Insegnamenti del 13° Dalai Lama all’età di otto anni

Il XIII Dalai Lama Thubten Gyatso

Insegnamenti del 13° Dalai Lama all’età di otto anni

La rivista «Arena» che si stampava a Boston (USA) cent’anni fa per circoli teosofici, ha pubblicato nel 1894 il racconto, con commenti redazionali, dell’incontro che l’esploratore tedesco Heinrich Hènsoldt aveva avuto anni prima a Lhasa con il XIII Dalai Lama (1876-1933), all’epoca di appena 8 anni. Ne pubblichiamo una parte, con le riserve d’uso.

«Quando mi trovavo nell’India del nord, avevo spesso sentito dire dai missionari inglesi e da uomini colti che pretendevano di conoscere perfettamente il Lamaismo, che il Dalai era un semplice bamboccio nelle mani di una banda di intriganti. Un professore inglese molto abile mi aveva anche assicurato, a Darjeeling, che il bambino scelto per fare il Dalai Lama era sempre un povero essere, un debole di spirito, un triste esemplare della più triste umanità, a cui si rendeva l’esistenza insopportabile per la monotonia di un cerimoniale vuoto di senso. Così quando fui condotto davanti al Gran Lama mi aspettavo di incontrare un essere imbecille, col quale ogni conversazione sarebbe stata impossibile. Era, in effetti, un ragazzino di appena otto anni. Ma, al posto della fisionomia indifferente ed inintelligente che credevo di incontrare, trovai uno sguardo che mi riempì di stupore e di timore. Era un viso di una grande simmetria e di una grande bellezza, un viso indimenticabile per la sua singolare espressione di malinconia, che contrastava stranamente coi suoi tratti infantili. Ma ciò che mi colpì di più furono i suoi occhi. Era impossibile che quelli fossero gli occhi di un bambino di otto anni. In verità, il Dalai Lama non è un mortale ordinario. I suoi occhi erano sicuramente quelli di un iniziato superiore dell’esoterismo, così diverso dallo sguardo dei suoi adepti, che non ci si potrebbe sbagliare o dimenticare dopo averli visti una sola volta. Essi avevano qualcosa di sovrumano e apportavano al non iniziato l’impressione di un’età considerevole. Se il viso è, in realtà, l’espressione dello spirito, gli occhi possono essere considerati come la sua vera fonte, e servire a scoprirvi le conoscenze trascendenti o le grandi esperienze mentali …

Dal momento in cui fui in presenza del Dalai Lama, provai la sensazione che egli poteva conoscere i miei pensieri più intimi. Mt rivolse la parola nella mia lingua materna, il tedesco; e, cosa ancor più stupefacente, in un dialetto che non avevo più sentito da anni e la cui conoscenza non poteva essere acquisita con un procedimento conosciuto dai comuni mortali.

Ciò che è ancor più notevole è che io avevo preso ogni precauzione per nascondere la mia nazionalità. Indossavo l’abito tradizionale dei montanari dell’India del nord, viaggiavo, come un Indù di distinzione, con un Tsong Shéra, iniziato esoterico, che mi accompagnava come servitore, ma che in realtà mi conduceva al monastero di Noranchu, dove l’avrei lasciato. La mia conoscenza dell’indostano mi aveva permesso di subire vittoriosamente l’esame dei funzionari e dei negozianti cinesi e, benché il colore dei miei occhi avesse in diverse circostanze provocato sorpresa, raggiunsi Lhassa sano e salvo, senza che, ne sono sicuro, la mia nazionalità fosse stata scoperta.

Presso gli adepti superiori dell’India e del Tibet, l’acquisto di un linguaggio data da procedimenti intuitivi sconosciuti alla filosofia occidentale, è un fatto scontato. In Europa, la meravigliosa confraternita dei Rosa-Croce possedeva, si dice, quel potere che è scomparso con l’ultimo affiliato di questa strana organizzazione. Forse questo è una specie di ipnotismo, ed il prodigio si riduce ad una specie di telepatia o di lettura mentale». Questo quesito preoccupa vivamente l’interlocutore del Dalai Lama, che cerca ansiosamente di spiegarlo. Senza arrivare, su questo punto, ad una soluzione che lo soddisfi, egli avanza la sua ipotesi. Gli adepti che possiedono il potere meraviglioso di parlare tutte le lingue esistenti non potrebbero essere per caso dei semplici lettori di pensiero altrui? Gli affiliati dei gradi superiori potrebbero essere capaci non soltanto di leggere i pensieri di una data persona, ma qnche di comunicare l’intelligenza con uno sforzo mentale senza pronunciare una sillaba, benché le loro labbra si muovano o meglio, sembrino muoi;ersi.

Comunque sia, il Dalai Lama poté leggere chiaramente i pensieri del sapiente tedesco e rispondergli in qualsiasi lingua. Ma non fu solo questo a stupire Hensoldt. Questo bambino di otto anni conosceva a fondo la mineralogia, la botanica, la filosofia. Tutte le scienze in generale non avevano per lui alcun mistero. Parlava con l’autorità di chi ha sollevato il velo di Iside, e a cui nulla è nascosto del passato, del presente e dell’avvenire.

Ma rendiamo la parola all’autore che ci riporta questa conversazione stupefacente. Essa trattava del tempo. « Ciò che viene chiamato il tempo, non esiste – dice il Dalai Lama – è una illusione come la concezione dello spazio. Voi dite che il tempo è una successione di avvenimenti? Come potrebbe essere questo se si dimostra, che non vi sono avvenimenti? Cos’è un secolo, un anno, un giorno? Voi dite che un giorno è il tempo necessario a questo pianeta per girare una volta attorno al suo asse. Prendete l’equatore della terra, dividetelo in ventiquattro parti uguali, costruite una casa in ognuno di questi punti. Quale sarà il risultato? Secondo la vostra logica, vi sarà un’ora di differenza nel tempo di ciascuna delle vostre case. Riportate ora queste case a dieci gradi più a nord, esse saranno più vicine l’una con l’altra, ma esse conserveranno sempre un’ora di differenza tra loro. Ora ponetele tanto vicine al nord in modo che esse formino un cerchio completo e siano in contatto permanente, la differenza di ora non sarà cambiata. Se è mezzogiorno in una di queste case, sarà l’una in quella di destra e le undici in quella di sinistra; e se le case comunicassero fra loro attraverso porte; voi potreste percorrere un secolo in cinque minuti. Potreste anche rivedere i secoli scomparsi correndo in senso contrario. D’altra parie, potreste fermare il tempo e prolungare indefinitivamente il presente saltando nella casa vicina nel momento in cui l’una è sul punto di compiersi. Sarà sempre mezzogiorno. Al polo stesso, un simile esercizio sarebbe, superfluo; perché là il tempo non esiste affatto.

«Per quanto riguarda ciò che voi chiamate le matematiche, o scienze dei numeri e delle quantità, è altrettanto una illusione come la stessa idea del tempo. Su cosa sono basate le matematiche? Su una supposizione ipotetica, o per meglio dire sul numero uno, che non ha esistenza. Questo può sembrare una verità nuova; ma questa verità è vecchia come gli astri eterni. Che cos’è il vostro numero uno? Esso si deve riportare a qualche oggetto esistente perché tutte le concezioni astratte sono ideali e di conseguenza irreali. Che cos’è dunque: uno? Forse una pietra, un albero, un animale? Questa pietra, questo albero, questo animale non sono la stessa cosa per due abitanti qualsiasi di questo pianeta, perché non esistono due spiriti uguali. Inoltre la pietra che voi vedete oggi non è la vostra pietra di ieri, perché anche da ieri il vostro spirito ha subito dei cambiamenti, per quanto leggeri essi siano. Le matematiche sono dunque basate su qualcosa che non ha esistenza tangibile e nemmeno definibile, e, se voi le considerate un po’ più da vicino, voi le troverete piene di contraddizioni, di nonsensi e di assurdità».

Il Dalai Lama parve estremamente soddisfatto di questa dimostrazione, dalla quale passò alla famosa serie indefinita della divisione delle frazioni semplici. Quella che, pagando dapprima la metà di un debito, poi la metà del resto, poi la metà del nuovo resto, e così di seguito, un uomo passerebbe l’eternità prima di essere definitivamente liberato; gli sembrò un irresistibile argomento in più per provare la nullità delle scienze esatte.

Ma a poco a poco l’espressione della sua fisionomia fece posto ad una tristezza profonda che riempì di compassione l’animo del suo interlocutore. Questa tristezza sorgeva in lui dal sentimento dell’universale infelicità. Nessuno è soddisfatto della propria sorte, tutti soffrono, l’universo intero è nell’angoscia. L’eccellente Dalai Lama non poteva intendere senza amarezza i gridi di agonia che salivano verso di lui dal fondo delle miriadi di cuori disperati, senza dividere tutti quei dolori e tutte quelle sofferenze. Per tutto il tempo il visitatore, completamente annientato da questa personalità enigmatica e conquistato dal miracolo della reincarnazione, pensava a quel fondamento essenziale del misticismo orientale il cui significato gli era fino ad allora sfuggito. Questi pensieri non potevano mancare di essere penetrati dal chiaroveggente Dalai Lama, che si affrettò ad aggiungere: «Vi soffermate a dubitare dell’eterna verità della reincarnazione? Pertanto così evidente! Pensate che l’impossibilità in cui vi trovate a ricordare gli stati anteriori della vostra esistenza è una prova della loro inesistenza? Ma siete voi forse in grado di ricordare gli stati anteriori della vostra vita presente? E tuttavia, voi vivevate già, e ancora nella vita embrionale! Vi è in voi una conoscenza intuitiva, una coscienza del fatto che voi siete sempre esistito, e non potete immaginare un momento in cui voi non esisterete più. Ciò che voi chiamate morte non è che una transizione, un passaggio del nostro essere da uno stato ad un altro, e così sopravvive solo la coscienza che voi esistete. Certi uomini sono annientati da questo pensiero, perché si attaccano avidamente all’illusione di incontrare un giorno, in un al di là migliore, quelli che gli erano cari… Ma questo oblio delle vite passate è precisamente un bene. Che diverremmo, così carichi del ricordo delle esistenze anteriori, delle illusioni, delle speranze vane, delle follie, dei crimini? La panacea più seria degli antichi Greci non era forse il fiume Lete, che cancellava il ricordo del passato? Ogni uomo possiede abbastanza dispiaceri, rimpianti, disillusioni in ognuna delle sue incarnazioni nuove, per non guardare con invidia i suoi dolori di altri tempi ».

Il Gran Lama chiuse gli occhi e tacque per alcuni minuti, durante i quali il suo bel viso sembrò trasfigurato da un irraggiamento celeste. L’udienza volgeva al termine e Hersoldt stava per alzarsi dai cuscini sui quali era seduto, quando il Datai concluse: «Il passato è un sogno, solo il presente è reale e l’avvenire è quasi un’illusione. Noi siamo sempre scontenti della nostra condizione presente e conserviamo sempre la speranza in una beatitudine prossima in un avvenire immaginario. È sempre domani, fra una settimana, fra un anno, che noi saremo felici, ma questa aurora non si alza mai, e l’oggetto desiderato fugge lontano da noi come l’uccello del paradiso della leggenda, che vola di albero in albero illudendoci così tutta la vita fino alla tomba …

«No, l’immortalità non esiste, nel senso delle vostre religioni ortodosse. Noi non ci risveglieremo un giorno per trovarci in qualche palazzo celeste. La nostra vita futura sarà quale noi stessi l’avremo fatta. La reincarnazione o continuità di esistenza, non è una vana teoria, ma una solida realtà. Non è la prima volta che noi veniamo al mondo: se così non fosse, la morte ci sopprimerebbe per sempre. Ciò che comincia nel tempo deve finire nel tempo. Se un certo avvenimento si dovesse verificare solo una volta nel tempo e nello spazio, tutte le cose possibili sarebbero arrivate già da tempo, perché è l’eternità che gira dietro a noi ».

Questa volta il visitatore tenta una timida osservazione. Constata che certi filosofi sono arrivati a conclusioni simili, ma per mezzo di semplice ragionamento. Riuscì solo ad attirarsi una vigorosa replica.

Il Dalai Lama gli rispose: « Noi non ragioniamo sulle cose, noi le vediamo! Il mondo non è nascosto dietro ad una tenda, non vi è né dubbio, né incertezza. Tutto questo è l’evidenza, la verità, la chiarezza ». Così finì la conversazione del signor Hersoldt col Dalai Lama. L’autore termina con un inno di entusiasmo alla gloria dell’Oriente, terra di prodigi, di bellezza, di saggezza e di grandezza.

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