Sua Santità il Dalai Lama: A chi ha subito un trauma

Sua Santità il Dalai Lama: Senza essere benevoli con se stessi non si può esserlo con gli altri.

Sua Santità il Dalai Lama: Senza essere benevoli con se stessi non si può esserlo con gli altri.

Sua Santità il Dalai Lama: A chi ha subito un trauma.

Alcuni hanno vissuto avvenimenti drammatici. Hanno visto massacrare i propri genitori o altri esseri, sono stati violentati. Sono ancora assillati a distanza di anni da tali immagini, e spesso non riescono a parlarne. Aiutarli non è semplice. La gravità del trauma e la rapidità della guarigione dipendono dal contesto sociale e culturale. Anche la religione può esercitare grande influenza. Penso soprattutto ai tibetani che, praticando il buddhismo, sono meno indifesi di fronte alle esperienze tragiche.

Se le vittime hanno la necessaria disponibilità spirituale per perdonare, e se coloro che hanno violentato, torturato, ucciso si rendono conto dell’enormità delle proprie azioni e desiderano redimersi, l’incontro tra i due può rivelarsi benefico. Darà al boia l’opportunità di riconoscere i propri errori e di esprimere una contrizione sincera, e alla vittima una possibilità di liberarsi, almeno in parte, dal proprio risentimento. Se i due trovano un terreno di riconciliazione, non è forse la miglior cosa da fare?

I gravi shock non influiscono sempre soltanto sulle vittime, ma talvolta anche su coloro che sono gli artefici delle sofferenze. Alcuni soldati, penso soprattutto ai veterani della guerra del Vietnam, rammentano in continuazione le violenze o le atrocità che hanno commesso. Nonostante sia passato molto tempo, hanno ancora degli incubi in cui rivedono scene di massacri, esplosioni, corpi decapitati, e il loro spirito ne è turbato.

Spesso il problema delle persone così indebolite è la mancanza di sostegno affettivo da parte di coloro che le circondano. La bontà, l’altruismo, la compassione degli altri possono contribuire ad alleviare la loro sofferenza, ma nelle nostre società tali sentimenti spesso non sono sufficienti, e le vittime si sentono sole.

Ciò nonostante è possibile aiutarle, parlare loro in gruppo o individualmente, applicare metodi diversi per ridurre i loro tormenti.

Portiamole a prendere coscienza che non sono sole, che moltissime altre persone si trovano nella loro situazione e che diverse riescono a uscirne.

Parliamo loro delle sofferenze o dei traumi che magari abbiamo vissuto noi stessi, spieghiamo loro come siamo riusciti a superarli.

Ovviamente non bisogna accontentarsi di teorie o di ricette psicologiche. Bisogna avere un’intenzione pura ed esprimersi con il cuore.

Bisogna essere pazienti, disposti a perseverare per tutto il tempo necessario. Quando lo spirito di qualcuno è profondamente turbato non basta rivolgergli qualche parola di conforto.

L’esperienza dimostra che chi è vissuto in un’atmosfera serena e ha potuto sviluppare le proprie capacità umane in modo stabile reagisce assai meglio ai traumi. Invece, chi proviene da un ambiente conflittuale o violento reagisce più spesso in modo negativo e impiega più tempo a riprendersi.

Proprio come un corpo robusto resiste meglio alle malattie e guarisce più in fretta, uno spirito sano sopporta più facilmente gli eventi tragici o le cattive notizie. Se il nostro spirito è debole, tali avvenimenti ci turbano più a fondo e in modo più duraturo.

Questo non vuol dire che siamo irrimediabilmente condizionati dalla nascita. Con l’addestramento si può sempre acquisire una maggiore salute mentale. Ma comunque l’educazione, l’ambiente familiare, la società, la religione, i media e molti altri fattori esercitano un ruolo determinante.

Se avete vissuto un dramma, prendete coscienza che le vostre inquietudini e i vostri tormenti sono soltanto un surplus di sofferenza per nulla necessario. Parlate del vostro problema, sbarazzatevene, non tenetelo celato per pudore o per vergogna, e dite a voi stessi che ormai questo dramma appartiene al passato, che non serve a niente portarvelo dietro nel futuro. Cercate di volgere il vostro spirito verso aspetti più positivi della vostra esistenza.

Riflettete anche su come è comparsa la vostra sofferenza. Coloro che fanno del male agli altri subiscono l’influsso dei tre veleni mentali, l’ignoranza, l’odio, il desiderio, e non controllano il proprio spirito. Ma tutti abbiamo in noi questi tre veleni. Basterebbe anche a noi esserne più fortemente dominati per commettere degli atti estremi. D’altra parte, è concepibile che un giorno un criminale riesca a controllare le sue emozioni negative e a diventare un essere benevolo. Non si possono dare giudizi definitivi su nessuno.

Sotto l’effetto delle nostre inclinazioni o delle circostanze ci capita di fare delle cose di solito impensabili. Sotto l’illusione di concezioni vane come il razzismo o il nazionalismo, alcuni, senza essere a priori dei criminali, commettono atti di grande violenza o di grande crudeltà.

Pensiamoci quando qualcun altro ci fa del male. Saremo costretti a concludere che la nostra sofferenza è dovuta al concorso di un gran numero di fattori e che è impossibile attribuirne tutta la responsabilità a un solo essere, a una sola causa. Vedremo il problema in un’altra prospettiva.

Capita che in presenza di uno sconosciuto assumiamo un atteggiamento esageratamente riservato o distante. Non è un comportamento logico. In effetti non abbiamo alcuna ragione di temere il contatto con gli altri. Basta rendersi conto che sono esseri come noi, con le stesse aspirazioni e gli stessi bisogni, perché diventi facile rompere il ghiaccio e comunicare.

È il metodo che applico io stesso. Quando faccio una nuova conoscenza mi dico innanzitutto che si tratta di un essere umano il quale desidera essere felice e non soffrire per le mie stesse ragioni. Non hanno molta importanza la sua età, la sua altezza, il colore della pelle o il rango, tra di noi non c’è alcuna differenza fondamentale. In tali condizioni, posso aprirmi a lui come a una persona di famiglia, e qualsiasi traccia di timidezza scompare.

Spesso la timidezza deriva dalla mancanza di fiducia in se stessi e dall’attaccamento eccessivo alle formalità, alle convenzioni sociali. Siamo prigionieri di un’immagine che vogliamo presentare agli altri. Si tratta di un comportamento artificioso, e le nostre tendenze naturali talvolta ce lo ricordano in modo imperativo. Quando si prova il bisogno impellente di alleggerire la vescica per un po si può fare come se niente fosse, ma non è possibile reggere all’infinito la situazione! Mi ricordo che quando ero piccolo, durante le lunghe cerimonie non esitavo affatto a dire al mio maestro che dovevo assentarmi per un minuto, anche se, poiché si presumeva che dessi l’esempio, avrei dovuto aspettare la pausa successiva! [Risata]

Si è timidi anche per desiderio di proteggersi, per eccesso di consapevolezza di sé. Ma paradossalmente, più ci si protegge meno si ha fiducia in se stessi, e più si diventa timidi. Al contrario più ci si apre agli altri dando prova di amore e di compassione, meno si è ossessionati da se stessi e più si acquisisce fiducia.

Nella vita abbiamo bisogno di un minimo di coraggio per fare delle scelte. Ma poiché non è bene decidere in modo impulsivo, una certa dose di indecisione è necessaria per avere il tempo di valutare correttamente la situazione o di consultare persone più sagge di noi. In certa misura, dunque, l’indecisione è utile. Ma una volta soppesati i pro e i contro, bisogna avere la forza di decidere, qualunque sia l’eventuale problema che dobbiamo affrontare.

Confesso che non metto sempre in pratica il mio consiglio. Nelle riunioni con i membri del Kashag, (il Consiglio dei ministri del governo tibetano in esilio), mi capita di prendere una decisione su un argomento di attualità, poi, dopo pranzo, magari mi viene un altro pensiero e mi dico: “Avrei fatto meglio a decidere diversamente”. [Scoppio di risa]

Quindi non ho molto da consigliare!

L’odio di sé è un atteggiamento molto negativo. Se si scava un po’ dietro le apparenze ci si accorge che quest’odio è solo il risultato di un’idea troppo alta della propria persona. Si vuole essere i migliori a tutti i costi, e se la nostra immagine ideale difetta di un minimo particolare, non riusciamo a sopportarlo. È una forma di orgoglio.

La prima volta che ho sentito parlare dell’odio per se stessi sono rimasto molto sorpreso. Mi sono chiesto come si poteva odiare se stessi. Tutti gli esseri si amano, persino gli animali. Riflettendoci mi sono detto che era solo una forma esacerbata di amore di sé.

Una cosa è sicura. Senza essere benevoli con se stessi non si può esserlo con gli altri. Per provare amore, tenerezza verso gli altri, per desiderare che siano felici e che non soffrano, dobbiamo innanzitutto nutrire tali sentimenti verso noi stessi. Allora possiamo comprendere che gli altri hanno le stesse nostre aspirazioni, e diventano possibili l’amore e la compassione. Quando ci si odia non è possibile amare gli altri. E se non si fa niente per cambiare atteggiamento si hanno scarsissime possibilità di trovare la pace e la gioia interiore. Si sciupa la propria vita, è stupido.

Forse non dovrei parlare così, ma è la verità.

Per rimediare all’odio per voi stessi prendete coscienza della falsa immagine che avete di voi stessi e coltivate la fiducia autentica e sana, quella che si basa sulle vostre qualità umane fondamentali. Siate umili e apritevi di più verso gli altri. Fonte che si ringrazia http://www.hardwaregame.it/images/guide/batik/16172064-Dalai-Lama-I-Consigli-Del-Cuore.pdf,