Messaggio di Sua Santità il Dalai Lama al Congresso mondiale buddista

Messaggio di Sua Santità il Dalai Lama al Congresso mondiale buddista New Delhi 28 novembre 2011

Messaggio di Sua Santità il Dalai Lama al Congresso mondiale buddista New Delhi 28 novembre 2011

Nuova Delhi, 27-30.11.2011, Messaggio di Sua Santità il Dalai Lama al Congresso mondiale buddista, 28 novembre 2011

l 29 novembre 1956, in occasione del 2.500° anniversario del Parinirvana del Buddha, ho avuto l’opportunità di incontrare qui a New Delhi i leader buddisti indiani ed i rappresentanti di molti paesi. A quel tempo offrii un resoconto dettagliato dello sviluppo storico del Buddhismo in Tibet e dell’esclusivo rapporto fra India e Tibet. Da allora il mondo, compresi l’India ed il Tibet, è stato testimone di molti cambiamenti, come pure le tradizioni buddiste in diversi paesi.

Fino agli ultimi cinquant’anni o giù di lì, le diverse comunità del mondo buddista avevano solo un lontano sentore della reciproca esistenza e poco apprezzamento di quanto avessero in comune. Poiché l’insegnamento del Buddha si è radicato in luoghi diversi, alcune variazioni nello stile in cui è stato praticato e sostenuto si sono evoluti naturalmente. Infatti, il Buddha in diversi tempi diede insegnamenti diversi a seconda delle predisposizioni dei suoi discepoli. Ciò che distingue la nostra situazione attuale è che quasi l’intera gamma di tradizioni buddiste che si sono evoluti in terre differenti è ora accessibile a chiunque sia interessato. Inoltre, i praticanti e gli studiosi di queste diverse tradizioni buddhiste possono incontrarsi ed apprendere l’uno dall’altro.

Shakyamuni Buddha raggiunse l’illuminazione a Bodhgaya circa 2.600 anni fa, ma credo che i suoi insegnamenti rimangono freschi ed attuali. Mosso da una preoccupazione spontaneo d’aiutare gli altri, seguendo la sua illuminazione, il Buddha trascorse il resto della sua vita come un monaco senza dimora, condividendo la sua esperienza con coloro che lo volevano ascoltare. Sia dalla sua visione del sorgere dipendente e dal suo consiglio di non danneggiare nessuno, ma di aiutare chiunque, emerge chiaramente la pratica della non-violenza. Questa rimane una delle forze più potenti per il bene nel mondo d’oggi, dal momento che la non violenza deve essere al servizio degli altri.

La rinuncia di Siddhartha, la sua scelta di vivere una vita senza fissa dimora, simboleggia la pratica dell’addestramento nella morale, i suoi sei anni di ascesi simboleggiano l’addestramento alla concentrazione ed il suo raggiungimento dell’illuminazione attraverso la pratica della saggezza sotto l’albero della Bodhi rappresenta l’importanza di coltivare la saggezza. Il ruolo di questa triplice formazione nella vita del Buddha mette in luce quanto questa sia importante nella nostra pratica quotidiana. Per poter svolgere queste pratiche, dobbiamo studiare gli insegnamenti del Buddha contenute nel Tripitaka.

In un mondo sempre più interdipendente, il nostro benessere e felicità dipendono da molte persone. Gli altri esseri umani hanno diritto alla pace ed alla felicità, il che è uguale al nostro, quindi abbiamo la responsabilità di aiutare chi è nel bisogno. Oggi, in un nuovo millennio, il nostro mondo ci impone di accettare l’unità dell’umanità. Molti dei problemi e conflitti del nostro mondo nascono perché abbiamo perso di vista l’umanità di base che ci lega tutti insieme come una famiglia umana. Ci dimentichiamo che, nonostante le differenze superficiali tra di noi, le persone sono uguali nel loro desiderio di base per la pace e la felicità. Parte della pratica buddista comporta la formazione della nostra mente attraverso la meditazione. Ma il nostro addestramento nel calmare la mente, nello sviluppo di qualità come l’amore, la compassione, la generosità e la pazienza, per essere efficace, deve indurci a mettere tutto ciò in pratica giorno per giorno. Anche se il nostro mondo continua a svilupparsi materialmente, è sempre più necessario un analogo progresso dei nostri valori interiori. Il 20 ° secolo fu un secolo di guerre e violenze, ora abbiamo tutti bisogno di lavorare per vedere che il 21° sia un secolo di pace e di dialogo. Noi buddisti possono contribuire a questo, imparando da altre tradizioni religiose e condividendo con loro le qualità che contraddistinguono la nostra tradizione.

C’è grande enfasi alla pratica dell’amore e compassione nell’insegnamento del Buddha, come negli insegnamenti di altre tradizioni spirituali, ma è importante riconoscere che la compassione e l’amore sono fondamentali per le relazioni tra gli esseri senzienti: degli esseri generale ed umani in particolare. Credo che noi non dovremmo più parlare di etica buddista, indù, cristiana o musulmana, perché questi valori sono universali.

Il Buddismo non spiega l’importanza di valori come l’onestà e l’integrità in un modo diverso dal cristianesimo o l’islam o qualsiasi altra tradizione religiosa. Pertanto, negli ultimi anni, ho trovato più opportuno parlare della necessità di promuovere ciò che chiamo l’etica laica. Mi riferisco a questi valori come ad un etica laica, perché credere in una religione o in un’altra o non credere affatto, non influenza la nostra sete di questi valori. Il fondamento di base dell’umanità è la compassione e l’amore. Ecco perché quando delle persone semplicemente provano a generare la pace mentale e la felicità dentro di sé e ad agire responsabilmente e gentilmente di cuore verso gli altri, avranno un’influenza positiva nella loro comunità. Credo che il buddismo ha un particolare ruolo da svolgere nel nostro mondo moderno. Perché, a differenza di altre tradizioni religiose, il buddismo propone in modo univoco il concetto di interdipendenza, che si accorda in stretto contatto con nozioni fondamentali della scienza moderna. Possiamo pensare al Buddismo in termini di tre categorie principali: filosofia, scienza e religione.

La parte religiosa comporta principi e pratiche che devono interessare i soli buddisti, ma la filosofia buddista dell’interdipendenza e la scienza buddhista della mente e delle emozioni umane sono di grande beneficio per tutti. Come sappiamo, la scienza moderna ha sviluppato una comprensione sofisticata del mondo fisico, compreso il funzionamento sottile del corpo e del cervello. D’altra parte la scienza buddista, si è dedicata in prima persona allo sviluppo della comprensione dettagliata di molti aspetti della mente e delle emozioni, aree ancora relativamente nuove per la scienza moderna. Ognuno ha quindi la conoscenza fondamentale con cui integrare le altre. Credo che una sintesi di questi due approcci abbia una grande potenzialità di portare a scoperte che arricchiranno il nostro benessere fisico, emotivo e sociale.

Anche se la tradizione contemplativa buddista e la scienza moderna si sono evolute da diverse radici storiche, intellettuali e culturali, credo che in fondo condividano interessi significativi, specialmente nella loro prospettiva filosofica di base e metodologica. Sul piano filosofico, sia il buddismo che la scienza moderna condividono l’assenza d’assoluto, sia descritto come un essere trascendente, come un eterno, un’entità immutabile o come il substrato fondamentale della realtà. Sia il buddismo che la scienza preferiscono spiegare l’evoluzione e la nascita del cosmo e della vita in termini di interrelazioni complesse delle leggi naturali di causa ed effetto. Dal punto di vista metodologico, entrambe sottolineano il ruolo dell’empirismo. Per esempio, nella tradizione investigativa buddista, tra le tre fonti riconosciute di conoscenza – esperienza, ragione e testimonianza – è l’evidenza dell’esperienza che ha la precedenza, seguita dalla ragione e, per ultima, dalla testimonianza. Ciò significa che nell’indagine buddista della realtà, almeno in linea di principio, l’evidenza empirica dovrebbe trionfare sulla autorità della scrittura, non importa quanto profondamente venerata una scrittura possa essere. Anche nel caso di conoscenze derivate dalla ragione o inferenziali, la loro validità deve derivare in ultima analisi, da alcuni fatti osservati dall’esperienza.

Il motivo principale alla base dell’indagine buddista della realtà è il tentativo di superare la sofferenza e di perfezionare la condizione umana, per cui la tradizione buddista investigativa è stata principalmente rivolta verso la comprensione della mente umana e delle sue varie funzioni. Il nostro obiettivo di cercare modi di trasformare i nostri pensieri, le emozioni e le loro propensioni di fondo, dipende dalla ricerca d’un modo più sano ed appagante del vivere. Quindi, un vero e proprio scambio tra la conoscenza e l’esperienza accumulata dal buddismo e la scienza moderna può essere profondamente interessante e pure potenzialmente benefica.

Nella mia esperienza, mi sono sentito profondamente arricchito dalle conversazioni con neuroscienziati e psicologi su questioni quali la natura e il ruolo delle emozioni positive e negative, l’attenzione, le immagini, come pure la plasticità del cervello. Sono grato ai numerosi eminenti scienziati coi quali ho avuto il privilegio di impegnarmi in dialoghi che sono continuati nel corso degli anni attraverso gli auspici del Mind and Life Institute, che ha avviato conferenze annuali che hanno avuto inizio nel 1987 presso la mia residenza a Dharamsala, in India.

Naturalmente, per molte persone la loro forma di pratica religiosa è la migliore. Per me sento che il Buddismo è la migliore. Ma questo non vuol dire che il Buddismo sia meglio per tutti. Ciò che diventa importante, è ciò che è adatto per una determinata persona o gruppo di persone. La religione, per la maggior parte di noi, dipende dal nostro background familiare e da dove siamo nati e cresciuti. Penso che di solito è meglio non cambiare la situazione. Tuttavia, più ci capiamo, più possiamo imparare gli uni dagli altri.

Dichiarando il mio rispetto per tutte le fedi religiose, non sostengo il tentativo di unificare le nostre diverse tradizioni. Credo fermamente che abbiamo bisogno di diverse tradizioni religiose per soddisfare i bisogni e le disposizioni mentali della grande varietà degli esseri umani. Tutte le grandi tradizioni religiose sono volte al miglioramento dell’umanità: è la loro principale preoccupazione e tutte recano un messaggio simile. Quando le vediamo come strumenti essenziali per lo sviluppo di buone qualità umane come la compassione, la tolleranza, il perdono e l’autodisciplina, possiamo apprezzare ciò che hanno in comune.

Sono convinto che l’ostacolo più importante per l’armonia interreligiosa è la mancanza di contatti tra comunità di diversa fede e, di conseguenza, la mancanza di apprezzamento del loro valore reciproco. Tuttavia, nel mondo sempre più complesso ed interdipendente di oggi, dobbiamo riconoscere l’esistenza di altre culture, diverse etnie, e, naturalmente, altre fedi religiose. Che ci piaccia o no, la maggior parte di noi sperimenta questa diversità su base giornaliera.

Anche tra le varie tradizioni buddhiste che sono cresciute in tempi e luoghi diversi, ci sono coloro che considerano come fonte la raccolta delle scritture tramandate in pali mentre altri hanno come punto di riferimento la tradizione sanscrita. Credo che sia giunto il momento di comunicare liberamente tra questi, quelli della tradizione Pali dialoghino con quelli della tradizione sanscrita. Dopo tutto, tutti i nostri diversi rami provengono dallo stesso tronco e radici comuni. Come monaco buddista tibetano, anche oggi mi considero un allievo della tradizione di Nalanda. Il modo in cui è stato insegnato il buddismo e lo si è studiato alla Università di Nalanda rappresenta l’apice del suo sviluppo in India. Se vogliamo essere buddisti del 21° secolo, è importante che ci impegniamo nello studio ed analisi degli insegnamenti del Buddha, come tanti l’hanno fatto, invece di fare mero affidamento sulla fede.

Pertanto, lo studio e la pratica degli insegnamenti del Buddha è necessario per preservarli e per promuoverli. Al tempo del Buddha il Sangha svolse un ruolo fondamentale in questo senso e sono felice che la tradizione continui ancora oggi. Di conseguenza, è importante per i membri della comunità monastica rispettare i loro voti per sostenere la purezza del Dharma di Buddha.

Nel passato, data la natura dei differenti background in cui il Buddha Dharma fiorì nelle nostre diverse società, non ci furono molte opportunità per i buddisti di riunirsi e discutere questioni di interesse comune. Questo congresso ha offerto un’ottima opportunità, davvero necessaria e cruciale. Ora e in futuro abbiamo bisogno di incoraggiare e favorire lo scambio di conoscenze ed esperienze tra le nostre diverse tradizioni e migliorare le comunicazioni tra di noi. Spero che questa sarà la prima di molte di queste occasioni che ci permetterà di favorire una migliore comprensione e contribuire più efficacemente alla felicità umana ed alla pace della mente in tutto il mondo. In occasione del 2600° anniversario del conseguimento dell’illuminazione del Buddha a Bodhgaya, porgo i miei saluti a questa eminente Congresso mondiale buddista.

25 Nov 2011

Message of His Holiness the Dalai Lama to the Global Buddhist Congregation, New Delhi, November 27 – 30, 2011

November 28th 2011

On 29th November 1956, on the occasion of the 2500th anniversary of the Buddha’s Parinirvana, I had the opportunity to meet Indian leaders and Buddhist representatives from many countries here in New Delhi. At that time I gave a detailed account of the historical development of Buddhism in Tibet and the unique Indo-Tibetan relationship. Since then the world, including India and Tibet, has witnessed many changes and so have the Buddhist traditions in different countries.

Until the last fifty years or so, the world’s diverse Buddhist communities had only a distant inkling of each other’s existence and little appreciation of how much they held in common. As the Buddha’s teaching took root in different places, certain variations in the style in which it was practised and upheld evolved naturally. Indeed, the Buddha himself gave different teachings according to the predispositions of his disciples at different times. What distinguishes our contemporary situation is that almost the entire array of Buddhist traditions that evolved in different lands is now accessible to anyone who is interested. What’s more, those of us who study and practise these various Buddhist traditions can now meet and learn from one another.

Shakyamuni Buddha attained enlightenment in Bodhgaya about 2600 years ago, yet I believe his teachings remain refreshing and relevant today. Moved by a spontaneous concern to help others, following his enlightenment the Buddha spent the rest of his life as a homeless monk, sharing his experience with those who wished to listen. Both his view of dependent arising and his advice not to harm anyone, but to help whoever you can, emphasize the practice of non-violence. This remains one of the most potent forces for good in the world today, for non-violence is to be of service to our fellow beings.

Siddhartha’s renunciation – his choosing to live the homeless life – symbolises the practice of the training in morality; his six-year asceticism symbolises the training in concentration; and his attainment of enlightenment through the practice of wisdom under the Bodhi tree represents the importance of the cultivation of wisdom. The role of these threefold trainings in the Buddha’s life highlights their importance in our daily practice. To be able to carry out these practices, we have to study the Buddha’s teachings contained in the Tripitaka.

In an increasingly interdependent world our own welfare and happiness depend on many other people. Other human beings have a right to peace and happiness that is equal to our own; therefore we have a responsibility to help those in need. Today, in a new millennium, our world requires us to accept the oneness of humanity. Many of our world’s problems and conflicts arise because we have lost sight of the basic humanity that binds us all together as a human family. We forget that despite the superficial differences between us, people are equal in their basic wish for peace and happiness. Part of Buddhist practice involves training our minds through meditation. But if our training in calming our minds, developing qualities like love, compassion, generosity and patience, is to be effective, we must put them into practice in our day-to-day life.Even as our world continues to develop materially, there is increasing need for similar progress in our sense of inner values. The 20th century was a century of war and violence; now we all need to work to see that the 21st is a century of peace and dialogue. We Buddhists can contribute to this by learning from the world’s other religious traditions and sharing with them the distinctive qualities of our own tradition.

There is great emphasis on the practice of love and compassion in the Buddha’s teaching, as in the teachings of other spiritual traditions, but it is important to recognise that compassion and love are fundamental to relations between sentient beings in general and human beings in particular. I believe that we should no longer talk about Buddhist ethics, Hindu, Christian or Muslim ethics, because these values are universal. Buddhism does not explain the virtue of values such as honesty and integrity in a way that is different from how Christianity or Islam or any other religious tradition explains them. Therefore, in recent years, I have found it more appropriate to talk about the need to foster what I call secular ethics. I refer to these values as secular ethics because believing in one religion or another or not believing in one at all does not affect our need for them. The basic foundation of humanity is compassion and love. This is why, if even a few individuals simply try to create mental peace and happiness within themselves and act responsibly and kind-heartedly towards others, they will have a positive influence in their community.I believe Buddhism does have a special role to play in our modern world. This is because, unlike other religious traditions, Buddhism uniquely propounds the concept of interdependence, which accords closely with fundamental notions of modern science.

We can think of Buddhism in terms of three main categories – philosophy, science and religion. The religious part involves principles and practices that are of concern to Buddhists alone, but the Buddhist philosophy of interdependence as well as the Buddhist science of mind and human emotions are of great benefit to everyone. As we know, modern science has developed a highly sophisticated understanding of the physical world, including the subtle workings of the body and the brain. Buddhist science on the other hand, has devoted itself to developing a detailed, first-person understanding of many aspects of the mind and emotions, areas still relatively new to modern science. Each therefore has crucial knowledge with which to complement the other. I believe that a synthesis of these two approaches has great potential to lead to discoveries that will enrich our physical, emotional and social well-being. Although Buddhist contemplative tradition and modern science have evolved from different historical, intellectual and cultural roots, I believe that at heart they share significant interests in common, especially in their basic philosophical outlook and methodology. On the philosophical level, both Buddhism and modern science share the same view on the absence of absolutes, whether described as a transcendent being, as an eternal, unchanging entity, or as a fundamental substratum of reality. Both Buddhism and science prefer to account for the evolution and emergence of the cosmos and life in terms of the complex interrelations of the natural laws of cause and effect. From the methodological perspective, both traditions emphasize the role of empiricism.

For example, in the Buddhist investigative tradition, among the three recognized sources of knowledge – experience, reason and testimony – it is the evidence of the experience that takes precedence, with reason coming second and testimony last. This means that in the Buddhist investigation of reality, at least in principle, empirical evidence should triumph over scriptural authority, no matter how deeply venerated a scripture may be. Even in the case of knowledge derived through reason or inference, its validity must derive ultimately from some observed facts of experience.

The primary motive underlying the Buddhist investigation of reality is the quest to overcome suffering and perfect the human condition; therefore the Buddhist investigative tradition has been primarily directed towards understanding the human mind and its various functions. Our aim in seeking ways of transforming our thoughts, emotions and their underlying propensities is to find a more wholesome and fulfilling way of living. So a genuine exchange between the cumulative knowledge and experience of Buddhism and modern science can be deeply interesting and potentially beneficial as well.

In my own experience, I have felt deeply enriched by engaging in conversations with neuroscientists and psychologists on such questions as the nature and role of positive and negative emotions, attention, imagery, as well the plasticity of the brain. I am grateful to the numerous eminent scientists with whom I have had the privilege of engaging in dialogues that have continued over the years through the auspices of the Mind and Life Institute, which initiated annual conferences that began in 1987 at my residence in Dharamsala, India.

Of course, most people feel their own form of religious practice is the best. I myself feel that Buddhism is best for me. But this does not mean that Buddhism is best for everyone.  What is important is what is suitable for a particular person or group of people. Religion, for most of us, depends on our family background and where we were born and grew up. I think it is usually better not to change that. However, the more we understand each other’s ways, the more we can learn from each other.

By declaring my respect for all religious faiths, I do not advocate attempting to unify our various traditions. I firmly believe we need different religious traditions to meet the needs and mental dispositions of the great variety of human beings. All the major religious traditions make the betterment of humanity their main concern and all of them carry a similar message. When we view them as essential instruments for developing good human qualities such as compassion, tolerance, forgiveness and self-discipline, we can appreciate what they have in common.

I am convinced that the most significant obstacle to inter-religious harmony is the lack of contact between different faith communities and consequently, the lack of appreciation of their mutual value. However, in today’s increasingly complex and interdependent world, we have to acknowledge the existence of other cultures, different ethnic groups, and, of course, other religious faiths. Whether we like it or not, most of us now experience this diversity on a daily basis.

Even amongst the various Buddhist traditions that have come about in different times and places, there are those who look to the collection of scriptures preserved in Pali as their source and those who look to the Sanskrit tradition. I believe that time has now come to communicate freely with one another, those in the Pali tradition engaging in dialogue with those in the Sanskrit tradition. After all, all our different branches come from the same common trunk and roots. As a Tibetan Buddhist monk, even today I consider myself a student of the Nalanda tradition. The way Buddhism was taught and studied at Nalanda University represents the zenith of its development in India. If we are to be 21st century Buddhists it is important that we engage in the study and analysis of the Buddha’s teachings, as so many did then, instead of simply relying on faith.

Therefore, the study and practice of the Buddha’s teachings is necessary to preserve and promote them. The Sangha played a pivotal role in this during the Buddha’s time, and I am happy that the tradition continues to this day. Consequently, it is important for members of the monastic community to abide by their vows to sustain the purity of the Buddha Dharma.

In the past, given the nature of the different backgrounds under which the Buddha Dharma flourished in our different societies, there have not been many opportunities for Buddhists to come together and to discuss issues of common concern. This congregation has provided a much needed crucial opportunity. Now and in the future we need to encourage and foster an exchange of knowledge and experience among our different traditions and improve communications amongst us. I hope this will be the first of many such occasions that will enable us to foster better understanding and contribute more effectively to human happiness and peace of mind throughout the world. On the occasion of the 2.600th anniversary of the Buddha’s attainment of enlightenment in Bodhgaya, I offer my greetings to this eminent Global Buddhist Congregation.

http://www.dalailama.com/news/post/767-message-of-his-holiness-the-dalai-lama-to-the-global-buddhist-congregation-new-delhi-november-27—30-2011