7 – S.S. Dalai Lama Insegnamenti su “Le 37 Pratiche del Bodhisattva, Kalachakra, Bodhi Gaya 1974

Sua Santità il 14° Dalai Lama: Se possiamo, dobbiamo vivere in solitudine, se non ci è possibile, in un monastero, vivendo così in un modo giusto, del quale possiamo rallegrarci noi stessi e gli altri, il che è molto positivo.

Sua Santità il 14° Dalai Lama: Se possiamo, dobbiamo vivere in solitudine, se non ci è possibile, in un monastero, vivendo così in un modo giusto, del quale possiamo rallegrarci noi stessi e gli altri, il che è molto positivo.

7 – Insegnamenti, preliminari all’Iniziazione al Kalachakra per la Pace nel Mondo, conferiti da Sua Santità il 14° Dalai Lama a Bodhgaya, Bihar, India, nel dicembre 1974 su “Le Trentasette Pratiche del Bodhisattva” di Ngulchu Thogme Zangpo. Appunti e traduzione del Dott. Luciano Villa al Centro Studi Tibetani “Sangye Cioe Ling” Sondrio (il cui nome è stato conferito da Sua Santità il Dalai Lama), nell’ambito del Progetto Free Dalai Lama’s Teachings per il benessere di tutti gli esseri senzienti. Continua da qui https://www.sangye.it/wordpress2/?p=5072

Sua Santità il Dalai Lama: La terza pratica del bodhisattva.

Attraverso l’abbandono le avverse delusioni circostanti gradualmente svaniscono, e poiché non ci sono distrazioni, la pratica virtuosa si sviluppa naturalmente, ed avendo una mente molto chiara la nostra certezza nel Dharma crescerà. Perciò abita in solitudine: questa è la pratica del bodhisattva.

Rinunciare al vostro paese non è sufficiente. Noi tibetani abbiamo lasciato il nostro paese malvolentieri. Siamo esuli ora, ma se avessimo trovato casa in una città frenetica, non sarebbe stato un bene. Tutto Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre l’attaccamento e le delusioni. Nella vita “occupata” sorgeranno di nuovo sempre più attaccamenti. Quindi dobbiamo cercare la solitudine, dotata delle molte qualità espresse nel Bodhicaryavatara.

Quindi, se si vive in solitudine, non possono sorgere nè coinvolgimenti in affari, né preoccupazioni meschine. Non c’è nessuno con cui perdere tempo in chiacchiere, i nostri unici amici sono gli animali, forse non in India, anche se qui ci sono dei bellissimi uccelli, senza altri oggetti che fanno scaturire l’attaccamento o l’odio, nessun altro per distrarci, e, con un pizzico di fortuna ci sarà pure aria buona e pulita ed acqua pura.

Senza distrazioni o coinvolgimenti, il pensiero interiore e della contemplazione sorge spontaneo. Dalla mattina alla sera dovremmo solo meditare e praticare. Tale solitudine è molto necessaria, tutti i grandi guru, al fine di praticare il Dharma, hanno fatto questo percorso e vissuto in un tale ambiente. All’interno di questa breve vita, dobbiamo tenere a mente che un giorno andremo in solitudine a praticare il Dharma “alzando la bandiera vittoriosa della meditazione.”

Quando la mente si sviluppa in modo sempre più chiaro, crescerà la nostra più ferma realizzazione del Dharma. Limitarsi semplicemente a “digerire” le offerte di laici, solo a mangiare ed non fare nulla per purificarci, è molto pericoloso. Ma quando si vive in solitudine, non ci sono tali offerte, non c’è un problema di “digestione”. Questo aiuta la nostra mente a diventare più chiara. Essere impegnati con offerte e richieste diverse può essere un male. Se le nostre menti sono senza macchia questo sarà meglio per praticare il Dharma. Quando un meditatore solitario torna nella società per un paio di giorni, egli fa notare la grande differenza di atmosfera. Nella solitudine non ci sono ostacoli, i nostri pensieri non sono infangati dalla moltitudine. Quindi, ritirarsi in solitudine con tali qualità è una pratica del bodhisattva.

Nella vita del monastero è molto importante la giusta risposta spirituale alle offerte. Se qualcuno fa una grande offerta e gli si mostra più rispetto che al nostro guru, questo è sbagliato. Sopratutto nei grandi monasteri bisogna stare molto attenti in queste cose. Una volta ottenuta l’ordinazione, il dovere di un monaco è quello di guardare a tutti i Buddha del passato ed ai grandi guru. Poi, si deve rinunciare ai guadagni mondani ed ai risultati, lotta con l’illusione. E’ allora che si diventa un vero monaco. Altrimenti il cambiamento esteriore, come un nuovo nome, fa poca differenza. Grande attenzione deve essere posta agli oggetti del mondo, i messaggeri di Mara.

Un monaco dovrebbe volare via come un corvo, senza lasciare nulla, non come alcuni monaci che hanno bisogno di tre facchini quando si muovono!

Una volta che un monastero è costruito, deve essere usato correttamente, Così un monaco dovrebbe rimanere semplice e in possesso di pochi oggetti. I tibetani in generale sono in circostanze particolari e si trovano nella necessità di avere abbastanza. Ma un monaco deve avere il minimo. Che una comunità disponga di risorse va bene, ma devono essere necessarie per sostenere tutti. Quando una comunità intende raccogliere denaro dovrebbe essere prudente sulle sue attività di raccolta fondi. Ci sarà chi si opporrà, non vedendo la conclusione del processo e darà con la motivazione sbagliata. Le persone non devono essere premute, e dovrebbero essere accettati solo donazioni fatte volentieri. I templi, gli stupa ed i monasteri non dovrebbero beneficiare di contributi dati con riluttanza.

Un grande guru voleva andare dal Tibet in India. Il suo amico gli disse: “Non c’è bisogno di andare in India. È tutto dentro di te.

Dobbiamo prendere la via di mezzo. Quando i tibetani erano in Assam, eravamo quasi in un estremo negativo, ora, che le strutture sono meglio, il desiderio di costruire cresce. Il Monastero di Drepung, per esempio, è stato avviato per motivi di studio, non solo per raccogliere le offerte. Il suo complemento per 7.700 monaci aveva lo scopo di consentire a più persone di studiare il Dharma, non solo per fornire servizi di catering o di occupare molti gabinetti! Questa era l’intenzione iniziale; dobbiamo rimanere fedeli ad essa. Una volta che il monastero è stato costruito, lo si dovrebbe usare appropriatamente, per portare la Buddhità agli altri esseri senzienti. Quando sono stati costruiti tutti i monasteri in Bhutan, Sikkim e Lhadakh, le persone hanno sempre avuto un’alta opinione dei monasteri, e talvolta avevano ragione e, a volte, torto. Ora i punti di vista sono cambiati. Prima, se la sabbia e l’oro erano mescolati, la gente era tollerante. I tempi ora sono diversi, perciò i monaci devono stare attenti, altrimenti il Dharma può essere danneggiato. Non sto interferendo con gli affari degli altri, ma essendo una persona religiosa, dò questo consiglio: Quando insegniamo agli altri, dobbiamo vivere secondo i nostri principi. Quindi, se chi insegna è più attaccato agli oggetti del mondo più che a quelli spirituali, come può insegnare agli altri?

Sua Santità il Dalai Lama

Il Buddha ci ha detto che, se insegniamo, dobbiamo praticarne il significato. Quindi, tutte le persone religiose devono essere molto attente. Se si può vivere lì correttamente, il monastero è prezioso, un campo di meriti, ed aiuterà l’intero Dharma; il monacato è necessario per questo. Così laici e monaci devono aiutarsi, ed, in relazione tra loro, i laici aiutare i monaci ed i monaci possono dare l’insegnamento del Dharma, l’istruzione o qualsiasi altra cosa. Non solo per la vita futura, ma tutto il possibile per questa vita. Così ci sarà un buon rapporto. Quindi, se possiamo, dobbiamo vivere in solitudine, se non ci è possibile, in un monastero, vivendo così in un modo giusto, del quale possiamo rallegrarci noi stessi e gli altri, il che è molto positivo.

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