S. S. Dalai Lama: La via del Bodhisattva

Sua Santità il Dalai Lama: "Questo bodhisattva dobbiamo produrlo in noi stessi."

Sua Santità il Dalai Lama: "Questo bodhisattva dobbiamo produrlo in noi stessi."

Sua Santità il Dalai Lama: “Dobbiamo molto alla pace dello spirito. Per noi, si tratta di un fatto. Questo equivale a dire che dobbiamo molto allo spirito stesso. Tutta la storia del buddhismo ci riporta allo spirito, al nostro spirito. Un considerevole lavoro è stato fatto dallo spirito per lo spirito. E noi continuiamo”.

Jean-Claude Carriere: “Giungendo fino all’illusione stessa dello spirito?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Questo vale per alcune scuole.”

Jean-Claude Carriere: “Ma qual è il senso esatto del termine “illusione”? Si può concepire un’illusione senza un illusionista?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Noi diciamo che lo spirito illude se stesso, ad ogni istante, nella percezione sommaria che ha del mondo. E che questa percezione erronea deve necessariamente essere corretta, a meno di non scegliere di vivere nell’errore. Noi sosteniamo che l’agitazione ci porta fuori strada,che nessuna vera relazione può essere stabilita col mondo se non perveniamo alla pace dello spirito.”

Sakyamuni per primo, e centinaia di altri uomini di pensiero e meditazione sulla sua scia, hanno così segnato l’esistenza stessa dello spirito, con una logica impietosa (il pensatore non deve avere alcuna compassione per il proprio pensiero): poiché il mondo esterno, trapassato dai nostri sensi, è vuoto di ogni realtà intrinseca, i suoi effetti sui nostri sensi sono ugualmente vuoti, illusori. Le idee, che a loro volta nascono dalle percezioni sensoriali, sono dunque vuote di vero significato, vuote di verità. E infine le nostre decisioni volontarie, che provengono generalmente dalle idee, sono così private di ogni solido fondamento.

Come scriveva Maurice Percheron: “La sintesi di questi diversi gruppi di elementi (che chiamiamo coscienza) è così un puro miraggio”.

Possiamo anche riprendere una celebre frase che si trova nel Sutra Immutabile: “I fenomeni della vita possono essere paragonati a un sogno, a un fantasma, a una bolla d’aria, a un’ombra, alla rugiada scintillante, al bagliore del lampo, ed è così che bisogna contemplarli”.

Come dunque placare un miraggio? Come esercitare un’azione su una entità – lo spirito – che sarebbe nata dalla propria illusione e si compiacerebbe di perpetuarla?

Nella sua lunga storia il buddhismo si è appassionato a questo apparente paradosso, riconoscendo in principio come evidente che se lo spirito (forse) non esiste, in ogni caso le operazioni dello spirito sono concatenate le une con le altre. Non possiamo metterle in dubbio, a meno di postulare l’assurdo.

Per quanto riguarda questa pace dello spirito che si trova in noi – il Dalai Lama insiste volentieri su questo punto -, non si tratta di inventarla da cima a fondo, si tratta di ritrovarla e, con essa, trovare il cammino della vera conoscenza. Così dice un autore che si chiama Coomaraswami: “Similmente una lampada portata in una stanza buia ci permette di distinguere ciò che già vi si trovava”. Noi attendevamo questa pace necessaria e fertile. Nessuna azione positiva può essere intrapresa al di fuori di quella Aurobindo l’ha definita a suo modo: “Le attività che vengono dal di fuori attraverseranno allora la calma dello spirito come un volo d’uccelli uno spazio senza vento”.

Sua Santità il Dalai Lama: “Questa pace dello spirito, lo ripeto, è un fatto. Inutile negarlo, immaginarci come in balia di energie esclusivamente aggressive, o possessive, o dominatrici. Beninteso, tutte queste tendenze pericolose esistono in noi, ma al di sotto di queste, più profonda e più duratura, vi è la pace. Se utilizziamo questa pace come un fatto, possiamo veramente offrire all’umanità il meglio possibile. Ma bisogna prima riconoscerla, raggiungerla e salvaguardarla”.

Jean-Claude Carriere: “Malgrado ciò che vede intorno a lei, e quel che lei stesso ha vissuto, continua a pensare che la natura umana sia buona, ben disposta, servizievole?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Non “lo penso”. Non è un’opinione, è un fatto. Numerose sono le circostanze che ci rendono ingiusti, ambiziosi, aggressivi. Intorno a noi tutto ci spinge in tal senso, sovente a causa di un interesse economico: devo possedere questo o quell’oggetto, altrimenti la mia vita è penosa. Per possedere quest’oggetto, bisogna che guadagni più denaro. Per ottenere questo denaro, bisogna che lotti, che mi opponga ad altri: la mia aggressività, allora, riappare.”

Jean-Claude Carriere: “In campo commerciale, l’aggressività è considerata una qualità.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Lo so bene. Il mondo ci viene presentato come essenzialmente competitivo, diviso fra “i vincenti” e “i perdenti”, ma anche questa è una visione falsa deliberatamente falsa. È un rapido sguardo di superficie, che elimina ogni discesa in sé, ogni meditazione, ogni riflessione.”

Jean-Claude Carriere: “Non siamo dunque come ci vediamo noi? Come noi ci raffiguriamo?”

Sua Santità il Dalai Lama: “L’immagine che diamo di noi stessi è spesso compiacente. Ci guardiamo con indulgenza. Abbiamo sempre la tendenza, quando ci colpisce un evento spiacevole, ad incolpare gli altri, o il destino, o un demone, o un dio. Proviamo ripugnanza a scendere in noi stessi, come il Buddha raccomandava.”

Jean-Claude Carriere: “E se vi scendiamo, troviamo questa compassione di cui lei parla?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Inevitabilmente. Lei stesso è sopravvissuto solo grazie all’affetto degli altri. E questo dalla culla, forse anche dal ventre di sua madre, perché si dice che siamo sensibili all’ambiente, e all’affetto che nutrono per noi, ancor prima della nostra nascita. Sono convinto che una madre felice porti in seno un bimbo felice. Se è calma, se il suo spirito è in pace, suo figlio ne sarà influenzato.”

Jean-Claude Carriere: “Lo si dice, in effetti. E da tempo.”

Sua Santità il Dalai Lama: “E questo affetto è spontaneo, naturale (usa il termine inglese genuine, che si traduce anche con “autentico”). Da suo figlio, la madre non aspetta nulla in cambio. È un affetto puro, senza calcolo. Ma senza questo affetto, il figlio non potrebbe sopravvivere.”

Resta un attimo in silenzio, poi insiste sugli effetti positivi di questo sentimento spontaneo.

Sua Santità il Dalai Lama: “Tutte le nostre vite sono cominciate avendo, come primo supporto, l’affetto umano. I bambini che crescono in quest’affetto sono più sorridenti e amabili. Sono generalmente più equilibrati. Per coloro cui questo affetto è mancato, succede il contrario. Sono più duri, e hanno più problemi”.

Jean-Claude Carriere: “Esistono eccezioni, senza dubbio lo sa. Le influenze che presiedono alla formazione della nostra personalità sono molteplici, complesse. In alcuni casi trattamenti cattivi possono, al contrario, renderci agguerriti.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Renderci più aggressivi, più duri.”

Jean-Claude Carriere: “Senza dimenticare l’ereditarietà, che non controlliamo, benché i biologi vi compiano ricerche. Alcune influenze giungono da molto, molto lontano. Alcuni dicono persino: dal tempo in cui non eravamo ancora uomini.”

Sua Santità il Dalai Lama: “È possibile. Dobbiamo accettare, gliel’ho detto, ciò che insegna la scienza. Diciamo che, in generale, la fretta, la competizione, quello che viene chiamato stress, l’ambizione contrastata, la difficoltà di cogliere il successo, la mancanza di denaro, tutto ciò è nocivo al nostro corpo, al nostro organismo.”

Jean-Claude Carriere: “Alla nostra pressione arteriosa?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Fra l’altro. Bisogna capire bene che l’affetto di cui parlo non ha un fine, non è dato con l’intenzione di ricevere. Non è un fatto sentimentale. Similmente, diciamo che la vera compassione è priva di attaccamento. Presti attenzione a questo punto, che contrasta con le nostre abitudini di pensiero. Non è questo o quel caso particolare che desta la nostra pietà. Non accordiamo la nostra compassione a questa o quella persona in seguito a una scelta. La doniamo spontaneamente, pienamente, senza nulla sperare in cambio. E a tutti.”

Già l’induismo insegnava questo distacco nell’azione. Sempre nel Bhagavadgita, Krishna insegna ad Arjuna che bisogna agire senza preoccuparsi del “frutto delle azioni”, cioè dei risultati, dei vantaggi, materiali o morali. Se questo distacco sincero viene raggiunto, permette un’azione sincera, e nel medesimo tempo irreprensibile. Anche il desiderio di vittoria, in una battaglia, è da rifiutarsi, come ogni desiderio. Questo rifiuto riguarda anche la coscienza che potrei avere del mio stesso valore, se compio questa o quella azione. Non devo impegnarmi con il desiderio di riuscire bene, di trarre da quest’azione una soddisfazione personale, sotto forma di stima per me stesso. Questo desiderio nascosto, difficile da smascherare, è sufficiente a snaturare quel che facciamo, perché abbiamo allora un attaccamento, un’intenzione, anche segreta. È in questo senso che dobbiamo interpretare una delle frasi del Buddha: “Abbandonate il bene, e a maggior ragione il male. Colui che raggiunge l’altra riva non ha bisogno della zattera”.

Jean-Claude Carriere: “Che dire dell’amore e del desiderio sessuale?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Il desiderio sessuale, per definizione, vuole qualcosa, che è la soddisfazione di questo desiderio attraverso il possesso dell’altro. In gran parte, si tratta di una proiezione mentale, suscitata da una certa emozione. Noi immaginiamo l’altro in nostro possesso. In questo attimo del desiderio, tutto sembra piacevole e attraente. Non vi si scorge alcun ostacolo, alcuna reticenza. L’oggetto desiderato ci sembra senza difetto, degno di ogni lode.”

Jean-Claude Carriere: “Tutto cambia con il possesso?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Certo. Quando il desiderio scompare – sia che lo si ritenga soddisfatto, sia che il tempo passi e lo indebolisca – non guardiamo più l’altro allo stesso modo. Le sembianze dell’oggetto poco prima desiderabile cambiano, e talvolta rapidamente, improvvisamente. Alcuni se ne riconoscono stupiti. L’emozione del principio si è dissolta, cedendo il posto a un reciproco misconoscimento. Ciascuno scopre la vera natura dell’altro, fino a quel momento nascosta dal proprio desiderio. Di qui tanti matrimoni spezzati, discussioni, processi, odi.”

Mi guardo bene dal contraddirlo su questo punto, sapendo quali maledizioni, in tutti i tempi, e nella maggior parte delle tradizioni, si sono riversate sul desiderio sessuale, e più ancora sui nostri sforzi per appagarlo. Le parole del Dalai Lama fanno eco a quelle di sant’Agostino, di Tertulliano e molti altri.

Il buddhismo ha codificato a suo modo le pratiche sessuali. Esiste una pratica corretta e pratiche scorrette (la fellazione, la sodomia, la masturbazione). L’omosessualità non è scorretta in sé. Lo diventa, ovviamente, se porta a pratiche scorrette.

Alcune distinzioni possono stupirci: così il rapporto con una prostituta, se segue la pratica corretta, non è condannabile. A condizione che la donna sia pagata da noi. Se un altro la paga per noi, c’è colpa.

Per proteggersi dall’AIDS, il buddhismo ammette il preservativo. Ma il Dalai Lama non smette di dire, anche se lo fa sorridendo, che il mezzo migliore resta il celibato, la castità.

Meglio rinunciare: ecco quello che ci viene sempre detto, che è nel medesimo tempo un’ammissione di sconfitta, un suonare la ritirata. Su questo punto, nulla di nuovo.

Ritorna in compenso sull’amore, su questa sorta di “chiara conoscenza” che può svilupparsi fra due esseri, avendo come condizione il rispetto reciproco.

Sua Santità il Dalai Lama: “Si vede apparire allora un sentimento di vicinanza. I due individui che si amano si sentono vicini, talvolta molto vicini l’un l’altro. Da questa vicinanza può nascere una compassione vera, come quella della madre per il figlio. Questa compassione, o quest’affetto, non si basa su un’idea del tipo “questa persona è vicino a me, è fatta per me, noi ci completiamo in modo magnifico”, oppure “mi è congeniale, mi fa bene, con lei la mia vita sarà migliore”. No, si tratta di un affetto spontaneo, libero da ogni calcolo.”

Jean-Claude Carriere: “Si tratta tuttavia di una scelta. Non provo affetto per una persona qualsiasi, ma per quella persona in particolare.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Sì, ma questo affetto può estendersi. Al di là di questa persona, può portarsi su altri individui. Se è veramente puro, non soffre di alcuna parzialità e smette di scegliere. Può anche portarsi sui nostri nemici, che come noi ne hanno il diritto.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Posso dirlo in altro modo. Questa compassione può esercitarsi a due livelli. Al primo livello, il più semplice, posso vedere gli altri come me stesso. Non ho alcun dubbio che tutti gli esseri umani siano simili, che condividano le stesse emozioni, le stesse aspirazioni, gli stessi timori. Le differenze fisiologiche (il colore della pelle, gli occhi a mandorla) o culturali che sembrano separarli mi sembra li uniscano ancora di più “.

Jean-Claude Carriere “Vuole dire: quel che hanno in comune è più forte, più profondo di quel che li distingue?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Molto più forte. Ed è proprio perché sembrano diversi che la loro comune natura mi balza agli occhi con più forza. Tutte le teorie razziste, o cultural-razziste, che la storia del mondo ha visto succedersi, sono assurde e nefaste. Non conducono che a sanguinosi vicoli ciechi. Soprattutto oggi, quando ci giun-gono immagini da ogni parte della terra, la nostra unità profonda mi sembra evidente. Ogni nuova istituzione dovrebbe prenderla come punto di partenza, come base.”

Jean-Claude Carriere “Il buddhismo si è sempre proclamato universale.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Esatto.”

Jean-Claude Carriere: “E il secondo livello?”

Il mio interlocutore è solito esprimersi per “livelli”. In questo, è fedele a tutta una tradizione, e anzitutto a Sakyamuni, il fondatore. Si dice che questi scegliesse molto accuratamente le proprie parole in base alla qualità di coloro che lo ascoltavano, riservando certi insegnamenti, considerati talvolta come “esoterici”, a quelli che gli sembravano meritarlo. Diceva: “Rapporto il mio linguaggio a ciascuno in relazione al suo potere di comprensione, e correggo gli errori del mio insegnamento parlando per immagini”. In seguito, a più riprese, dei monaci “scoprirono”, più spesso in grotte murate, testi del fondatore che erano stati nascosti là per loro.

Si sa che, nei primi secoli del buddhismo, il nuovo insegnamento si diffuse in Asia sotto forme diverse. Gli storici distinguono generalmente il Piccolo Veicolo (Hinayana), che conquistò soprattutto Ceylon, la Birmania, la Cambogia, conservando i tratti del buddhismo primitivo, estraneo a ogni controversia, a ogni raffinatezza speculativa, e il Grande Veicolo (Mahayana), che si stabilì prevalentemente nel centro e nel nord dell’Asia, in Cina, in Tibet, in Giappone, in Corea. Più complesso, più altamente speculativo, più diversificato in molteplici scuole, inventore di entità nuove come i bodhisattva, di concetti come la vacuità, di formule, il Mahayana si è tinto anche di magia, di mistica. Ha accolto il tantrismo e si è anche trasformato in Vajrayana, o “veicolo di diamante”, che insiste sull’esecuzione fedele dei riti.

Storia complicata, di competenza degli storici delle religioni. Un giorno chiacchieravo con Lhakdor, l’interprete e assistente religioso. Cominciammo a parlare dei diversi veicoli ed egli mi disse con un sorriso: “Abbiamo queste diverse scuole all’interno di noi stessi. Alcuni possono attenersi all’Hinayana. Altri proseguono fino al Vajrayana”.

Sua Santità il Dalai Lama: “Il secondo livello introduce una nozione di reciprocità. Ne abbiamo già parlato. Questo equivale a dire, cosa per noi evidente: se nutro dell’odio nei confronti degli altri, sarò odiato a mia volta e soffrirò. Se, al contrario,

nutro amore e compassione, un giorno o l’altro ne trarrò beneficio.”

Jean-Claude Carriere: “Lo stesso meccanismo vale per la tolleranza.”

Sua Santità il Dalai Lama: “È noto. Il fanatismo conduce al contro-fanatismo, altrettanto temibile.”

Jean-Claude Carriere: “L’umanità non cessa di ripetere, da quando è capace di parlare, che la violenza genera violenza. E continua a mostrarsi violenta. Impossibile spezzare la catena.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Impossibile non credo. Ma molto difficile, senza dubbio. La base di ogni insegnamento morale dovrebbe essere non rispondere agli attacchi. Certo, compassione e tolleranza non sono che parole. E le parole in se stesse non hanno alcuna forza La nostra prima reazione è quella di replicare, di reagire, talvolta anche di vendicarci, e ciò conduce solo ad altre sofferenze. Per questo il buddhismo dice sempre: sperimentate la quiete. Provate almeno una volta. La meditazione può aiutarvi a scoprire in voi la tolleranza. Quando l’avrete praticata, vi accorgerete di poterne trarre beneficio. E così, grazie al vostro esempio, potrete estenderla intorno a voi.”

Jean-Claude Carriere: “E se scopriamo l’odio?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Vuol dire che non avrete cercato abbastanza.”

In uno dei suoi libri, anche qui riprendendo a suo modo un antico detto, il Dalai Lama scrive: “Colui che vi nuoce non deve essere avvertito soltanto come qualcuno che ha bisogno della vostra attenzione, deve anche essere visto come la vostra guida spirituale. Vi accorgerete che il vostro nemico è il vostro supremo maestro”.

Gli esprimo un grande apprezzamento per questa visione del nemico come del supremo guru – sebbene questo atteggiamento sembri molto difficile da mettere in pratica.

Sua Santità il Dalai Lama: “Il nostro nemico ci offre una preziosa opportunità, quella di migliorarci.”

Jean-Claude Carriere: “Senza un nemico, ci indeboliremmo? Perderemmo delle qualità?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Senz’altro.”

Jean-Claude Carriere: “Più nemici abbiamo, migliori siamo?”

Scoppia a ridere.

Sua Santità il Dalai Lama: “Con tutti i nemici che abbiamo, oggi siamo certamente di una qualità incomparabile!”.

Allude evidentemente ai cinesi.

Ritorno per un momento all’induismo:

Jean-Claude Carriere: “Questo effetto di reciprocità di cui lei parla, lo troviamo formulato nel Mahabharata in una sola frase, che alcuni commentatori pongono al centro stesso dell’opera, come il diamante da cui tutto irradia”.

Sua Santità il Dalai Lama: “Quale frase?”

Jean-Claude Carriere: “Non può concepirsi se non nel concetto induista del dharma, ove ogni dharma particolare è come un frammento della garanzia del Dharma cosmico. La frase dice: “Il dharma, quando è protetto, protegge; quando viene distrutto, distrugge”.

Sua Santità il Dalai Lama: “Capisco.”

Jean-Claude Carriere: “Se questa legge misteriosa esiste veramente, se l’ordine cosmico dipende dalle nostre azioni, oppure, come dice la dottrina buddhista, se in ogni modo, in questa vita o in un’altra, ogni azione comporta una conseguenza, non siamo tentati di agire per un fine? in altri termini, di prevedere un frutto delle nostre azioni? tentati di agire per trarre dalle nostre azioni qualche beneficio?”

Mi risponde come fosse evidente.

Sua Santità il Dalai Lama: “Ma questo desiderio è naturale! Del tutto naturale! E se ci conduce a un’azione migliore, più elevata, più ponderata, tanto meglio!”.

Jean-Claude Carriere: “Un desiderio può dunque avere in sé del bene?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Ma naturalmente! Quando Sakyamuni afferma che i nostri desideri necessariamente inappagati contribuiscono a mantenerci in una visione imperfetta del mondo, questo non significa che tutti i desideri siano da bandire!”

Jean-Claude Carriere: “Lui stesso era animato da un ardente desiderio di far ascoltare la sua parola.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Era anche più di un desiderio: una necessità, nata dalla compassione. Cerchiamo di capirci: un desiderio può essere negativo o positivo. Se anche desidero l’acquisizione di un bene personale – diciamo la salute se sono malato, un pugno di riso se ho fame – questo desiderio è pienamente giustificato. E lo stesso è per l’egoismo.”

Jean-Claude Carriere: “Esiste un egoismo positivo?”

Sua Santità il Dalai Lama: “Certo. Nella maggioranza dei casi l’affermazione dell’io non conduce che alla delusione, o meglio al conflitto con altri ego esclusivi come il mio. In particolare quando questo forte sviluppo dell’io porta a capricci e pretese.”

Jean-Claude Carriere: “Conosciamo strani esempi in qualche diva del cinema.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Anche altrove. L’illusione di un io permanente nasconde un pericolo che ci minaccia tutti. Voglio questo, voglio quello: si può giungere a uccidere, lo sappiamo bene. L’eccesso di egoismo conduce a perversioni incontrollabili, dall’esito sempre negativo.”

Jean-Claude Carriere: “Ai limiti della follia.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Invece, un io saldo, sicuro di sé, può essere un elemento molto positivo. Parlavamo l’altro giorno di ambiente, di difesa della terra. È chiaro che se decido di condurre questa grande battaglia, di salvare il pianeta, devo essere sicuro di me stesso. Senza una forte coscienza di sé – cioè delle proprie qualità, delle proprie possibilità, della propria convinzione – nessuno può assumersi una tale responsabilità. È necessaria una grande fiducia in se stessi, è più che evidente. ”

Jean-Claude Carriere: “Fiducia che, nel migliore dei casi, può condurre a questa convinzione: poiché posso farlo, devo farlo.”

Sua Santità il Dalai Lama: “Esattamente. Se ritorno per un momento al bodhisattva, che per noi è l’essere ideale, colui che può ambire al nirvana, l’assoluto riposo nella luce, ma che rifiuta di giungervi, che preferisce restare in contatto con questo mondo sofferente per venire in suo aiuto o, in altre parole, che non potrà trovare il suo vero riposo finché una traccia di dolore sussisterà nel mondo, se noi prendiamo questo ideale come modello, non basta leggere regolarmente i sutra! Non è sufficiente domandare: dove si trova questo o quel bodhisattva? In quale direzione mi devo prosternare? Che cosa gli devo dire?”

Ride e aggiunge:

“Questo bodhisattva dobbiamo produrlo in noi stessi. Se mi dico, con convinzione, che il mio compito è di mettermi al servizio degli esseri, per un periodo di tempo che nulla può determinare, che può anche non avere fine, questo richiede una determinazione piena e integra. Senza un io molto forte, questa determinazione è impossibile”.

Jean-Claude Carriere: “Quanti pericoli minacciano continuamente questa forza dell’io!”

Gli racconto un aneddoto spagnolo, riguardante un superiore di convento del XVII secolo, uomo dalle alte aspirazioni alla santità, duro nei confronti degli altri e di se stesso, che disse un giorno: “Io, per quanto riguarda l’umiltà, non temo confronti”.

Questa frase diverte molto il mio interlocutore, che ritorna per un momento sul modello del bodhisattva, indicato dal Mahayana. I bodhisattva vogliono aiutarci a rischio di perdere se stessi, a rischio di “andare all’inferno” in nostra compagnia, per continuare ad aiutarci.

Inutile dire che questo inferno non è il nostro, popolato di demoni che sogghignano intorno a calderoni di olio bollente. Si tratta qui, nella catena delle rinascite, di uno stato inferiore, che può arrivare fino all’animalità e alla sofferenza fisica, in rapporto con la qualità delle nostre azioni, del nostro karma Altra differenza: è sempre possibile, per un’altra vita migliore, lasciare queste regioni sprezzate, dove i bodhisattva si avventurano e soffrono – mentre il nostro inferno ha chiuso la porta a ogni speranza, cosa che l’ha reso sovente inconciliabile con la proclamata bontà di Dio.

Da: Il Dalai Lama, La Compassione e la Purezza. Conversazioni Con Jean-Claude Carriere. Traduzione di Laura Deleidi. Fratelli Fabbri Editori Anno: 1995 http://it.scribd.com/doc/157928207/Dalai-Lama-Purezza