15 – S.S. Dalai Lama Insegnamenti su “Le 37 Pratiche del Bodhisattva, Kalachakra, Bodhi Gaya 1974

Sua Santità il Dalai Lama: Dobbiamo anche essere in grado di rivedere e renderci consapevoli delle nostre azioni negative. Nel dirigere la nostra attenzione su di esse, dobbiamo renderci conto dell’errore commesso e che, anche se abbiamo avuto ogni opportunità per ricevere il Dharma, e la guida del Buddha e guru, abbiamo ancora agito in contraddizione con loro. Con i nostri occhi spalancati abbiamo camminato fuori dal bordo della scogliera e deliberatamente prodotto per noi stessi sofferenza. Quel che è fatto non può essere annullato, ma ci sono ancora le vie insegnate dal Buddha per contrastare i nostri errori…

15 Insegnamenti, preliminari all’Iniziazione al Kalachakra per la Pace nel Mondo, conferiti da Sua Santità il 14° Dalai Lama a Bodhgaya, Bihar, India, nel dicembre 1974 su “Le Trentasette Pratiche del Bodhisattva” di Ngulchu Thogme Zangpo, vedi https://www.sangye.it/altro/?p=134 . Appunti e traduzione del Dott. Luciano Villa al Centro Studi Tibetani “Sangye Cioe Ling” Sondrio (il cui nome è stato conferito da Sua Santità il Dalai Lama), nell’ambito del Progetto Free Dalai Lama’s Teachings per il benessere di tutti gli esseri senzienti.

L’undicesima pratica del bodhisattva

Tutta la sofferenza nasce dal desiderio per la felicità di se stessi. Il Supremo Buddha nasce da una mente che avvantaggia gli altri. Pertanto, scambiare perfettamente la propria felicità con le sofferenze degli altri: questa è la pratica del bodhisattva.

E come dice il Bodhicaryavatara, “Tutta la felicità del mondo deriva dal desiderare la felicità degli altri”, e “Non c’è bisogno di spiegare ulteriormente. Guardate come un bambino si preoccupa solo della propria felicità, mentre il Buddha è interessato alla felicità degli altri. “So che desiderare la felicità degli altri è la radice di ogni qualità virtuosa, che desiderare la propria felicità è la radice di ogni qualità negativa, di tutte le visioni errate. “Aver cari sé stessi è la porta d’ogni caduta. Tenendo cari gli altri il fondamento di ogni qualità. Quindi, quello che ora dobbiamo fare è smettere di gratificare noi stessi, il che non ci ha portato nulla di buono. Ed abbandoniamo l’atteggiamento di ignorare gli altri, che è semplicemente dannoso “.

Dal momento che abbiamo la preziosa opportunità di ricevere l’insegnamento del Buddha, trasmesso a noi anche da tali maestri come Manjushri, Nagarjuna, Shantideva, cerchiamo di fare del nostro meglio per praticare l’atteggiamento di tenere gli altri cari, ed abbandonare l’egoismo, per quanto possibile. Per dare energia a questo, dobbiamo praticare, prendendo su di noi la sofferenza degli altri offrendo loro la nostra felicità. Riflettere sulla sofferenza di tutti gli esseri senzienti, visualizzare in loro le sofferenze e, mentre respiriamo, pensiamo di prendere su di noi la loro sofferenza.

Poi pensate a tutta la felicità che avete e tutti i meriti accumulati: e dateli agli altri, espirando. Come dice la Guru Puja, “Oh guru venerabile e molto compassionevole, concedimi la tua benedizione in modo che tutti gli atti impuri e le sofferenze di tutti gli esseri senzienti possano convergere su di me, e, offrendo tutta la mia felicità ed i meriti agli altri possano tutti gli esseri raggiungere la felicità. “

Così dovremmo praticare il “prendere e dare.” Se alleniamo in questo modo la nostra mente e “scambiamo noi stessi” (con gli altri) anche solo temporaneamente, questo ci porterà la pace della mente. Altrimenti, beneficiare se stessi non porterà alla bodhicitta, o alla pace della mente, altro che preoccuparsi di sè stessi. Se non scambiamo la nostra felicità per la sofferenza degli altri, non otterremo la condizione di Buddha e nemmeno la felicità nel samsara. Quindi dobbiamo praticare.

L’ultimo giorno d’insegnamenti.

La nostra vita fino ad oggi s’è consumata. E non torna indietro: sia che abbiamo vissuto bene, sia che abbiamo sprecato le nostre giornate. Il lavoro mal fatto può essere rifatto, ma non così la vita dell’uomo. Abbiamo perso tempo durante l’infanzia, ma, da quando siamo nati come esseri umani, questo non avrebbe potuto essere altrimenti. Ma, dal momento che la nostra intelligenza si è sviluppata fin a farci diventare adulti, è come se il tempo sprecato fosse stato deliberatamente sprecato.

Per coloro che, di conseguenza, hanno sprecato la vita o l’hanno spesa in maniera futile, c’è solo il potere opposto della penitenza, recitare mantra purificanti, facendo prostrazioni, e soprattutto i due metodi migliori: la meditazione sul shunyata (vacuità), e lo sviluppo di bodhicitta.

Dobbiamo anche essere in grado di rivedere ed enumerare le nostre azioni negative. Nel dirigere la nostra attenzione su di esse, dobbiamo renderci conto dell’errore commesso e che, anche se abbiamo avuto ogni opportunità per ricevere il Dharma, e la guida del Buddha e guru, abbiamo ancora agito in contraddizione con loro. Con i nostri occhi spalancati abbiamo camminato fuori dal bordo della scogliera e deliberatamente prodotto per noi stessi sofferenza. Quel che è fatto non può essere annullato, ma ci sono ancora le vie insegnate dal Buddha per contrastare i nostri errori. Ci sono i quattro poteri opponenti: il pentimento, prendere rifugio nella Triplice Gemma mettendo la propria fiducia nel Buddha, nel suo insegnamento e nella vita monacale – e sviluppare bodhicitta, aumentando la potenza del pentimento, rivedendo le proprie colpe, classificandole per quelle del corpo, della parola e della mente, individuando i difetti naturali in contrasto con le dieci azioni virtuose, violazioni delle regole di ordinazione e dei voti: del Vinaya, bodhisattva o voti tantrici.

Dovremmo tenere a mente che, in considerazione delle nostre possibilità, abbiamo vissuto peggio della maggior parte degli esseri mondani. Quindi, è giusto, come ha fatto Milarepa, sottolineare l’importanza della confessione e del pentimento come una forza purificatrice, che ci permette di smettere di commettere ulteriori cattive azioni in futuro. Senza il pentimento, è inaffidabile la decisione di essere in futuro una brava persona. E, per pentirci fortemente, dobbiamo renderci conto delle qualità sbagliate di atti impuri commessi. Per questo dobbiamo essere convinti della legge del karma e dei suoi frutti. Per il futuro dobbiamo prendere una forte decisione su come vivere, sia che si tratti di domani o dei prossimi 60 anni. Dobbiamo spendere questa vita preziosamente, virtuosamente, senza violare il Dharma, la volontà del Buddha. Cerchiamo di non sprecare la nostra vita futura, e preghiamo vivamente di trascorrere la vita in modo fruttuoso. Il passato è del tutto trascorso, ciò che posiamo fare, dal momento che abbiamo questo grande vantaggio, è di prenderci cura, in futuro, di essere ricettivi al Dharma.

Per praticare il Dharma, dobbiamo prima conoscere e capire che significa ciò che dobbiamo imparare. Questo è, credo, il motivo per cui siete qui. Per rendere la vita feconda dobbiamo sviluppare bodhicitta, allenare la nostra mente a vedere la vita futura come più importante di noi stessi. Il cibo, l’abbigliamento, la fama, tutto deve essere sacrificato per gli altri. Dobbiamo usare, per quanto siamo capaci, il corpo, la parola e la mente per gli altri. Se siamo in grado di svilupparci in questo modo, la nostra vita può essere preziosamente utilizzata. Per essere in grado di farlo, ascoltiamo e pratichiamo questo insegnamento sulle Trentasette Pratiche del Bodhisattva, che passo ora brevemente a ricapitolare:

La prima pratica del bodhisattva: Ascoltare, imparare, contemplare e meditare sul Mahayana.

La seconda pratica del bodhisattva: Incrementa questo, per lasciare il mondo “attivo“, la propria casa.

La terza pratica del bodhisattva: Cerca di vivere in solitudine, anche se questo è sbagliato se rimaniamo ancora attaccati al mondo.

La quarta pratica del bodhisattva: Sviluppare la nostra mente.

La quinta pratica del bodhisattva: Abbandonare i falsi amici.

La sesta pratica del bodhisattva: Seguire un guru.

La settima pratica del bodhisattva: Praticare il Dharma e rifugiarsi nella Triplice Gemma.

Prendere rifugio di solito si riferisce al rifugio di causalità: il Buddha, il Dharma ed il Sangha, che rappresenta il monachesimo. Prendere rifugio nel frutto, nel Triplice Gioiello è rifugiarsi nella nostra forte volontà di realizzare la buddhità, per realizzare il Dharma in pratica. Ma prendere rifugio non è sufficiente. Dobbiamo anche seguire i relativi precetti. Né è giusto rifugiarsi ora nel Buddha, ora da qualche altra parte: si tratta di una dispersione di sforzi. Dovremmo anche mostrare rispetto per le immagini del Buddha, fare affari con esse può sembrare redditizio ma, così facendo, non si fa altro che accumulare danni. È lo stesso con la ristampa di antiche scritture. Vendere al prezzo di costo, o utilizzare i proventi per la ristampa è la scelta migliore. In altre parole, dobbiamo mettere il Dharma in pratica, e c’è una vera ragione per farlo.

Si può chiedere aiuto ad uno spirito, ma non deve indulgere in idolatria. E il modo di rifugiarsi nel Dharma è importante, non dovrebbe comportare alcun rancore verso gli altri. Dobbiamo anche essere molto attento alle Scritture, prenderci fisicamente cura di loro. Soprattutto i monaci che le hanno sempre a portata di mano possono diventarne incuranti. La mancanza di rispetto è uno dei. . . . [Trascrizione mancante]Come è stato detto da Tzong Khapa, “Anche se godiamo di piaceri samsarici, sono la porta aperta alla sofferenza fino a raggiungere il nirvana. La perfezione inaffidabile del samsara conduce alla sofferenza, perché abbiamo il piacere e non siamo mai soddisfatti. Vedendo questi errori, benedicimi in modo da far scaturire in me la volontà di ricerca della felicità del nirvana. “La peggior sofferenza nel samsara è di non essere mai soddisfatti, nonostante tutto quell che abbiamo avuto, nonostante i molti piaceri. Per sua natura, del resto, il samsara è completamente inaffidabile. Non vi è alcuna certezza circa la nostra fama, ricchezza, o reputazione. Non vi è certezza anche dei nostri amici o nemici, e anche la nostra esistenza fisica è inaffidabile. Se con noi abbiamo un compagno per tutto il samsara, questo ci offre più speranza, ma non c’è nemmeno un tale compagno. Dobbiamo fare il viaggio da soli, unaltra pessima qualità del samsara. Ci sono tante qualità negative del samsara, ma nel lam-rim sono classificate in sei gruppi principali. Una volta che si nasce nel samsara, derivano tutte queste cattive qualità, la peggiore è di dovervi prendere ancora e ancora rinascita.

Una volta che abbiamo preso rinascita in schiavitù, tutto il resto segue automaticamente. Noi tutti soffriamo dei frutti del passato. La natura intrinseca e la causa del samsara sono impuri, perché è un prodotto di karma e delusione, che a sua volta li produce. È sempre contraddistinto da sofferenza, karma e circostanze fonti d’illusione che, a loro volta, sono sempre causa di delusioni. Ci sono, quindi, cinque qualità sbagliate di nascita: la nascita con la sofferenza, la nascita nel posto sbagliato, la nascita che in futuro riproduce gli stessi errori del passato, la nascita in uno stato di sofferenza e delusione, la nascita senza libertà di scelta.

Fino a quando saremo in grado di liberarci da questa esistenza, questa produzione di karma e risultato impedisce qualsiasi vera felicità permanente. Quindi dobbiamo cercare di liberarci da questa situazione, praticando il triplice addestramento: alla moralità, alla saggezza ed alla meditazione, con la morale come base. Con la nostra pratica dobbiamo distruggere l’illusione, la causa di tutti i nostri problemi, grazie alla forza di antidoto. Quindi dobbiamo cercare di raggiungere il nirvana.

La nona pratica del bodhisattva.

La felicità è come rugiada sulla punta di un filo d’erba, di breve durata e destinata a svanire. Quindi dobbiamo cercare lo stadio supremo del Nirvana che non cambia mai in sofferenza: questa è la pratica del bodhisattva.

La decima pratica del bodhisattva.

Da sempre siamo stati curati da altri con amore materno. Se rimaniamo nella sofferenza samsarica: quanto è crudele liberare solo noi stessi!

Salvare tutti loro e gli altri innumerevoli esseri, generare bodhicitta, il desiderio di buddhità: questa è la pratica del bodhisattva.

Questi versi esprimono l’essenza del Dharma Mahayana. In breve, tutti gli infiniti esseri senzienti condividono il desiderio di evitare la sofferenza e d’ottenere la felicità. Cercare solo la propria felicità è quindi riprovevole. Da sempre siamo sempre stati interessati esclusivamente alla nostra felicità, ma cosa abbiamo fatto di buono se siamo ancora qui a soffrire!

Come è detto nella Guru Puja, “La malattia cronica di tener cari se stessi è molto dannosa, perche ci impedisce di lavorare, di camminare o di mangiare correttamente; siamo un corpo a metà, una mezza persona. Finché saremo in preda all’auto predilezione, siamo come un essere umano a metà. “Per questo dobbiamo fare del nostro meglio per sbarazzarci di questa malattia, e nella “Ruota delle Armi Taglienti”, un testo di addestramento mentale, questa auto-predilezione è particolarmente attaccata, la si chiama un fantasma malvagio o demone. Un demone mondano esterno ci nuoce ma temporaneamente, ma il demone interiore ci danneggia per tutto il tempo. Il demone più vero è l’attaccamento al sé, l’afferrarsi al sé, l’ignoranza, l’atteggiamento di auto-gratificaione. Da questo demone nasce l’espressione: “Voglio questo” e “voglio essere felice”; l’ignoranza e l’auto-gratificazione si rafforzano e si sostengono a vicenda.

Se fossero questi gli unici due demoni che dobbiamo affrontare, non sarebbe male, ma di solito si presentano gli altri, come la gelosia, i pensieri vaganti, la sonnolenza durante la meditazione e così via. Quindi, non è facile essere un vero praticante del Dharma, è come un vero soldato che combatte sempre il nemico interno apportatore d’illusioni. Il demone dell’attaccamento egoistico è il grande nemico che dobbiamo combattere. A volte questo è molto difficile e si può rimanere scoraggiati. Naturalmente ci sono momenti in cui dobbiamo affrontare molti problemi, ma non dobbiamo perderci d’animo, ma lottare finché otteniamo la vittoria finale. È impossibile sconfiggere tutti i nostri nemici, ma questa vittoria più gloriosa sul nemico interiore è possibile. Come dice Nagarjuna https://www.sangye.it/altro/?cat=9, “Non c’è mai stato nessuno che ha sconfitto tutti i suoi nemici mondani ed è morto in pace.” Il che è molto vero. Ma possiamo sconfiggere il nemico interno e farlo una volta per tutte. Come dice il Bodhicaryavatara https://www.sangye.it/altro/?p=2346, “Tutti i nostri nemici terreni possono essere sconfitti temporaneamente ma si riorganizzeranno e ci attaccheranno di nuovo. Ma il nemico interno può essere sconfitto per sempre. “Combattere col vero nemico, le nostre illusioni, è responsabilità del praticante. Ben Kungyel dice: “La mia pratica è quella di stare sulla porta dell’illusione con la lancia del antidoto pronta. Se è forte, lo sono anch’io. “

Il praticante di Dharma non può essere lassista in questo senso. Pertanto, non è affatto facile, ma non dobbiamo lasciarci scoraggiare. A differenza di bodhicitta e shunyata, l’auto predilezione non ha solide fondamenta. Non solo l’atteggiamento di tenere gli altri cari e Shunyata hanno un solido fondamento, ma tutti i Buddha ed i Bodhisattva si basano su questo, dando forza ed energia ai loro sostenitori. Anche se, per ignoranza, ci possono essere dei promotori dell’auto gratificazione, coloro che ci sostengono sono degli illuminati. Così, da un lato, vi è il sostegno instabile e da parte nostra il sostegno indistruttibile su fondamenta solide. Come dice il Bodhicaryavatara, “Sono i Buddha che hanno pensato e contemplato per kalpa sulla bodhicitta, che è il motivo essenziale per tutti gli esseri senzienti.”

Pensando in questo modo, anche se il nostro livello, la nostra capacità, è povera e debole, abbiamo molte ragioni per nutrire fiducia nella nostra vittoria. Anche se l’egoismo e l’auto gratificazione sembrano forti, sono senza fondamento. Una ragione è che la nostra coscienza più sottile può essere trasformata in una realizzazione di Shunyata: le illusioni non possono sopravvivere indefinitamente. Quindi non dobbiamo scoraggiarci, ma lottare contro l’auto gratificazione ed eliminare completamente questa malattia cronica. E dobbiamo sviluppare l’atteggiamento di gratificare gli altri realizzando le grandi qualità.

Come si dice nella Guru Puja, “Vedendo che la mente che cerca di portare gli altri alla felicità è la porta da cui entrano tutte le qualità infinite, anche se questi esseri possono agire contro di me come nemici, benedicimi affinché sia in grado di tenerli cari, anche più cara della mia stessa vita”. L’atteggiamento mentale di tenere altri cari è la medicina suprema, l’ambrosia del guru e maestro interiore. Rendendoci conto di questo fatto dobbiamo generare tale mente dove nulla esiste (inerentemente) e svilupparla. Fatelo in tutte le azioni, mentre camminate, dormite e pensate. Se riusciremo a farlo, diventeremo un supremo praticante del Dharma, attingendo all’essenza della vita, facendo una suprema offerta ai bodhisattva, ed utilizzando il metodo supremo per liberarci degli ostacoli. Non c’è nulla di più alto o più grande di una tale mente.

“Se, dunque, da tempo immemorabile siamo stati accuditi con amore materno …”

L’undicesima pratica dice che vedendo l’errore dell’auto-gratificazione e, di contro, la virtù di prendersi cura degli altri, dobbiamo scambiare la nostra felicità con la loro sofferenza.