Discorso di Sua Santità il Dalai Lama in occasione del 45° anniversario dell’insurrezione nazionale tibetana
10 marzo 2010. Oggi ricorre il 51° anniversario della pacifica insurrezione del popolo tibetano contro la repressione comunista cinese in Tibet e ricorre anche il secondo anniversario delle proteste pacifiche scoppiate in Tibet nel marzo 2008. Rendo omaggio a quegli eroici tibetani, uomini e donne, che hanno sacrificato la loro vita per la causa del Tibet e prego perché abbiano fine al più presto le sofferenze di coloro che in Tibet subiscono ancora l’oppressione.
Nonostante le gravi avversità subìte da molti decenni, i tibetani sono riusciti a conservare il loro coraggio e la loro determinazione, a preservare la loro cultura ispirata alla compassione e a mantenere la loro peculiare identità.
È fonte di ispirazione vedere che oggi una nuova generazione di tibetani continua a mantenere viva la giusta causa del Tibet. Rendo saluto al coraggio di quei tibetani che ancora vivono nella paura e sotto l’oppressione. …
Qualunque sia la nostra situazione, è dovere di tutti i tibetani mantenere lo spirito di uguaglianza, armonia e unità tra le differenti etnie e, allo stesso tempo, continuare a proteggere la nostra peculiare cultura e identità. Nelle aree tibetane, molti tibetani ricoprono cariche di responsabilità nel partito, nel governo e nell’esercito, e aiutano i tibetani in tutto ciò che è possibile. Riconosciamo il positivo contributo offerto finora da molti di loro e, naturalmente, quando in futuro il Tibet conseguirà una sostanziale autonomia, dovranno continuare a mantenere tali responsabilità.
Permettetemi di ribadire che quando la questione del Tibet sarà risolta non assumerò alcuna carica politica all’interno del governo del paese né la assumeranno gli attuali membri del Governo Tibetano in esilio. In passato, ho già ripetutamente espresso questo mio pensiero. Per capire la situazione dei tibetani in esilio e le loro aspirazioni, invito i funzionari tibetani che svolgono il loro lavoro nelle differenti aree autonome a visitare le comunità degli esuli residenti nel mondo libero, sia nell’esercizio delle loro funzioni sia come privati cittadini, e a prendere atto personalmente della situazione.
Ovunque si sono insediati, i tibetani in esilio sono riusciti a preservare e promuovere le nostre peculiari tradizioni culturali e spirituali e, allo stesso tempo, sono riusciti a diffondere la conoscenza della causa tibetana. Diversamente da altre comunità di profughi, riteniamo che il nostro lavoro abbia avuto un discreto successo perché siamo stati anche in grado di dare ai nostri bambini un’educazione moderna pur crescendoli secondo i valori tradizionali.
Inoltre, poiché tutti i capi delle quattro maggiori scuole del Buddismo tibetano e della religione Bön vivono in esilio, abbiamo ripristinato diverse istituzioni monastiche per l’insegnamento e la pratica religiosa. In questi monasteri, oltre diecimila tra monaci e monache sono liberi di seguire la propria vocazione. Siamo stati in grado, senza difficoltà, di fornire opportunità di studio ai monaci, alle monache e agli studenti arrivati dal Tibet. Allo stesso tempo, la diffusione senza precedenti del Buddismo tibetano nei paesi dell’oriente e dell’occidente e la prospettiva di un suo continuare a fiorire nel futuro ci fa sperare che possa continuare a sopravvivere. In questo difficile periodo della storia del Tibet, questa speranza è per noi motivo di grande consolazione.
Oggi, in molti monasteri del Tibet, le autorità cinesi stanno attuando svariate campagne politiche, inclusa la campagna di ri-educazione patriottica. Riducono i monaci e le monache a vivere in condizioni simili alla prigionia, privandoli dell’opportunità di studiare e praticare in pace. Così stando le cose, i monasteri possono essere equiparati a dei musei, concepiti per annientare deliberatamente il Buddismo.
La cultura tibetana, fondata sui valori buddisti della compassione e della non-violenza, è di beneficio non solo ai tibetani ma anche a tutte le popolazioni del mondo, compresi i cinesi. Di conseguenza, noi tibetani non dobbiamo riporre le nostre speranze solo nel progresso materiale. È perciò essenziale che tutti i tibetani, dentro e fuori il Tibet, ricevano un’educazione moderna associata ai nostri valori tradizionali. E soprattutto, il maggior numero possibile di giovani dovrebbero seriamente applicarsi per diventare professionisti esperti e specializzati.
È importante che i tibetani intrattengano rapporti amichevoli non solo con le persone di ogni nazionalità ma anche tra loro. I tibetani non dovrebbero perdersi in futili discussioni. Faccio appello affinché risolvano ogni disputa con pazienza e comprensione.
Che il governo cinese lo riconosca o no, in Tibet vi è un problema serio, evidenziato, come tutti sanno, dalla presenza nel paese di un’ingente forza militare e dalle restrizioni di movimento e di viaggio. Ciò non giova a nessuna parte. Dobbiamo cercare in ogni modo di risolvere questo problema. Per oltre trent’anni ho fatto del mio meglio per intavolare dei colloqui con la Repubblica Popolare Cinese al fine di risolvere la questione attraverso la politica della Via di Mezzo che reputo di beneficio per entrambi i paesi.
Sebbene io abbia chiaramente formulato le aspirazioni dei tibetani, in accordo con la costituzione della Repubblica Popolare Cinese e la legislazione sull’autonomia regionale, non ho ottenuto alcun risultato concreto. A giudicare dall’atteggiamento dell’attuale leadership cinese, vi sono poche speranze che si possa arrivare ad un risultato in tempi brevi. Ciononostante, la nostra convinzione di proseguire nel processo di dialogo resta invariata.
È motivo di orgoglio e di soddisfazione il constatare che la nostra politica della Via di Mezzo, di reciproco beneficio, e la giusta lotta dei tibetani abbiano ottenuto, anno dopo anno, crescente comprensione e supporto da parte di molti leader politici e spirituali, compresi il Presidente degli Stati Uniti d’America, molte stimate organizzazioni non governative, la comunità internazionale e, in particolare, gli intellettuali cinesi.
È evidente a tutti, che la questione tibetana non è una disputa tra il popolo tibetano e quello cinese, ma ha le sue radici nelle politiche di ultra-sinistra delle autorità comuniste.
Dalle manifestazioni del 2008, gli intellettuali cinesi, dentro e fuori la Cina, hanno scritto più di ottocento articoli imparziali sulla questione tibetana. Durante le mie visite all’estero, ovunque io vada, i cinesi, specialmente gli intellettuali e gli studenti, mi dimostrano sincera simpatia e sostegno. Poiché, alla fine, il problema sino – tibetano dovrà essere risolto dalle due popolazioni interessate, ogni volta che ho l’occasione di creare i presupposti per una reciproca comprensione, cerco di parlare con i cinesi. Ritengo importante che i tibetani, ovunque, stringano rapporti più stretti con i cinesi e cerchino di renderli consapevoli della verità della causa tibetana e dell’attuale situazione in Tibet.
Lasciatemi inoltre ricordare il popolo del Turkestan Orientale, che ha sofferto gravi difficoltà e una crescente oppressione, e gli intellettuali cinesi che hanno subìto dure condanne per essersi battuti per la libertà. Vorrei esprimere loro la mia solidarietà ed essere al loro fianco.
Ritengo inoltre importante che un miliardo e trecento milioni di cinesi abbiano libero accesso alle informazioni circa il loro e tutti gli altri paesi e che godano della libertà di espressione e dello stato di diritto. Se in Cina vi fosse più trasparenza, si genererebbe anche una maggiore fiducia, giusto fondamento per la promozione dell’armonia, della stabilità e del progresso. Per questo motivo, ogni persona a cui stanno a cuore questi valori, deve compiere ogni possibile sforzo in questa direzione.
Come libero portavoce del popolo tibetano, ho ripetutamente espresso le sue fondamentali aspirazioni ai leader della Repubblica Popolare Cinese. La mancanza di una risposta positiva è sconcertante. Sebbene le autorità ora al governo restino attaccate alle loro posizioni più radicali, a giudicare sia dai cambiamenti in atto sulla scena internazionale sia dai cambiamenti nelle prospettive del popolo cinese, verrà il tempo in cui la verità finirà col prevalere. È perciò importante essere pazienti e non mollare.
Prendiamo atto della decisione presa dal Governo Centrale in occasione del 5° Tibet Work Forum di incrementare, in tutte le aree tibetane, le politiche volte ad assicurare progresso e sviluppo per il futuro. Lo stesso premier Wen Jiabao ha ribadito questa decisione durante la recente sessione annuale del Congresso Nazionale del Popolo. Essa è in linea con il mio desiderio, più volte espresso, di un’unica amministrazione per tutte le aree tibetane.
Allo stesso modo, apprezzo il processo di sviluppo intrapreso nelle aree tibetane, in particolare nelle zone agricole e in quelle abitate dai nomadi. Tuttavia, dobbiamo vigilare affinché tale progresso non rechi danno alla nostra preziosa cultura, alla nostra lingua e all’ambiente naturale dell’altopiano tibetano, importante per la sopravvivenza dell’intera Asia.
Colgo questa occasione per ringraziare sinceramente i leader di molte nazioni, i loro intellettuali, la gente, i gruppi di sostegno e tutti quelli che hanno nel cuore la verità e la giustizia per il loro costante sostegno alla causa tibetana nonostante le pressioni e le vessazioni del governo cinese. Desidero esprimere la mia profonda gratitudine al Governo dell’India, ai Governi dei suoi Stati e alla popolazione indiana per il loro continuo sostegno.
Infine, offro le mie preghiere per la felicità e il benessere di tutti gli esseri senzienti.
Il Dalai Lama
10 marzo 2010
Traduzione a cura dell’Associazione Italia – Tibet
LEGGI IL TESTO IN INGLESE http://www.dalailama.com/news/post/506-statement-of-his-holiness-the-dalai-lama-on-the-51st-anniversary-of-the-tibetan-national-uprising-day