Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama a Choklamsar Leh, Ladak, JK, India 22 agosto 2009 primo giorno
Appunti, traduzione dall’inglese ed editing del Dott. Luciano Villa, dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e della Dr.ssa Alessandra Cominetti nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
I 4 sigilli del Buddhismo:
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i fenomeni causati sono impermanenti;
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i fenomeni contaminati sono sofferenza;
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tutti i fenomeni sono privi d’un sé;
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il nirvana è pace.
La visione del sé intrinseco (teoria dell’atman) è errata. Gli insegnamenti Buddhisti spiegano la mancanza d’esistenza di un sé intrinsecamente esistente. Dharma significa “trattenere dalla sofferenza”, la vera cessazione è quella dei difetti temporanei all’interno della vacuità. Bodhicitta distingue l’hinayana dal mahayana: il primo è dedito alla liberazione personale e il secondo alla liberazione di tutti gli esseri senzienti, entrambi sono insegnamenti di Buddha.
Bodhicitta può essere spiegata in termini di motivazione, con la formula del rifugio si cerca di generare questa motivazione.
2600 anni fa Shakyamuni divenne Buddha ma non era tale sin dall’inizio. Questo significa che anche noi esseri ordinari possiamo purificare i nostri pensieri ed emozioni negative seguendo il sentiero. Se fosse stato sin dall’inizio un’illuminato non ci sarebbe stata speranza. Buddha ha raggiunto l’illuminazione attraverso la pratica delle 6 paramita: generosità, moralità, pazienza, sforzo entusiastico, concentrazione univoca e saggezza. Attraverso questa pratica anche noi possiamo conseguire la stessa meta.
Shantideva disse “mi prostro verso la madre dei vittoriosi dei tre tempi”. Per divenire illuminati occorre la perfezione della saggezza (madre) che unita alla Bodhicitta (padre, che rappresenta il metodo) porta alla perfetta illuminazione della Buddhità.
La nostra pratica deve essere Bodhicitta unita alla perfezione della saggezza. Ma per fare questo occorre sapere come fare, la comprensione intellettuale non è sufficiente ma occorre praticare. Le pratiche tantriche senza la comprensione della vacuità non portano ad alcun risultato. Lo scopo del Buddhismo è quello di soddisfare il nostro desiderio di ottenere la felicità e di evitare la sofferenza. Anche le esperienze piacevoli se guardate da vicino sono della natura della sofferenza. I poveri sperimentano maggiori sofferenze fisiche e minori emozioni disturbanti. Mentre le persone più abbienti soffrono maggiormente di sofferenze mentali. Ad esempio chi diviene abate di un monastero può cadere nella competitività, gelosia, invidia e avarizia. Dice agli altri di praticare ma lui non pratica. La causa delle loro sofferenze mentali non è la mancanza di comodità ma è la mente stessa. C’è una soluzione? Nel cercare una soluzione qualcuno va in vacanza, si dedica all’alcol, altri prendono psicofarmaci che li offuscano.
Come eliminare la nostra sofferenza?
Per coloro che praticano il Dharma la soluzione sta nella comprensione dell’origine interdipendente e nella conseguente astensione dal commettere azioni negative (cause di sofferenza) e nell’esperienza della vacuità (antidoto ultimo a tutti i difetti mentali). Coloro che seguono discipline teistiche sono fortunati perché Dio crea tutti uguali, quindi il sentimento di equanimità è insito nella creazione stessa. Se essi sono devoti verso la sua figura saranno portati ad abbracciare le sue stesse qualità. Il Buddhismo non vede la figura di un Dio creatore per cui ritiene che queste afflizioni scaturiscano dal senso del sé. Quindi chi crede nella legge di causalità crede che questa sofferenza derivi da cause e condizioni. I klesha (difetti mentali) disturbano la pace mentale. L’egoismo che nasce dall’attaccamento al sé causa l’odio verso gli altri. Questo senso del sé, me, io provoca in noi il sorgere di odio, gelosia e invidia. Ricerche condotte da studiosi americani hanno constatato che chi usa spesso le parole io, mio è più soggetto ad infarti. Questo tipo di linguaggio è espressione di pensieri egocentrici e di una visione limitata. Se ci si interessa ai problemi degli altri diminuirà anche il nostro sentimento di paura. Questo ci tornerà particolarmente utile se ci troveremo in situazioni di sofferenza o problematiche.
Karma e afflizioni derivano dal pensare in modo errato. Studiosi americani hanno mostrato che quando siamo in preda ad una forte rabbia la persona che desideriamo colpire ci appare molto brutta. Altri studiosi hanno osservato che l’oggetto del nostro attaccamento possiede effettivamente solo il 10% delle qualità che gli attribuiamo, il restante 90% sono solo costruzioni mentali (quindi le qualità a cui ci attacchiamo stanno nella nostra stessa mente). Proprio per la loro natura illusoria (in quanto derivano dalla mente) è possibile eliminare queste costruzioni attraverso la meditazione. Gli umani sperimentano più sofferenza mentale rispetto agli animali, ciò deriva dalla nostra intelligenza che sviluppa una visione del sé più sofisticata. Certo i progressi materiali risolvono molte delle nostre sofferenze fisiche ma a noi esseri umani questo non basta. Se guardiamo attentamente scopriremo che le nostre sofferenze mentali derivano dal nostro egoismo e dal nostro attaccamento al sé. Il senso di io, l’attaccamento al sé, si aggrappa ad un’erronea visione di ciò che è l’io. In ogni caso è necessario avere a cuore se stessi per poter avere a cuore gli altri, perché si osserva che tutti gli esseri hanno il nostro stesso desiderio di ottenere la felicità.
Gli insegnamenti sulla mancanza del sé mostrano che questa visione del sé intrinseco è erronea, in quanto non è rinvenibile attraverso l’analisi. La meditazione sulla vacuità è l’antidoto ultimo contro i pensieri errati. Mancanza del sé non significa nichilismo, cio (Dharma in tibetano) significa “correggere” per sbarazzarsi dai pensieri erronei. Esistono mezzi per operare questa correzione?
Le possibilità sono due: se ci sono e non li abbiamo dobbiamo generarli, se invece già li possediamo dobbiamo incrementarli. Più pensiamo agli altri meno gelosia avremo e meno desiderio di danneggiare gli altri. Due cose opposte come caldo e freddo. Trasformare la mente significa comprendere che gli errati modi di pensare portano alla sofferenza, trovarne gli antidoti e sforzarsi di applicarli. Dobbiamo avere un pensiero più lungimirante che non pensa solo ad ottenere la felicità in questa vita, nella prossima vita e nemmeno all’interno del Samsara. Nel lam rim si individuano tre scopi dei praticanti: inferiore (punta ad ottenere una rinascita fortunata), medio (punta ad ottenere la liberazione individuale) e superiore (aspira all’illuminazione allo scopo di far raggiungere a tutti gli esseri la stessa meta). I praticanti di livello inferiore devono comprendere che azioni come uccidere, rubare, avere una condotta sessuale scorretta, parlare per dividere, parlare in modo aspro e mentire produrranno risultati non concordi alla loro aspirazione. Questa comprensione porterà loro ad astenersi dal commettere queste azioni.
I praticanti di scopo intermedio desiderano fermare la propria esistenza samsarica sradicando la loro ignoranza (mancanza di comprensione della vacuità). Praticando la grande compassione, l’amore, Bodhicitta e perfezione della saggezza si otterrà come risultato certo la Buddhità. Come risultato di scambiare se stessi con gli altri si vedranno gli altri come amici. Bodhicitta è come un gioiello, se potrete coltivarlo almeno una volta la mattina Shantideva dice “sarete in grado di guadagnare meriti automaticamente e potrete purificare anche il karma più negativo”. Quindi Bodhicitta ha due qualità:
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purificare in poco tempo il karma negativo accumulato in innumerevoli eoni diminuendo la nostra millenaria familiarizzazione con le emozioni disturbanti;
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condurci dal nirvana non dimorante al nirvana dimorante.
Senza Bodhicitta anche il più piccolo ostacolo sarà insorpassabile. Altrimenti tramite la Bodhicitta si eviterà di danneggiare gli altri e quindi anche le rinascite inferiori. Con Bodhicitta lo scopo principale è aiutare gli altri nella vita quotidiana, è importante avere buon cuore e cercare di non danneggiare gli altri.
Dopo aver generato Bodhicitta si ha la pratica delle 6 perfezioni: 3 per beneficiare gli altri e 3 per beneficiare se stessi. Dobbiamo quindi praticare i 3 addestramenti: moralità, concentrazione, e saggezza.
La generosità è il desiderio di dare senza che sia contaminato da spirito di competizione, orgoglio e attaccamento. Dedicare i meriti ottenuti tramite la generosità alla completa illuminazione.
Vi sono tre tipi di generosità:
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dare consigli e salvare la vita agli animali;
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insegnare il Dharma, gli insegnanti di Dharma dovrebbero avere una motivazione altruistica;
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donare medicine e vestiti, i dottori possono anche dare buoni consigli e avere buon cuore.
Se una persona è diventata povera e non può dare può fare ciò che può.
La pratica della moralità si compone di tre parti:
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non commettere delitti e mantenere i voti;
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raccogliere virtù di Dharma;
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impegnarsi in pratiche che beneficiano gli esseri senzienti.
Nel testo commentato dal Dalai Lama sono spiegate 11 moralità.
Per sviluppare la pazienza si può pensare che l’essere che ci danneggia è sopraffatto dalla sua rabbia e dalle sue emozioni negative, per questo motivo è inutile arrabbiarsi con lui. Quando qualcuno vi insulta dovreste cercare di non arrabbiarvi, infatti attraverso le lodi degli altri non aumentano le nostre qualità (ad esempio non diventiamo immuni dalle malattie) quindi le lodi non ci aiutano e si può persino diventare arroganti e orgogliosi. Viceversa quando qualcuno ci diffama questo ci è molto utile perché arroganza e orgoglio diminuiscono.
E’ importante essere realistici quando ci si trova di fronte ad un problema. Come dice Shantideva: “se abbiamo un problema e c’è una soluzione perché arrabbiarsi o preoccuparsi? Se non c’è soluzione non vi è comunque motivo di preoccupazione”.