5 – S.S. Dalai Lama: Il Buddismo, la via della ragione.

Sua Santità il Dalai Lama: Sulla base della visione del sorgere dipendente in quanto cause ed effetti, il Buddhismo spiega tutto il processo evolutivo della sofferenza e quello della sua rimozione.

5 – Sua Santità il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso: Il Buddismo, la via della ragione.

Insegnamenti conferiti a Dharamsala, India, da Sua Santità il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso per il “CioTrul Du Cen”, il Giorno dei Miracoli, 5 marzo 2015. Quinta parte.

Sua Santità il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso

Si sostiene che un separato e distinto dagli aggregati non esiste, ovvero il sé è vuoto di esistere in quel modo (la vacuità è il terzo attributo della Prima Nobile Verità). Credo che si possano differenziare gli ultimi due attributi (vacuità ed assenza di un ) in questo modo: il primo si rifà alla vacuità di un sè separato e distinto dagli aggregati, la cui natura è diversa da questi ultimi, come sostenuto dalle scuola filosofiche non buddhista, un sè permanente, unitario e indipendente.

La mancanza o assenza di un sé si può invece interpretare in connessione con la credenza innata nel sé. (La credenza in un sé all’interno/tra gli aggregati, avente la loro stessa natura; mentre quella acquisita intellettualmente è la credenza in un sé separato o distinto dagli aggregati e avente una natura diversa da loro, come sostenuto dalle scuole non buddiste.) In alcuni testi si parla della mancanza di esistenza di un sè autosufficiente, sostanzialmente esistente la cui natura è uguale a quella degli aggregati, ecco che qui il quarto attributo allude all’assenza di un tale sè.

Se invece interpretassimo questi quattro attributi alla luce della visione filosofica della scuola Madhyamaka, allora, per quanto riguarda i primi due attributi (impermanenza e sofferenza), non ci sarebbe differenza, mentre invece per gli ultimi due, vacuità sarebbe da interpretarsi come la mancanza di esistenza grossolana del sè e assenza del sé come mancanza di esistenza sottile del sé.

Ritornando al concetto di ignoranza, come causa di questi aggregati psico-fisici contaminati, illustrazione della sofferenza omnipervadente composita e base per sperimentare i primi due tipi di sofferenza: essa è un modo di comprendere scorretto, è una mente errata. Ecco che questa comprensione va ora applicata ai quattro attributi della seconda nobile verità dell’origine della sofferenza:

  1. causa,

  2. origine,

  3. forte produzione e

  4. condizione.

Il venerabile Asanga (nel suo “Compendio di conoscenza”) elucida tre tipi di caratteristiche della causa: quella di non essere pianificata, di essere impermanente e di essere efficace. In altre parole, si può dire che i fenomeni non sono prodotti da un progetto, un’intenzione di un dio creatore che precede la loro creazione ma sono prodotti da cause e queste cause non sono permanenti, ma sono soggette a continuo cambiamento; inoltre le cause devono avere la potenzialità di produrre un certo risultato e perciò si parla di cause efficaci.

I quattro attributi sono quindi: ‘causa’, come descritto sopra, e poi ‘origine’, nel senso che la causa è, a sua volta, prodotta; ‘forte o ampia produzione’, in questo contesto, parlando dei nostri aggregati psico-fisici, si riferisce al fatto che l’ignoranza, che causa questa nostra rinascita, produce i rimanenti undici anelli dell’origine dipendente in senso evolutivo.

(Dall’ignoranza, che è il primo anello, seguono:

2 karma di composizione,

3 coscienza,

4 nome e forma,

5 sei sorgenti sensoriali (vista, udito, odorato, gusto, tatto, mente),

6 contatto,

7 sensazione,

8 desiderio,

9 attaccamento o bramosia,

10 divenire o potenzialità di esistenza,

11 nascita ed, infine,

12 vecchiaia e morte.)

Benché nessuno desideri la sofferenza, il prendere continue rinascite caratterizzate dalla sofferenza è dovuto alla presenza dell’ignoranza nella nostra mente. Questa ignoranza causa il karma di composizione e così via; ma senza l’ottavo e il nono, i fattori attivanti di bramosia e appropriazione (Anche tradotti come desiderio e bramosia. S.S. ha spiegato in altre sedi che il primo (ottavo anello) si riferisce al desiderio per le sensazioni, ovvero il desiderio di non essere separati dalle sensazioni di piacere e di essere separati dalle sensazioni di dolore; mentre il secondo (nono anello) si riferisce al desiderio per gli oggetti.), non avviene la rinascita. Questi due sono identificati con ‘condizione‘, il quarto attributo della seconda nobile verità dell’origine.

Abbiamo identificato l’ignoranza come un modo scorretto di comprendere la natura dei fenomeni, ma evidentemente è naturale che ne esista anche l’opposto, una mente che comprende il vero modo di esistere dei fenomeni. La realtà, o il vero modo di esistere dei fenomeni, è realizzato da una mente che identifica la natura dei fenomeni in modo diametralmente opposto a quello dell’ignoranza e che ha inoltre la capacità di opporsi e di smentirla completamente. C’è quindi un modo di eliminare l’ignoranza e di conseguenza la cessazione della sofferenza è possibile.

Generando la saggezza che realizza i fenomeni in modo corretto, attualizzeremo la cessazione che ha quattro attributi:

  1. cessazione,

  2. pacificazione,

  3. eccellenza e

  4. emergenza definitiva.

È possibile porre fine alla sofferenza perché la causa che la produce è l’ignoranza, ovvero una mente che non conosce correttamente. Dal momento che esiste una mente che non conosce, esiste anche il suo opposto, una mente che conosce. La mente che conosce non è solo l’opposto di una mente che non conosce ma, a differenza di quest’ultima, è sostenuta da ragioni valide, può essere provata con la logica. Al contrario, quando si cerca di convalidare con la logica la mente che conosce erroneamente, si fallisce miseramente perché essa non è basata su ragioni valide.

Una ulteriore ragione per l’esistenza della possibilità di attualizzare la cessazione è che la natura della mente è quella di essere chiara e di conoscere. Abbinando queste due ragioni giungeremo ad un saldo convincimento sull’esistenza della cessazione, cioè la graduale ma completa pacificazione o estinzione delle vere sofferenze e delle loro cause, sulla base della generazione degli antidoti.

Le vere cessazioni sono state caratterizzate dalle buone qualità di essere separati dalle sofferenze e dalle loro cause, a partire dagli aspetti più grossolani. Non solo sono ‘pacificazione’ ma anche ‘eccellenza’ nel senso di essere di beneficio. Questi stati eccellenti sono ottenuti dopo che le sofferenze e le loro cause sono state abbandonate attraverso l’uso degli antidoti ed in un modo tale che non si ripresenteranno più. Perciò si parla di ‘emergenza definitiva‘.

Una tale cessazione è l’oggetto da attualizzare, l’obiettivo da raggiungere e abbiamo sviluppato la convinzione che sia possibile perché, anche se le sofferenze sono molto complesse, la loro causa è l’ignoranza ed esiste un antidoto efficace per eliminarla. Questa mancanza di conoscenza non è insita nella natura della mente perché, se così fosse, ogni qualvolta una mente viene generata dovrebbe avere la natura dell’ignoranza e la mente che conosce non avrebbe mai l’occasione per di sorgere.

Lo stesso vale per le altre afflizioni. Se, per esempio, l’odio fosse intrinseco nella mente, l’amore e la compassione non potrebbero mai venir generati. Tutti noi umani, e anche gli animali, a volte generiamo amore e a volte rabbia. La natura fondamentale della mente di essere chiara e di conoscere, non ha nè la natura dell’amore nè quella della rabbia, ma è piuttosto neutra e, attraverso l’associarsi con altre attitudini, diventa una mente dominata dall’odio o dall’amore e così via. Quindi, la nostra mente a volta è controllata dall’ignoranza, ma, altre volte, dalla conoscenza.

Si tratta quindi di eliminare gradualmente gli aspetti mentali ignoranti con un processo simile a quello, per esempio, dell’apprendimento dell’alfabeto. Quando la persona completamente analfabeta impara A, la prima lettera dell’alfabeto, l’ignoranza della lettera A è eliminata e, al suo posto, sorge la conoscenza della lettera A, e così di seguito per tutte le altre lettere; ogniqualvolta una conoscenza viene acquisita, essa elimina la corrispondente ignoranza.

Avendo posto come nostro obiettivo la cessazione, il sentiero o metodo che la consegue è detto la “verità del sentiero“, e la sua natura non è mancanza di conoscenza, ma si tratta invece di una mente che conosce la natura dei fenomeni esattamente com’è; perciò si parla di ‘sentiero‘ e di ‘conoscitore(i primi due attributi dei veri sentieri), inoltre di ‘conseguimento‘ e ‘salvezza‘. (Durante altri insegnamenti Sua Santità aveva spiegato che è anche ammissibile interpretare il termine ‘conoscitore come ‘ragionamento’ quando è scritto con il suffisso ‘sa’ cioè ‘rigs’, nel senso che i veri sentieri conoscono la realtà per mezzo di ragionamenti, in modo logico.)

La presentazione o spiegazione delle ‘Quattro nobili verità’ è una precisa formulazione di tutta la struttura della filosofia e pratica buddhista. Le ‘Quattro nobili verità’ possono essere riassunte nella classe di cause ed effetti dei fenomeni completamente afflitti, ovvero le vere sofferenze e le vere origini, e la classe di cause ed effetti dei fenomeni completamente purificati, ovvero dell’intramontabile felicità delle vere cessazioni ed i veri sentieri. In questa nostra prima lettura delle ‘Quattro nobili verità’ qui ci si riferisce al concetto di sorgere dipendente in quanto cause ed effetti.

Dico sempre che il Buddhismo può essere condensato nel motto: “il comportamento è non violenza e la filosofia è il sorgere dipendente”, dove per ‘sorgere dipendente’ si intende il sorgere di effetti da cause, come spiegato sopra nella prima lettura delle ‘Quattro nobili verità’. Questa è un’interpretazione comune a tutte le scuole filosofiche buddiste, mentre invece il sorgere dipendente in quanto ‘designazione in dipendenza‘ (o ‘designazione dipendente’) è asserito principalmente dalla scuola filosofica Madhyamaka.

Sulla base della visione del sorgere dipendente in quanto cause ed effetti, il Buddhismo spiega tutto il processo evolutivo della sofferenza e quello della sua rimozione; questi sono concetti che tutti noi dovremmo comprendere bene. Mi avete capito? Qui ci sono molti tibetani provenenti dall’Amdo, mi avete capito?

Allora, se qualcuno vi chiede cos’è il Buddhismo, rispondete che significa comportamento non violento e filosofia del sorgere dipendente. Per quanto riguarda il comportamento non violento, non c’è dubbio che tutti l’apprezzano; infatti non si fa altro che parlare di pace. A volte, si trascura la trasformazione mentale che porta veramente alla pace e invece si liberano colombe pensando che così la pace sarà realizzata. Completamente illogico!!

Ciò che disturba la pace non sono nè gli uccelli nè gli altri animali! Per essere sinceri… le zanzare disturbano un pò la pace. Per esempio, quando uno dorme, le zanzare che ronzano intorno disturbano la pace del sonno (Sua Santità ride). È vero o no?

Ciò che disturba la pace mondiale sono gli esseri umani. Nessuno desidera la sofferenza, ma cio’ che provoca la sofferenza e disturba la pace sono le afflizioni. Dovremmo riflettere come suggerito nel testo “Le quattrocento strofe”:

Come il medico non combatte, ma aiuta gli ammalati posseduti da spiriti, benché questi siano molto rabbiosi, allo stesso modo il Muni (Buddha) vede le afflizioni [come un problema] ma non le persone che le posseggono.

Il medico che ha a che fare con una persona la cui mente è turbata da una qualche malattia e che perciò si ribella contro di lui, penserà solo ‘poveretta!’ e automaticamente proverà profonda empatia per quel malato e cercherà con particolare attenzione di somministrare le corrette medicine per aiutarlo.

Analogamente Buddha, nei confronti di tutti coloro che con comportamenti a volte anche violenti provocano problemi, non genera avversione o rabbia, ma, osservando come siano controllati dalle afflizioni, prova profonda compassione per loro. Anche noi, nei confronti di tutti coloro che su questo mondo provocano molti problemi, come per esempio anche verso coloro che creano così tanti ostacoli alla soluzione del problema tibetano, dovremmo pensare che in realtà non è colpa loro, in quanto si comportano scorrettamente perché sono totalmente controllati dalle afflizioni.

Questa strofa è veramente utile e ci insegna che dovremmo identificare il problema nelle afflizioni e non nella persona che ne è afflitta. È scorretto considerare quella persona come un nemico, al contrario, dovremmo generare in particolare modo un’attitudine di compassione e d’amore.

Per ritornare alla pace mondiale, coloro che la disturbano sono gli esseri umani e non lo fanno perché naturalmente lo desiderano, ma perché sono governati dalle afflizioni. Avendo compreso questo meccanismo, dovremmo cercare con tutte le nostre capacità di limitare le attitudini mentali che disturbano la pace e che sono presenti nella nostra mente, mentre dovremmo con tutte le nostre forze incrementare le attitudini che promuovono la pace in noi.

Se ogni persona individualmente incrementa la propria pace, di conseguenza la sua famiglia diventerà una famiglia dotata di pace e, gradualmente, la comunità diventarà una comunità pacifica; infine, tutti i sette miliardi di persone su questo mondo otterranno la pace ed il mondo diventerà pieno di amore ed armonia. Così si procede per trasformare veramente questo mondo in un mondo di pace.

Come nel motto che ho citato prima, il comportamento non violento è qualcosa di molto valido, comprensibile e con risultati estremamente positivi. Per quanto riguarda la visione del sorgere dipendente esso richiede un pò di studio.

Quando studiamo dovremmo all’inizio comprendere bene cosa si intende col termine ‘sorgere dipendente‘, in tibetano ‘ten-giung’; cosa significa la prima sillaba ‘ten’? e la seconda ‘giung’? Se consideriamo la versione estesa di questo termine ‘ten cing drel uar giung ua’ (sorgere dipendendo e in relazione) e poi l’altra versione abbreviata del termine ‘ten-drel’ (dipendere e essere in relazione), cosa significano?

Ecco che, solo studiando, potremo comprendere il significato di questi termini e di questa visione. Perciò dobbiamo studiare! Studiare è estremamente necessario! Faccio appello a tutti i monasteri sia piccoli che grandi affinchè i monaci e le monache che vi risiedono continuino a studiare bene.

Subito dopo essere arrivati in India come rifugiati abbiamo richiesto, e le nostre richieste sono state accettate e messe in pratica, diverse innovazioni, come per esempio che tutti i monasteri, anche quelli piccoli che in passato tradizionalmente si dedicavano solo ai rituali, si impegnassero nello studio dei grandi trattati e, allo stesso modo, che nei monasteri di monache tutte si dedicassero allo studio, in modo che, non solo i monaci si potessero diplomare col titolo di ‘ghesce’ ma anche le monache avessero l’opportunità di diventare ‘ghesce-ma’. Oggi siamo arrivati al punto in cui stanno quasi per diplomarsi le prime ‘ghesce-ma’. Dovremmo fare in modo che i nostri monasteri diventino tali che, appena la gente sente la parola ‘monastero’, pensi immediatamente ad un luogo dove si studia. Per esempio, in India la gente quando sente parlare di ‘Nalanda’ non pensa che fosse un’istituzione dove si facevano le puje, ma subito pensano che fosse un’istituzione di studio accademico. Ecco che dovremo fare in modo che succeda lo stesso per tutti i nostri monasteri di monaci e monache, sia piccoli che grandi.

Vorrei che quando si parla di ‘monasteri’ tutti automaticamente pensassero che si tratta di luoghi dove si sostengono, si custodiscono e si diffondono gli insegnamenti buddisti scritturali e di realizzazione per mezzo dello studio e della pratica. Questo è molto importante.

Sono molto contento di sentire che in molti monasteri, dove prima non si studiava, ora lo si faccia! In generale, nel passato, tra i tibetani si pensava che solo pochi santi potessero essere “dotti, puri e buoni” e si usava questo appellativo per onorarli. Ora dico che quel tempo è finito e che tutti i tibetani, tutti quelli che hanno fede nel Buddhismo, devono diventare persone dotate delle tre qualità di conoscenza, moralità e buon cuore!

Per essere veri praticanti buddisti bisogna praticare i tre addestramenti

  1. (la disciplina morale,

  2. la concentrazione e

  3. la saggezza)

e, per poterlo fare, bisogna studiare i Tre Canestri che li spiegano (come accennato sopra); così si completano le prime due qualità di conoscenza e moralità. Se poi vi si aggiunge la pratica della bodhicitta (l’aspirazione ad ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli infiniti esseri), cioè la pratica del buon cuore, possiamo diventare dotati di tutte e tre queste buone qualità; è un qualcosa di possibile e di necessario!

Questo dipende solo dallo sforzo che individualmente ognuno di noi ci mette, non è un qualcosa che dipenda dalle benedizioni del Lama o di Buddha! A questo proposito, il grande Gnen-goen Sung-rab che era un praticante ri-me (Praticante di tutte le quattro scuole del buddhismo tibetano, non settario.) nei suoi scritti ha affermato che, per sviluppare la saggezza, è più utile e sicuro studiare per un mese i testi di du-dra (‘Insieme di argomenti’, categoria di soggetti studiati in funzione preliminare allo studio della logica e quindi del dibattito.) che non cercare di realizzare Manjushri recitandone il mantra per un mese, pratica il cui risultato è insicuro. Credo che sia proprio vero!

Noi tutti dovremmo per prima cosa studiare il tibetano (Qui S. S. sta parlando ad un pubblico formato principalmente da tibetani e quindi intende il tibetano scritto.) perché questo costituisce un punto fondamentale in tutto il processo di apprendimento. Per quanto riguarda altri tipi di soggetti, l’inglese è una delle lingue migliori, è la lingua internazionale che ci apre le porte per moltissime aree di studio; per esempio, so che molte materie studiate in cinese, come le materie scientifiche e così via, sono tradotte dall’inglese. Per quanto riguarda lo studio del Buddhismo, e, in particolare, del Buddhismo proveniente dalla gloriosa istituzione monastica del Nalanda, non c’è nessun’altra lingua che possa equiparare il tibetano. Non sto dicendo questo perché sono tibetano, come una sorta di partigianeria nei confronti della ‘mia’ lingua, lo dico perché su questo mondo, se vogliamo che continuino ad esistere gli insegnamenti che hanno la capacità di dimostrare la dottrina buddhista sulla base di ragioni valide, e cioè quelli tramandati nella tradizione del Nalanda, è indispensabile che continui a vivere la lingua tibetana. Al giorno d’oggi, anche molti dei cinesi interessati al Buddhismo studiano il tibetano e, tra gli occidentali interessati al Buddhismo, alla filosofia buddhista, un numero sempre crescente sviluppa interesse per la lingua tibetana.

Per concludere, voglio riaffermare che dobbiamo comprendere cosa significhi Buddhismo sulla base dell’insegnamento delle ‘Quattro nobili verità” e dei loro sedici attributi; poi per quanto riguarda in particolare il Buddhismo in lingua sanscrita, il suo fondamento si trova nei Sutra della Perfezione della Saggezza, come per esempio il ‘Sutra del Cuore della Saggezza’ che noi tutti recitiamo https://www.sangye.it/altro/?p=6098.

Nel preambolo di quel sutra, si dice che Buddha dimorava in samadhi. In generale sappiamo che Buddha dimora nel samadhi che realizza simultaneamente le “Due verità”, tutte le diversità dei fenomeni e la loro natura ultima, ma qui in particolare si fa menzione del samadhi detto ‘il profondo apparire’.

Riflettendo su questo termine, credo che ‘profondo’ alluda alla ‘talità’, la natura ultima dei fenomeni, ovvero la realtà ultima e che per ‘apparire’ si intenda l’apparire che è interdipendenza. Qui il termine illustra il concetto di inseparabilità di vacuità e apparenza, la talità in quanto sorgere dipendente. Poi, nel corpo principale del sutra, dove c’è lo scambio di battute tra Cenrezig (Avalokiteshvara) e Sharipu, vengono presentati tutti i diversi fenomeni che corrispondono al ‘sorgere dipendente’ ed, in conclusione, si dice che tutti questi sono mere etichette, mere designazioni fatte in dipendenza, si presenta il concetto di ‘mancanza di esistenza inerente’, cioè la loro natura ‘profonda’, ovvero la vacuità.

Tradotto dal tibetano a Dharmasala, India, durante il mese di marzo 2015 da Mariateresa Bianca. Si ringrazia Sherab Dhargye per le delucidazioni dal tibetano e la monaca italiana Ani Tenzin Ojung per aver riletto il testo e dato suggerimenti. Editing del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni.