15 Sua Santità il Dalai Lama: Insegnamenti sul Lam-rim Chen-mo o Grandi Stadi del Sentiero per l’Illuminazione di Lama Tzong Khapa alla Lehigh University, PA, USA. Traduzione dal tibetano in inglese del Dr. Ghesce Thupten Jinpa e dall’inglese in Italiano del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Quinto giorno, Sessione pomeridiana, 14 luglio 2008 alla Lehigh University, Pennsylvania, USA. Seconda parte. Identificare l’oggetto della negazione: afferrare se stessi. Analogia col sogno. Analisi critica. Quintuplice e Settuplice Ragionamento. Come evitare il nichilismo. L’Origine dipendente come il significato della vacuità.
Identificare l’oggetto di negazione: l’attaccamento al sé.
Allora il secondo, che è la presentazione effettiva della realtà ultima, Tsongkhapa spiega in termini di tre sottotitoli principali: 1 identificare l’oggetto di negazione per mezzo della ragione; e 2 quale metodo si dovrebbe adottare, sia attraverso il ragionamento consequenziale od il sillogismo; e 3 il modo in cui la sorge visione sulla base di tale metodo.
Successivamente, il primo è ulteriormente spiegato in termini di tre schemi: 1 “perché l’oggetto della negazione deve essere identificato con cura”; 2 “Confutare altri sistemi che rifiutano senza identificare l’oggetto da negare”; e 3 “in che modo il nostro sistema identifica l’oggetto della negazione”.
Quindi, rispetto a questo, Aryadeva afferma nelle 400 Stanze sulla Via di Mezzo che “Il seme dell’esistenza ciclica giace nella coscienza e gli oggetti sono la sfera dell’esperienza, campo di esperienza, di questa coscienza.” Perciò, quando si vede l’assenza di individualità in questi oggetti, il seme dell’esistenza ciclica finirà.
Quindi qui, ciò che Aryadeva sottolinea è che il seme dell’esistenza ciclica è davvero l’afferrarsi, l’attaccamento al sé. Quindi, per porre fine all’esistenza ciclica, dobbiamo trovare un modo per sradicare quel seme, che è la radice, e questo può essere fatto solo trovando un modo per realizzare in noi stessi una comprensione genuina che l’io “Il contenuto di questo attaccamento, che è il ‘sé’, in realtà non esiste.
Quindi il nostro attaccamento al sé, l’afferrarsi al “sé” e ciò che chiamiamo “sé”: se o non esista avrà implicazioni. Quindi abbiamo bisogno di applicare un ragionamento critico per cercare di dargli corpo: “Se il ‘sé’ (o come tendiamo a coglierlo per essere esistente) dovesse esistere, come sarebbe? Quali ne sarebbero le implicazioni?”
Quindi, in questo modo, il punto chiave qui è capire veramente il modo in cui tendiamo a cogliere questa nozione di “sé”. E, analizzando questo, dobbiamo dimostrare che il “sé”, così come lo afferriamo, non esiste realmente.
Questa comprensione della non esistenza totale di questo “sé”, che è l’oggetto della nostra presa-attaccamento deve essere interiorizzata e quella convinzione, quell’accertamento, può quindi aiutarci ad eliminare quell’afferrarsi. Quindi, questo è l’unico modo possibile.
Quindi, se dovessimo provare a collegare questo oggetto di negazione alla nostra esperienza personale, dobbiamo esaminare come la nozione di sé tende a sorgere in noi in modo naturale. Quindi, quando abbiamo il pensiero di “Io sono”, il pensiero che “Io sono”, che è un senso molto naturale di egoismo che tutti possediamo, ma se lo esaminiamo attentamente vedremo che nel nostro senso di sé, c’è una specie di supposizione, e specialmente quando il senso del sé si manifesta in una forma forte, alla base di ciò c’è una sorta di assunzione di un sé che esiste in qualche modo tra il nostro corpo e la nostra mente, un qualcosa di separato ed al di sopra di questo.
Ed in qualche modo, questo oggetto del nostro senso di sé che chiamiamo “io”: assumiamo che abbia una specie di realtà concreta, che è, in qualche modo, auto-definita ed autosufficiente. Ha una specie di realtà concreta.
E non solo è il caso in cui ci relazioniamo al nostro senso di sé, ma, in realtà, questo è esattamente il modo in cui tendiamo a relazionarci con qualsiasi altra cosa. Quindi, quando percepiamo qualcosa esternamente, che si tratti di qualcosa là fuori, tendiamo a relazionarci con quell’oggetto come se quell’oggetto esistesse a sé stante là fuori dove lo vediamo. Qualcosa su cui possiamo puntare il dito. Qualcosa che sta occupando un luogo nello spazio.
Tuttavia, quando parliamo dell’afferrarsi al sè come illusione, dobbiamo capire che la base su cui sorge l’attaccamento, che è la persona, non stiamo dicendo che non esiste. La persona esiste: così come esiste la persona di cui parliamo, l’esistenza precedente della persona, la futura rinascita della persona. E anche su questa base possiamo pure fare distinzioni tra me e gli altri, tra se stessi e gli altri. Quindi la persona come individuo esiste.
Quindi ciò che viene negato è il modo, il modo in cui tendiamo ad assumere quella persona per esistere. Quindi è un modo particolare in cui assumiamo che la persona esista che viene negata. E qui la nostra ipotesi è che la persona esista come una sorta di realtà autosufficiente e discreta.
E quindi, quando percepiamo tutto, anche a livello sensoriale visivo, il tipo di percezione della discrezione, la percezione di una realtà solida e concreta, è già lì, anche se alcuni Maestri Madhyamaka sostengono che quella percezione della vera esistenza avviene solo a livello di pensiero, non a livello dei sensi, d’esperienze sensoriali.
Ma qui la linea di pensiero di Chandrakirti, dove ciò che viene negato è molto sottile, anche a livello sensoriale, percettivo, la percezione di esistenza inerente è già lì. Quindi, basandoci su questa percezione, tendiamo a seguirla con il pensiero, afferrandola. Quindi, affermiamo la nostra percezione. E, sulla base di ciò, vediamo tutto ciò che percepiamo: possedere esattamente la realtà che percepiamo in loro.
Quindi, nel caso di una persona, il nostro sé, proprio come il sé ci appare, come se possedesse questa esistenza inerente, anche noi affermiamo quella percezione e ce ne attacchiamo. Ed è proprio questa presa sull’esistenza intrinseca che deve essere negata. Ed anche il contenuto di quell’afferrarsi al sé esistente inerente, questo è ciò che deve essere negato.
Analogia col sogno. Analisi critica. Quintuplice e Settuplice Ragionamento.
Quindi, rispetto a questo, ci sono alcune espressioni molto potenti nella scrittura del Settimo Dalai Lama. In una di queste dice: “Proprio come in una mente che è intossicata dal sonno, vari eventi e oggetti sorgono in quel sogno. E proprio come appaiono, appaiono così reali in quel sogno. Tuttavia, la realtà di tutte le cose che appaiono nel sogno è che non possono essere dimostrate come reali. Sono irreali.”
Allo stesso modo, dice, accade nelle nostre percezioni quotidiane, quando le cose appaiono nella nostra mente, sembrano possedere un’esistenza inerente, proprio come se la nostra mente, le nostre percezioni, fossero intossicate da questo attaccamento all’esistenza intrinseca. Tuttavia, la percezione che abbiamo delle cose come se possedessero un’esistenza oggettiva è infondata.
Quindi dice che, anche se non possiedono alcuna realtà, ma la mente, le sei coscienze (Coscienza visiva. Coscienza uditiva. Coscienza olfattiva. Coscienza gustativa. Coscienza tattile. Coscienza mentale) degli esseri senzienti ordinari che sono intossicati dal sonno profondo dell’illusione, ognuna di queste cose appare come se ognuna di essa possieda una propria realtà autodefinente, come se esistesse per proprio diritto, oggettivamente, dall’esterno.
Così dice che, per la mente ordinaria, quando percepiamo qualcosa di esterno, percepiamo quel fenomeno come se esistesse proprio lì, dal lato dell’oggetto stesso. Quindi dice che questa percezione distorta, quindi il contenuto di quella percezione distorta, che presuppone che le cose posseggano qualche sorta di esistenza oggettiva di per sé o nel loro diritto, questo è l’oggetto sottile della negazione, e questo deve essere negato senza alcun residuo, senza mai lasciare nulla dietro.
E poi, come dice Gung-tang Rinpoche in uno dei suoi scritti che, attraverso la coltivazione della visione della vacuità, si cerca per capire la natura delle cose. Tuttavia, in tale processo non si trova un’esistenza inerente, e quella non-scoperta dell’esistenza inerente, attraverso questo processo, costituisce la negazione dell’esistenza intrinseca.
In genere, non trovare qualcosa non equivale a negare qualcosa o trovare la sua non esistenza. Ma nel contesto in cui, se è un qualcosa che, quando lo cerchiamo, dovrebbe essere rintracciabile, ma, quando lo cerchiamo, non può essere trovato, quindi in un tale contesto, quindi il non-osservarlo od non-trovarlo e scoprire la sua non-esistenza, il tutto coincide.
Quindi, nel caso dell’esistenza inerente, se è reale, quando la cerchiamo, dovrebbe essere individuabile. Quindi, attraverso il ragionamento sulla vacuità, quando non lo trovi, stai negando l’esistenza inerente. E poi dice: “Tuttavia, ciò non implica la non esistenza delle basi su cui tu intendi la vacuità.” Così le basi designate sono lasciate intatte.
Così, l’unica realtà che si può pertanto affermare è l’esistenza nominale. Quindi, è solo un’etichetta e semplice designazione. Ed è a quel livello di esistenza nominale che si dovrebbe essere in grado di conciliare tutte le funzioni di causa ed effetto e così via. E il fatto che le funzioni operino e che esistano, le relazioni e le funzioni esistono ancora, è un qualcosa che verrà affermato attraverso la propria esperienza personale. E se uno segue questo processo, Gung-tang dice che “Uno è arrivato al punto giusto”.
Quindi, quando si parla di sottoporre l’esistenza inerente all’analisi critica e non di trovarla, questo processo può implicare l’applicazione o l’impiego di un quintuplice ragionamento: 1 di identità; 2 di assenza di identità (differenza); 3 di basi e supporto; 4 ed il supportato; 5 ed inerenza delle relazioni che troviamo nel testo di Nagarjuna. E, se ne aggiungiamo altre due, 6 la forma (o la configurazione) e 7 la raccolta, allora diventa una settuplice analisi.
Così quando sottoponi “persona” o “sé” a questo tipo di analisi quintuplice o settuplice e quando non lo trovi … Perché se, per esempio, una persona non esiste esiste oggettivamente in modo a sé stante, o di per sé, quindi quando la cerchi, dovrebbe esistere o come identica agli aggregati o come separata o come loro supporto o come da loro supportata. Tuttavia, quando si ricerca attraverso tale analisi, non la troviamo. E questa è un’indicazione che la persona non esiste oggettivamente di per sé.
Quindi, una volta che l’esistenza oggettiva diventa insostenibile, l’altra opzione rimasta è l’esistenza soggettiva. Quindi, anche l’esistenza soggettiva diventa un problema, perché allora dovrai identificare l’esistenza di un qualcosa in termini del proprio stato della mente. Quindi, né l’esistenza soggettiva né l’esistenza oggettiva diventano sostenibili, quindi l’unica alternativa rimasta è l’esistenza nominale. Quindi l’esistenza ai fenomeni è solo in termini nominali.
Come evitare il nichilismo
Allora Tsongkhapa identifica i modi errati di identificare l’oggetto di negazione, che includono due modi. Uno è la sovra-negazione o iper-negazione e l’altro è la sotto-negazione o ipo-negazione. E, nel contesto della sovra-negazione c’è una buona sintesi, una sua presentazione in uno degli scritti di Gung-tang dove fondamentalmente sottolinea che ci sono quelli che, pur mantenendo la visione della filosofia e della vacuità della Via di Mezzo, condividono con gli essenzialisti buddisti fondamentalmente la premessa che, se le cose non possiedono un’esistenza inerente, allora non possiederanno alcuna esistenza. Così, per esempio, l’intera premessa della critica essenzialista di Madhayamika presentata nel 24° capitolo in cui gli essenzialisti buddhisti si sono schierati contro Nagarjuna che l’insegnamento della vacuità implica un rifiuto od una negazione dell’esistenza delle Quattro Nobili Verità e così via.
Quindi, Gungtang sottolinea che coloro che sostengono questa posizione, che l’assenza di esistenza inerente implica l’assenza di qualsiasi esistenza, condividono lo stesso tipo di punti di vista con gli essenzialisti buddhisti. Eppure, allo stesso tempo, sostengono che stanno sostenendo l’insegnamento della vacuità. Quindi questo includerebbe in particolare coloro che comprendono la tradizione di Nagarjuna della scuola Madhyamaka di rifiutare qualsiasi nozione di valida cognizione delle cose.
Quindi, quando comprendono l’insegnamento di Nagarjuna che tutto è una specie di semplice etichetta, semplice designazione e nessun grado di esistenza inerente può essere accordato alle cose, assumono anche che ciò significhi che non si può accordare alcuna esistenza.
Quindi Gung-tang spiega a costoro che, in tal modo, non esisterà differenza alcuna tra il bene ed il male. Nessuna di queste distinzioni può essere mantenuta. E, in un certo senso, lo si può capire perché, quando definiamo una percezione come valida, uno dei criteri chiave, una caratteristica che definisce una comprensione valida è la non-ingannevolezza, che non è ingannevole in relazione alla sua percezione.
E la non-ingannabilità si lega alla nozione di una verità, qualcosa di vero.
Quindi, questi interpreti Madhyamika respingono la nozione di questo tipo di verità nel sistema Madhyamaka, e quindi rifiutano ogni nozione di cognizione valida.
E Gung-tang sta dicendo che, se rifiuti questa nozione di cognizione valida, fondamentalmente condividerai la stessa posizione con gli essenzialisti che sostengono che, se non esiste un’esistenza inerente allora non esisterà nulla. E in tal caso si cadrà nell’estremo del nichilismo. E, se questo è il caso, allora non si sosterrà la vera Via di Mezzo, che Nagarjuna identifica con la vacuità.
E, in effetti la vacuità è il tipo naturale di base Via di Mezzo del terreno ‘shi’ ‘uma’ ed il fatto che la vacuità è caratterizzata come la Via di Mezzo significa che deve essere libera da entrambi gli estremi dell’assolutismo e dell’estremo della non-esistenza o del nichilismo.
L’origine dipendente come il significato della vacuità.
È qui importante mettere in relazione questo con la stessa spiegazione di Nagarjuna sul significato della vacuità. Per esempio, quello che ho citato quando dice che gli essenzialisti non comprendono lo scopo dell’insegnamento sulla vacuità, non capiscono cos’è la vacuità e non capiscono il significato della vacuità. In quel contesto, Nagarjuna spiega che: “Quando dico che un qualcosa è vuoto, non intendo la vacuità come equivalente alla non-esistenza totale. Né il vuoto è equiparato alla introvabilità delle cose quando le cerchi. Tuttavia, il significato della vacuità è l’origine dipende.”
Infatti, nella Saggezza Fondamentale della Via di Mezzo https://www.sangye.it/altro/?p=9194 Nagarjuna dice: “Ciò che è originato in modo dipendente, è ciò che descrivo come vacuità” Quindi, egli sta equiparando la vacuità con l’origine dipendente e dicendo che il significato della vacuità è l’origine dipende. E questo si basa sulla stessa affermazione del Buddha, in un sutra in cui Buddha afferma che “Ciò che è sorto dalle condizioni è privo di sorgere” e “Una cosa del genere è priva di qualsiasi intrinseco sorgere” e ” Perciò ciò che è dipendente da ciò che è sorto da, le condizioni sono presentate come vuote”.
Quindi quindi Tsongkhapa identifica il significato di vacuità con l’origine dipendente. E poi così prosegue nella Saggezza Fondamentale della Via di Mezzo: “Questo a sua volta è designato in modo dipendente e questa è la vera Via di Mezzo”. Quindi l’espressione “designato in modo dipendente”, è molto potente perché è formata da due elementi: dipendente e designato. La dipendenza trasmette già l’idea che i fenomeni non posseggono uno stato indipendente. Quindi i fenomeni sono dipendenti. Sono contingenti agli altri. Sono dipendenti dagli altri. Quindi, l’espressione ‘dipendente’ nega già qualsiasi nozione di esistenza indipendente, qualsiasi nozione di esistenza inerente. Ed il secondo elemento dell’espressione, ‘designato’, trasmette la nozione che non è nulla, non è inesistente ma esiste un’identità di un qualcosa che è, come sapete, emergente da questa relazione dipendente. Quindi insieme, questa espressione, ‘designazione dipendente’, punta verso la Via di Mezzo. Quindi Nagarjuna dice che questa è la vera Via di Mezzo.
Continuando così, con la spiegazione che il significato della vacuità deve essere veramente compreso in termini di significato dell’origine dipendente, all’interno dell’origine dipendente, come spiegato prima, ci sono due livelli. Uno è l’origine dipendente in termini di 1 cause e condizioni e l’altro è l’origine dipendente in termini di 2 designazione dipendente. Così Tsongkhapa spiega, scrive quanto segue: “Questo conseguimento, come spiegato in precedenza, si basa sul fatto di aver accumulato lungo il sentiero incommensurabili raccolte di meriti e sublime saggezza, raccolte entro le quali il merito e la saggezza sono inseparabili. Questo, a sua volta, si basa decisamente sulla conoscenza certa della diversità dei fenomeni. Questa profonda conoscenza capisce che la relazione tra causa ed effetto, causa ed effetto convenzionali, è tale che specifici effetti benefici e nocivi derivano da cause specifiche.”
Quindi qui Tsongkhapa si riferisce all’origine dipendente in termini di causa ed effetto e usando ciò come alla base, si arriva quindi alla comprensione del secondo livello, che è la designazione dipendente. E così scrive: “Allo stesso tempo, ammassare le raccolte di meriti e saggezza si basa sicuramente anche sul raggiungimento di una certa conoscenza della vera natura dei fenomeni. Ciò significa raggiungere una profonda certezza che a tutti i fenomeni manca persino una particella di natura essenziale o intrinseca. È necessaria una certa conoscenza della diversità e della natura reale perché senza di loro è impossibile praticare l’intero percorso, sia metodo che la saggezza, dal profondo del cuore.”
“Questa è la chiave del percorso che porta al raggiungimento delle due forme di realizzazione una volta che viene raggiunto il risultato. La sua realizzazione perfetta dipende da come stabilisci la tua visione filosofica della situazione di base.”
Come stabilisci la tua visione del fondamento della realtà.
“Il modo per stabilire questa visione è per raggiungere una certa conoscenza delle due verità come le ho appena spiegate. Ad eccezione dei Madhyamika, le altre scuole non capiscono come spiegare queste due verità come non contraddittorie: le vedono come una massa di contraddizioni.” Quindi sta parlando della causa e dell’effetto, dell’originazione dipendente e della designazione dipendente: “Tuttavia … “coloro che sono duttili e che sono” … in possesso della sottigliezza e saggezza e vasta intelligenza – esperti riconosciuti come seguaci della Via di Mezzo, i Madhyamika – hanno usato la loro padronanza delle tecniche per conoscere le due verità per stabilirle senza la minima traccia di contraddizione. In questo modo raggiungono il significato finale di ciò che il Buddha ha insegnato. Questo dà loro un meraviglioso senso di rispetto per il nostro Maestro e del suo insegnamento. A tale riguardo, parlano con assoluta sincerità, innalzando le loro voci ancora ed ancora: “Tu che sei saggio, il senso della vacuità – la vacuità dell’esistenza inerente – è un’origine dipendente; non significa che le cose non esistano, non significa che sono prive della capacità di funzionare. ” Ci fermiamo qui.