quella ultima), mentre quello più grossolano è quello in preda alle afflizioni mentali.
La coscienza pura è solo un veicolo offuscato delle eventuali imperfezioni che manifestiamo e che avvertiamo, ma da queste non ne resta impregnata.
Si parla nel Bodhisattvacharyavatara di una compassione immensa che fa sgorgare le lacrime dagli occhi e dal cuore, una conoscenza enorme che in termini ultimi è chiamata risveglio, conoscenza perfetta.
Una volta ottenuta una tale realizzazione, la coscienza pura non resta contaminata dalle sensazioni. Come per lavare un tessuto dalle macchie che lo deturpano possiamo impiegare diversi metodi (dall’immersione nell’acqua, all’utilizzo di detersivi, solventi, calore, azione meccanica strofinante, ecc), col risultato di riuscire a pulire le macchie più resistenti man mano che procediamo ad impiegare metodi detergenti più potenti, così, quanto più decidiamo di eliminare le afflizioni più sottili, tanto più dobbiamo adottare una potenza opponente maggiormente efficace, rispettandone la corretta sequenza nella procedura applicativa.
Fra queste cause e condizioni dovremmo coltivare cause corrette e complete.
Applicare cause sbagliate sarebbe come mungere il latte dal corno di una mucca. Tutte le cause e condizioni devono essere applicate correttamente, altrimenti non otterremo nulla, neanche nella preparazione del cibo, per esempio. Man mano che ci s’inoltra verso afflizioni più sottili, vanno applicati gli antidoti più potenti, adeguati ed in sequenza corretta per ottenere gli obbiettivi ambiti. Non produrremo alcuna messe di raccolti se non avremo seminato il chicco adatto nel momento confacente e nel terreno opportuno, col giusto apporto d’acqua, d’irraggiamento solare, impiegando il concime appropriato e coltivandolo poi nel modo favorevole. Anche per preparare una pietanza occorre applicare gli ingredienti in sequenza per ottenere il piatto desiderato. Inoltrandoci nel sentiero, quello dell’eliminazione dalle oscurazioni, per intenderci, a partire dai livelli più grossolani verso quelli più sottili, occorre applicare metodi sempre più potenti per ottenere i risultati agognati.
Quali sono le cause e le condizioni per raggiungere il frutto finale dell’onniscienza?
Non basta, tuttavia, la fede per ottenere l’illuminazione. Occorre applicare la propria intelligenza, la saggezza.
Ad esempio, i fenomeni manifesti, quelli leggermente nascosti e quelli molto nascosti sono percepibili solo attraverso differenti tipi di applicazione logica. Mentre i fenomeni manifesti, come il fuoco, sono chiaramente evidenti, quelli leggermente nascosti non sono percepibili direttamente, ma solo utilizzando un certo ragionamento coerente. Inoltre, i fenomeni molto nascosti non sono percepibili né con validi ragionamenti non contraddittori, né con la percezione diretta, ma solo grazie alla osservazione altrui, in altre parole dobbiamo riferirci ad autorevoli indagini di altri. Come la data del compleanno: data che consideriamo importante ma di cui non ci ricordiamo. Non possiamo avere la percezione diretta del nostro compleanno. Come facciamo a sapere d’essere nati in un certo giorno? Dobbiamo affidarci ad una persona, dar credito ad un qualcuno, il più delle volte a nostra madre, cui diamo fiducia, confidando che quello è il giorno del nostro compleanno.
Molti sono i fenomeni che in passato erano al di là della percezione degli esseri umani. Pensiamo, ad esempio, alle conoscenze in campo astronomico. Ora, grazie ai telescopi, possiamo vedere galassie molto distanti dalla nostra, ed anticamente sconosciute.
Esistono molti fenomeni che vanno al di là della comprensione degli esseri ordinari.
Esiste tuttavia, una qualche possibilità di conoscerli? Si, se ci affidiamo a menti onniscienti, come il Buddha, perché non sono fenomeni esplorabili da una mente ordinaria, come la legge del karma. Tutte le tradizioni Buddiste parlano anche di fenomeni inesprimibili, comprensibili solo da esseri che hanno trasceso il mondano, quindi dobbiamo affidarci alle parole del Buddha per venirne a conoscenza. Il Buddha non è in alcun modo ingannevole. Nel Pramanavartika l’obiettivo ultimo indicato è appunto l’illuminazione. Ed il Buddha è reale e per nulla insensato nei suoi temi.
Troviamo tre diversi tipi d’insegnamenti del Buddha. Quelli palesi o normali, quelli parzialmente e quelli totalmente nascosti.
I primi esprimono temi immediatamente percepibili. I secondi indicano realtà leggermente nascoste ma deducibili dal ragionamento, mentre da ultimi sono i fenomeni totalmente o completamente nascosti alla percezione della mente ordinaria.
Come mai il Buddha non è ingannevole, ad esempio, sul concetto di vacuità?
Vi sono dei ragionamenti nascosti per comprendere che il Buddha non sia ingannevole, ma totalmente affidabile. Nel suo insegnamento il Buddha ha parlato di fenomeni totalmente nascosti. Molte migliaia d’anni fa gli esseri umani potevano vivere migliaia e migliaia d’anni.
Moltissime generazioni fa la lunghezza della vita degli esseri era incredibilmente lunga.
E nei sutra si ritrovano asserzioni nella cosmologia in cui viene descritta le durate della vita nei diversi stadi. Tuttavia, dobbiamo essere cauti su alcuni insegnamenti, ad esempio sulla cosmologia. Il saggio Vashubandu, se dovesse riapparire nella nostra epoca, dovrebbe riscrivere il terzo capitolo, sulla cosmologia, dell’Abhidharmakosha. Mentre Nagarjuna non dovrebbe aggiungere altro.
Non dobbiamo aderire alle parole del Buddha semplicemente per rispetto alla sua figura, ma utilizzando l’analisi.
I fenomeni completamente nascosti sono rilevabili solo in base alla comprensione scevra da qualsiasi contraddizione, di persone non ingannevoli quali il Buddha. Proprio per questo motivo occorre affidarsi all’autorevolezza delle parole del Buddha, proprio come mi devo rifare a qualcun’altro per sapere la data della mia nascita. Ai tempi del Buddha il mondo convenzionale, in base alle osservazioni astronomiche di quel tempo, era ovviamente spiegato in modi diversi da quello attuale. Quegli insegnamenti non sono coerenti con le scoperte odierne. Ad esempio, la luna veniva ritenuta della stessa grandezza del sole: non si rendevano conto della distanza diversa. Non accettate quello che è enunciato dal Buddha semplicemente per rispetto alla sua figura, ma cercate d’indagare. Vi sono certi fenomeni inaccessibili alla conoscenza ordinaria, per tale motivo bisogna affidarsi alle testimonianze.
L’amore dovrebbe essere incontaminato da afflizioni, anche se un certo tipo d’afflizioni sono normalmente presenti in natura.
Se vedete una persona a voi cara soffrire, anche voi ne soffrite molto. Viceversa, se v’imbattete in un nemico afflitto, gioite. Questo non è vero amore. Si tratta, infatti, d’un amore contaminato dalle afflizioni.
E’ necessario raggiungere un livello d’amore universale, senza parzialità.
L’amore non deve essere rivolto soltanto verso chi sentiamo vicino, ma anche verso chi riteniamo avversario o nemico, mai rallegrandoci della sua sofferenza. Altrimenti il nostro amore sarebbe limitato. Tutti sentono l’esigenza della felicità, dunque, la comprensione deve essere omnicomprensiva. L’amore deve essere universale, verso tutti gli esseri indiscriminatamente.
Si potrebbe desiderare che gli esseri siano liberi dalla sofferenza, ma non è sufficiente.
E’ necessario raggiungere un avanzato livello di comprensione e di compassione, assumendosi la responsabilità che tutti gli esseri stiano bene, che siano pacificati, che la loro sofferenza sia placata. Il che ci conduce veramente alla liberazione. Questa è la mente altruistica che desidera l’illuminazione per poter beneficiare tutti gli esseri senzienti. Se riusciremo a sviluppare davvero la vera compassione per tutti gli esseri otterremo un ritorno positivo anche sulla nostra salute fisica, perché rafforzerà la nostra energia fisica.
E’ la forza interiore a trasmetterci compassione ed amore, mentre l’egoismo, l’egocentrismo ci comunicano debolezza, facendo sì che dentro di noi emergano tutta una serie di stati negativi d’avversione ed odio, che scatenano di conseguenza una catena del tormenti indotti dalle avversioni.
Viceversa, se riusciremo a controllare la nostra ira e gelosia, ed è cruciale in proposito meditare sulla compassione, non saremmo troppo tormentati dalle avversità, dalle condizioni all’origine di tante nostre sofferenze.
Quando si realizza la compassione, si supera l’egoismo, e si finisce per sviluppare un’autentica forza interiore che ci farà dire:
“Per tutto il tempo che sarà necessario continuerò ad essere compassionevole e non mi scoraggerò”.
Per familiarizzare la nostra mente all’abitudine compassionevole di bodhicitta dobbiamo coltivare:
– la compassione,
– la bodhicitta,
– i mezzi abili.
Senza aver generato la vera compassione, non ha senso nemmeno il perseguire i propri scopi personali di liberazione e d’illuminazione. L’accumulazione di meriti e saggezza ci porta a sviluppare la compassione.
La compassione va attivata sin dall’inizio, e porta all’onniscienza. La Bodhicitta, il desiderio di ottenere l’illuminazione per la liberazione di tutti gli esseri senzienti, porta all’onniscienza.
E’ un ingrediente fondamentale per l’onniscienza.
Colophon
Questa prima bozza d’appunti, a cura d’Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti che Sua Santità il XIV Dalai Lama conferì dal 5 al 12 agosto 2005 a Zurigo, Svizzera, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole di Sua Santità il Dalai Lama, tradotte dal tibetano in inglese da Ghesce Dorje ed in italiano da Anna Maria De Pretis, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.