S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 1A

Sua Santità il Dalai Lama: "La fede religiosa deve essere basata su motivazioni razionali".

Sua Santità il Dalai Lama: "La fede religiosa deve essere basata su motivazioni razionali".

1A UNA FORTE E PURA MOTIVAZIONE

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo.

Appunti, traduzione ed editing del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama

Con la mia limitata conoscenza cercherò d’esprimermi al meglio.

Ascoltando questi insegnamenti preliminari, dovremo giungere al punto di farci un quadro attendibile dei principi generali del Buddismo, e delle qualità necessarie per ricevere l’iniziazione del Kalachakra.

E’ necessario conseguire un sufficiente livello di condivisione e d’accettazione di questi insegnamenti, che comprendono la piena attitudine ed adesione a quanto v’esporrò. Per questo motivo, è molto importante essere molto attenti a tutti gli insegnamenti, in particolare a quelli concernenti la trasformazione della mente, nutrendo un sincero rispetto per questi contenuti. E’ inoltre rilevante stimolare la propria acutezza mentale e l’attitudine a focalizzare questi problemi, generando un vero apprezzamento per tutto ciò, il che porta ad acquisire dei meriti.

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S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 1B

1 B UNA FORTE E PURA MOTIVAZIONE

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo.

Appunti, traduzione ed editing del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama

La fede religiosa deve essere basata su motivazioni razionali

Quando si trovano in situazioni sfavorevoli, gli esseri umani cercano conforto nelle pratiche religiose. Per questa ragione esistono diverse tecniche e percorsi religiosi, che, quando devono affrontare situazioni di particolare importanza, cercano conforto in esseri superiori: nel Buddha e in altre entità religiose. E’ come rifugiarsi tra le braccia della mamma, dei genitori o in chi parla al nostro cuore. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 2

2 MANTENERE STABILMENTE LA CONSAPEVOLEZZA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la seconda parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama

– Essere sempre presenti

Nonostante il fatto che possiamo aver acquisito delle capacità di condurre avanti le nostre pratiche di Dharma, non appena terminata la sessione di meditazione, potremmo ricadere negli stessi problemi.

Perché?

E’ chiarissimo che dipende dal fatto che siamo ripiombati nel nostro stato ordinario che contraddistingue la nostra natura contingente. Perciò, è importante praticare con perseveranza, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, giorno e notte. Ciò significa dover essere sempre presenti con la nostra mente, ricordandosi d’essere un seguace di Buddha, d’essere un praticante di Buddha, soprattutto quando affrontiamo momenti sfavorevoli, evitando di far sorgere in noi qualsiasi attaccamento, perché foriero d’emozioni disturbanti. Proprio in questi momenti occorre dedicarsi alle pratiche di Dharma, alla meditazione e alle sessioni post meditative, visualizzando i fulcri della pratica meditativa. In ogni momento in cui sentite sorgere attaccamento o un atteggiamento ostile verso gli altri, proprio in quel momento dovete ricondurre la vostra mente alle pratiche del Dharma. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 3

3 VEDERE LA NATURA DELLA MENTE

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. – India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la terza parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama

E’ fondamentale bloccare i fattori ostruenti che ci oscurano il cammino verso l’illuminazione.

Anche la visione delle attività quotidiane di chi professa una forte aspirazione verso l’illuminazione, può essere oscurata dalla rabbia, perché è subissato da un’infinità d’attività quotidiane volte ad accumulare ricchezza, ad aiutare i propri amici e, viceversa, a contrastare i nemici. Se continuiamo a vedere questi impegni come i più urgenti, anche se nel nostro cuore nutriamo un’aspirazione di raggiungere l’illuminazione, i nostri sforzi saranno del tutto vani, anzi, potranno rivelarsi controproducenti. E’ fondamentale bloccare i fattori ostruenti che ci oscurano il cammino verso l’illuminazione. Per questa ragione dobbiamo aver ben chiari gli ostacoli che ci bloccano la strada del nostro cammino spirituale. Per questi motivi è importante riflettere sulla natura dell’impermanenza, della transitorietà della vita umana, così come Lama Tzongkhapa spiegò nei “Tre aspetti principali del sentiero”: “Quando si riflette sulle difficoltà d’ottenere la rinascita umana, occorre rammentare che la vita umana è estremamente breve e che la legge di causa ed effetto dimostra sempre la sua infallibilità”. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 4

4 A CAUSA DELL’IGNORANZA NON V’È FELICITÀ DURATURA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo.

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la terza parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Sua Santità il XIV Dalai Lama

– E’ importante scegliere bene le persone da frequentare

Perché è rilevante coltivare persone che non abbiano un comportamento scorretto? E’ importante, infatti, non assumere comportamenti negativi da parenti ed amici: in generale dalle persone con cui abbiamo rapporti. Se voi non fumate né bevete alcoolici, per vostra abitudine mentale, ma se frequentate assiduamente dei forti fumatori e bevitori, se non eserciterete continuamente una notevole presenza mentale, rischierete d’assumere anche voi gli stessi vizi. Vi potrebbe così capitare che, all’inizio eravate una persona molto retta e rispettosa, mentre, più avanti nella vita siete diventati delle persone piene di difetti. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 5

5 PERCEPIRE LE EMOZIONI AFFLIGGENTI COME IL NOSTRO NEMICO

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. – India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la quinta parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Sua Santità il XIV Dalai Lama

“Purificatevi delle vostre azioni e pensieri negativi. Trasformate completamente la vostra mente”. Questo è l’insegnamento di Buddha. Se le vostre azioni sono basate su motivazioni negative, quali la rabbia o l’invidia, svilupperete infelicità nella mente degli altri. Proprio perché portano risultati negativi, proprio perché arrecano sofferenza, queste sono chiamate azioni dannose. Queste azioni negative le dobbiamo abbandonare! La ragione di ciò, non sta’ nel fatto che il Buddha disse di lasciarsi alle spalle le azioni negative, ma dalla motivazione che dobbiamo abbandonare queste azioni negative perché non desideriamo la sofferenza. E’ per questa ragione che il Buddha ci mise in guardia dal compiere queste azioni negative. In termini di sofferenza, noi non vogliamo sperimentarne alcun tipo, non desideriamo ascoltare nemmeno la più blanda delle parole negative. Per nostra natura, noi non desideriamo la sofferenza. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 6

6 IL BUDDHA TROVÒ LA BODHICITTA COME LA QUALITÀ PIÙ BENEFICA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. – India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la sesta parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Sua Santità il XIV Dalai Lama

– Lo scopo che vi muove verso l’illuminazione, per raggiungere lo stato di Buddha, non deve essere certo il vostro tornaconto personale.

Ovviamente, a voi stessi interessa raggiungere lo stato ultimo della felicità, che otterrete nel momento in cui perverrete all’illuminazione. Ora, tuttavia, la vostra maggiore preoccupazione è come aiutare gli altri esseri senzienti: in questo modo sviluppate bodhicitta. 

Quest’ultima è la mente dell’aspirazione per questo: da un lato nutrite l’aspirazione di raggiungere l’illuminazione, dall’altro, siete mossi dall’aspirazione di beneficiare gli altri esseri senzienti.

Il termine tibetano che sta per illuminazione è “cianciub”: si tratta d’una parola composta di due sillabe. La prima è l’elemento della parola “cian” che significa purificare, pulire, eliminare tutte le negatività mentali. La seconda unità fonica minima “ciub” indica interiorizzare, sviluppare certe realizzazioni, il che significa raggiungere tutte le qualità positive. Quando il termine sanscritto Buddha fu trascritto in tibetano, il traduttore lo rese con un vocabolo dal doppio significato: da un lato è colui che apre le capacità della mente e, dall’altro, è chi elimina tutte le ostruzioni della mente. Il significato di “ciub” equivale alla realizzazione di tutti i fenomeni esistenti, ovvero alla loro acquisizione interiore. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 7

7I MEZZI ABILI E LA SAGGEZZA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. – India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo.

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la settima parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Sua Santità il XIV Dalai Lama

I Sutra di Gaya dicono che “Il sentiero del bodhisattva ha due caratteristiche: i mezzi abili e la saggezza”. Il Buddha dice che “la perfezione della saggezza è una caratteristica che appartiene alla madre, mentre i mezzi abili al padre”.

Gli insegnamenti di Aviemalakirti spiegano inoltre quali sono gli ambiti del Bodhisattva e cos’è la liberazione.

Il condurre, nell’esistenza ciclica, la propria vita improntata alla saggezza adottando gli strumenti abili è la pratica del Bodhisattva, ma condurre nell’esistenza ciclica una vita che utilizza i soli strumenti validi, corrisponde alla pratica della liberazione.

La saggezza disgiunta dai mezzi validi è solo limitante, mentre, quando è unita a loro, conduce alla liberazione.

Perciò il bodhisattva coltiva sia la saggezza della vacuità sia gli strumenti validi per eliminare le visioni erronee (ma, ovviamente, non si sforza di realizzarle) non cade affatto in queste ultime. Continue reading »

S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Ky Gompa 8

8 LA SAGGEZZA DELLA BODHICITTA ULTIMA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley) H.P. – India 8 -11 ago 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo

Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo l’ottava parte.

Appunti a cura del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania

Sua Santità il XIV Dalai Lama

Abbandonare l’attaccamento verso i parenti, gli amici, i vostri benefattori, questa è la pratica del bodhisattva. Pertanto, non sviluppate eccessivo attaccamento, nemmeno verso i vostri cosiddetti benefattori.

“Le affermazioni dure disturbano la mente degli altri e fanno degenerare il vostro cammino verso quello del bodhisattva”. Pertanto, abbandonare ogni discorso offensivo, ogni scortesia verso la mente degli esseri senzienti, è la pratica del bodhisattva.

Se vi siete abituato alle emozioni affliggenti, vi sarà difficile eliminarle, opporre loro delle contromisure: dovrete usare l’arma della consapevolezza e della presenza mentale come antidoto”. Continue reading »

Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama all’Iniziazione al Kalachakra: Ky Gompa 2000

LA MOTIVAZIONE DELLA PRATICA

Dagli insegnamenti di Sua Santità il XIV Dalai Lama, preliminari all’iniziazione del Kalachakra, conferiti a Ky Gompa (Spity Valley), Himachal Pradesh, India 8 – 11 agosto 2000, basati sugli “Stadi Intermedi di Meditazione” di Acharya Kamalashila e le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” di Togmey Sangpo. Tra gli ascoltatori occidentali figurava anche un gruppo d’italiani del Centro Studi Tibetani FPMT Sangye Cioeling di Sondrio che ha registrato il discorso di Sua Santità, tradotto in inglese dal competente monaco Lakdhor. Ve ne proponiamo la parte iniziale.

A cura del Dr Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

SCOPO DELLA PRATICA E’ TRASFORMARE LA PROPRIA MENTE. MA QUALE MOTIVAZIONE DEVE ESSERE ALLA BASE DI QUESTO PROCESSO? BASTA SOLO ASCOLTARE GLI INSEGNAMENTI PER RAGGIUNGERE L’ILLUMINAZIONE O, PER AVERE EFFETTO, QUESTI DEVONO DIVENTARE NOSTRA PRATICA QUOTIDIANA?

SUA SANTITÀ IL XIV DALAI LAMA

Con la mia limitata conoscenza cercherò d’esprimermi al meglio.

Ascoltando questi insegnamenti preliminari, dovremo giungere al punto di farci un quadro attendibile dei principi generali del Buddismo, e delle qualità necessarie per ricevere l’iniziazione del Kalachakra.

E’ necessario conseguire un sufficiente livello di condivisione e d’accettazione di questi insegnamenti, che comprendono la piena attitudine ed adesione a quanto v’esporrò. Per questo motivo, è molto importante essere molto attenti a tutti gli insegnamenti, in particolare a quelli concernenti la trasformazione della mente, nutrendo un sincero rispetto per questi contenuti. E’ inoltre rilevante stimolare la propria acutezza mentale e l’attitudine a focalizzare questi problemi, generando un vero apprezzamento per tutto ciò, il che porta ad acquisire dei meriti.

Pertanto, raccoglietevi tutt’intorno per ricevere questi insegnamenti e per svolgere queste pratiche, chiedendo la benedizione del Buddha, del Dharma e del Sangha.

Normalmente, inizio questi insegnamenti con le pratiche di purificazione del continuo mentale.

Oggi parleremo del sutra che riguarda le qualità del Buddha, del Dharma e del Sangha. Quindi, passeremo a parlare della perfezione della saggezza, come spiegato nell’omonimo trattato di Nagarjuna.

I monaci del monastero di Ki ed i monaci della Valle dello Spiti m’hanno chiesto d’essere loro ospite. A causa dell’altitudine, ho sofferto anch’io degli stessi disturbi che hanno purtroppo colpito molti di voi. Proprio per queste ragioni, non ho potuto esaudire le preghiere di visitare i monasteri di questa meravigliosa valle: dovevo ristabilirmi per raggiungere delle condizioni fisiche almeno soddisfacenti.

Pertanto, non ho potuto visitare le numerose lamaserie della vallata. In caso contrario, non sarei probabilmente stato in grado d’iniziare questi insegnamenti. Per favore non lanciate verso di me le sciarpe bianche di seta (katà), ma consegnatele agli incaricati. Penso che, nei prossimi giorni, mi sarà davvero difficile visitare i monasteri dell’altopiano. Gli organizzatori s’aspettano ancor più partecipanti, perciò chiedo alle autorità locali di fare il possibile per venire loro incontro, perché queste persone provengono da luoghi lontanissimi ed hanno bisogno d’assistenza. Questo luogo remoto non può certo offrire dei minimi servizi essenziali. Voglio ringraziare gli organizzatori e le autorità locali per tutti gli sforzi prodotti. Ma questo non basta! Occorre prodigarsi ancora! Oggi pomeriggio, primo giorno degli insegnamenti, fa molto caldo, perciò prego gli organizzatori di distribuire bottiglie d’acqua alle migliaia di persone che sono qui ad ascoltarmi. Qui, alla base di questo terrazzo, stazionano dei medici qualificati, sono dei volontari venuti qui per voi. Non esitate a rivolgervi a loro per qualsiasi motivo. Se qualcuno non si dovesse sentire bene, venga da loro o li chiami.

Attraverso la pratica della generosità, possa io beneficiare tutti gli esseri senzienti. Inizieremo col commentare i versi di Nagarjuna per generare Bodhicitta o mente del risveglio. Il vostro ascolto dovrà basarsi sulla motivazione pura, ma anche il maestro dovrà sviluppare una altrettanto forte e pura motivazione. Il che ci spinge, da subito, a prendere innanzitutto rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, fintantoché non raggiungeremo l’illuminazione. In questo modo s’evidenzia il peculiare processo Mahayana di prendere rifugio. I prossimi versi dicono: “Attraverso la pratica della generosità, possa io beneficiare tutti gli esseri senzienti”. L’ascolto di questi insegnamenti non deve essere fatto per il proprio tornaconto personale, ma per beneficiare tutti gli esseri viventi: questa è la mente d’illuminazione.

Baseremo la nostra meditazione sui testi di Acharya Kamalashila, allievo di Shantarakshita, particolarmente gentile verso tutti gli esseri. Questo testo sugli stadi di meditazione è onnicomprensivo: include tutto. E’ un’opera particolarmente profonda.

Oggi studiamo anche le “Trentasette pratiche del Bodhishattva”, è un testo scritto da un grande studioso per generare la mente del risveglio o bodhicitta, al tempo stesso egli fu un grande praticante, un apostolo del Dharma. La ragione per cui sono stati scelti questi due testi consiste nel fatto che, se I loro contenuti vengono fatti propri, ci conducono giorno per giorno a una maggiore consapevolezza.

Queste pratiche esprimono i punti essenziali dell’insegnamento Mahayana, e, tutto ciò, è molto utile per sviluppare la comprensione degli insegnamenti globali del Buddhismo.

Le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” esprimono i precetti da seguire giorno per giorno. Ritengo molto appropriato commentare questi due testi, entrambi sugli stadi della meditazione.

SCOPRIRE LA COSCIENZA SOTTILE

Rendendo omaggio al luminoso Manjustri, il Buddha della saggezza, spiegherò la progressione degli stadi di meditazione sulla base dei sutra Mahayana.

E’ sulla base della trasformazione della nostra attitudine mentale, che riusciamo a raggiungere la felicità nel corso della nostra vita ed in quelle future.

Nonostante che solo in un domani ne potremo raccogliere i frutti, tuttavia, già in questa stessa vita potremo ottenere dei benefici immediati, grazie ai quali potremmo raggiungere la felicità attraverso le trasformazioni positive della nostra mente.

Così, quando parlo dei veicoli o Hyana, mi riferisco alle tecniche di trasformazione della mente, rappresentate dal veicolo dei Brahama, dal veicolo degli esseri umani e così via. Per veicolo, mi riferisco allo strumento atto al raggiungimento della felicità in questa stessa vita.

Per scoprire la coscienza sottile o la mente, occorre saper percepire ed individuare la profonda essenza pura degli esseri: il che conduce alla felicità profonda.

Similmente, esiste una tecnica sottile di trasformazione della mente, che ci conduce fino alla mente profonda: la più vasta. In questo processo di trasformazione della mente, si è in grado di purificare la coscienza grossolana dalle afflizioni mentali. Questo processo è in grado di condurci alla liberazione dalla sofferenza, eliminando le emozioni affliggenti: lungo il sentiero della liberazione.

Esistono due tipi diversi di mente: quella concettuale e quella non concettuale.

Alcuni tipi di mente concettuale si riferiscono agli animali.

Gli esseri umani hanno grandi capacità d’esplorare la profondità di questi insegnamenti che, a lungo termine, portano alla felicità. Gli esseri umani, quando si trovano in situazioni non desiderabili, in base alle loro capacità ed a fattori predisponenti (quali l’intelligenza e la capacità di percezione), cadono in preda della sofferenza.

Per rimuovere la sofferenza e, viceversa per raggiungere la felicità (intesa come situazione favorevole della mente), si utilizzano tecniche diverse.

LA FEDE DEVE ESSERE BASATA SU MOTIVAZIONI RAZIONALI

Quando si trovano in situazioni sfavorevoli, gli esseri umani cercano conforto nelle pratiche religiose. Per questa ragione esistono diverse tecniche e percorsi religiosi, che, quando devono affrontare situazioni di particolare importanza, cercano conforto in esseri superiori: nel Buddha e in altre entità religiose.

E’ come rifugiarsi tra le braccia della mamma, dei genitori o in chi parla al nostro cuore.

In questi casi si cerca rifugio in chi può dare affetto, un affetto vero e spontaneo: nell’affetto vero di chi ci dona conforto per risolvere questi problemi. Questo è il motivo per cui è sorta la fede religiosa.

Vi sono, tuttavia, certi tipi di fede che non sono basate su una ragione particolare, sulla razionalità.

Un punto centrale del Buddhismo, in particolare della dottrina Mahayana, è rappresentato dal fatto che la fede religiosa deve essere fondata su motivazioni razionali, la fede deve essere basata su convincimenti connessi con l’osservazione della realtà: una fede fondata sul convincimento razionale, su ragionamenti o processi logici dimostrabili. Nel Buddhismo si dice che, se si sviluppa una fede irrazionale, questa può diventare rischiosa. Pertanto, nel Buddismo, la fede dovrebbe essere basata sulla conoscenza, la quale, a sua volta, dovrebbe fondarsi sulla corretta percezione della realtà, sviluppata attraverso uno studio idoneo ed una riflessione conseguente.

Nel Buddhismo, questo processo si genera dapprima con un’analisi critica verso tutte le concezioni filosofiche e religiose, incluso il Buddhismo stesso. Ad esempio, nella nostra pratica religiosa, soprattutto nella fase iniziale, crediamo che non si debba accettare alcuna teoria senza averla posta prima in discussione. Se, dopo aver analizzato criticamente quelle posizioni, le troveremo adeguate, solo allora potremo credervi, dar loro fede. Per noi, infatti, il processo di sviluppo della fede è basato sulla razionalità. Allora, come sono quelle fedi che non si fondono su basi razionali?

Le fedi che non si basano sulla razionalità e sulla conoscenza, non le possiamo considerare tra le più elevate. Come praticante del Buddhismo debbo dire che questa è la concezione più efficace.

Si possono distinguere due aspetti nelle religioni: quello maggiormente volte a conoscere, a cambiare, a trasformare la nostra mente e quello principalmente orientate verso lo studio filosofico, indirizzato a sua volta all’ottenimento della conoscenza. V’è così una categoria finalizzata alla trasformazione della nostra mente, basata principalmente sulla pratica religiosa, ed un’altra maggiormente volta al conseguimento della conoscenza profonda dal punto di vista filosofico.

Possiamo osservare questi due aspetti perfino nei testi che stiamo studiando: le “Trentasette pratiche del Bodhishattva” sono basate sul come impegnarsi nella pratica quotidiana. Nello stadio intermedio della meditazione occorre, tuttavia, possedere le profonde conoscenze ed i valori della scuola Mahayana.

In termini di trasformazione interiore e di disciplina mentale, possiamo ammettere l’uguaglianza delle maggiori religioni (cristianesimo, giudaismo, induismo, buddhismo), perché tutte le grandi tradizioni religiose al mondo sono di gran beneficio per trasformare la mente dei loro praticanti. Ad esempio, tra i cristiani, la fede è particolarmente efficace nel trasformare la mente dei propri seguaci. Viceversa, tra i buddhisti la pratica cristiana potrebbe rivelarsi non altrettanto efficace: le diverse tradizioni religiose sono, infatti, di beneficio per differenti tipologie di persone. Qual è il fattore mentale più rilevante per la disposizione mentale d’un praticante spirituale?

In tal senso, va evidenziato che il Buddhismo è una delle pratiche più vaste e profonde, e, parlando della vastità e profondità di particolari pratiche religiose, dobbiamo riconoscere che sono tutte relazionate alla disposizione mentale dei suoi praticanti: così accade anche in particolare per il Buddhismo. Prendiamo l’esempio dell’insegnamento mahayana: esso è considerato tra le pratiche più elevate e profonde. Tuttavia questo cammino è da porre sullo stesso piano con altre pratiche buddhiste che seguono altre vie o scuole filosofiche: la ragione di ciò sta nel fatto che il Buddha non insegnò solo la scuola Mahayana, ovvero il suo punto di vista filosofico. E, per i praticanti meno acuti, è tuttavia importante comprendere la mancanza del sé della persona piuttosto che la mancanza del sé dei fenomeni.

Prendiamo un altro esempio, e facciamolo nel campo della medicina. L’utilità o meno d’un farmaco dipende dalla sua capacità d’apportare dei miglioramenti nel paziente. Solo se quella specifica medicina si dimostrerà efficace nel curare quella precisa malattia essa sarà considerata utile. Non si può certo affermare che una certa medicina è migliore di un’altra perché è più costosa. Simile a questo ragionamento è il discorso della pratica religiosa.

Penso, comunque, che apprezzate il fatto che esiste un numero infinito d’esseri senzienti diversi per disposizione mentale. Il fatto più rilevante consiste nella dimostrazione della ricaduta positiva della religione sul singolo praticante. Nel caso di voi occidentali, che siete qui numerosi ad ascoltarmi, è importante che la pratica spirituale si riveli efficace per il vostro tipo di mente: utile a rispondere ai vostri quesiti mentali. E’ inoltre rilevante seguire le tradizioni religiose del proprio paese, perché dà più stabilità.

Ad esempio, spinti dalla purezza di questi insegnamenti del Buddha, che abbiamo ereditato dai nostri padri, ci possiamo giustamente impegnare nel restauro dei templi esistenti e nella costruzione di nuovi. Faremo ciò, perché queste opere sono importanti per sviluppare la fede e per accumulare meriti.

La purezza del Dharma deve, tuttavia, essere connessa alla modifica dei nostri processi mentali e non a pratiche esteriori. Questo è il processo che deve essere intrapreso nella nostra interiorità, nella nostra mente.

Nel Buddhismo si combinano sostanzialmente due fatturi: da un lato la conoscenza e lo studio degli insegnamenti basati sui testi scritti e, dall’altro, la loro applicazione, ovvero la realizzazione dei loro contenuti tramite la pratica.

Perciò è molto importante conoscere i diversi stadi degli insegnamenti del Buddha e sviluppare la vera consapevolezza di quanto vogliono dire. Rilevo che, quel che è più importante è la trasformazione che realizziamo dentro di noi sulla base degli insegnamenti delle scritture. Questi, se condivisi, possono produrre dei cambiamenti nel nostro modo d’osservare la realtà.

LA MEDITAZIONE STABILIZZANTE

Questa è la base per la trasformazione della vostra mente, a partire dagli aspetti religiosi della pratica del Dharma. Altrimenti, se lascerete che la vostra mente continui ad essere quella di sempre, comportandosi come ha sempre fatto, senza impegnarsi in alcuna trasformazione, pur conoscendo i precetti del Dharma, senza metterli in pratica, non otterrete alcun risultato. Viceversa, se v’impegnerete di cuore a studiare e ad applicare i testi religiosi, e parlo della filosofia della trasformazione della mente e della sua pacificazione, potrete giungere alla felicità, alla pace interiore.

La pratica del Dharma non è incentrata tanto sulle preghiere al Buddha o agli esseri superiori, ma sulla visualizzazione, sulla formazione d’una nuova concezione mentale.

Ovviamente siete venuti fin qui per ricevere l’iniziazione del Kalachakra e per vedere il Dalai Lama, affrontando enormi difficoltà per raggiungere questo luogo tanto remoto.

Il che non dipende tanto dalle disponibilità esteriori. Questo cammino porta a trasformare la mente, a pacificarla: questa è la necessità di noi tutti. Questa della pace e della felicità è una necessità universale inderogabile: perché tutti noi abbiamo bisogno della tranquillità. Perciò, la strada della pratica del Dharma, se veritiera, deve portare ad una graduale trasformazione della mente, a più elevati livelli di pace e di tranquillità. Tuttavia questa trasformazione della mente non avviene automaticamente, di per sé stessa.

Dobbiamo impegnarci, prendere l’iniziativa minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno. Questa è la sostanza del nostro discorso.

I benefici della pratica del Dharma sono individuali, per questo motivo li potrete percepire solo voi.

Il termine sanscrito “Dharma” significa “sostenere”, o, meglio, “proteggere” qualcuno, impedendogli di cadere in stadi negativi d’esistenza. Pertanto, è tramite queste pratiche religiose che s’intraprende la strada della liberazione dalla sofferenza e della felicità, proteggendola dall’infelicità e dalle sue cadute.

Quando la vostra mente non è in pace, quando è alterata, ad esempio, quando si è adirati con qualcuno, quando si è stati insultati, quello è il momento in cui si è portati a commettere delle negatività: mentalmente, verbalmente, forse anche fisicamente. Quando si è risentiti verso qualcuno, lo apostroferemo in tono insolente, provocando così uno stato d’infelicità in quella persona. Viceversa, apprezzerete le persone che vi sorridono, vi compiacciono. Vi dovete rendere conto che, se assumerete questi comportamenti negativi, aumenterete la negatività che è già in voi e la stimolerete ulteriormente negli altri.

Perciò dovete far di tutto per non creare infelicità negli altri.

Seguendo infatti, nel corso della vostra vita, queste inclinazioni negative (mentali, verbali o fisiche) favorirete, non solo il continuo accumulo di aspetti sfavorevoli dentro di voi, ma anche il sorgere di negatività nella mente degli altri, di quelli che vi stanno vicino. Sul momento, il vostro atteggiamento offensivo ed arrogante potrà anche compiacervi o soddisfarvi. Ma, state certi che si tratta d’un effimera soddisfazione che, a lungo andare, vi procurerà solo conseguenze negative.

Viceversa, la felicità è un bene di cui tutti noi abbiamo necessità, che tutti vorremmo raggiungere. Per questa ragione è importante impegnarci in azioni virtuose.

Perciò la via del Dharma significa impegnarsi a fondo per trasformare la mente: solo in questo modo potremo raggiungere una felicità a lungo respiro. E’ perciò essenziale sintonizzare la nostra mente in una reale pratica del Dharma.

Dal mio punto di vista farò del mio meglio per spiegarvi questi testi, nonostante che la mia conoscenza trovi dei limiti.

Per questo motivo, cercate d’ascoltare attentamente, senza lasciarvi distrarre, impegnandovi anche a scoprire le profondità della scuola Madyamika.

In termini di trasformare e disciplinare la mente, ritengo di poter mettere tutte le tradizioni del mondo sullo stesso piano.

PROVARE DISGUSTO PER LE EMOZIONI AFFLIGGENTI

In nessun caso gli esseri umani, e neppure gli animali, vogliono la sofferenza.

E la sofferenza del cambiamento è discussa persino in alcune pratiche inferiori.

E’ importante giungere alla conoscenza ultima delle capacità distruttive della sofferenza e del fatto di vivere immersi in essa. Non appena mediterete sulla sofferenza, dovrete giungere a generare naturalmente in voi il desiderio di liberarvene. Questo perché la natura omnipervasiva della sofferenza si riferisce ad ogni livello d’esistenza.

Quando proverete un totale disgusto per le emozioni affliggenti, che sono la causa della sofferenza, allora, spontaneamente v’incamminerete sulla strada della liberazione: e la raggiungerete! E questo tipo d esercizio spirituale usiamo chiamarlo meditazione sulla RINUNCIA.

Al fine di suscitare questa sensazione di disgusto per le emozioni affliggenti, è opportuno far sorgere una certa repulsione per i limiti in cui siamo calati: in questo mondo ed ancora nelle prossime vite, ed ancora vieppiù, verso le ossessioni disturbanti in questa e delle prossime vite.

Atisha, nei “Tre stadi del sentiero”, insegnò che negli individui vi sono tre gradi d’intelligenza. E’ perciò importante praticare gradualmente e progressivamente.

Similmente s’espresse Aryadeva nei suoi “Quattrocento versi”, quando diceva: “CI SI DEVE IMPEGNARE PER BLOCCARE VELOCEMENTE LE AZIONI NON MERITORIE E L’AFFERRARSI AL SÉ, NONCHÉ LA VISIONE ERRATA DELLA REALTÀ.

Quando parliamo di liberazione, noi intendiamo il cammino che rifugge dalle emozioni che ci affliggono. Pertanto, quando c’impegniamo nella pratica del Dharma, tentiamo di sviluppare gli antidoti per eliminare le emozioni affliggenti: ovvero le azioni negative che commettiamo col nostro corpo, con le nostre parole o i nostri pensieri.

Questo lo dovremmo fare a livello iniziale; ma, a livello ulteriore, ci dovremo impegnare attivamente per eliminarle.

Ciò significa dire che, a livello iniziale, vi dovrete impegnare per difendere voi stessi da ciò che vi affligge, mentre più avanti, dovrete porre in atto gli antidoti e applicare tattiche offensive verso di loro, tentando d’eliminare completamente l’apparenza dualistica e gli errori ad essa conseguenti.

Tutto ciò è possibile solo sviluppando saggezza. Essa rappresenta la suprema qualità d’ogni aspetto positivo. Così queste tre pratiche positive rappresentano le tre esperienze da realizzare individualmente, esse sono spiegate appunto nel testo le “Trentasette pratiche del Bodhishattva”, in cui gradualmente si chiarisce come una persona come tutte le altre si cimenti per la sua liberazione nel corso della vita d’ogni giorno. Atisha dice: “Coloro che hanno visto i fenomeni nella loro profondità vedono che non hanno né inizio né fine.” Egli esprime la realtà convenzionale, individuata come quella ultima.

In termini di vedere e realizzare la realtà ultima, i fenomeni non hanno né sorgere né svanire. Si tratta dello stesso concetto spiegato nei versi sulla conoscenza del trattato sui “Fondamenti della saggezza” di Nagarjuna, in cui s’afferma: “I fenomeni non hanno nè produzione né cessazione, né sorgere né svanire”.

Nella natura del sorgere dipendente, per una mente che non esamina in questo modo, s’identifica un inizio ed una fine dei fenomeni. Ma, nella prospettiva della realizzazione ultima, non c’è né inizio né fine.

Perciò, all’inizio di questo testo, si dice che chi ha esaminato i fenomeni, e non ha individuato né il loro sorgere né il loro svanire, esprime la verità ultima. Avalokitesvara, esprimendosi in questo modo, denota d’aver realizzato la verità ultima, e, in questa prospettiva, riconosce che nei fenomeni non c’è né inizio né fine, ma, a livello convenzionale, dimostra una gran compassione verso tutti gli esseri senzienti.

Per questa ragione l’autore si rivolge ad Avalokitesvara come il supremo Lama e ne rende omaggio ai tre supremi: corpo, parola e mente.

I BUDDHA SONO LA FONTE DELLA PACE E DELLA FELICITÀ

Nel verso successivo spiega che i Buddha sono la fonte della pace e della felicità e che questi Buddha raggiungono questo stadio grazie alla pratica del Dharma supremo: “Nutro compassione verso tutti gli esseri senzienti, e offro tutta la mia devozione al supremo Lama Avalokitesvara, impersonificato nel Buddha della Compassione”. L’omaggio è espresso in sanscritto per enfatizzare la potenza, l’energia di queste parole che vengono dall’India.

Similmente disse: ”Il sé è il rifugio de sé, ed il sé è il protettore del sé”. Inoltre aggiunge: ”I Buddha non lavano le colpe degli esseri senzienti, e non possono rimuoverne le sofferenze, né possono trasferire le loro realizzazioni nella mente degli esseri senzienti, ma sono invece capaci di condurre alla liberazione gli esseri senzienti mostrando loro la realtà vera: quella ultima”.

Le benedizioni dei Buddha, da sole, non sono in grado di rimuovere la sofferenza, che nessun essere desidera.

E’ di fondamentale importanza che vi convinciate di ciò, perché, talvolta, come praticanti Buddhisti, non si dà tutta l’attenzione dovuta alla pratica individuale, ma si tende a prendere rifugio in alti e qualificati lama o in grandi maestri, nella convinzione che le loro benedizioni potranno assolverci dalle nostre colpe e purificare le nostre infelicità. Ricordatevi, tuttavia, che, comunque si esprimano questi versi, solo i Buddha sono la fonte della pace e della felicità. Questo significa che tutta la pace e la felicità che abbiamo conseguito, sono il risultato di tutte le nostre pratiche virtuose, intraprese seguendo il sentiero indicato dal Buddha. Per questo motivo sono la fonte della pace e della felicità. Questi Buddha sono il risultato della pratica del Dharma supremo. Negli stadi precedenti dell’insegnamento si spiega che il Buddha è sorto, ovvero è il risultato graduale di cause e condizioni: di pratiche di compassione, delle sei perfezioni. E’ perciò importante per noi, che vogliamo raggiungere l’illuminazione, conoscere come praticare il Dharma. Per questa ragione di Togmey Sangpo disse: ”Vi spiegherò la pratica del Bodhisattva, tuttavia, sappiate che non è sufficiente ascoltare questi insegnamenti, ma occorre praticare, per realizzarli.

Proprio per questo motivo il Buddha sottolineò i tre livelli della pratica: l’ascolto, la riflessione e la meditazione. E’ molto difficile trovare la vera grandezza dell’impegno di liberare noi stessi e gli altri dall’oceano della sofferenza.

Ora dovremmo ascoltare, riflettere e meditare giorno e notte sulla pratica del Bodhisattva, senza lasciarci distrarre. Per poterci impegnare nelle pratiche è importante sapere come praticare, e, per sapere ciò, dobbiamo ascoltare gli insegnamenti, dovremo essere costantemente attenti nell’ascolto e farne oggetto di riflessione. La migliore predisposizione all’ascolto di questi insegnamenti, consiste nel pensare all’immenso beneficio ottenuto con la rinascita umana. Se foste nati come esseri animali, o in altri reami, non sarebbe stato possibile venire in contatto con queste pratiche. Così il Bodhishattva Togmey Sangpo dice che: ”Dal momento in cui abbiamo ottenuto questa preziosa natura umana, dotata di questa intelligenza meravigliosa, è importante non sprecare questa vita umana ma impegnarci nelle pratiche”.

Noi desideriamo la salvezza degli esseri, rifuggiamo dalla sofferenza: è questo un risultato della nostra capacità di comprensione degli esseri.

La nostra mente non è concentrata solo sulla vita attuale, e su ciò che accade in questo momento, ma lo è anche sul nostro futuro a lungo termine.

Noi abbiamo la capacità di fare progetti sul nostro futuro, il che è una caratteristica delle capacità intellettive umane. Quel che è importante è usare in modo corretto l’intelligenza umana, perché in questo modo possiamo guidare la nostra mente sulla strada che produce pace e felicità.

E, grazie all’intelligenza, ci possiamo dedicare a pratiche vaste e profonde, possiamo dirigere gli esseri umani verso la giusta direzione, il che potrà risultare molto costruttivo.

Se, viceversa, dirigeremo l’intelligenza umana nella direzione sbagliata, non potremo risollevare la nostra esistenza, a quel punto, anzi, sarebbe stato forse meglio non aver ottenuto questa vita umana.

Quando dico che dobbiamo impegnarci nelle pratiche, senza lasciarci distrarre, intendo sottolineare l’evidenza di evitare di pensare di poter cambiare la nostra mente semplicemente ascoltando un insegnamento, oppure di dedicarsi alle pratiche del Dharma solo nei giorni liberi da insegnamenti.

Altrimenti, si finisce per ricorrere al Dharma solo nei momenti del bisogno, vale a dire in quelli in cui si ha più problemi e non quando, liberi da affanni, si è apparentemente sereni.

Nell’atmosfera del tempio, ad esempio, si può sentire la sensazione di non avere problemi. Possiamo avere la medesima sensazione anche nel momento in cui siamo impegnati nella recitazione di preghiere. Finche siamo intenti alla preghiera non avvertiremo i problemi, ma, all’uscita dal tempio, o alla fine della recitazione delle preghiere, vi troverete faccia a faccia coni vostri problemi.

In quel momento avrete maggiormente bisogno di pratiche sincere del Dharma, a meno che non riuscite a fare in modo che le vostre pratiche siano efficaci anche dopo la sessione, dopo aver finito di recitare le preghiere.

La necessità di dedicarsi proficuamente alle pratiche, senza distrarsi, significa che, per riuscire a modificare la mente, non è sufficiente decidere di seguire un insegnamento, o una serie d’insegnamenti. Dicendo: ”Oggi mi dedico a quest’insegnamento”. La spiegazione di ciò è subito detta: non appena sarà terminata la sessione d’insegnamento, se non si avrà un’idea precisa di come fare le pratiche di Dharma, tutto sarà vanificato. Abbiamo infatti bisogno di praticare continuativamente il Dharma, non solo nel momento in cui ascoltiamo un insegnamento. Per esempio, nel momento in cui visitiamo un tempio potremo non essere afflitti da molti pensieri disturbanti. Non è quello il momento in cui la pratica del Dharma è realmente necessaria, perché ci troviamo in un ambiente protetto. Potremo avvertire una sensazione simile nel momento in cui recitiamo una preghiera. Ma, subito dopo la visita del tempio o appena terminata la recitazione della preghiera, potremmo trovarci subissati da intensi problemi o emozioni disturbanti. Sono quelli i momenti in cui avete bisogno d’una vera pratica del Dharma.

MANTENERE SEMPRE LA PRESENZA MENTALE

Nonostante il fatto che possiamo aver acquisito delle capacità di condurre avanti le nostre pratiche di Dharma, non appena terminata la sessione di meditazione, potremmo ricadere negli stessi problemi.

Perché?

è chiarissimo che dipende dal fatto che siamo ripiombati nel nostro stato ordinario che contraddistingue la nostra natura contingente. Perciò, è importante praticare con perseveranza, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, giorno e notte. Ciò significa dover essere sempre presenti con la nostra mente, ricordandosi d’essere un seguace di Buddha, d’essere un praticante di Buddha, soprattutto quando affrontiamo momenti sfavorevoli, evitando di far sorgere in noi qualsiasi attaccamento, perché foriero d’emozioni disturbanti. Proprio in questi momenti occorre dedicarsi alle pratiche di Dharma, alla meditazione e alle sessioni post meditative, visualizzando i fulcri della pratica meditativa.

In ogni momento in cui sentite sorgere l’attaccamento o un atteggiamento ostile verso gli altri, proprio in quel momento dovete ricondurre la vostra mente alle pratiche del Dharma.

Anche in sogno, se riuscirete a mantenere stabilmente la vostra consapevolezza, sarete capaci di rendervi conto che state sviluppando attaccamento e, come contromisura, sarete capaci di ricordarvi gli insegnamenti del Buddha e d’avere la volontà di metterli in pratica. Se, per una settimana, riuscirete a praticare con successo il Dharma, vi renderete allora conto che potrete farlo anche in quella successiva. In questo modo i frutti della pratica conseguiti nella settimana precedente vi stimoleranno a continuare in quella successiva.

Per questo stesso motivo potrebbe darsi che, per la vostra adesione sincera al Dharma, la vostra vita subisca dei cambiamenti sostanziali: nella prima parte della vostra vita potreste anche essere una persona orribile, mentre nella seconda parte potreste diventare un meraviglioso praticante, una persona positiva.

Questo sarebbe il frutto d’una pratica continuativa ininterrotta, giorno dopo giorno, anno dopo anno. La vostra pratica non sarebbe né efficace, né coerente se fosse solo il frutto d’un cambiamento esteriore.

Per questo motivo il Bodhisattva Tome Sangpo dice che “si deve ascoltare, pensare e meditare giorno e notte”, e che questa è la pratica del Bodhisattva. Per prima cosa occorre ascoltare correttamente gli insegnamenti e le istruzioni: non solo e tanto per un beneficio personale, ma per sviluppare la saggezza, la comprensione profonda della verità.

REALIZZARE LA SAGGEZZA CHE SVILUPPA LA RIFLESSIONE

Occorrerà focalizzare e raffrontare nella nostra mente i diversi punti dell’insegnamento, concordando, identificandosi ed assimilando i momenti fondamentali del cammino. In questo modo svilupperete un convincimento, da cui ne scaturirà la fede. Questa è ciò che chiamiamo la saggezza che sviluppa la riflessione. E’ un po’ quel che avviene nell’ascolto durante un classico corso scolastico: dapprima ascoltate l’insegnante, poi, riflettendo, penserete che quel che avete ascoltato corrisponde a verità.

Ad esempio: facendo degli esperimenti di laboratorio, studiando la chimica, otterrete da quell’esperienza la conferma dell’esattezza delle formule studiate. Allo stesso modo avviene nel momento in cui meditiamo sui convincimenti ottenuti tramite la saggezza dell’ascolto e della riflessione, per conseguire la saggezza che si sviluppa attraverso la riflessione ed il pensiero.

A questo punto, è importante approfondire i nostri convincimenti con riflessioni personali. Se non svilupperete le vostre capacità d’approfondimento, fondate sull’osservazione e l’esemplificazione delle istruzioni ricevute, basandovi sugli insegnamenti di Buddha, il vostro sforzo non si dimostrerà sufficientemente efficace per la trasformazione personale, e non potrete accorgervi della natura distruggente delle emozioni che vi affliggono. In questo modo inizierete a basare la vostra fede, non solo su quanto v’è stato trasmesso negli insegnamenti, ma anche, e soprattutto, sull’esperienza che inizierete ad accumulare.

Seguendo questo procedimento, ad un certo punto, vi direte: ”Oh, come sarebbe bello ottenere queste qualità meravigliose!”. Così s’incrementerà il vostro interesse per questi insegnamenti che vi portano ad una profonda riflessione: mostrerete sempre più interesse per ciò che desiderate, che volete, verso la situazione agognata. Perciò, è molto importante focalizzare la propria mente sull’oggetto verso cui avete raggiunto un sufficiente senso d’apprezzamento e di familiarizzazione, e sul quale indirizzare la propria riflessione.

All’inizio potrete trovare una gran difficoltà a concentrare la vostra mente sull’oggetto di meditazione. Ad esempio, quando meditate sulla compassione, nelle fasi iniziali vi potrebbe accadere d’avvertire la vostra mente distante. Gradualmente, quando iniziate ad percepire in voi le desiderabili qualità che derivano dalla pratica della compassione, sorgerà in voi l’ardente aspirazione d’ottenerle.

Vi sono diversi livelli d’esperienza della compassione: all’inizio proverete una sensazione fertile, fantasiosa, basata sulla convinzione che, se vi sforzerete maggiormente, sarete in grado di farla vostra, d’attuarla, di realizzare la compassione insomma.

Più avanti, continuando queste pratiche, svilupperete quella che noi chiamiamo esperienza acquisita.

Attraverso ripetute pratiche mentali, potete rendervi conto delle trasformazioni che subentrano in voi, raffrontando lo stato attuale della vostra mente con quello di qualche giorno prima. In questo modo v’accorgerete con i vostri occhi dei cambiamenti che stanno subentrando in voi. In tal modo ci avviamo a parlare di benefici duraturi, a lungo termine.

Tuttavia, se la vostra mente non è disciplinata, continuerete sempre a mentire a voi stessi ed al vostro prossimo!

Possiamo riconoscere tre tipologie di persone:

!) coloro che credono in una concezione religiosa;

2) coloro che considerano la religione come un veleno;

3) coloro che sono indifferenti, ovvero che non rifiutano né accettano la religione.

Punto unificante tra coloro che accettano o non condividono una religione è il fatto che entrambi desiderano raggiungere uno stato di felicità. Chi si sente meglio? Chi è più felice? Chi abbraccia, o chi non abbraccia, una religione? Coloro che non praticano alcuna religione, non esitano a dire menzogne, a calunniare, a parlar male degli altri, ad ingannarli: non hanno rispetto dei valori della verità e dell’onestà.

Tuttavia, l’inclinazione degli esseri senzienti non va in quest’ultimo senso, ma in quello d’apprezzare l’onestà e la verità. Persino un corvo, o un cane, capiscono se state loro offrendo del cibo con fare aperto e sincero. E reagiranno di conseguenza: accettando e apprezzando quel cibo.

Viceversa, se mentre offrite del cibo terrete un bastone nascosto dietro la schiena, persino un cane o un corvo s’accorgeranno dell’insincerità delle vostre intenzioni, e non accetteranno il cibo: in definitiva, non vi daranno fiducia. Nemmeno agli animali piace essere ingannati, né amano la disonestà. Anzi, sono i primi a rendersi conto se il vostro atteggiamento è sincero.

Sarete comunque contenti d’ogni rapporto da cui ne scaturirà una fiducia reciproca.

NEI RAPPORTI CON GLI ALTRI, VI DOVRETE RENDERE CONTO CHE NON SIETE VOI, MA GLI ALTRI, AD ESSERE AL PRIMO POSTO, AD ESSERE PIÙ IMPORTANTI.

Perciò, facendo un raffronto tra quelli che seguono e quelli che non seguono una pratica religiosa, vi renderete conto che i primi sono più contenti, vivono più felici. Un ulteriore modo di pensare in modo erroneo, consiste nel fatto di credere che quanti più beni materiali si possiedono, tanto più si sarà anche felici.

Ma è chiaro che non è vero! In qualsiasi società possiamo trovare delle persone per nulla infelici nonostante che non siano affatto ricche!

Persino tra i tibetani v’è attualmente una grande spinta, uno spiccato desiderio d’emigrare negli USA, nella convinzione di trovare un gran felicità nel Nuovo Mondo, grazie all’accumulazione di prosperità materiale.

A coloro che pensano solo al benessere materiale, e lo ritengono come unica fonte di felicità, possiamo chiedere: ”Tutto ciò vi rende interiormente felici?”

L’infelicità della mente non può essere rimossa da mezzi materiali, da congegni o strumenti derivanti dalla tecnica, né dal denaro. La pratica religiosa rappresenta l’unica fonte della felicità. E’ convinzione dominante lasciarsi andare a credere che la prosperità materiale sia apportatrice di maggior appagamento, di felicità.

Il comportamento tradizionale della società tibetana, trova origine da una lunga consuetudine, da un’antica familiarità, ma, in alcuni casi, non da una profonda pratica di meditazione.

Nei paesi materialmente sviluppati, quelli del benessere economico, s’incontra un livello sottile di sofferenza: la sofferenza interiore. Solo a quel punto le persone si rendono conto che la felicità della mente non dipende dall’accumulo di beni materiali, ma dal mutamento della loro visione mentale, dalla trasformazione della prospettiva della loro mente. Questo farà sì di riconoscere come distorte ed errate tutte le convinzioni fondate sull’ottenimento della felicità grazie all’accumulo di beni materiali.

Per questi motivi dobbiamo attivamente impegnarci a proteggere sistematicamente la nostra corretta percezione, sviluppando queste tre saggezze: la saggezza dell’ascolto, del pensiero e della meditazione.

Più v’impegnerete nell’analisi e nella verifica della realtà, tanto più profonda e vasta sarà la prospettiva mentale che otterrete. Adottando queste tecniche, sarete capaci di rendervi conto della mancanza di valore delle cose materiali, altrimenti le vostre pratiche non risulteranno efficaci ad innescare e ad alimentare il processo di trasformazione della mente, ad ottenere la visione profonda.

E’, pertanto, già un risultato apprezzabile, quello d’ottenere le doti d’ascoltare, di riflettere e di meditare, al punto di riuscire a far affievolire: da un lato il proprio attaccamento verso i nostri amici, parenti, genitori e figli e, dall’altro, l’aggressività verso i nostri nemici. A quel punto, sia il nostro attaccamento verso le persone care, sia la rabbia verso i nostri nemici, ci scivoleranno via come l’acqua dai tetti. Otterremo anche il merito d’evitare d’essere in preda alla rabbia verso i nostri avversari, e, da questa risultarne inceneriti, nello stesso modo in cui siamo ustionati dal fuoco. Dovremo anche rinunciare all’attaccamento per la nostra terra natale. Altrimenti, la mancanza di consapevolezza nella nostra vita quotidiana, a causa dell’ignoranza, c’impedirà di distinguere ciò cui dobbiamo rinunciare, da ciò che dobbiamo far nostro, che dobbiamo sviluppare ed incrementare.

SEPARIAMOCI DAI NOSTRI OGGETTI

Dobbiamo perciò essere sempre consapevoli d’evitare di farci guidare proprio dall’attaccamento e dalla rabbia. Viceversa, dovremo sviluppare la presenza mentale che ci ricorda costantemente i benefici e le qualità sviluppate dall’aver abbandonato la nostra terra natale. Separandoci dai nostri oggetti, le nostre emozioni affliggenti gradualmente vanno affievolendosi. Esse non eserciteranno più, su di noi, il loro potere distruttivo. La loro perdita non ci lascerà smarriti. Anzi, se supereremo con consapevolezza la loro privazione, ne risulterà incrementata la pratica religiosa, facendoci accumulare meriti e virtù, sviluppando intelligenza ed una vera convinzione nel Dharma.

Perciò vi renderete conto di quanto rappresenta una pratica del Bodhishattva la scelta di vivere in meditazione in un luogo isolato. Conducendo una vita improntata alla consapevolezza, alla presenza mentale, sarete molto attenti, molto rigorosi nel domandarvi, ogni momento, cosa state facendo e cosa v’accingete a fare.

Quando parlo di vivere in luoghi solitari, non intendo tanto di trascorrere il tempo in isolamento fisico, ma mi riferisco principalmente alla scelta d’una situazione di distacco mentale, connesso alla consapevolezza della mente ed alla sua continua presenza.

Se paragonerete i benefici derivanti dal benessere fisico rispetto a quello mentale, vi renderete subito conto che quest’ultimo è senz’altro più importante. Alle stesse conclusioni giungerete se confronterete la sofferenza fisica con quella mentale. In base alla vostra esperienza, troverete che la sofferenza della mente, rispetto a quella del vostro organismo, è più pesante da sopportare, è più dolorosa.

Sono soprattutto le emozioni affliggenti a causare dolore e sofferenza. Facciamo l’esempio della situazione in cui ci troviamo in questo momento. Qui, a causa delle scomodità che dovete sopportare, molti di voi non si sentono a loro agio. Il vostro stato fisico potrebbe risentirne: potreste sentire mal di testa o altri disturbi ancora. Ora, tuttavia, dal momento che la vostra mente è concentrata altrove, non fate tanta attenzione al disagio fisico. Nello stesso modo, se avrete sufficientemente assimilato il Dharma e avrete ottenuto la percezione del samsara, nel momento in cui sarete ammalati affronterete la malattia come un fenomeno naturale, come lo sviluppo naturale delle cose del samsara. Il risultato sarà di non sentirci affatto depressi o infelici. “Oggi ho incontrato questa sofferenza fisica – diremo – e, attraverso essa, possa io purificarmi a beneficio di tutti gli esseri senzienti”.

Pur essendo colpiti da un male fisico, non ne sarete afflitti mentalmente, e, nello stesso tempo, avrete a vostra disposizione gli strumenti per poter agevolare la vostra guarigione.

Sono soprattutto le emozioni affliggenti a causare dolore e sofferenza. E’ pertanto importante essere abili al punto tale di poter identificare chiaramente, al loro primo apparire, le emozioni affliggenti e le conseguenze in cui ci facciamo trascinare.

Dobbiamo giungere al punto di poter capire i diversi tipi d’emozioni affliggenti, la loro natura: in questa prospettiva troverete negli insegnamenti del Buddha dei chiari particolari sulla loro natura, e sulle contromisure, gli antidoti da porre in atto per eliminarle.

Forse, è solo con la pratica del Buddhismo che si diventa capaci di riconoscere le emozioni affliggenti come la fonte della sofferenza, e a possedere gli strumenti per eliminarle.

Il Buddha poté conseguire il suo stato grazie all’accumulazione di meriti, per infiniti eoni.

Su questa base il Buddha c’insegnò a meditare sulla compassione, sulla saggezza e sulla realtà ultima, sulla vacuità, sulla bodhicitta, sul desiderio che tutti gli esseri senzienti possano ottenere l’illuminazione. Il Buddha diede tutti questi insegnamenti a tutti gli esseri, basandosi sulla propria esperienza e sulla propria conoscenza. All’interno del Buddhismo ci sono diversi veicoli o cammini spirituali: il veicolo Mahayana, il Teravada, quello del Bodhisattva, e così via.

Ma la loro essenza, comune a tutti quanti, sta nella pratica della bodhicitta, persino nel caso in cui, all’inizio, si fosse incapaci di praticare lungo la strada o il cammino della realtà ultima.

Il Buddha disse che tutte le situazione sono transitorie e che tutte le condizioni sono permeate dalla sofferenza, che tutti i fenomeni sono privi d’un sé o d’una loro esistenza intrinseca, che sono vuoti e che il Nirvana è la pace.

Se non riuscirete a praticare la bodhicitta, CERCATE ALMENO DI NON DANNEGGIARE GLI ALTRI ESSERI SENZIENTI, anzi, se vi è possibile, aiutateli.

PER QUESTA RAGIONE, NEI MIEI INSEGNAMENTI, DICO SEMPRE CHE IL MESSAGGIO DEL BUDDHA PUÒ ESSERE SINTETIZZATO IN DUE PUNTI: LA VISIONE E L’ETICA, IL COMPORTAMENTO.

Parlando di questo ultimo punto, dovremo realizzare una condotta che non danneggi gli altri esseri senzienti, adottando la visione che identifica ogni cosa, ogni fenomeno come interdipendente. Quando qui parlo d’adottare una condotta non violenta, non intendo dire che le nostre azioni debbano essere semplicemente prive di violenza. Sono, anzi, del parere che la pratica della non violenza debba fondarsi sulla professione d’una attiva compassione. Dico, ad esempio, che, nel momento in cui vediamo la mano, l’essere, la persona che colpisce, dobbiamo provare nei suoi confronti una gran compassione. Quando parliamo della visione del sorgere dipendente, mi riferisco al fatto che, fin dall’inizio dei suoi insegnamenti, il Buddha parlò delle quattro nobili verità, del rapporto tra cause e condizioni e il Buddha non disse ai suoi seguaci di mostrare rispetto nei suoi confronti, ma parlò loro della sofferenza, della sua origine, e come praticare, come eliminare la sofferenza attraverso la sua conoscenza, solo allora si potranno gettare le basi per la sua eliminazione. Dovrete meditare sulla sua cessazione e sulla visualizzazione del sentiero. Persino laddove l’origine della sofferenza dev’essere eliminata, non v’è nulla da eliminare, persino laddove occorre realizzare la sua cessazione, non c’è nulla da realizzare, persino laddove il vero sentiero dev’essere meditato, non v’è nulla da meditare.

Ciò significa che, dal punto di vista del senso ultimo, non c’è sofferenza alcuna da eliminare. In breve, egli spiegò la filosofia che identifica ogni cosa saldamente interconnessa, correlata l’una all’altra, da cause e condizioni.

Questa è la visione del Buddha, la visione dell’origine interdipendente, della natura interconnessa d’ogni fenomeno, in questa cosmologia, ogni cosa, ogni evento, sorge in dipendenza da cause e condizioni.

LA NATURA SOTTILE DELL’ORIGINE INTERDIPENDENTE

Questa visione filosofica è molto rilevante anche dal moderno punto di vista scientifico, specialmente quando parliamo delle natura sottile dell’origine interdipendente, una visione condivisa dalla scienza.

Fondamentalmente, quest’insegnamento sull’origine interdipendente, è molto connesso con le leggi della natura, con quegli stessi processi studiati dagli scienziati.

Dal punto di vista della ricerca scientifica, si è tuttora tesi ad investigarne gli aspetti esterni, non quelli profondi, quelli interiori.

Per esempio, anche ad un livello quasi banale, come quando proviamo un semplice mal di testa, avvertiremo del dolore, una sofferenza: ma essa non sorgerà da una sola causa, da un solo movente.

Le avversità che incontriamo sono collegate, ma non dipendono da una sola causa, bensì da tante: così, anche il banale mal di testa dipenderà da cause esterne. Oltre, beninteso, a quelle esterne, potranno interagire delle cause interne, dipendenti dalla vostra mente. E’ dalla molteplicità delle cause e condizioni, interne ed esterne, che si sviluppa la rabbia nell’ambito d’una persona. Quando sorge la rabbia, noi tendiamo ad identificarne la causa scatenante in fattori esterni, ma, se riflettete, troverete alla sua origine una molteplicità di cause e di condizioni

– Se non saprete come aiutare gli altri, dovrete almeno astenervi dal far loro del male.

Il nostro problema consiste nel fatto che siamo incapaci di vedere, di riconoscere questa gamma di cause e di condizioni, che contribuisce a far sorgere in noi le emozioni disturbanti.

Perché succede?

La ragione sta nel fatto che tendiamo ad identificare tutto come frutto d’una esistenza indipendente, e siamo incapaci di riconoscere la molteplicità delle cause e delle condizioni. E’ per quest’attaccamento agli oggetti, è perché li identifichiamo come aventi un’esistenza indipendente, che sviluppiamo un poderoso attaccamento per un certo oggetto, per una persona, o, viceversa generiamo una forte rabbia verso quell’oggetto o quella persona.

Perciò, nel Buddhismo, quando parliamo di pratica della non violenza, non intendiamo l’assenza di violenza, ma la pratica dell’attiva compassione, il che significa sviluppare un forte senso di responsabilità nei confronti degli altri esseri senzienti, un profondo desiderio di beneficiare gli altri esseri senzienti,

Se non saprete come aiutare gli altri, dovrete almeno astenervi dal far loro del male. Perciò i fenomeni sorgono dalla molteplicità di cause e di condizioni, non originano da cause perenni, immutabili

Dobbiamo essere invece sostenuti dalla pratica delle sei perfezioni, dalla bodhicitta basata sulla compassione, sulla gentilezza amorevole, sulla visione della vacuità.

Per poter coltivare queste qualità, dovremo correttamente identificarne la natura, sviluppandone i suoi aspetti differenti, punto per punto.

Per conseguire questa mente occorre generare un forte desiderio d’ottenere l’illuminazione.

Articolo pubblicato su DHARMA, Numero 16, febbraio 2004.