1 – Insegnamenti, preliminari all’Iniziazione al Kalachakra per la Pace nel Mondo, conferiti da Sua Santità il 14° Dalai Lama a Bodhgaya, Bihar, India, nel dicembre 1974 su “Le Trentasette Pratiche del Bodhisattva” di Ngulchu Thogme Zangpo. Appunti e traduzione del Dott. Luciano Villa al Centro Studi Tibetani “Sangye Cioe Ling” Sondrio (il cui nome è stato conferito da Sua Santità il Dalai Lama), nell’ambito del Progetto Free Dalai Lama’s Teachings per il benessere di tutti gli esseri senzienti.
Sua Santità il Dalai Lama
1 – S.S. Dalai Lama Insegnamenti su “Le 37 Pratiche del Bodhisattva, vedi https://www.sangye.it/altro/?p=134, Kalachakra, Bodhi Gaya 1974.
Sua Santità il 14° Dalai Lama.
Voglio darvi alcune spiegazioni in materia di Dharma, e più in particolare, di Dharma Mahayana, ed i preparativi necessari per l’iniziazione. Sarò breve, ma spero di dare un insegnamento fecondo che vi piacerà. Non siete stanchi, e nemmeno io lo sono. Quindi siamo tutti noi in ottime condizioni per parlare di Dharma.
Ci sono molte regole del Vinaya (regole per i monaci) riguardanti il modo fisico in cui il Dharma dovrebbe essere ascoltato: ci si deve sedere nella posizione giusta, essere a capo scoperto davanti al guru, i monaci dovrebbero avere la loro spalla destra scoperta, e così via. Ma tutte queste regole scompaiono quando le persone sono malate. Noi non siamo malati, ma questo sole molto caldo potrebbe rappresentare un problema e farvi ammalare. Quindi, per il momento, cerchiamo di abolire tutte queste regole, e lasciare che tutti quelli che hanno l’ombrello lo aprano, i monaci si coprano il capo con un lembo della loro veste, od un fazzoletto bianco: qualcosa di bianco è un’ottima protezione contro il sole caldo. Ci sono grandi guru che hanno il potere di cambiare gli elementi, ma io non ho questo potere, quindi vi chiedo di prendervi cura di voi stessi.
Iniziamo recitando il Sutra del Cuore della Prajnaparamita, seguito da una breve preghiera a Manjushri, il grande mandala per la nostra richiesta per l’insegnamento. Poi prenderemo un breve rifugio, alla fine del quale, si cambia una sola frase: invece di dire “possiamo, per la pratica delle paramita, ecc, raggiungere la buddhità il più rapidamente possibile per il bene di tutti gli esseri senzienti” direte “possiamo, ascoltando questo insegnamento”, mentre io dico “posso, dando questo insegnamento.” Dopo di che si dicono le frasi di apertura della preghiera di bodhicitta. La nostra motivazione, che vi voglio illustrare in dettaglio più avanti, in questo momento deve essere forte, sarà quindi: per raggiungere la buddhità per il bene di tutti gli esseri e di offrire tutti i nostri meriti per questo scopo. Alla fine si battono le mani tre volte, questo è un promemoria per purificare le nostre menti e di sbarazzarsi delle interferenze. Non battete le mani più di tre volte, non è come alla fine di un intrattenimento o come se si applaude un personaggio famoso!
Avete percorso una lunga strada per essere qui, venite da vari paesi, e spesso con molta difficoltà e problemi. Nonostante gli scioperi, siete riusciti a venire in molti, e non è stato facile arrivare fin qui. E non siete venuti qui con l’intenzione di andare ad una festa, ad un intrattenimento, o per fare un buon affare o per qualsiasi gloria personale. Siete venuti qui per ascoltare il Dharma, più precisamente il Dharma Mahayana, per ricevere un iniziazione tantrica, in particolare quella di Anuttarayoga, e tra queste, quella di Kalachakra. Per alcune persone completamente samsariche, questo può sembrare strano e anche comico. Non importa … Anche se non siamo venuti con una motivazione perfetta, questo è già qualcosa di molto grande, l’obiettivo è eccellente.
Chiunque siamo, di razza bianca, gialla o scura, qualunque sia la nostra posizione sociale, ed anche tutti gli animali, fino al più piccolo insetto, tutti abbiamo la sensazione di possedere un “me”, un “sè”. Anche se non si capisce la natura del “me”, sappiamo tutti che cosa questo “me” vuole: evitare la sofferenza ed ottenere la felicità. Ci sono diversi gradi di sofferenza, estremamente varie, che vanno dalla più piccola preoccupazione, ad alcuni tipi di dolore intollerabile e duraturo. Ce ne sono d’innumerevoli tipi, ma qualunque essi siano, cerchiamo di proteggerci da loro. Anche gli animali fanno allo stesso modo, perciò, in questo senso, sono esattamente come noi. Solo che loro non hanno alcun metodo per farlo. Non fanno piani in anticipo né programmi in prospettiva. Essi cercano di fare del loro meglio per evitare le sofferenze del momento e di prendere il piacere istantaneo. Non vanno al di là di questo. Pertanto, anche se la base della nostra motivazione, al fine di evitare sofferenze e d’ottenere la felicità, è esattamente la stessa, i nostri mezzi per evitarla od ottenerla sono, nel nostro caso umano, maggiori. I gradi di sofferenza sono infiniti, da un semplice mal di testa alla tortura, per citare solo il dolore fisico, mentre la felicità che desideriamo si presenta in altrettanti aspetti differenti. Ma la loro base è la stessa: la ricerca della felicità, l’abbandono della sofferenza. Solo i mezzi variano. Poi vogliamo esaltare ciò che chiamiamo “me.” Vogliamo la felicità per la “mia” famiglia, “i miei amici”, il “mio” paese.
Ciò che noi chiamiamo felicità e sofferenza assumono significati più profondi, più ampi. Dopo la semplice soddisfazione delle necessità più immediate, il concetto di “felicità” cresce in modo complesso, i mezzi per ottenerla si moltiplicano, e si espandono anche i livelli della felicità. La creazione del linguaggio, la scrittura, i diversi sistemi educativi e sociali, le capacità commerciali, le fabbriche, i progressi della medicina, la creazione di scuole, ospedali, derivano tutti da questa base semplice ed unica: ottenere la felicità, evitando le sofferenze. Tutta la vita del mondo è completamente impegnata in questa ricerca sostanziale. Le scuole filosofiche cercano di risolvere le questioni sollevate da questa ricerca: perché abbiamo questa nostra natura? Qual’è la struttura del mondo, ed altre ancora. Esse cercano la vera causa di questa felicità e della sofferenza, e cercano una spiegazione ed una soluzione di principio. Lo fanno tramite le più svariate vie, e procedono a seconda che il loro ragionamento sia giusto o sbagliato. E’ anche in risposta a questa ricerca che le filosofie hanno assunto una impostazione sistematica a livello sociale e politico.
Il comunismo, per esempio, sostiene che si raggiunge la felicità e si giunge ad eliminare la sofferenza tramite un sistema egualitario, dove la “preponderanza di una classe sociale,” la maggioranza che sfrutta la minoranza, cesserà di esistere. Anche le religioni vogliono risolvere questo eterno problema, utilizzando approcci differenti, e spiegandone le cause. Perciò queste si possono dividere in “dottrinali”, coloro che cercano una risposta in principi generali e causali, e “non-dottrinali”, coloro che cercano una soluzione pratica a livello materiale. In questo senso l’insegnamento del Buddha è dottrinale.
Troviamo che la sofferenza del corpo viene spesso dalla mente. E, laddove il dolore fisico è il medesimo, una mente calma e felice soffrirà molto meno di una mente agitata ed inquieta. Scopriamo anche che molte persone che possiedono grandi ricchezze, godono di un enorme benessere materiale, sono depresse, ansiose ed infelici, mentre altre, la cui la vita è piena di difficoltà, hanno una mente felice, si sentono in pace con se stessi e danno l’impressione di grande serenità.
Qualcuno, la cui mente è equilibrata, aperta, lucida, che prevede come comportarsi in caso di difficoltà, rimarrà in pace, anche se ha problemi molto gravi, ma sa come affrontarli e superarli. Considerando che una mente agitata ed inquieta, limitata e non concentrata, sarà completamente perdente di fronte al minimo incidente imprevisto.
Tutto questo dimostra che la mente è molto più importante del corpo. Quindi, se lo stato della nostra mente ci permette di sopportare o anche di sentire molto di più o molto di meno la nostra sofferenza fisica, dovremmo attribuire grande importanza al nostro modo di pensare.
La “preparazione” della nostra mente è quindi estremamente importante. E la pratica dell’insegnamento del Buddha, il Dharma, è la nostra preparazione eccellente.
Seguite il nostro esempio, quello del popolo tibetano.
Ho notato, e molte persone mi hanno dato ragione, che, nonostante i problemi e le difficoltà della loro situazione, i tibetani nel complesso, naturalmente ci sono delle eccezioni, rimangono sorridenti, equilibrati e di buon umore, e piacevoli da incontrare. Il loro comportamento è di solito molto corretto. Nei giorni scorsi ho dato molte udienze a tibetani provenienti da molti luoghi: Nepal, Bhutan, Sikkim. Essi mi hanno confermato questa impressione.
E’ abbastanza certo che questo atteggiamento è un “frutto” del Dharma. Non tutti i tibetani capiscono il Dharma correttamente, alcuni lo praticano poco o non correttamente. Ma il nostro Paese ne è stato così a lungo impregnato, tanto da influire in modo determinante sul nostro modo di vivere e di pensare, al punto che, nonostante la loro scarsa conoscenza, i tibetani ne hanno sperimentato l’influenza, ed un buon numero l’hanno praticato, e praticato completamente.
Ma, se questo positivo atteggiamento dei tibetani, che li aiuta a sopportare le perdite che hanno subito (famiglia, ricchezze, il paese) è una conseguenza dei meriti accumulati attraverso la pratica del Dharma, si può anche prendere in considerazione l’ipotesi che le nostre attuali difficoltà derivano anche da una mancanza di meriti. Questa situazione del Tibet non è senza speranza. Sono profondamente convinto che, tutto in samsara è soggetto alle oscillazioni del pendolo: alti e bassi. Ora siamo al punto più basso della curva, sono convinto che saliremo di nuovo. Cerchiamo di aiutarlo a farlo praticando il Dharma, accumulando una notevole quantità di meriti.
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