S. S. Dalai Lama: È dall’interno che ti assomiglio

Sua Santità il Dalai Lama: "La fede, o il credo hanno nel buddhismo un posto limitato. Il Budda ci rimanda alla nostra verifica personale, e il suo insegnamento ci invita sempre a "venire a vedere". Lungi dal bendarci gli occhi ordinandoci di credere, si sforza al contrario di eliminare in noi ogni punto oscuro, di aguzzare, di allungare il nostro sguardo."

Sua Santità il Dalai Lama: "La fede, o il credo hanno nel buddhismo un posto limitato. Il Budda ci rimanda alla nostra verifica personale, e il suo insegnamento ci invita sempre a "venire a vedere". Lungi dal bendarci gli occhi ordinandoci di credere, si sforza al contrario di eliminare in noi ogni punto oscuro, di aguzzare, di allungare il nostro sguardo."

Sua Santità il Dalai Lama: “Non sono sicuro di essere del suo parere”.

Jean-Claude Carriere: “In che senso?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Abbiamo evidentemente l’impressione che ogni tecnica venga dall’Occidente, e dai paesi collegati all’Occidente, come il Giappone. Ma questa civilizzazione meccanicistica è intimamente legata all’Occidente? Non credo.”

Jean-Claude Carriere: “Gli indiani dell’Amazzonia vogliono una cinepresa: hanno ragione! Questa si addice loro così come a un francese, a un tedesco! Per il fatto di non essere stata inventata e fabbricata da loro, la cinepresa non è loro estranea! Non portano abiti: questo non significa che manchino loro abiti! È così, e basta”.

Ritrovo l’aspetto concreto, fattivo del buddhismo di tutti i tempi. Vorrei sottolineare che alcuni indiani imitano anche i nostri abiti. Ci chiedono una camicia e la indossano senza mai toglierla. Se piove, continuano a portarla bagnata, non senza rischio di raffreddore o di polmonite. Ma non ne ho il tempo.

Sua Santità il Dalai Lama: “Certo, dobbiamo rispettare le tradizioni locali, e non imporre nulla con la forza. Ma l’indigenza che ovunque incontriamo ci sollecita certi gesti. Dobbiamo dare cibo, medicinali, anche tecnologia. Impossibile fare altrimenti. In se stessa, la tecnica non ha nulla di negativo. Nata in Occidente, ha ricoperto rapidamente tutta la terra. L’Est vi si adatta con facilità. Su alcuni punti, ad esempio in quel che concerne i costi di produzione, è anche più efficiente. Francamente, non credo che la meccanica possa identificarsi con l’Occidente. Essa è il nostro bene comune. Chi lo sa? Potrebbe anche avvicinarci e unirci”.

Jean-Claude Carriere: “Sarebbe pericoloso dividere l’umanità in due unicamente da un punto di vista tecnico?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Evidentemente. D’altra parte ogni separazione umana è pericolosa. Il criterio tecnico non è migliore di un altro. Quello che un uomo inventa è positivo per tutti gli uomini.”

Jean-Claude Carriere: “Resta l’atteggiamento mentale. Il senso di superiorità.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Questo senso esiste, è vero. Nessuno può negarlo. Questo atteggiamento mentale, come ha detto lei, è anche, senza dubbio, occultamente legato al giudeo-cristianesimo, al pieno potere sulla natura dato all’uomo dall’uomo stesso, servendosi di Dio come tramite. In questa impresa di dominio, che funzionava a meraviglia fino ai recenti pericoli di contaminazione, la tecnica è l’arma senza pari.”

Jean-Claude Carriere: “Per dominare la natura, per dominare anche gli altri uomini.”

Sua Santità il Dalai Lama: “È evidente. E la tecnica è senza pari semplicemente perché ottiene dei risultati. Risultati immediati. Non è come la preghiera!”

Sua Santità il Dalai Lama ride, poi aggiunge: “Se la preghiera dà dei risultati, sono per lo più invisibili! Può ben aspettare!”.

Sua Santità il Dalai Lama toglie per un momento gli occhiali. Il suo viso, bello, dominato da una fronte molto alta, sembra a un tratto più asiatico, come quello che si potrebbe attribuire a un maestro zen. Resta così per un attimo, tenendo gli occhiali in mano. Continua, smettendo di ridere all’improvviso così come ha iniziato.

Sua Santità il Dalai Lama: “La gente è attratta dai risultati immediati. Cosa c’è di più normale? Perché privarla di questi? Anche sinceri praticanti del buddhismo hanno cineprese e orologi. Anch’io ne ho uno. Guardi”.

Jean-Claude Carriere: “So anche che amava ripararli in gioventù.”

Sua Santità il Dalai Lama sorride a questo ricordo. Nel suo libro di memorie ha raccontato come la scoperta di un carillon rotto, regalo dello zar al suo predecessore, avesse destato in lui, dall’infanzia, una viva passione per il bricolage. Più tardi cominciò a smontare gli orologi. Alcuni capi di Stato, come Roosevelt, gliene mandavano da riparare. Non sempre vi riusciva.

Sua Santità il Dalai Lama: “D’altra parte, se un individuo possiede una base spirituale sufficiente, non si lascerà sopraffare dalla tentazione tecnologica e dalla smania del possesso. Saprà trovare il giusto equilibrio, senza troppo chiedere, e dire: ho una cinepresa, mi basta, non ne voglio altre. Il pericolo costante è di aprire la porta all’avidità, uno dei nostri nemici più accaniti. Ed è qui che si compie il vero lavoro dello spirito.”

Jean-Claude Carriere: “Questa base spirituale di cui parla non è la cosa meglio distribuita al mondo.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Per niente. Ma noi operiamo per una migliore spartizione. Ci impegniamo tutti i giorni, anche in questo momento. Perché coloro cui manca questo equilibrio, nato da una riflessione, da un lavoro sereno dello spirito, sono gli schiavi designati della tecnica e dell’avidità.”

Jean-Claude Carriere: “Essi giungono anche a credere che il vero lavoro dello spirito consista nel produrre questi oggetti meccanici. Vi vedono il trionfo del pensiero, la nostra opera più bella. Si distribuiscono fra loro diplomi e medaglie nei concorsi, incassano i loro profitti, sono soddisfatti.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Lo ripeto: la tecnica non ha nulla di negativo in sé. Non è peccato, come dite voi (il concetto di peccato è estraneo al buddhismo). Non lo è nemmeno il progresso, nel senso di progresso materiale e di progresso delle conoscenze. Ma lo spirito umano, così come ci appare, è capace di adattarsi a questa tecnica, di accontentarsi, di non lasciarsi inebriare?”

Jean-Claude Carriere: “Ogni tecnica è affascinante. Un giorno o l’altro giungerà a proclamare, per bocca di coloro che la dominano, che essa basta a se stessa, che può fare a meno del pensiero.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Ragione di più per insistere. Un equilibrio è indispensabile. Ma questo equilibrio non bisogna cercarlo abbassando forzatamente il livello della realizzazione tecnica. Bisogna cercarlo elevando il livello dello spirito.”

Jean-Claude Carriere: Ci avviciniamo sempre di più all’ambito nel quale il buddhismo, sin dall’origine, concentra l’essenza del suo sforzo, della sua ricerca: il territorio delle operazioni dello spirito. Inevitabilmente, tutto ci conduce qui. Ma non voglio affrettare il passo. Sento che il mio interlocutore indugia, sviluppa il suo pensiero. Anche se si è già espresso su questo punto, mi piace che egli si ripeta, cerchi formulazioni nuove – che ci riconducono alle porte dell’utopia, di questo sogno di educazione planetaria che sembra impossibile e senza il quale, tuttavia, tutto sembra impossibile.

Sua Santità il Dalai Lama: “La tecnica, opera umana inevitabile, non e’ mai da biasimare. Essa si presta però a impieghi nefasti, e sovente. Ma in questo caso soltanto chi la usa è colpevole. Non si condanna il fiammifero al posto dell’incendiario. Una cosa mi colpisce. I paesi tecnicamente molto evoluti, come il suo, devono spesso affrontare altre mancanze, una sorta di vuoto di cui mi si parla spesso. Un vuoto dello spirito, della vita spirituale.”

Jean-Claude Carriere: “Questa espressione mi sembra ambigua. Nessuno può dire che l’Occidente non faccia lavorare i propri cervelli. Giungiamo a comprarceli, a rubarceli, da un paese all’altro.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Non è di questo che parlo. I cervelli occidentali lavorano, lavorano anche molto, ma sempre nel senso dell’efficienza. Lo spirito si mette così al servizio del risultato. Come ogni servitore, rinuncia alla propria indipendenza. Parlo di un’altra forma di vita spirituale, più distaccata e più profonda, libera dal-l’ossessione del fine da raggiungere. In un certo modo, l’invasione universale della tecnologia, ovunque essa passi, sminuisce questa vita dello spirito.”

Jean-Claude Carriere: “Bisognerebbe dunque ripristinarla?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Sì. Ed è urgente. Anche da un semplice punto di vista egoistico: abbiamo più bisogno di un aumento di spiritualità che di un aumento di tecnica. La brama del concreto è nella natura umana. Ed è normale. Vogliamo vedere, toccare, ottenere. Sotto questo aspetto, il XX secolo, per ciò che ha realizzato, ha probabilmente superato i nostri sogni più antichi. Gli uomini hanno creato oggetti che li hanno sorpresi. Ogni campo del desiderio è stato esplorato e sovente soddisfatto.”

Jean-Claude Carriere: “Perlomeno in teoria. Bisogna ancora che questi oggetti possano essere acquistati.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Naturalmente. E si deve aggiungere che nulla è mai stabilito per sempre, che nulla è immobile. Il buddhismo è prezioso per questo punto. Ci aiuta a prepararci al crollo degli imperi, dei preconcetti. Al rivolgimento, anche, dei nostri desideri.”

Jean-Claude Carriere: “Alla fine degli anni Sessanta abbiamo creduto che l’amore fisico si fosse, come per miracolo, sbarazzato delle antiche remore. La medicina permetteva di lottare contro le malattie veneree e, nel contempo, di eliminare, per le donne, il rischio di una gravidanza. Poi è arrivato l’AIDS, uscito non si sa da dove. La morte legata al sesso è ricomparsa, più terrificante che mai.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Esiste una ebbrezza di questo potere che ci diamo sulle cose. Questa ebbrezza ci porta a non poter più controllare i nostri desideri. Vogliamo di più , e ancora di più . Invece di smorzare il fuoco, lo ravviviamo. Invece di cercare il disarmo interiore, il solo che importi, noi perfezioniamo, moltiplichiamo i nostri strumenti di conquista. Dimentichiamo addirittura di verificare se il compimento del nostro desiderio è proprio quello che abbiamo auspicato.”

Jean-Claude Carriere: “Si, questo concetto di verifica è importante, e generalmente poco considerato. Ci accontentiamo spesso di qualunque cosa. È sufficiente che l’immagine dell’oggetto sperato corrisponda ai nostri desideri. Ne dimentichiamo la vera qualità.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Dimentichiamo anche che il desiderio del prossimo non è necessariamente il nostro.”

Jean-Claude Carriere: “Sì, il nostro mondo, in apparenza, è sempre più uniforme, e tuttavia è difficile, più difficile che mai, forse, trovarvi qualcosa di universale…”

Sua Santità il Dalai Lama: “Come il buddhismo!”

E ride. Parliamo per un momento dell’Africa, continente che ad alcuni sembra oggi quasi perduto, alla deriva. Oltre a una dipendenza economica cui è legata la sua sopravvivenza, l’Africa è minacciata nella sua stessa cultura. Ricordo brevemente le difficoltà che un cineasta africano, ad esempio, deve superare per fare un film. Un difficile percorso iniziatico, che giunge raramente a buon fine. Questo continente dove, in ogni tempo, il posto della parola e della storia, per bocca dello stregone, è stato preponderante, indispensabile, fa una grande fatica a raccontarsi oggi le proprie storie con i mezzi contemporanei, cioè la radio, la televisione, il libro. Gli abitanti dei paesi africani, almeno quelli che possono guardare la televisione, non vi vedono che serials americani, storie inventate in altri paesi e che non parlano mai loro di loro stessi. Una delle forme di esclusione moderna: l’assenza di specchio. Esclusione tanto più pericolosa in quanto l’immagine che ricevono dagli Stati Uniti è doppiamente ingannevole. Il mondo non si riduce alla California, lo sanno tutti, ma la stessa California, regione complessa, piena di contrasti e mutevole (il numero degli homeless, dei senza fissa dimora, è più rilevante a Los Angeles che a Dakar), non può in alcun modo ridursi ai perpetui conflitti sentimentali che oppongono due bionde sul bordo di una piscina, o alle avventure sempre vittoriose di un paio di poliziotti seduttori e disinibiti.

L’Africa si trova nell’incapacità – senza dubbio accuratamente salvaguardata dall’Occidente – di fabbricare i propri oggetti di oggi, cineprese, trattori, aerei, computer. Impotenza che si può temere duratura. Essa almeno può dare qualcosa in cambio? Una parte della propria saggezza, della propria fantasia, e anche della propria vita spirituale, più profonda di quanto noi pensiamo? Non sono sicuro, e il mio interlocutore non lo è più di me, che questo scambio sia ancora possibile. Riceviamo sempre di meno dall’Africa. Molte voci tacciono, non potendosi esprimere. Un intero continente sembra condannato a tacere e ad essere cancellato. Alla miseria fisica si aggiungono, altrettanto duri, l’isolamento e il bavaglio.

Jean-Claude Carriere: “Che cosa possiamo aspettarci dall’Asia?”

Vedo che la mia domanda non può avere una risposta precisa. È vaga. Potrei anche domandare: quali sono oggi i rapporti fra Asia ed Africa? Non esiste nessuno al mondo che possa rispondere a questa domanda.

Mentre il Dalai Lama mi guarda in silenzio, gli dico ancora.

Jean-Claude Carriere: “Siamo onesti: in Occidente, la religione cristiana non è che di superficie. Una sorta di obbligo o di convenienza sociale”

Sua Santità il Dalai Lama: “È una parte del problema. La religione non svolge più il proprio ruolo.”

Jean-Claude Carriere: “Supponendo che l’abbia mai svolto. Tutta la sua storia la mostra più preoccupata dei problemi mondani, e anche dell’esercizio del potere, che dell’ambito più intimamente spirituale.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Questo ambito chiamato spirituale si accontenta spesso della lettura e del commento della Scrittura, qualsiasi sia la tradizione, come se ogni verità dello spirito, enunciata duemila anni fa, potesse accontentarsi di essere costantemente ripetuta.”

Jean-Claude Carriere: “Mentre la natura stessa dello spirito, se comprendo quel che lei mi dice, sembra interrogarsi perpetuamente.”

Sua Santità il Dalai Lama: “In ogni caso, ha la possibilità di farlo.”

So bene che questa forza delle scritture antiche è ancora chiaramente presente nel buddhismo, ma l’uomo che mi ascolta mi ha già detto, a due riprese, che se una scoperta contemporanea contraddice le Scritture, bisogna subito modificarle.

Jean-Claude Carriere: “Vorrei spesso ricevere quel che non posso trovare da noi, nelle nostre religioni, tradizioni e testi. Se leggo san Tommaso o sant’Agostino, non mi parlano mai di me. Il presupposto divino condiziona e schiaccia ogni pagina. Ora, mi è impossibile aderire al nostro credo.”

Sua Santità il Dalai Lama: ” Credo?”

Non sembra conoscere questa parola. Lhakdor, il suo assistente, gli dà una spiegazione, con il mio aiuto.

Jean-Claude Carriere: “Non posso credere, nemmeno in forma allegorica, che Dio abbia creato il cielo e la terra, poi la luce, poi il giorno e la notte, gli astri eccetera…”.

Sorride ascoltandomi.

Jean-Claude Carriere: “Mi chiedo: che cosa sarebbe dunque il cielo senza gli astri? Cosa sarebbe la luce senza il giorno? Conosco i milioni di interrogativi che questi testi mitici, considerati a lungo – e da alcuni ancora oggi – come testi storici, hanno suscitato. Ma questo non mi interessa. Non vedo in questo laborioso decifrare nulla che mi sembri degno di quella che lei chiama la vita dello spirito. D’altra parte, le pongo la domanda: non è un grave errore, un “errore di fondo”, confondere vita spirituale e vita religiosa?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Sono separate. Non c’è alcun dubbio. Ho avuto sovente l’occasione di dirlo. Le nostre Scritture affermano che la luna si trova cento miglia sopra la terra, e che il centro della terra è il monte Meru. Se questo monte esistesse, avremmo dovuto trovarlo da tempo, o tutt’al più scoprire indizi della sua esistenza. Poiché non è così, dobbiamo allontanarci dal senso letterale delle Scritture.”

Jean-Claude Carriere: “E se alcuni rifiutano?”

Sua Santità il Dalai Lama: “È affare loro. Inutile perdere tempo a discutere con loro.”

Un anno fa, alla televisione francese, ho visto un servizio piuttosto inquietante su una scuola rabbinica, nel centro di Parigi. I professori insegnano agli allievi, conformemente alle Scritture ebraiche, che la terra è stata creata da Dio poco più di seimila anni fa, e che tutti i reperti paleontologici, che gli specialisti ricercano e studiano, sono stati posti dal Diavolo al solo fine di traviarci. Strano insegnamento per il XXI secolo. Che cosa ne penserebbe Margaret Mead? Poveri giovani, che dovranno passare una parte della vita a disimparare quel che avevano creduto di sapere.

Contrariamente alla quasi totalità delle religioni, soprattutto delle religioni monoteistiche, costruite su una fede che non sollecita il ragionamento, sovente chiamata “cieca”, il buddhismo si concentra sui fenomeni che possiamo vedere, toccare e comprendere. Il termine sanscrito sraddha, che traduciamo generalmente con fede, significa in primo luogo “fiducia nata dalla convinzione”.

Sua Santità il Dalai Lama: “La fede, o il credo, nel senso che lei dà a queste parole, hanno nel buddhismo un posto limitato. Il fondatore stesso ci ha rimandato senza ambiguità alla nostra verifica personale, e il suo insegnamento ci invita sempre a “venire a vedere”. Lungi dal bendarci gli occhi ordinandoci di credere, si sforza al contrario di eliminare in noi ogni punto oscuro, di aguzzare, di allungare il nostro sguardo. La fede non comincia che nel momento in cui la vista si arresta.”

Rispondendo un giorno a un giovane discepolo che lo interrogava sulle basi antiche della verità, trasmessa dai bramini di generazione in generazione, Sakyamuni lo portò ad ammettere che nessuno di questi bramini aveva, personalmente, visto e toccato la verità. Tutti si accontentavano di ripeterla come una lezione ben appresa. E il Buddha paragonava queste generazioni di bramini a una lunga fila di uomini ciechi: ognuno si appoggia a colui che precede, e nessuno vede.

Naturalmente, è necessaria qualche sfumatura a questo quadro. Si è costituita e perpetuata una tale “fiducia”, nei confronti delle parole del Risvegliato, che possiamo ben dire che la verità di questa parola sia l’autentico oggetto di una fede, almeno nella devozione popolare. D’altra parte il buddhismo ha analizzato e chiarito il concetto di fede, come fa per tutti i concetti. Ma al più alto livello, laddove la speculazione, il dubbio metodico e le contese oratorie più accanite sono usuali, il principio di autorità a poco a poco scompare. Nel corso delle nostre conversazioni, mai il Dalai Lama mi ha presentato una sola affermazione che potremmo definire dogmatica. Mai mi ha detto: è così perché è così, o perché l’ha detto il Buddha, o perché si trova in questo o quel testo. Mai, salvo forse su un punto, che riguarda la reincarnazione. Ci arriveremo.

È DALL’INTERNO CHE TI ASSOMIGLIO

Nel numero 3 della rivista “La Révolution surréaliste”, dell’aprile 1925, si trova questo articolo, redatto da più autori, dal titolo Petizione al Dalai Lama:

Siamo fedelissimi servitori, o Grande Lama, donaci, volgi verso di noi i tuoi lumi, in un linguaggio che i nostri contaminati spiriti europei possano comprendere e, se occorre, cambia il nostro Spirito, donaci uno Spirito pienamente volto verso queste cime perfette dove lo Spirito dell’Uomo non soffre più .

Donaci uno Spirito privo di abitudini, uno Spirito tutto congelato nello Spirito, o uno Spirito con le abitudini più pure, le tue, se esse vanno bene per la libertà.

Siamo circondati da papi rugosi, da letterati, da critici, da cani, il nostro Spirito è in mezzo a cani, il cui pensiero è direttamente legato alla terra, il cui pensiero è incorreggibilmente immerso nel presente.

Insegnaci, o Lama, la levitazione materiale dei corpi e come non essere più vincolati alla terra. Perché tu sai bene a quale liberazione trasparente delle anime, a quale libertà dello Spirito nello Spirito, o Papa gradito, o Papa in spirito di verità, noi alludiamo.

È con l’occhio interiore che ti guardo, o Papa, nel punto più elevato della mia interiorità. È dall’interno che ti assomiglio, io, impulso, idea, labbro, levitazione, sogno, grido, rinuncia all’idea, sospeso fra tutte le forme e non sperando altro che il vento.

Questo testo giovanile (Breton, Aragon, Artaud, Eluard, Desnos, i redattori, e gli altri componenti del gruppo avevano allora dai venticinque ai trent’anni) mostra chiaramente, ancor oggi, quel che può affascinare nel buddhismo: non un cambiamento del credo, né l’abbandono di un rituale per un altro, ma una vera metamorfosi dello spirito, che fu il grido del cuore surrealista. “È dall’interno che ti assomiglio” è, in questo senso, la frase più chiara.

Se non riusciamo a immaginarci i componenti del gruppo surrealista intenti a far girare mulini da preghiera, possiamo in compenso immaginarli alla ricerca di “abitudini più pure” e di una qualità sempre più alta dello spirito che li conduce “nel punto più elevato dell’interiorità”. È proprio in questo campo che il buddhismo non cessa di lanciare il proprio richiamo.

Mi ritrovo accanto a questo “Papa gradito” e insieme riprendiamo il cammino. Questo cammino passa e ripassa attraverso i temi dell’ignoranza e dell’educazione. Lontano da ogni illuminazione magica, il Dalai Lama insiste sulla pazienza, sulla difficoltà e sul lungo lavoro quotidiano.

Parliamo ancora del grande disordine di idee che sembra colpire l’Occidente, che egli vede privato di una dimensione, abbandonato alla supremazia incontrastata della materia. I nostri papi sono effettivamente rugosi. Mancano di sorriso e di cordialità.

Respingono i cambiamenti. I sogni e le grida, evidentemente, li infastidiscono.

Dico al Dalai Lama che non solo la nostra religione ci sembra monotona e sterile, ma che, d’altro canto, nelle tradizioni più recenti, come quelle re-pubblicane, un certo numero di insegnamenti civici sono scomparsi dalle nostre scuole. Tutto ciò che poteva fornire un supporto alle nostre esistenze, lo eliminiamo a poco a poco, a vantaggio del sapere concreto e utilitaristico. Forse si pensa che la repubblica e la democrazia siano tanto solidamente impresse in ciascuno di noi da non avere bisogno di questo supporto scolastico. Ma dubito di questa solidità. Vedo, al contrario, la democrazia sottoposta a una costante minaccia. Credo che la sua forza sia reale e che l’esperienza provi questa forza. Ma non tutti sono del mio parere. Anch’io ho la tendenza a pensare talvolta che il nostro sistema politico abbia bisogno di miti, di simboli, forse persino di un catechismo. Dopo mi dico che, come in altri campi, questi elementi sono inevitabilmente minacciati, a breve scadenza, da una forma di caducità implacabile. Ed è per questo che, come la maggioranza dei miei contemporanei, mi rassegno a vederli scomparire.

Il Dalai Lama torna alla mia domanda su vita spirituale e vita religiosa.

Da: Il Dalai Lama, La Compassione e la Purezza. Conversazioni Con Jean-Claude Carriere. Traduzione di Laura Deleidi. Fratelli Fabbri Editori Anno: 1995 http://it.scribd.com/doc/157928207/Dalai-Lama-Purezza